IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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UncleTom
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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il manifesto 23.10.16
Bersani: il Pd di Renzi contro la sinistra rifondata


Referendum costituzionale.
Il premier: rivogliono il governo, glielo abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose. Sull'Italicum la minoranza avvisa Cuperlo: non c’è più tempo per modifiche, si cancella con il voto No. D'Alema: Votano Sì gli anziani, forse hanno più difficoltà a comprendere la riforma. Come fu con Brexit non si rendono conto che così si rovina la vita dei nipoti
di Daniela Preziosi


ROMA Il referendum costituzionale del 4 dicembre sarà – anche – il calcio d’avvio dello scontro congressuale del Pd e la prima pietra della ricostruzione della sinistra. Se vince il Sì, va detto, potrebbe essere anche l’ultima; ma se perde tutto tornerebbe in discussione, dal segretario alle regole dello statuto dem alla morte delle alleanze a sinistra. Ormai l’ex leader Bersani, scatenato a tutto No, non usa giri di parole. Nel Pd sarebbe meglio «far eleggere il segretario dagli iscritti e lasciare le primarie di coalizione per la scelta del candidato premier del centrosinistra», spiega a Repubblica. È la tesi già sconfitta allo scorso congresso, ma in politica chi perde può ritentare. Per questo il futuro scontro congressuale sarà «tra il partito di Renzi e una nuova prospettiva ulivista che rifondi la sinistra».
Ulivisti o altro, il premier sa che c’è un pezzo della politica italiana che si prepara alla ’Renxit’, ma da Palermo se la ride: «C’è una variegata alleanza di quelli che dicono No: D’Alema, Berlusconi, Monti, Fini, Dini, Cirino Pomicino», «il loro obiettivo è riprendersi il governo che gli abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose. Noi vogliamo il futuro, non il passato». Ma futuro e passato sono concetti relativi a Palazzo Chigi: ieri il comitato del Sì ha rispolverato una vecchia intervista di Indro Montanelli a favore di un esecutivo più forte. La replica del No: «Si riconosce il vero obiettivo di questo referendum: cambiare la forma di governo, togliendo poteri al parlamento in favore dell’esecutivo e del suo capo. Evviva la sincerità».
Lo scontro è ruvido. Secondo Scenari politici (per Huffington Post) il No è avanti con il 52 per cento ma il Sì accorcia le distanze al 48 ed è in rimonta. Renzi è convinto che una mano a convincere gli indecisi potrebbe arrivare dall’accordo sull’Italicum fra maggioranza e minoranze Pd nella commissione dem istituita all’ultima direzione. Entro la manifestazione del Sì del 29 ottobre si capirà se la pax renziana sarà davvero firmata. Ma ieri Bersani lo ha di fatto escluso. E sulla Stampa Federico Fornaro, uno degli uomini che gli sono più vicini, ha rivelato che la disponibilità da parte della minoranza era solo tattica: «Il tempo è scaduto per farci cambiare posizione sul referendum», il tentativo di Cuperlo è «un contributo utile alla discussione e nulla più». Parole, quelle di Bersani e dei suoi, definite «incendiarie» dal presidente Orfini, che nella commissione è uno dei più determinati a portare a casa un accordo con Cuperlo. E poi magari godersi lo spettacolo della rottura fra la componente cuperliana – ridotta ormai ai minimi – e quella bersaniana. Anche Cuperlo non apprezza le parole dei suoi compagni: «Proviamoci», insiste, «da parte di tutti servono gli estintori perché alimentare l’incendio non aiuta». Se la commissione fallisse «salterebbe la stessa unità politica del Pd in vista del referendum costituzionale», avverte Giorgio Merlo. Ma Bersani ormai è scatenato per il No. E anche Massimo D’Alema manda a dire al suo ex pupillo che sul fronte della legge elettorale non c’è più niente da fare: «Ho grande rispetto e stima per Cuperlo, ma è evidente che nessuna commissione potrà mai cambiare l’Italicum prima del referendum, anche perché l’Italicum è oggetto del referendum. Quindi chi è contro l’Italicum deve votare No».
Quanto a D’Alema, ieri ha spiegato che il referendum italiano è paragonabile quello inglese sull’uscita dall’Europa, ma non nel senso sostenuto dal governo: «Renzi parla a nome di una gioventù che non lo segue. I giovani votano No. Votano Sì solo le persone molto anziane forse anche perché hanno maggiore difficoltà a comprendere questa riforma sbagliata», insomma proprio come fu con la vittoria di Brexit «gli anziani non si rendono conto che approvando la riforma renziana si rovina la vita dei nipoti». Bordate dal fronte del Sì: «Da una persona di 67 anni credo che sia un autogol dire una cosa del genere», attacca ancora Orfini, altro suo ex pupillo.
Ma a poco più di un mese dal voto ormai la battaglia è senza esclusione di colpi. Così nel corso di un comizio a Palermo ieri Renzi è inciampato in una battuta alla Salvini commentando la gigantografia delle facce del No che gli venivano proiettate alle spalle (D’Alema era la più visibile, al centro dello schermo): «Metti via», ha ordinato al tecnico delle immagini, «magari qualcuno ha mangiato».

