Integrazione, razzismo e razzismo inverso
Inviato: 31/12/2015, 14:58
Il razzismo inverso della Norvegia, dove l’integrazione è solo apparente
30 AGO 2014 di REDAZIONE
I migranti possono tutto, ma l’integrazione non c’è. Così la paura dei norvegesi di essere tacciati di razzismo annulla il dibattito sui migranti. E la diversità diventa una gabbia
(Vg.no) «Non vogliamo essere parte della società norvegese, ma comunque non vediamo necessità di trasferirci all’estero, […] lasciateci Grønland. Separate il quartiere e lasciatecelo governare come vogliamo […] Non vogliamo vivere come animali impuri come voi» − Ubaydullah Hussain, leader del gruppo islamista di Oslo Profetens Ummah
Ogni Paese che si rispetti, fiero e nazionalista, ama autocelebrarsi in un dato giorno dell’anno. E vale particolarmente per qui paesi in cui qualcosa di simile a un complesso di inferiorità cova sotto le ceneri storiche, così che quel giorno finisce per assumere un valore ancora più preponderante. La Norvegia, storicamente dominata e mai dominatrice, ne è l’apri-fila.
Provincia danese prima e nazista poi, ha ottenuto l’indipendenza solamente nel 1905. Monarchia costituzionale, in meno di un secolo la sua situazione socioeconomica ha conosciuto una drastica ascesa. Prima, infatti, il numero di emigranti superava nettamente quello degli immigrati. D’altronde il clima non esattamente tropicale e una geografia “scomoda” non non rendeva certo la Norvegia un El dorado. Poi, all’improvviso, si sono accorti di essere seduti sul petrolio, risorsa che attualmente contribuisce al 25% del loro Pil e che li ha trasformati nei principali produttori ed esportatori europei (nonché terzi mondiali). Ma, cosa ancora più interessante, da Paese di emigranti è divenuto meta di immigrati. Oggi andiamo in Norvegia per cercare lavoro, mentre loro vengono per le ferie.
La Norvegia rappresenta il Paese con l’indice di sviluppo umano più alto del mondo (HDI). La pressione fiscale raggiunge il 42,3% del Pil procapite (in Italia è al 54%), ma tutto ciò che i cittadini pagano in tasse viene restituito loro sotto forma di servizi pubblici. Le università sono gratuite, ogni studente ha diritto ad una borsa di studio, le famiglie sono incoraggiate ad avere bambini… E noi stiamo ancora aspettando l’autobus sotto casa.
Disegnata così può sembrare la terra promessa per molti immigrati. E difatti, sotto molti aspetti, lo è. Tuttavia, come ogni Paese povero di una storia nazionale identitaria, i norvegesi sono schiavi delle proprie insicurezze e dei propri stereotipi. Soffrono di quello che può essere definito razzismo inverso: la loro paura di essere tacciati come razzisti appare tanto radicata che finisce per ritorcerglisi contro.
Partiamo da un esempio: qualche mese fa, Ubaydullah Hussain — leader della fazione islamica di Oslo — chiese e pretese di avere un intero quartiere di Oslo (Grønland). La richiesta è rimasta inascoltata, ma immaginate un episodio simile in Italia. Si potrebbe pensare che il semplice fatto che qualcuno abbia azzardato una proposta simile sia legato alla consapevolezza di vivere in un Paese laico e rispettoso della diversità. Il che è senza dubbio vero, eppure bollare le politiche migratorie norvegesi come volte a un’integrazione efficace è un errore.
La Norvegia permette, quasi obbliga gli immigrati a sentirsi in diritto di vivere secondo la loro cultura. Ma insistendo esclusivamente su questo punto, di fatto, una vera e propria integrazione non esiste. Non a caso, molti immigrati non si sentono norvegesi. Lo Stato aiuta gli immigrati ad inserirsi nel Paese, ma non ad integrarsi. Come? «Ad esempio, con lezioni in madrelingua (loro), orari riservati alle donne musulmane nelle piscine, servizi di consulenza in lingue straniere nell’ambito sanitario, sociale o penale», come ha affermato tempo fa Gabriele Catania in un articolo su Linkiesta.it.
Di fatto molti degli immigrati, soprattutto musulmani, tendono a mantenere le proprie tradizioni e la propria cultura. Nulla di sbagliato in questo, ovviamente. Ma vivere in un Paese che ti ingabbia nella tua diversità e che si mostra del tutto disinteressato a individuare eventuali punti di contatto, può spesso sfociare in un malsano sentimento di attaccamento identitario da ambo i lati.
