IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Messaggio da camillobenso »

LA VOX POPULI



Potrà sembrare strano, ma anche al Fatto Quotidiano ci sono dei moderatori renzichenecchi che fanno sparire gli interventi sgraditi.

E' da più di un anno che avanzo doglianze presso il Direttore Peter Gomez ma senza risultati.

Addirittura questa volta hanno fatto sparire anche il commento pro Renzi a cui ho chiesto spiegazioni.

Di oggi rimane traccia solo di questo, tra l'altro non ancora dopo 2 ore.

Ieri, dopo tanto tempo gli interventi venivano approvati dopo non più di un minuto da quando postati.




Nuovo • 7 ore fa

MI consideravo progressista. ma dopo aver letto le sua baggianate devo cambiare ideologia.
O è lei che non sa cosa significa progressista
?

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camillobenso Nuovo • 2 ore fa Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.

Spiegalo tu!!!!!!

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camillobenso
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Messaggio da camillobenso »

Corriere 2.1.16
Referendum, la posta in gioco
di Francesco Verderami

Sarà referendum o plebiscito? Sarà un voto sul futuro delle istituzioni o sul futuro del presidente del Consiglio? Non c’è dubbio che il destino di Renzi sia legato alle riforme, ma il fatto che il leader del Pd abbia deciso di rimarcarlo, fino a far proprio l’evento, può rivelarsi pericoloso.
Ancora qualche tempo fa il risultato referendario appariva scontato, ma ci sarà un motivo se il premier, che l’estate scorsa in Consiglio dei ministri scommetteva sull’«ottanta percento di sì» nelle urne, ora dice che «arriveremo almeno al 55-60 percento». Il fatto è che sul giudizio degli elettori — al di là del merito delle riforme — incidono i fattori esterni, il contesto politico ed economico. Ce n’è la prova nei sondaggi sull’Italicum, che negli indici di gradimento ha avuto una curva calante pari a quella di Renzi. È vero che accentrando su di sé la consultazione, il segretario del Pd cerca di creare un ponte per superare gli appuntamenti parlamentari ed elettorali del 2016: dalla legge sulle unioni civili — una palla di neve che al Senato potrebbe trasformarsi in una valanga — fino alle Amministrative, dove i dirigenti del suo partito sperano «al massimo in un pareggio».
Ma l’idea dell’uno contro tutti sul referendum costituzionale è un azzardo, anzitutto perché il capo del governo rischia di alienarsi quella fascia di astensionisti e di elettori di centrodestra a cui in fondo piace il rinnovamento della Costituzione. E certo non potrebbe bastargli far affidamento sull’appeal personale e sui soli voti democratici: nell’analisi di fine anno fatta da Pagnoncelli sul Corriere si è notato come tra il gennaio e il dicembre del 2015 la fiducia di Renzi sia scesa dal 47 al 34,3%, con una contemporanea e vistosa riduzione della forbice rispetto al Pd, passato dal 38 al 31,2%. Per di più, durante un vertice con lo stato maggiore dei democratici, Renzi ha messo in conto che la minoranza interna del partito «non ci aiuterà» nella consultazione, anche se alla Camera l’undici gennaio voterà compattamente a favore delle riforme.
Come non bastasse, l’operazione «one man band» del premier ha innescato il malcontento nell’alleanza che sostiene il governo, ed è chiara la distinzione che fa il capogruppo di Ap Lupi sulle due opzioni: «Se ci sarà da dare battaglia con il referendum, per sostenere nel Paese il processo di innovazione costituzionale al quale abbiamo collaborato in prima linea, noi ci saremo. Ma non siamo disposti a partecipare a un plebiscito». Se così stanno le cose, perché Renzi ha deciso di intestarsi per intero e da solo l’operazione? La sua idea è che «comunque le opposizioni faranno coincidere le riforme con me, e useranno il referendum come uno strumento per mandarmi a casa», ancor più dopo le Amministrative che si preannunciano per il Pd ad alto rischio.
La tesi ha un fondamento, visto che Berlusconi punta proprio sull’uno-due per tentare il riscatto. Ancora ieri l’ex premier ha sostenuto che «mi toccherà tornare in campo per evitare che i Cinquestelle conquistino Palazzo Chigi. La parabola di Renzi è discendente. Dai sondaggi, con qualsiasi scenario, continua a emergere che i grillini vinceranno. La Casaleggio Associati sta allevando i suoi polli da batteria. E allora devo fare di tutto perché Forza Italia recuperi consensi rispetto al mio indice di fiducia personale che tocca il 25%. E dopo le Amministrative ci batteremo al referendum, dove sono certo che vinceremo».
È da dimostrare che possa essere Berlusconi a intestarsi un’eventuale sconfitta del premier nella doppia sfida, mentre sono chiare le ragioni che — dopo un’iniziale ritrosia — hanno spinto il leader del Pd a «giocare d’anticipo», a osare cioè l’uno contro tutti, rispetto a quello che Verdini definisce il «passaggio dirimente» della legislatura e della carriera politica del suo giovane amico. Una prova che gli stessi renziani prevedono molto dura, tra «diserzioni e opposizioni» di alleati e avversari: «Quella sarà la loro occasione», ha ammesso pubblicamente il premier.
Così se il referendum si trasformasse in un plebiscito, per Renzi sarebbe un’equazione con molte incognite, a partire dell’affluenza al voto: per vincere infatti bisognerà portare gli elettori alle urne su un tema che non scalda il cuore della gente. Perciò il premier ha alzato la posta della scommessa, conscio che la variabile più importante sarà legata alla condizione economica del Paese. E l’appuntamento in autunno sulle riforme, guarda caso, è previsto in coincidenza con la presentazione della legge di Stabilità.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Messaggio da camillobenso »

Un titolo che non corrisponde ai numeri riportati.