il manifesto 23.10.16
Il peso di una scheda bianca
di Michele Prospero

A sinistra, dove la creatività è infinita, c’è chi ha lanciato l’idea assurda di un astensionismo critico o di una scheda bianca in un referendum costituzionale che non prevede alcun quorum. Ci sono però schede bianche e schede bianche. Quella annunciata da Fabrizio Barca somiglia molto all’esito di una argomentazione acrobatica: non partecipare alla battaglia per conservare le aspettative di una possibile ricomposizione. Quella evocata da Emanuele Macaluso è invece la conseguenza di un gesto di sofferta rottura che merita alcune considerazioni.
La riforma costituzionale è stata più volte raffigurata da Renzi e da Boschi come la riforma di Napolitano. Con il rifiuto di Macaluso di votarla nel referendum si lancia un segnale pesante di dissenso. Il testo, la cui paternità viene dal governo ricondotta strumentalmente al presidente emerito, non raccoglie neanche il consenso del politico a lui più vicino per una antica consuetudine ideale.
Del resto, dopo gli interventi nitidi di Alfredo Reichlin a supporto del no, le acque di ciò che rimaneva della tradizione comunista si sono agitate di molto. Che tutti gli intellettuali marxisti degli anni settanta (ad eccezione di Alberto Asor Rosa) siano schierati per il sì al quesito populista non stupisce. L’egemonia marxista poggiava su fragili basi di conformismo e gli intellettuali entrati nel Pci dopo il ’68 orientavano il loro pensiero secondo il vento passeggero delle mode. Già nei primi anni ottanta cominciò per molti il precipitoso addio alle armi.
La confluenza dei filosofi comunisti di allora nelle agguerrite schiere della de-formazione costituzionale di oggi ha anche degli appigli nella loro opera. Avevano qualche ragione Amato e Cafagna a prendere di petto le produzioni di De Giovanni e Vacca rimarcandone i tratti di un organicismo refrattario alle libertà negative, al pluralismo dei conflitti, alle garanzie. L’organicismo di una cattiva tradizione comunista può benissimo convivere con il volto arbitrario del renzismo e con le sue velleità di costituzionalizzare il partito della nazione con strappi alla carta ed elargizioni di bonus.
Che un acerrimo nemico della democrazia discutidora, come Massimo Cacciari, oggi non trovi nulla di strano nel votare a favore di una riforma che egli stesso giudica una immensa schifezza non desta scandalo: nella sterilità assiologica che condisce le varianti del nichilismo politico-giuridico ogni decidere qualcosa conta più della qualità della decisione.
Il conformismo dei chierici non è però una novità nella cultura italiana. Invece poco comprensibile era l’oscillazione dei politici comunisti eredi della grande lezione costituzionale di Togliatti e quindi poco inclini alle chiacchiere sulla democrazia decidente. Con Tortorella e Reichlin non c’è stata esitazione a prendere la giusta posizione in un conflitto che comunque muterà l’ossatura della repubblica. Ora anche Macaluso recupera un filo rosso della cultura costituzionale del Pci (ma anche dei partiti storici oggi riesumati da De Mita e da Formica) e nega il sostegno a un plebiscito manipolatorio e quindi profondamente illiberale.
Gli scritti incalzanti di Reichlin e i dubbi onesti di Macaluso su un plebiscito che sfigurerà la repubblica non possono non turbare la coscienza politica di Napolitano. Le categorie politiche e le preferenze nei modelli istituzionali risalgono a un medesimo ceppo, da cui non possono che scaturire anche gli stessi angoscianti interrogativi sul senso stesso di un referendum personalizzato come avventura irresponsabile entro una democrazia occidentale.
In un quadro di torsione plebiscitaria della consultazione le carezze di Renzi e Boschi sono urticanti per il capo dello Stato emerito perché cercano di tramutarlo maldestramente nel Coty italiano, con la differenza che mentre il presidente francese concedeva la carrozza del commissario al generale di Lilla a lui tocca consegnarla al caporale di Rignano.
Perciò Napolitano lamenta a ragione gli eccessi della personalizzazione dello scontro referendario. Ma proprio la personalizzazione della contesa è l’essenza della fuga plebiscitaria di un capo di governo che maledice le procedure e insegue l’unzione mistica del popolo. Alle prove di democrazia plebiscitaria un cittadino libero risponde necessariamente con il no, a prescindere dagli stessi contenuti tecnici della riforma. Che la scheda bianca di Macaluso prefiguri un’altra e clamorosa censura dell’avventurismo del mediocre potere toscano?
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Repubblica 24.10.16
Perché No
Gianni Ferrara
“Con l’Italicum chi vince impone il candidato”
La nuova legge elettorale ha effetti devastanti sulla messa in stato di accusa del Colle. Via il premio di maggioranza
Gianni Ferrara è professore emerito di Diritto costituzionale alla università La Sapienza di Roma