«I sondaggi mostrano che una percentuale inquietante dei musulmani in Europa rifiuta i valori occidentali, disprezza i paesi in cui vive, sostiene l’uccisione degli omosessuali, e vuole sostituire la democrazia con la legge della shari’a» ha detto in un interivsta a il Foglio Bruce Bawer, scrittore americanto trasferitosi a Oslo. «C’e motivo per essere preoccupati per tutte queste cose, ma questa causa è stata seriamente danneggiata da Anders Behring Breivik». «In Norvegia, parlare negativamente di qualsiasi aspetto della fede musulmana è sempre stata una questione delicata, tacciabile di ‘islamofobia’ e di razzismo», e dopo la strage di Utøya «sarà sempre più difficile affrontare questi temi».
Le dichiarazioni del norvegese Breivik, simbolo di xenofobia, hanno messo a tacere anche quel «legittimo criticismo» con cui approcciare le questioni della convivenza e dell’integrazione. Se prima di quell’infausta data la paura di essere tacciati di razzismo impediva uno sguardo critico, la strage di Utøya ha paradossalmente ottenuto un effetto opposto a quello auspicato dal terrorismo di Breivik: la fine del dibattito sull’immigrazione, che si è leggermente riaperto solo in occasione delle ultime elezioni che hanno visto la vittoria del partito conservatore Høyre.
Eppure, ironia della sorte, la Norvegia ha un passato non esattamente tollerante nei confronti del diverso. A questo proposito, i due artisti Mohamed Ali Fadlabi e Lars Cuzner, per festeggiare al meglio il 200° anniversario della Costituzione, hanno ritenuto giusto riaprire l’armadio di casa. Ed hanno trovato il cosiddetto “zoo dei senegalesi”. Esatto, ma prima facciamo un passo indietro. 100 anni fa, per celebrare la medesima festa nazionale, 80 africani furono rinchiusi in gabbia per 5 mesi come animali, circondati da “artefatti indigeni”. Per intenderci, avete presente un padre che porta il figlio al bioparco a vedere i leoni? Ecco, ora sostituite i leoni con esseri umani. Nel corso di questo secolo, nulla è stato fatto per ricordare ai norvegesi l’oscenità di quell’episodio, caduto nell’oblio più totale. Così Fadlabi e Cuzner hanno deciso di radunare un gruppo di volontari e riproporlo tale e quale.
Mera provocazione? Chiaramente la data scelta dai due artisti non è casuale. Dissotterrare il ricordo di tale scempio, nel giorno dell’anniversario della Costituzione, è un atto chiaramente provocatorio. Ma che valenza ha? Per comprenderlo, bisogna sapere che il norvegese medio è molto sensibile al tema del razzismo. State litigando con uno di loro e avete torto marcio? Tacciatelo di razzismo, e vi sentirete chiedere scusa per una colpa che voi stessi avete commesso. Una trasformazione in positivo rispetto ai tempi dello zoo, si potrebbe pensare. Ma questa sensibilità, come abbiamo visto, non si tramuta quasi mai in impegno per l’integrazione dei migranti, quanto in uno sterile relativismo culturale che non cerca soluzioni o compromessi, ma si limita a “lasciar fare”.
Il norvegese medio, per farla breve, non si pone domande su come evitare eventuali conflitti tra culture o spiacevoli episodi, né di come cercare eventuali ponti e canali di comunicazione. Lasciando agli immigrati una libertà pressoché assoluta, di fatto, scampa da eventuali accuse di razzismo, ma al tempo stesso finisce col creare una integrazione solamente apparente, isolandoli e senza spingerli ad adattarsi alla cultura locale, il che non significa perdere le proprie specificità culturali.
Ma una simile istallazione artistica, proprio perché montata in quella fatidica data, è passata sotto traccia come un gesto finalizzato unicamente a provocare. Probabilmente chi l’ha vista si sarà mortificato per un passato riprovevole, avrà adottato un bambino a distanza e si sarà pulito la coscienza. Poi sarà arrivato il forestiero di turno a ripetere ancora una volta quanto la Norvegia sia invidiabile, sotto tutti i punti di vista. Sicuramente se fosse stata scelta una data diversa la risonanza mediatica ne avrebbe risentito. Ma cadeva proprio a pennello.
http://dailystorm.it/2014/08/30/il-razz ... apparente/
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Qui, Zione c'e' da sederci e rimanerci giorni per analizzare quanto sopra. Quindi, sacchi a pelo e pranzi portati da casa non saranno sufficiente.