E i numeri devono destare attenzione e preoccupazione per i NO.


La rivelazione Ipr Marketing

Il sondaggio che manda a casa Renzi. Prepari la valigia: ecco i numeri


Matteo Renzi farebbe bene a tenere pronto il trolley se vuole mantenere fede alla promessa fatta nell'ultima conferenza stampa di fine 2015, quando ha detto che se dovesse fallire il referendum sulla riforma del Senato, considererebbe conclusa la sua esperienza politica.

L'appuntamento di ottobre si avvicina con presupposti non proprio rosei per il presidente del Consiglio, stando al sondaggio Ipr Marketing pubblicato sul Giorno.

La rilevazione descrive tutta la delusione degli italiani per l'abolizione "a metà" del ramo del Parlamento, con il 65% degli intervistati che ne avrebbe voluto la totale abolizione e il passaggio a un sistema monocamerale "senza se e senza ma".

Una netta maggioranza, il 77%, ritiene necessario modernizzare il sistema istituzionale italiano per rendere più efficente il sistema decisionale dello Stato, ma il piano di Renzi convince pochissimo.

La delusione emerge anche sulla Camera, che il 55% avrebbe voluto vedere ridotta nel numero dei parlamentari.



Italicum - Non piace neanche la legge elettorale voluta fortemente dal premier. Il sistema dei nominati in Parlamento, già bocciato dalla Corte costituzionale, non è stato scalfito dall'introduzione dell'Italicum e a riconoscerlo è il 55% degli italiani che reclama la reintroduzione piena delle preferenze, oggi previste solo per un terzo dei parlamentari. Il 58% degli intervistati poi vorrebbe il ripristino del Mattarellum, con i collegi uninominali. Piace almeno l'idea del ballottaggio, sistema già sperimentato da anni con l'elezione dei sindaci: lo ritiene un punto positivo il 63% e per il 60% è una buona cosa anche l'accorpamento dei partiti per il secondo turno.

Chi vota - L'appuntamento del prossimo ottobre è un referendum confermativo che non richiede il raggiungimento del quorum del 50%+1. A parole gli intervistati si dicono sicuri per il 63% di votare "sì" una volta nell'urna.

Ma quelli convinti sin da ora di recarsi al seggio per mettere la propria crocetta sulla scheda sono solo il 40%.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Messaggio da camillobenso »

il manifesto 3.1.16
Palazzo Chigi
Il plebiscito che stravolge la Costituzione
di Francesco Pallante



L’intenzione di Renzi di chiedere il referendum sulla revisione costituzionale, allo scopo dichiarato di trasformarlo in un voto su se stesso e sulla sua azione di governo, disvela il plebiscitarismo insito nella cultura costituzionale del presidente del Consiglio.


Nell’impianto della Costituzione, il referendum regolato dall’articolo 138 è «oppositivo».


Era uno strumento nelle mani di chi non voleva la revisione, l’ultima risorsa di chi, sconfitto in parlamento, si rivolgeva direttamente al popolo scommettendo sull’esistenza di uno scollamento tra la maggioranza parlamentare e il sentimento costituzionale diffuso presso gli elettori.



Nel momento della scelta parlamentare più grave, quella sulle regole comuni, la Costituzione aveva voluto introdurre la possibilità di sottoporre a verifica l’effettiva rappresentatività del parlamento.




La trasformazione, nel 1993, della legge elettorale da proporzionale a maggioritaria ha creato le condizioni per lo stravolgimento dell’istituto.


Il sistema maggioritario, infatti, produce per definizione una maggioranza assoluta in capo a un partito o a una coalizione.



Ne consegue che tale maggioranza, indicata sempre dall’articolo 138 come limite minimo per la seconda deliberazione della revisione costituzionale, non è più una quota di garanzia, ma diventa una soglia nella piena disponibilità della parte politica che ha vinto le elezioni.



Ciò rende superflua la ricerca di intese con le minoranze parlamentari (ciò a cui, in effetti, stiamo assistendo), in contrasto con quanto era stato invece previsto dai costituenti, che avevano immaginato, per ogni revisione, il prodursi di un compromesso ampio, sul modello di quello con cui si erano conclusi i lavori dell’Assemblea costituente.



Di qui, l’avvio della stagione delle riforme «a colpi di maggioranza».



E a seguire come per controbilanciare la forzatura parlamentare compiuta da una maggioranza che in realtà è minoranza nella società l’affermarsi dell’idea che il referendum costituzionale possa essere richiesto, in funzione «confermativa», dagli stessi promotori della revisione, per ottenere a posteriori, dal corpo elettorale, il consenso non conseguito in parlamento.


In tal modo, però, il significato dell’istituto referendario si inverte: da strumento di sovrana decisione popolare (sia pure in negativo), a mezzo attraverso cui il popolo è sollecitato, assai più banalmente, a fornire la propria passiva adesione a quanto già deciso da altri.