ROMA. I nuovi quorum per l’elezione del capo dello Stato puntano ad evitare uno stallo nelle votazioni che, in passato, ha determinato situazioni anche drammatiche. Non è necessario professor Gianni Ferrara?
«Più che accelerare il risultato, il sistema di elezione ad un organo costituzionale, dovrebbe favorire la scelta di chi ne può svolgere idoneamente le funzioni. In questo caso quelle di capo dello Stato e di rappresentante dell’unità nazionale. La prima si estrinseca nella cura dell’andamento corretto dell’apparato statale. La seconda impegna a concretizzare il valore più alto dell’ordinamento per assicurare il principio inderogabile dell’eguaglianza. Comporta perciò che il voto di investitura sia il più ampio possibile, non declini di fatto a quorum di votanti che inficino lo stesso principio incorporato nella maggioranza dei tre quinti».
Il No sostiene che dal settimo scrutinio una maggioranza risicata, magari eletta con l’-I-talicum, potrebbe eleggere da sola il presidente. Ma ciò presuppone che le opposizioni abbandonino l’aula, cosa mai accaduta.
«Un sistema discendente di quorum induce una qualsivoglia maggioranza di governo ad attendere che si giunga al minore di tali quorum per poter così esercitare il suo dominio. Con la legge Renzi-Boschi le basterebbe acquisire i voti necessari nel Senato, espressione di un ceto politico che appare piuttosto disinvolto, al punto da suscitare dubbi che possa passare alla storia per il rigore delle sue “virtù repubblicane”. Si consideri anche che, oltre che i voti, si possono acquisire le astensioni. I tre quinti si calcolano infatti sui votanti, non sui presenti in Aula».
Se dovesse cambiare l’Italicum verrebbe meno anche la vostra opposizione?
«Lei allude agli effetti devastanti dell’Italicum sulla posizione del presidente, restando immutato il potere della maggioranza assoluta del Parlamento di porlo in stato di accusa. Abrogare quella legge elettorale non credo che basti, è necessario sradicare il “premio di maggioranza” dall’ordinamento».
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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IL BAMBOCCIONE DI RIGNANO STA IMPEGNANDO UN'INTERO PAESE NEL BRACCIO DI FERRO CON BRUXELLES, SOLO PERCHE' VUOLE AVERE A DISPOSIZIONE I FONDI DA SPENDERE E SPANDERE PER COMPRARSI IL SI



La Stampa 24.10.16
Renzi sfida l’Ue: la manovra non cambierà
Attesa per oggi la lettera di richiamo “Entrate incerte e troppe una tantum
L’irritazione di Bruxelles: “L’Europa rischia la fine non rispettando le regole”
La Commissione: con voi già usato ogni margine di flessibilità
di Marco Zatterin