un salutone
30 AGO 2014 di REDAZIONE
I migranti possono tutto, ma l’integrazione non c’è. Così la paura dei norvegesi di essere tacciati di razzismo annulla il dibattito sui migranti. E la diversità diventa una gabbia
(Vg.no) «Non vogliamo essere parte della società norvegese, ma comunque non vediamo necessità di trasferirci all’estero, […] lasciateci Grønland. Separate il quartiere e lasciatecelo governare come vogliamo […] Non vogliamo vivere come animali impuri come voi» − Ubaydullah Hussain, leader del gruppo islamista di Oslo Profetens Ummah
Ogni Paese che si rispetti, fiero e nazionalista, ama autocelebrarsi in un dato giorno dell’anno. E vale particolarmente per qui paesi in cui qualcosa di simile a un complesso di inferiorità cova sotto le ceneri storiche, così che quel giorno finisce per assumere un valore ancora più preponderante. La Norvegia, storicamente dominata e mai dominatrice, ne è l’apri-fila.
Provincia danese prima e nazista poi, ha ottenuto l’indipendenza solamente nel 1905. Monarchia costituzionale, in meno di un secolo la sua situazione socioeconomica ha conosciuto una drastica ascesa. Prima, infatti, il numero di emigranti superava nettamente quello degli immigrati. D’altronde il clima non esattamente tropicale e una geografia “scomoda” non non rendeva certo la Norvegia un El dorado. Poi, all’improvviso, si sono accorti di essere seduti sul petrolio, risorsa che attualmente contribuisce al 25% del loro Pil e che li ha trasformati nei principali produttori ed esportatori europei (nonché terzi mondiali). Ma, cosa ancora più interessante, da Paese di emigranti è divenuto meta di immigrati. Oggi andiamo in Norvegia per cercare lavoro, mentre loro vengono per le ferie.
La Norvegia rappresenta il Paese con l’indice di sviluppo umano più alto del mondo (HDI). La pressione fiscale raggiunge il 42,3% del Pil procapite (in Italia è al 54%), ma tutto ciò che i cittadini pagano in tasse viene restituito loro sotto forma di servizi pubblici. Le università sono gratuite, ogni studente ha diritto ad una borsa di studio, le famiglie sono incoraggiate ad avere bambini… E noi stiamo ancora aspettando l’autobus sotto casa.
Disegnata così può sembrare la terra promessa per molti immigrati. E difatti, sotto molti aspetti, lo è. Tuttavia, come ogni Paese povero di una storia nazionale identitaria, i norvegesi sono schiavi delle proprie insicurezze e dei propri stereotipi. Soffrono di quello che può essere definito razzismo inverso: la loro paura di essere tacciati come razzisti appare tanto radicata che finisce per ritorcerglisi contro.
Partiamo da un esempio: qualche mese fa, Ubaydullah Hussain — leader della fazione islamica di Oslo — chiese e pretese di avere un intero quartiere di Oslo (Grønland). La richiesta è rimasta inascoltata, ma immaginate un episodio simile in Italia. Si potrebbe pensare che il semplice fatto che qualcuno abbia azzardato una proposta simile sia legato alla consapevolezza di vivere in un Paese laico e rispettoso della diversità. Il che è senza dubbio vero, eppure bollare le politiche migratorie norvegesi come volte a un’integrazione efficace è un errore.
La Norvegia permette, quasi obbliga gli immigrati a sentirsi in diritto di vivere secondo la loro cultura. Ma insistendo esclusivamente su questo punto, di fatto, una vera e propria integrazione non esiste. Non a caso, molti immigrati non si sentono norvegesi. Lo Stato aiuta gli immigrati ad inserirsi nel Paese, ma non ad integrarsi. Come? «Ad esempio, con lezioni in madrelingua (loro), orari riservati alle donne musulmane nelle piscine, servizi di consulenza in lingue straniere nell’ambito sanitario, sociale o penale», come ha affermato tempo fa Gabriele Catania in un articolo su Linkiesta.it.
Di fatto molti degli immigrati, soprattutto musulmani, tendono a mantenere le proprie tradizioni e la propria cultura. Nulla di sbagliato in questo, ovviamente. Ma vivere in un Paese che ti ingabbia nella tua diversità e che si mostra del tutto disinteressato a individuare eventuali punti di contatto, può spesso sfociare in un malsano sentimento di attaccamento identitario da ambo i lati.