È ciò che è avvenuto, per la prima volta, nel 2001, quando la maggioranza di centrosinistra approvò, per un pugno di voti, la pasticciata modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione (le disposizioni sulle Regioni), trovando poi nelle urne conferma della forzatura compiuta.





Com’era facile aspettarsi, il precedente venne fatto proprio, e in forma potenziata, da Berlusconi, che ne approfittò per ritenere unilateralmente modificabile l’intera Parte II della Costituzione.


Quella volta ne seguì un referendum realmente oppositivo, che riuscì a bloccare la trasformazione della forma di governo in un premierato assoluto (secondo la definizione che ne diede Leopoldo Elia).




Oggi Renzi prende il peggio delle due esperienze precedenti la revisione unilaterale e il premierato assoluto e, in più, carica il referendum, evocato in funzione «confermativa», di un ulteriore significato, improntato a un personalismo leaderistico che non ha precedenti nelle democrazie mature.



Siamo ormai oltre la stagione del referendum «confermativo».




Siamo al plebiscito costituzionale.



Siamo al capo che si pone in relazione immediata con il «suo» popolo e, al di là di tutti e tutto, persino al di là del proprio partito, va a costruirsi un’autonoma risorsa di legittimità direttamente alla fonte.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Dopo aver calato la carta del plebliscito, pro domo sua, l'intervento di La Qualunque, ha riaperto un ampio dibattito nei media tricolori.

Solo che le ragioni fondamentali raramente emergono. Anche Travaglio tra i più ruvidi analisti, prendendo in esame il perché di questa mossa, non riesce a darsi una risposta.

I media italiani non prendono mai in considerazione il perché lo sconosciuto di Rignano viene lanciato sulla scena politica italiana.

E' da lì che bisogna partire.

Chiedersi chi ha voluto La Qualunque a Palazzo Chigi. E perchè???




Renzi teme il referendum contro le sue riforme piduiste

Scritto il 04/1/16 • LIBRE nella Categoria: idee



Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.


«Inutile star qui a ricordare che alcuni di quelli che Renzi considera “successi” sono in realtà macelleria sociale, a partire dal Jobs Act e dall’abolizione dell’articolo 18, che hanno consegnato la vita e la dignità di ogni singolo lavoratore dipendente al capriccio delle singole imprese o addirittura dei singoli “capetti” e caporali», scrive Barontini su “Contropiano”.


«Inutile anche insistere sulla nauseante vicenda delle quattro banche “salvate” sacrificando i correntisti più ingenui, truffati allo sportello con l’offerta di obbligazioni-carta-straccia».


Renzi, in realtà, era stato scelto per la bisogna: «Lo abbiamo messo lì noi», rivendicò allegramente Sergio Marchionne quasi agli inizi.


Messo lì, Renzi, «per distruggere definitivamente il patto costituzionale del dopoguerra, già duramente sfibrato dal ventennio berlusconiano e dalla lenta scomparsa di una qualsiasi rappresentanza politica “di sinistra” (la cui azione, insomma, fosse coerente con le parole)».



E quindi, conclude Barontini, ha perfettamente senso che il premier non-eletto leghi al referendum d’autunno il suo destino politico, «anche se non giureremmo sulle sue effettive dimissioni in caso di sconfitta».



Ma attenzione: «Non c’è solo la nefasta grandezza del legare il proprio nome a una svolta reazionaria di portata storica, che manda in soffitta il “patto tra i produttori” (con tutti i compromessi del dopoguerra) e disegna una Terza Repubblica piduista e repubblichina (in combinazione con l’Italicum), in cui soltanto i ceti dominanti possono disporre di rappresentanza e accedere ai palazzi del potere (o quel che ne è rimasto, dopo i molti trasferimenti di sovranità all’Unione Europea)».


Secondo l’analista, c’è anche la certezza di una catastrofe del Pd alle elezioni amministrative di primavera.




Soprattutto in quelle città dove, per motivi diversi, il partito del premier è quasi scomparso dalla scena politica: Roma e Napoli.


«Due città opposte, con la prima che ha visto il Pd gestire l’amministrazione all’interno del sistema chiamato Mafia Capitale, e la seconda che lo aveva espulso già quattro anni fa, scegliendo De Magistris anziché uno dei tanti maneggioni del circo barnum “democratico”».





«Il rottamatore quindi lascia che siano i suoi uomini a gestire e perdere la partita di primavera, svalutandone il significato politico generale già cinque mesi prima delle elezioni.






E cerchia in rosso la data del referendum per stabilire se la reazione – con lui al balcone – avrà davvero vinto o no».





Per Barontini sarà una partita complicata, «perché la retorica del “nuovo” (le riforme, i giovani ministri sempre sorridenti, le facce ignote – più che nuove – che ammoniscono il popolo ogni giorno dallo schermo) ha in genere facile gioco contro tutto quel che – per le ragioni più diverse, dalle nobili alle ignobili – viene comunque racchiuso sotto l’etichetta del “vecchio”».





Se non si vuol essere solo spettatori passivi «bisognerebbe saper rovesciare questi termini», perché «non c’è nulla di più “vecchio” di una società in cui chi non possiede un’impresa non ha nemmeno diritto di parola.