«L’Europa rischia la fine se le regole che gli Stati si sono date non sono rispettate e perdono di credibilità». La voce che rompe il silenzio a cui Bruxelles s’è votata sulle questioni italiane è imbevuta di asprezza. Suona irritata per il campionato di braccio di ferro a cui il governo Renzi sta costringendo le istituzioni europee sui numeri della manovra. I pochi che parlano si sentono traditi e confessano che «Roma non ci sta aiutando ad aiutarla». Così, ora, potrebbe succedere di tutto.
«Con voi abbiamo usato ogni margine di flessibilità», assicura un pezzo grosso di casa Ue, un po’ seccato, un po’ deluso. Il premier, protesta, «va in giro a dire che per colpa nostra non costruirà le scuole di Amatrice». La realtà, giura, è un’altra. È che «sulle spese d’emergenza non ci saranno problemi», perché «il nodo è una manovra che, così come l’hanno presentata, solleva una serie di interrogativi, quasi tutti strutturali».
C’è chi si chiede prima se questo duello sia davvero necessario e poi domanda lumi su come vanno i sondaggi pre-referendari. E chi prova a sdrammatizzare riciclando una vecchia barzelletta sulla Russia sovietica per dare l’idea dell’umore con cui viene letto il caso italiano. Racconta di un maestro elementare che domanda agli alunni «quanto fa 44 più 44?». Uno alza la mano e risponde «133». Il vecchio insegnate sbuffa. Replica che «no, 44 più 44 fa 88» e che «potrebbe fare 87 oppure 89, ma comunque mai 133». Il senso della battuta della fonte europea è che il deficit strutturale nazionale (quello al netto del ciclo e delle una tantum) dovrebbe «migliorare dello 0,6», che potrebbe anche «fare 0,1, ma non crescere dello 0,4 o dell’1,6».
La storia è rivelatrice dei dubbi tecnici europei. L’esame della manovra inviata a Bruxelles fissa al 2,3% l’obiettivo per il deficit 2017, un decimo in più rispetto al 2,2 su cui ci si era accordati. «Poca roba dal punto di vista contabile», assicurano le fonti, anche perché è sostanzialmente scontato che - cent più, cent meno - la parte di fabbisogno legata alle maggiori uscite per il terremoto e i migranti salvati nell’indifferenza generale verrà sdoganata senza malanimi. L’incognita vera è la solidità strutturale del decreto fiscale. Le coperture. Troppe “una tantum”, troppe entrate-scommessa, troppo aleatori i numeri su privatizzazioni, lotta all’evasione, voluntary disclosure, tagli di spesa, tutte cose che potrebbero non succedere come previsto e, quindi, «corrono il rischio d’imporre correzioni».
Da mesi la Commissione Ue, che arbitra il coordinamento della politica economica continentale e vigila sul rispetto degli impegni assunti dalle capitali, ha deciso di dare una mano all’Italia. In effetti, dal vertice di Ypres del 2014 a oggi, Roma ha avuto più margini di maggiore flessibilità di tutti (19 miliardi). Nonostante ciò, ha continuato a chiedere eccezioni e urlare contro l’austerity, rimettendo sempre in gioco le assicurazioni date. Il pareggio di bilancio, per dirne una, è slittato di tre anni, con decisioni che hanno sempre messo Bruxelles davanti al fatto compiuto. Sono cose che non piacciono al Team Juncker, come all’Eurogruppo, che nutrono la sensazione d’aver di fronte un interlocutore che sfrutta la benevolenza per non realizzare quello di cui avrebbe bisogno.
La questione è anche politica. «Talvolta penso che l’Italia non si renda conto di avere ventisette partner», punge una fonte diplomatica di un grande paese. Il senso della frase lo illustrano in Rue de la Loi. «Chi glielo dice agli spagnoli, che hanno fatto riforme con la Troika in casa, che all’Italia si concede il credito che a loro non abbiamo dato?». Si può arguire che la Francia è pure renitente agli impegni; la risposta è che Parigi è in procedura e Roma no. Questo non toglie che la Commissione vorrebbe sostenere l’Italia e tuttavia c’è un limite oltre il quale non può spingersi: la suscettibilità degli altri paesi.
«Vogliamo continuare a dialogare», è la formula che meglio unisce ufficialità e verità del pensiero comune a Bruxelles, dove la parole di Padoan a «Repubblica» sono state davvero mal digerite. Il Team Juncker è consapevole del rischio referendario, preferisce Renzi a ogni alternativa provvisoria che si potrebbe profilare se il governo cadesse. Teme però la debolezza italica. «Ho paura del momento in cui i tassi cominceranno a salire - concede un pezzo grosso dell’Unione -, vi trovereste in grossissimi guai». Pensa agli oneri aggravati per servire il debito, ai conti che potrebbero sballare, all’instabilità che ne deriverebbe, al possibile effetto domino che potrebbe scattare una volta che si terminerà l’acquisto di bond da parte della Bce. Renzi e Padoan tutto questo lo sanno benissimo. I contatti fra Roma e Bruxelles sono continui e quando, stasera, arriveranno in via XX Settembre le domande della Commissione ci sarà poco da essere sorpresi. Ai piani alti di Palazzo Berlaymont, dove si preferirebbe non mettere piede nella contesa elettorale, ci si chiede però come reagire davanti al «dubbio» che il premier cerchi lo scontro con l’Europa perché crede che possa garantirgli consensi referendari. Avrebbero voluto negoziare col Tesoro una via morbida per rinviare ogni giudizio a dopo il 4 dicembre. Le circostanze complicano il quadro e impongono creatività diplomatica. Al posto di un percorso negoziale coordinato si è finiti in un duello che rende le soluzioni più ponderose e gli scenari di crisi, anche i peggiori, meno improbabili.
UncleTom
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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il manifesto 27.10.16
Cgil dice No con Smuraglia, Montanari e De Siervo
Referendum. Tutto esaurito all'Obihall con 1.500 persone per l'iniziativa del sindacato "Perché No al referendum". Con il presidente dell'Anpi, e l'emerito della Consulta, anche il portavoce di Giustizia e Libertà. E con Susanna Camusso pronta a ricordare la velocità del via libera al jobs act: “La legge contro il lavoro l'hanno fatta in venti giorni, altro che lentezza dei procedimenti legislativi”.
di Riccardo Chiari