«I sondaggi mostrano che una percentuale inquietante dei musulmani in Europa rifiuta i valori occidentali, disprezza i paesi in cui vive, sostiene l’uccisione degli omosessuali, e vuole sostituire la democrazia con la legge della shari’a» ha detto in un interivsta a il Foglio Bruce Bawer, scrittore americanto trasferitosi a Oslo. «C’e motivo per essere preoccupati per tutte queste cose, ma questa causa è stata seriamente danneggiata da Anders Behring Breivik». «In Norvegia, parlare negativamente di qualsiasi aspetto della fede musulmana è sempre stata una questione delicata, tacciabile di ‘islamofobia’ e di razzismo», e dopo la strage di Utøya «sarà sempre più difficile affrontare questi temi».
Le dichiarazioni del norvegese Breivik, simbolo di xenofobia, hanno messo a tacere anche quel «legittimo criticismo» con cui approcciare le questioni della convivenza e dell’integrazione. Se prima di quell’infausta data la paura di essere tacciati di razzismo impediva uno sguardo critico, la strage di Utøya ha paradossalmente ottenuto un effetto opposto a quello auspicato dal terrorismo di Breivik: la fine del dibattito sull’immigrazione, che si è leggermente riaperto solo in occasione delle ultime elezioni che hanno visto la vittoria del partito conservatore Høyre.
Eppure, ironia della sorte, la Norvegia ha un passato non esattamente tollerante nei confronti del diverso. A questo proposito, i due artisti Mohamed Ali Fadlabi e Lars Cuzner, per festeggiare al meglio il 200° anniversario della Costituzione, hanno ritenuto giusto riaprire l’armadio di casa. Ed hanno trovato il cosiddetto “zoo dei senegalesi”. Esatto, ma prima facciamo un passo indietro. 100 anni fa, per celebrare la medesima festa nazionale, 80 africani furono rinchiusi in gabbia per 5 mesi come animali, circondati da “artefatti indigeni”. Per intenderci, avete presente un padre che porta il figlio al bioparco a vedere i leoni? Ecco, ora sostituite i leoni con esseri umani. Nel corso di questo secolo, nulla è stato fatto per ricordare ai norvegesi l’oscenità di quell’episodio, caduto nell’oblio più totale. Così Fadlabi e Cuzner hanno deciso di radunare un gruppo di volontari e riproporlo tale e quale.
Mera provocazione? Chiaramente la data scelta dai due artisti non è casuale. Dissotterrare il ricordo di tale scempio, nel giorno dell’anniversario della Costituzione, è un atto chiaramente provocatorio. Ma che valenza ha? Per comprenderlo, bisogna sapere che il norvegese medio è molto sensibile al tema del razzismo. State litigando con uno di loro e avete torto marcio? Tacciatelo di razzismo, e vi sentirete chiedere scusa per una colpa che voi stessi avete commesso. Una trasformazione in positivo rispetto ai tempi dello zoo, si potrebbe pensare. Ma questa sensibilità, come abbiamo visto, non si tramuta quasi mai in impegno per l’integrazione dei migranti, quanto in uno sterile relativismo culturale che non cerca soluzioni o compromessi, ma si limita a “lasciar fare”.
Il norvegese medio, per farla breve, non si pone domande su come evitare eventuali conflitti tra culture o spiacevoli episodi, né di come cercare eventuali ponti e canali di comunicazione. Lasciando agli immigrati una libertà pressoché assoluta, di fatto, scampa da eventuali accuse di razzismo, ma al tempo stesso finisce col creare una integrazione solamente apparente, isolandoli e senza spingerli ad adattarsi alla cultura locale, il che non significa perdere le proprie specificità culturali.
Ma una simile istallazione artistica, proprio perché montata in quella fatidica data, è passata sotto traccia come un gesto finalizzato unicamente a provocare. Probabilmente chi l’ha vista si sarà mortificato per un passato riprovevole, avrà adottato un bambino a distanza e si sarà pulito la coscienza. Poi sarà arrivato il forestiero di turno a ripetere ancora una volta quanto la Norvegia sia invidiabile, sotto tutti i punti di vista. Sicuramente se fosse stata scelta una data diversa la risonanza mediatica ne avrebbe risentito. Ma cadeva proprio a pennello.
http://dailystorm.it/2014/08/30/il-razz ... apparente/
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Qui, Zione c'e' da sederci e rimanerci giorni per analizzare quanto sopra. Quindi, sacchi a pelo e pranzi portati da casa non saranno sufficiente.
un salutone