Non c’è nulla di più “preistorico” di un rapporto di lavoro in cui il “prestatore d’opera” deve essere sempre flessibile e muto, “liquido” e sostituibile in ogni istante. È il mondo disegnato dal capitale multinazionale e dall’Unione Europea, cui Renzi presta temporaneamente la faccia e le battutine».
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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La guerra del referendum comincia dalla Camera
L’Aula approva le riforme, comitato spiega il No

Costituzionalisti si riuniscono per lanciare la campagna: ‘Non lasciamo che diventi un plebiscito personale’
Politica
Mentre nell’aula di Montecitorio, domani, la maggioranza dei deputati dovrebbe dare il via libera alla quarta lettura del ddl Boschi, qualche corridoio più in là una decina di autorevoli giuristi italiani proverà a spiegare perché al referendum che dovrà confermare quella riforma bisogna votare No. A motivare le ragioni, giuridiche e politiche, della scelta ci saranno tra gli altri Zagrebelsky, Rodotà, Gallo, Grandi, Carlassare, Pace, Azzariti, Villone, Besostri, Ferrara. Tutti convinti che la riforma che prevede l’abolizione del Senato elettivo, insieme all’Italicum, potrebbero “provocare una torsione autoritaria nella democrazia italiana” di P. Zanca

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Riforme, la battaglia del referendum comincia da Montecitorio: l’Aula approva il ddl Boschi, i giuristi spiegano il “no

Politica
Il comitato contrario alle modifiche alla Carta volute dal governo: "Non lasciamo che diventi un plebiscito personale del premier"
di Paola Zanca | 10 gennaio 2016


Mentre nell’aula di Montecitorio, lunedì prossimo, la maggioranza dei deputati dovrebbe dare il via libera alla quarta lettura del ddl Boschi, qualche corridoio più in là, nell’aula dei gruppi parlamentari, alle 15,30,, una decina di autorevoli giuristi italiani proverà a spiegare perché al referendum che dovrà confermare quella riforma bisogna votare No.

A motivare le ragioni, giuridiche e politiche, della scelta ci saranno Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Gaetano Azzariti, Massimo Villone, Felice Besostri, Gianni Ferrara. Tutti convinti che la riforma che prevede l’abolizione del Senato elettivo, insieme alle “incostituzionalità” introdotte dall’Italicum, potrebbero “provocare una torsione autoritaria nella democrazia italiana”.
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Già, perché la questione è duplice e per questo il Comitato sta lavorando su due fronti. Primo, il referendum: non si può, è il succo della questione, lasciare che Matteo Renzi lo usi come un plebiscito su se stesso.

Così, diversi deputati di Sinistra Italiana e dei Cinque Stelle si sono impegnati a presentare la richiesta di referendum un minuto dopo l’approvazione della legge.

Una mossa contro il referendum confermativo che il premier, nella conferenza stampa di fine anno, ha trasformato in una partita personale: “Se perdo me ne vado”, ha detto.

Con la raccolta delle firme di un quinto dei parlamentari, 126 deputati per la precisione, si potrà chiedere un referendum “oppositivo”, come preferiscono chiamarlo quelli del comitato per il No.

“Vogliamo evitare – spiega il professor Domenico Gallo – che sia il governo a chiederlo come bagno di consenso dell’opinione pubblica”. “Perché questa idea del governo che lancia la sfida – gli fa eco Sandra Bonsanti – è insopportabile”.

Ma c’è un altro fronte su cui dare battaglia, dicevamo: l’Italicum.

Prima di Natale sono stati presentati due quesiti abrogativi della legge elettorale.

La raccolta firme comincerà ad aprile e andrà avanti fino a giugno.

L’idea è quella di approfittare dei banchetti per “dar vita nei fatti a una coalizione sociale”, spiega ancora Gallo, che tenga insieme entrambe le sfide del 2016.

Gallo e gli altri promotori del Comitato per il No stanno facendo una serie di incontri per costruire sul territorio una rete che tenga insieme le realtà dell’associazionismo, del sindacato, della politica.

Per ora hanno incassato il sostegno di Sinistra Italiana e del Movimento Cinque Stelle (solo sul tema del referendum costituzionale però, non sull’Italicum). Cgil, Arci, Anpi, Libera stanno ancora discutendo che tipo di contributo dare.

Libertà e Giustizia spiega di voler “gettare le basi del dibattito”.

Ma sa che i costituzionalisti non bastano. “Serve una generazione nuova – auspica Sandra Bonsanti – Bisogna che i giovani si rendano conto che con questa riforma si ritroveranno con delle istituzioni più deboli, una sola Camera fatta di nominati, senza contrappesi.

Dobbiamo riuscire a spiegare, e non è facile, qual è il devastante risultato finale di queste riforme”.

Alcune sedi territoriali del Comitato sono già state aperte in Veneto e in Toscana, presto toccherà alla Sicilia.

L’auspicio è che si crei una struttura capillare che possa organizzare e sostenere la macchina referendaria, che di strada da fare ce n’è parecchia.
Twitter: @paola_zanca
Da Il Fatto Quotidiano del 4 gennaio 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... o/2361736/
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Riforme, la giurista Carlassare: “In gioco c’è la Costituzione, non il destino del premier. Dobbiamo mobilitare i cittadini”
(Silvia Truzzi)

10/01/2016 di triskel182



La professoressa alla vigilia dell’incontro dei comitati contro il ddl Boschi: “L’approvazione della Camera sembra sicura. Evidentemente non c’è spazio per una riflessione critica. Così chi vince si prende tutto”.