FIRENZE La Cgil muove e fa il tutto esaurito al teatro tenda oggi Obihall, con 1.500 persone che non risparmiano gli applausi per Carlo Smuraglia, Tomaso Montanari e Ugo De Siervo, sul palco insieme a Susanna Camusso per l’iniziativa “Perché No al referendum”. “Noi chiediamo agli iscritti della Cgil di votare No – spiega la segretaria generale – ma non lo imponiamo, e lo abbiamo deciso democraticamente con i nostri organismi. Così come democraticamente non impediamo ad alcuni nostri iscritti di votare Sì. C’è bisogno di un grande esercizio di democrazia. Mentre nella seconda parte della Costituzione, così come è stata riscritta, si abbassa il livello di partecipazione”.
La manifestazione del sindacato si incastona in una fitta serie di iniziative, organizzate in queste settimane dal comitato fiorentino per il No insieme ad Altra Europa, Giuristi Democratici, Libertà e Giustizia, LibereTutte, e da Sinistra italiana e Rifondazione comunista. Nei giorni scorsi sono arrivati nel capoluogo toscano Gustavo Zagrebelsky e Carlo Freccero, Marco Revelli e Sandro Medici, Maurizio Landini e Renzo Ulivieri, Eleonora Forenza e Alessia Petraglia. Questa volta gli applausi, convinti, hanno salutato partigiani della Costituzione come il costituzionalista Ugo De Siervo.
Il presidente emerito della Consulta, padre di due esponenti renziani di antica data, ha spazzato via più di una diceria sul presunto dinamismo che sarebbe prodotto dalla riforma: “Il bicameralismo non c’entra nulla con la lentezza dei procedimenti legislativi – ha osservato De Siervo – ci sono leggi che sono passate in tre giorni, in sei giorni, in venti giorni. Erano leggi per cui il sistema politico spingeva davvero. La lentezza dei procedimenti legislativi non dipende dal bicameralismo perfetto, dipende dal fatto che i partiti e le alleanze fra i partiti siano convinti o no dei contributi della proposta. Bastarono tre giorni per una legge sul finanziamento ai partiti, e sei per impedire un referendum popolare”. “La legge contro il lavoro l’hanno fatta in venti giorni”, ha chiosato Camusso.
Tomaso Montanari ha prima ricordato Marc Bloch e la sua visione della storia come “un antidoto alle tossine della propaganda e della menzogna”. Poi ha attaccato: “Ad amici e colleghi come Michele Serra, Massimo Cacciari, Sergio Staino, che mi dicono ‘la riforma è una schifezza, ma la voto perché non c’è alternativa’, io ricordo Calamandrei: lui diceva che la Costituzione conteneva una rivoluzione promessa, quello che Cacciari, Serra, Staino ci dicono è che la Costituzione così scritta dovrà contenere una rassegnazione promessa, quella secondo cui non c’è alternativa”.
Tutti in piedi per Carlo Smuraglia, che si è anche tolto qualche sassolino dalla scarpa. Il primo: “Noi non abbiamo mai definito la Costituzione italiana la più bella del mondo; lo ha detto invece un attore che oggi vota per il sì”. Il secondo: “L’Anpi ha questa sorte: quando è sugli spalti, viene considerata; altre volte invece ci sono delle giovanotte che la paragonano a Casa Pound. Un’altra dice ‘io sono iscritta all’Anpi e voto Si, che fanno, mi cacciano?’. Se dice così vuol dire che non conosce il regolamento dell’Anpi”. Poi, a chiusura: “Noi siamo per l’attuazione della Costituzione nello spirito che animò l’Assemblea Costituente del 1946. Allora fu realizzato un miracolo. Oggi invece, se si toglie un pezzo di sovranità popolare, il cittadino diventa un suddito. E la trasformazione del cittadino in suddito diventa un fatto possibile, e probabile, se gli italiani non si svegliano”.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Il "no" è nettamente in vantaggio: Renzi verso il flop al referendum
Index Research e Eumetra Monterosa certificano il flop di Renzi. I "S"ì perdono più di 6 punti percentuali in meno di due mesi