Lunedì sarà il battesimo: nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati si terrà il primo incontro dei Comitati del No alla riforma Boschi: “Proveremo a sensibilizzare i cittadini”, spiega Lorenza Carlassare, uno dei relatori dell’incontro. “Speravo – in un eccesso di ottimismo – che ci fosse un ripensamento in Parlamento su alcuni aspetti della riforma costituzionale. Ci preoccupiamo di chiedere il referendum in base all’idea che questa riforma venga approvata così com’è, con tutti i difetti che ha. Addirittura una modifica che saggiamente la Camera aveva eliminato (l’attribuzione al Senato del potere di eleggere da solo due dei cinque giudici costituzionali che ora vengono eletti dal Parlamento in seduta comune) è stata ripristinata dal Senato, e ormai l’approvazione della Camera sembra sicura. Evidentemente non c’è spazio per una riflessione critica. Non resta che mobilitare le persone in vista del futuro referendum, che il presidente del Consiglio va annunziando come un’iniziativa sua: lui sottoporrà la riforma al popolo perché la approvi; lui, in caso contrario, si dimetterà. Si arriva al punto di personalizzare persino il referendum costituzionale. Ma non è questo il senso del referendum costituzionale che non è previsto per ‘acclamare’, ma per opporsi a una riforma sgradita”.

L’equivoco non è nuovo: nel 2001 votammo per confermare la riforma del Titolo V della Costituzione. Governo di centrosinistra.
Si vede che è un’idea del Pd! Ma è sbagliata. E non si tratta di una sfumatura. Il referendum serve a rafforzare la rigidità della Costituzione impedendo alla maggioranza di cambiarla da sola. O la riforma è approvata da entrambe le Camere con la maggioranza dei due terzi – vale a dire con il concorso delle minoranze – oppure la legge, pubblicata per conoscenza, è sottoposta a referendum qualora entro tre mesi “ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o 500 mila elettori o cinque Consigli regionali”. Se nessuno chiede il referendum, trascorsi i tre mesi la legge costituzionale viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore; interessato a chiedere il referendum dovrebbe essere chi è contrario ai contenuti della riforma, per impedirne l’entrata in vigore. L’art. 138 non si presta a equivoci. Il referendum quindi è una possibilità, quando la riforma non ha coinvolto le minoranze, per consentire a chi non è d’accordo di provare a farla fallire; può essere anche una minoranza esigua non essendo previsto un quorum di partecipazione.

Che significato hanno le dichiarazioni con cui il premier ha legato il suo destino politico all’esito del referendum?
Insisto: il referendum costituzionale non è uno strumento nelle mani del Presidente del Consiglio a fini di prestigio personale. In molti hanno messo in luce l’intenzione di trasformare la consultazione in un plebiscito pro o contro Renzi: ma qui è in ballo la sorte della Costituzione, non la sua. Invece, pensando che – 5Stelle e Sinistra Italiana a parte – non troverà oppositori sul suo cammino e il referendum sarà un trionfo, intende servirsene per rafforzare il suo potere personale, da esercitare senza controlli e contrappesi, senza che nessuno lo contraddica.

Risponderete con un’informazione basata sui contenuti della riforma: come pensate di farli passare? C’è il precedente del 2006 in cui i cittadini bocciarono la riforma Berlusconi: ma era Berlusconi, appunto.
Questo è il vero problema. Mentre nel 2006 il progetto di modifica della forma di governo era chiara perché Berlusconi aveva parlato esplicitamente di premierato, ora apparentemente la forma di governo non viene modificata; ma nella sostanza – grazie al combinato disposto di Italicum e riforma Boschi – l’effetto è proprio quello di trasformare la forma di governo e persino la forma di Stato, vale a dire la democrazia costituzionale.

Il leitmotiv è stato “abolire il bicameralismo perfetto”.
Su questo erano d’accordo tutti. Bastava fare una riforma circoscritta, non c’era bisogno di sfigurare la Costituzione. Fra l’altro, una delle ragioni della riforma del bicameralismo perfetto era la semplificazione delle procedure: semplificazione che non c’è stata, semmai si è complicato e confuso il procedimento legislativo. Per alcune leggi il Senato interviene, per altre no. Per alcune il Senato vota, ma poi la Camera con maggioranze diverse deve tornare sul testo del Senato. Tutto irrazionale. Il vero dato è che la composizione del nuovo Senato – della quale abbiamo già detto molto nei mesi scorsi – lo rende agevolmente controllabile. Le riforme vanno tutte nella stessa direzione: pensi alla Rai!

Cioè “chi vince piglia tutto”?
La legge elettorale che entra in vigore nel 2016 è una via traversa per giungere di fatto all’elezione diretta del premier. Quando si arriva al ballottaggio (per il quale non c’è quorum, e dunque le due liste più votate partecipano a prescindere dal seguito elettorale che hanno avuto), l’elettorato deve necessariamente schierarsi a favore di uno dei contendenti e chi vince si prende tutto. È una forma d’investitura popolare per chi guida il governo; un discorso non nuovo che precede Renzi di molti anni: le elezioni come strumento non tanto per eleggere il Parlamento, ma per scegliere e investire un governo e il suo Capo. E senza che a una simile trasformazione si accompagnino i contrappesi indispensabili in una democrazia costituzionale.

Da ilfattoquotidiano.it
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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Riforme verso traguardo, nasce comitato del No
“Salviamo la Repubblica dal principato renziano”


Alla Camera via libera alla quarta lettura del ddl Boschi che riscrive la Carta e abolisce il Senato (video)
Costituzionalisti impegnati nella campagna referendaria. M5S: “Pd manipolo di Politica
La Camera ha approvato il ddl Boschi sulle riforme istituzionali con 367 voti a favore, 194 contrari e cinque astenuti. Il testo ora dovrà tornare al Senato. Proprio in una stanza di Palazzo Montecitorio alcuni dei più autorevoli giuristi e costituzionalisti (da Gustavo Zagrebelsky a Alessandro Pace) hanno spiegato perché va respinto il progetto di riforma costituzionale che il Parlamento sta per approvare, lanciando il comitato per il No
analfabeti” (video)

^^^^^^


Riforme, ddl Boschi verso il quarto ok alla Camera. Nasce il comitato del no: “Evitiamo la fine della Repubblica”


Politica

Alla Camera via libera alla quarta lettura della legge Boschi che riscrive la Costituzione e abolisce il Senato. Costituzionalisti e società civile impegnati nella campagna referendaria. M5S: “Pd manipolo di analfabeti”. Forza Italia: "Aiuteremo i referendari"
di F. Q. | 11 gennaio 2016



http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... 0/2364922/
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Messaggio da camillobenso »

“Io dico no: questa riforma segna il passaggio dalla democrazia al potere dell’oligarchia”
(LIANA MILELLA)
13/01/2016 di triskel182


“Con il ddl Boschi assistiamo alla blindatura del potere, alla sua concentrazione nelle mani dell’esecutivo ai danni di Parlamento e cittadini”.
Gustavo Zagrebelsky, uno dei promotori del Comitato per il no alle riforme costituzionali approvate dalla maggioranza in Parlamento


ROMA – È un riforma? «Lo sa come si chiama la corazza della tartaruga? Carapace. La mia risposta allora è: questa riforma è il carapace del potere». Comincia così l’intervista con il professor Gustavo Zagrebelsky.

Dicono che sarà divertente vedere alleati lei, Rodotà, Berlusconi, Brunetta e Salvini. Non è una compagnia imbarazzante?

«Ma davvero a qualcuno è venuto in mente di dire questo? E a chi?».

A Orfini e Boschi, e non solo…
«Ma fanno torto alla loro intelligenza».

E perché mai?

«Perché confondono la Costituzione con la politica d’ogni giorno. Si può essere lontanissimi politicamente e concordare costituzionalmente ».

Non mi dica che pure Berlusconi difende la Costituzione…

«Io non faccio processi alle intenzioni. Non la colpisce il fatto che a favore della riforma sia il governo e tutta la maggioranza e contro siano tutte le opposizioni, destra e sinistra, senza eccezione?».

E che ci trova di strano?
«Soffermiamoci sul punto. La Costituzione dovrebbe essere la regola della convivenza tra tutti. Di tutti con tutti. Una garanzia reciproca. Invece, nel nostro caso, la riforma della Costituzione è stata promossa dal governo, imposta dal governo e votata dalla maggioranza del governo. Questi dati di fatto non le fanno sospettare che questa cosiddetta riforma della Costituzione sia una “blindatura” di un giro di interessi che ha conquistato il potere e se lo vuole tenere stretto?».

Ammetterà che senza questa “blindatura” non si sarebbe mai riusciti a cambiare la Costituzione in modo condiviso.
«E con ciò?».

Renzi e i suoi ritengono che cambiarla serva all’Italia.


«In realtà dicono che l’Italia aspetta da 30 anni questa riforma. Sarebbe più giusto dire che a qualcuno, e tra questi ora i nostri “riformatori”, la vigente Costituzione non è mai piaciuta».

Invece lei perché la difende a ogni costo?

«Qui tocchiamo la vera posta in gioco. È in corso da 30 anni un’involuzione che ha rovesciato la piramide della democrazia. La base, cioè i cittadini, le loro associazioni, le strutture sociali, contano sempre di meno, e sempre di più contano i vertici, che siano i vertici dei partiti o delle istituzioni. Questa è un’involuzione che tecnicamente si può chiamare il passaggio dalla democrazia all’oligarchia».

l suo timore qual è? Il partito unico? Il leader unico? L’opposizione azzerata? Il suo pessimismo cosa nasconde?
«La mia è una pura constatazione. I partiti, a cominciare dal Pd, che dovevano essere canali di organizzazione e partecipazione politica, sono stati distrutti. In essi domina ormai il “caro segretario” che controlla il partito e attraverso di esso opera nelle istituzioni. I sindacati sono in grave difficoltà e chi governa, invece di preoccuparsi, se ne compiace. La maggioranza del Parlamento opera sotto la sferza del governo. La legge elettorale, Porcellum o Italicum che sia, mette nelle mani del segretario del partito la selezione dei candidati sulla base di un rapporto di fedeltà personale. E il governo è composto da ministri a disposizione del leader. Non le pare che tutto ciò comporti una concentrazione del potere al vertice e una privazione alla base?».