Sergio Rame - Ven, 28/10/2016 - 17:01
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Ixè, Index Research e Eumetra Monterosa sono tutti d'accordo. I numeri non mentono.


Per tutti i sondaggi il "No" non solo mantiene il vantaggio sul "Sì" ma allunga addirittura la distanza. "Nonostante la spaventosa invasione mediatica di Matteo Renzi i 'Sì' continuano a calare - commenta, soddisfatto, il presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta - gli effetti speciali delle ultime settimane non hanno prodotto alcun risultato, anzi, hanno prodotto l'effetto contrario".

Renzi inizia a vedere nero. Sul referendum del 4 dicembre si addensano ombre di tempesta. Per il nuovo sondaggio condotto dall'Istituto Ixè i "No", dopo aver sorpassato i "Sì" nella rilevazione della scorsa settimana (50,7% i "No", 49,3% "Sì"), hanno incrementano sensibilmente il loro vantaggio che passa da 1,4 a 4 punti percentuali (52% i "No", 48% i "Sì"). Una notizia questa che non fa altro che confermare il trend sottolineato da tutte le case di sondaggi: i "No" sono in netto vantaggio sui "Sì". Perché, come fa notare anche Brunetta, "se anche una casa di sondaggi come l'Istituto Ixè, che da sempre dava i 'Sì' in sensibile vantaggio, è costretta a evidenziare il sorpasso e la continua avanzata dei 'No' per Renzi non c'è speranza, non c'è endorsement interessato che tenga".

Ixè non è l'unica a registrare la sconfitta di Renzi. Per Index Research, invece, i "No" rimangono in vantaggio sui "Sì" con una forbice che oscilla dal 2,6 al 3,4%. Per Eumetra Monterosa, addirittura, nell'ultimo mese il "No" mantiene il suo vantaggio sui "Sì" con una media del 8-9%. L'andamento delle rilevazioni sull'intenzione di voto al referendum sulle riforme costituzionale del prossimo 4 dicembre degli ultimi mesi è chiaro: i "Sì" perdono più di 6 punti percentuali in meno di due mesi, i "No" al contrario ne guadagnano altrettanti. "Quindi - fa notare Brunetta - nonostante la spaventosa invasione mediatica di Renzi i 'Sì' continuano a calare, gli effetti speciali delle ultime settimane non hanno prodotto alcun risultato, anzi, hanno prodotto l'effetto contrario".
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Il vecchio Trap aveva riportato in auge un vecchio detto di queste parti.