Renzi e Boschi le risponderebbero che queste sono le analisi dei professoroni che vogliono mantenere lo status quo.

«Lo status quo è per l’appunto quello che ho appena detto, ed è proprio ciò che noi vogliamo combattere. Onde, se vogliamo usare l’abusata categoria dei conservatori, siamo noi gli innovatori e sono i sedicenti innovatori costituzionali a essere paradossalmente i veri conservatori o, per essere espliciti, i blindatori ».

Davvero pensa che modificare l’attuale Senato risponda a questo progetto?
«Guardi che la riforma costituzionale non tocca solo il Senato, ma in generale redistribuisce i poteri in maniera tale che il baricentro si sposta radicalmente a favore dell’esecutivo. Il Parlamento risulterà sottomesso alle iniziative del governo. Gli organi di controllo, Corte costituzionale e perfino il presidente della Repubblica, ricadranno nell’orbita di Palazzo Chigi. Non di per sé, ma per l’effetto congiunto della riforma costituzionale e della legge elettorale. La verità è che i problemi istituzionali vanno visti nella complessità di tutti i loro elementi».

Per questo parla di riforma “esecutiva”?

«Viviamo in un tempo esecutivo. Ha notato come vengono denominati i vagoni di lusso nei treni ad alta velocità? Executive, non legislative, or judiciary… Segno dei tempi».
Articolo intero su La Repubblica del 13/01/2016

Esecutivi di cosa?
«Se guardiamo la letteratura internazionale
si direbbe degli interessi dei grandi gruppi
economico-finanziari e militari. Vuole qualche
citazione?”.

No, per carità... Ma con riguardo al nostro
Paese?

«A vederli da qui appare solo la mediocrità
della nostra classe dirigente. Che qualità di interessi
sono quelli che emergono, per esempio,
in questi giorni dalle indagini sul sistema
bancario?».

Dice Renzi «se perdo il referendum lascio
la politica». Che effetto le fa?

«Un po’ di megalomania».

E perché?

«Per due motivi. Primo: sembra una parodia
del generale De Gaulle del 1969. Anche lì
un referendum, guarda caso sul Senato, dal
cui esito il Generale fece dipendere la sua permanenza
in carica. Secondo: il proprio futuro
politico scommesso sulla riforma della Costituzione.
Renzi ha posto quella che tecnicamente
si chiama una questione di fiducia sulla
riforma. In questo modo ha dichiarato ufficialmente
che questa riforma non è costituzionale,
ma è governativa».
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Messaggio da camillobenso »

VERO O FALSO?


Siamo prossimi alle elezioni amministrative e la guerra per il potere si fa sentire.

Su Il Giornale entra in campo il senatore-giornalista Augusto Minzolini.

In guerra, informazione e disinformazione si mescolano.

All'inizio della settimana Dagospia pubblica un sondaggio, subito spacciato per vero da Libero, circa la graduatoria dei candidati sindaco per Milano impegnati nelle primarie PD.

Sala, viene dato ultimo dopo Majorino e Balzani. Ma a fine settimana un altro sondaggio ribalta la situazione. Sala vien dato al 49 %, dietro Majorino al 19% e infine Balzani al 15%.

In questo kaos a chi si deve credere?




Sondaggio scomodo per Renzi oscurato dalla Rai

Il no alla riforma costituzionale è in vantaggio. La tv di Stato lo sa, ma non lo dice
Augusto Minzolini - Dom, 24/01/2016 - 14:14
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Stranezze del Belpaese. In queste settimane c'è stato un fiorire di sondaggi, su tutto e su chiunque. Governo, partiti, banche, ma sullo scontro che sarà la madre di tutte le battaglie nell'immaginario renziano, cioè il referendum sulle riforme costituzionali, nessuno.

O meglio, ce ne sono, ma non sono venuti alla ribalta. Ulteriore segno della cappa mediatica che regna in Italia. Uno di questi sondaggi lo aveva una trasmissione della tv pubblica, ma è rimasto nella scaletta, dimenticato nell'almanacco delle cose che si potevano dire e che non sono state dette. Eppure quei dati sono curiosi e ancora (...)(...) di più il trend che rivelano, specie se messi a confronto con i toni trionfalistici del premier. Ebbene, dallo studio in questione emerge che nel novembre scorso il 40% degli italiani non sapeva nulla della riforma del Senato, mentre tra quelli che ne erano al corrente il 31% avrebbe votato sì, il 21% avrebbe votato no, mentre l'8% non era intenzionato in ogni caso ad andare a votare. A gennaio, in base ad un campione raccolto la scorsa settimana, la situazione è cambiata. Di molto. Addirittura si è capovolta. Il numero degli elettori completamente all'oscuro del tema è sceso al 30%, gli irremovibili del «non voto» sono rimasti quelli che erano e, con grande scorno del premier, i no si sono ritrovati ad avere 10 punti di vantaggio rispetto ai sì. Insomma, il trend è per ora completamente sfavorevole alle mire renziane. Certo manca ancora molto tempo, anche se il premier ha tentato di anticipare il referendum da ottobre a giugno per farlo coincidere con le amministrative. «Ci ha provato e ci riproverà - conferma il capogruppo di Sel al Senato, Loredana De Pretis, che ha buoni contatti in Cassazione -: dipende tutto da Mattarella». Ma, al di là della data di svolgimento della consultazione, sicuramente Renzi scommette molto sulle elargizioni di primavera per risalire nelle simpatie degli italiani (il suo gradimento ora è al 29%) e per vincere il duello referendario: per essere più chiari, confida molto nell'entrata in vigore della card da 500 euro per la cultura dei diciottenni e nell'abolizione della prima rata dell'Imu a giugno. Anche tenendo conto di questi atout, però, la scelta del premier di giocare l'intera posta sulla vittoria nel referendum appare, più che una mossa azzardata, quasi un peccato di arroganza. Simile a quello che commise Massimo D'Alema nella primavera del 2000, quando puntò tutto sulla vittoria nelle elezioni regionali, che si conclusero invece con una caporetto per il centrosinistra e con la sua cacciata da Palazzo Chigi: i due si odiano, ma in fondo si somigliano.