"NON DIRE GATTO SE NON CE L'HAI NEL SACCO"


E' di rigore osservarlo anche in questo caso.

Ma qualche piccola soddisfazione ce la possiamo togliere.

Pinocchio Mussoloni ha spinto al massimo negli ultimi 20 gg. Dalla sua parte anche l'invito e la sceneggiata di Obama.

Mancano 37 gg al voto e non vedo cosa si possa inventare per ribaltare la situazione.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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2. TWEET!
DAGOSELECTION


Anna Ascani ‏@AnnaAscani 9 h9 ore fa
Ma quindi adesso #DeMita è l'idolo della sinistra-sinistra e dei grillini? Ora ho capito cosa intendeva Dante per contrappasso.
renzi de mita
RENZI DE MITA
#siOno

Franco Maria Fontana ‏@francofontana43 9 h9 ore fa
#SioNo
Quando un politico vero incontra un venditore di pentole, il venditore di pentole è un uomo morto
(Paraf.da Per un pugno di dollari)

Veronica Gentili ‏@gentilivero 9 h9 ore fa
Si vede che l'asfalto nella Prima Repubblica lo facevano meglio: perchè #DeMita stasera l'ha asfaltato davvero #siono

LaDurezza del vivere ‏@stat_wald 10 h10 ore fa
Un vecchio democristiano lotta come un leone ma poi soccombe contro De Mita. #siono

Franco Maria Fontana ‏@francofontana43 10 h10 ore fa
#SioNo De Mita: "credo che Renzi sia irrecuperabile: ha una consapevolezza di sé che non mette limiti alla sua arroganza"
È il colpo del KO

Alessandro Robecchi ‏@AlRobecchi 10 h10 ore fa
matteo renzi vs ciriaco de mita si o no
MATTEO RENZI VS CIRIACO DE MITA SI O NO
Beh, il faccia a faccia Sbirulino-Sofocle è stato interessante. Sbirulino ce l'ha messa tutta, e Sofocle ha provato pietà per lui
#SioNo

Andrea Marcucci ‏@AndreaMarcucci 10 h10 ore fa
Debito pubblico che la generazione di De Mita ci ha lasciato, lo paghiamo noi ed i nostri figli #Renzi #Siono

claudiovelardi ‏@claudiovelardi 10 h10 ore fa
#siono In un confronto senza storia, @matteorenzi ha tatticamente sbagliato a citare le giravolte di De Mita. Non ce n'era bisogno.

danielecina ‏@danielecina 11 h11 ore fa Rome, Lazio
Ed esattamente come le altre volte, le ragioni del NO si riducono all'antirenzismo. #siono

marco esposito ‏@betman 11 h11 ore fa
Mentana a De Mita: "Perché lui è riuscito dove voi avete fallito per 30 anni?". E finisce tutto qui. Possono chiudere le telecamere #siono

claudiovelardi ‏@claudiovelardi 11 h11 ore fa
#siono Abbiamo fatto la riforma agraria. Nel 1950. Evviva.

Matteo Renzi e Ciriaco De Mita
MATTEO RENZI E CIRIACO DE MITA
nonleggerlo ‏@nonleggerlo 12 h12 ore fa
"La riforma è scritta male, con periodi lunghississimi. Napoleone diceva: le leggi devono essere brevi e oscure"

(De Mita a #SioNo)

Azioni utente
Segui

figuredisfondo
‏@figuredisfondo
#comunicazionediservizio i tempi sono davvero magri se #DeMita diventa un eroe.

andrea montanari ‏@IlMontanari 10 h10 ore fa
Che lezione di stile e di politica. #DeMita chapeau #siono

Christian Rocca ‏@christianrocca 10 h10 ore fa Milan, Lombardy
E comunque aveva ragione Craxi.
#DeMita

Giampaolo Galli ‏@GiampaoloGalli 11 h11 ore fa
Ci mancava solo #DeMita che difende le Province. Anche quelle difende, proprio tutto.
#siono


enrico mentana
ENRICO MENTANA
Alessandra Moretti ‏@ale_moretti 11 h11 ore fa
Commissione #DeMita Iotti lavorava a superamento bicameralismo paritario. Perché ora non va bene? @matteorenzi #siono @bastaunsi

Giampaolo Galli ‏@GiampaoloGalli 12 h12 ore fa
Ecco che #DeMita difende la 1a Repubblica. Hanno rinviato tutto, sempre, per questo oggi abbiamo un enorme debito pubblico

#siono
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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PERCHE' MENTANA SEMPRE SOLLECITO TUTTE LE SETTIMANE A DARE I DATI DEI SONDAGGI SUL REFERENDUM, OGGI HA FATTO FINTA DI NIENTE E SI E' DILUNGATO OLTRE MISURA SUL TERREMOTO?????


FA VENIRE IL SOSPETTO CHE I DATI DI VENERDI, SIANO VERITIERI.


IL NO E' AVANTI DI SEI PUNTI SUL SI.


E IL BRAVO MENTINO MENTANA CHE CONDUCE UNA TRASMISSIONE DEDICATA AL VENERDI' NON VUOLE ALIENARSI GLI SPETTATORI RIVELANDO IN ANTICIPO CHE LA PARTITA SI STA CHIUDENDO QUI.

MENTANA PERDEREBBE SPETTATORI PER LE PROSSIME 4 PUNTATE.

FURBETTO IL CHICCO NAZIONALE, MA AVALLA LECITI SOSPETTI.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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LA STAMPA DI REGIME


La Stampa 31.10.16
Guerra di sondaggi tra Sì e No
I renziani: la distanza si accorcia
Leopolda dedicata a celebrare i “sì”: dalla fine di Equitalia alle unioni civili
di Carlo Bertini


La guerra dei sondaggi sul referendum è già partita e si preannuncia aspra. In ogni campagna chi insegue deve dare la sensazione di potercela fare per motivare i suoi elettori e conquistarne di altri.
Il fronte del no dunque guida la volata finale, ma non c’è l’allungo che nel ciclismo consente di dire ben prima del traguardo chi vincerà la tappa, anzi la distanza si accorcia: almeno questa è la vulgata del gruppo degli inseguitori, la squadra del Sì capitanata da Renzi. Dove si ricorda sempre la leggenda del «sorpasso» del Pd ad opera di Grillo, che sarebbe dovuto andare in scena alle europee. E dove tutti sono convinti che il film della gara in corso è un’altro. Perché i sondaggi in mano al premier-segretario sono diversi da quelli secondo cui il No è avanti di quattro, sei o addirittura otto punti. Le rilevazioni riservate commissionate a vari istituti, tra cui Swg, narrano una storia diversa: il distacco tra No e Sì c’è, ma è dimezzato, solo un paio di punti. Il fronte pro-riforma starebbe infatti tallonando quello dei contrari a meno 2 per cento di distanza.
«Ma il trend è decisamente positivo per noi nell’ultimo mese e le distanze sempre più brevi», dicono i timonieri della nave del Sì. Tradotto, sarebbe in corso quell’inversione di tendenza, quel rimbalzo che dir si voglia, che fino ad ora la maggioranza dei sondaggi non ha registrato. Insomma il Sì cresce e il No è fermo. Sarebbe una sorpresa la forbice che si restringe, nella tendenza che non fa registrare grossi scostamenti da settimane: dove il No è sempre avanti. Negli ultimissimi giorni pare però si siano congelati di nuovo i due fronti, senza crescere o scendere nessuno dei due, dato che preoccupa di nuovo la war room del leader.
E se la maggioranza degli elettori crede che il referendum sia una consultazione a favore o contro Renzi e il governo, stando al sondaggio Demos riportato da Repubblica, la convinzione del premier è assai diversa. Tanto che nel prossimo week end farà celebrare tutti i Sì collezionati dal governo della generazione «leopoldina»: dalla legge sull’omicidio stradale fino alla «rottamazione» di Equitalia, passando per la legge sulle unioni civili. La volata finale sarebbe dunque ancora apertissima e per questo il premier continua a spendersi a perdifiato, con una sola pausa ieri per via del terremoto. E un contatto ravvicinato tra le due guarnigioni del Sì e del No ci sarà proprio alla Leopolda, teatro anche quest’anno di contestazioni, già organizzate da settimane dal fronte anti-governativo.
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