Già, Renzi rischia davvero di perdere i referendum, di rimediare una sonora batosta. Come gli capita spesso, infatti, dà per scontati elementi tutti da verificare. Ad esempio, la campagna che gli è più congeniale, quella basata sullo schema «il nuovo contro il vecchio» poteva convincere se il protagonista fosse stato il Renzi neo-inquilino di Palazzo Chigi, ma è trita e ritrita in bocca al Renzi di oggi, quello che per fare passare la riforma del Senato utilizza le poltrone delle commissioni parlamentari o mercanteggia sul rimpasto di governo. Neppure i democristiani di un tempo - va detto - avrebbero usato questi metodi, che pure gli erano congeniali, per cambiare la Costituzione. E anche lo slogan «manderemo a casa i senatori» rischia di non solleticare più molto le pance del populismo nostrano, colpa delle delusioni patite dall'opinione pubblica per riforme gridate ai quattro venti che hanno partorito solo topolini. I nove milioni di spettatori dell'ultimo film di Checco Zalone, ad esempio, hanno scoperto, grazie alle vicissitudini del protagonista, che le tanto vituperate Province non sono state abolite, ma hanno solo cambiato nome. Più o meno quello che succederà con il Senato.Pur potendo mettere in campo un efficace bombardamento mediatico, Renzi ha di fronte, quindi, problemi ben più grandi di quelli che pensa di avere: e, soprattutto, per la prima volta dovrà fare i conti con il suo logoramento nel rapporto con il Paese. Un logoramento che, invece, è ben chiaro nella mente dei tanti avversari che lo assediano. E qui emerge un altro «handicap» del premier. Certo il fronte del no è diviso in molti comitati elettorali, mette insieme il diavolo e l'acqua santa, anti-berlusconiani da sempre come Zagrebelsky& company e lo stesso Cavaliere, estrema sinistra e leghisti, cattolici conservatori e laici estremisti, ma l'obiettivo che unisce le varie anime dello schieramento è chiaro ed estremamente semplice: mandare a casa Renzi. Di fatto lo ha fornito lo stesso premier, impostando il referendum come un plebiscito sul suo nome. Il sì, invece, avrà un solo comitato nel quale, però, albergheranno mille giochi. Chi chiede a Pier Luigi Bersani, per fare un nome, se spera nella vittoria dei sì, può ricevere una risposta che può sorprendere solo qualche sprovveduto: «Ma chi l'ha detto che sono da quella parte della barricata?». Parole provocatorie che si ritrovano anche sulla bocca di personaggi come Gotor e di altri esponenti della minoranza del Pd. E, a ben guardare, pure i potenziali grandi alleati del premier, hanno atteggiamenti enigmatici. «Durante l'intervento di Renzi in Senato sulle riforme - racconta il senatore di Ncd, Luigi Compagna - Napolitano è stato tutto il tempo a bofonchiare per esprimere il proprio disappunto anche se il premier lo copriva di lodi. Ad un certo punto gli ho detto: Presidente, ma lo hai voluto tu!. E lui mi ha risposto: Caro Luigino vedo che non sei informato bene...». Il continuo movimentismo di Renzi aggiunge, infatti, alla guerriglia degli avversari interni anche la diffidenza di quelli che sulla carta dovrebbero essere degli alleati. La polemica contro la Ue, l'attacco alla politica dell'austerity, che il premier ha agitato per uscire dal cul de sac dello scandalo di Banca Etruria, sono stati interpretati da Napolitano - inventore del governo Monti, assertore del dogma «prima di tutto la Ue» - come un mezzo tradimento. Le «nuove tesi» del premier sull'Europa, infatti, finiscono fatalmente per metterlo sul banco degli imputati della Storia. Così, l'elenco degli avversari più o meno dichiarati di Renzi continua ad allungarsi. Per molti di loro la sconfitta del premier nel referendum può rivelarsi come lo strumento più efficace e più pulito per liberarsene senza sporcarsi le mani. Diranno: è stato il Paese a decidere. E nel Paese i numi tutelari di Renzi nelle aule di questo scassato Parlamento, cioè i vari Alfano e Verdini, contano davvero poco.Augusto Minzolini


http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 16274.html
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