LA SFIDA del REFERENDUM

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UncleTom
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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BOOMERANG

IL PRESIDENTE SILENTE CHE SUSSURRA A REPUBBLICA

»ANTONIO PADELLARO
Per quattro chiacchiere, come si usa dire, di politica con lui”. Da quelle “quattro chiacchiere”, il fondatore di Repubblica ha tratto uno scoop poiché da ieri Mattarella, tramite il suo ospite compiaciuto e onorato, ha fatto conoscere il suo Sì al referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Nessuno naturalmente può dubitare della correttezza di Scalfari che come ogni giornalista che si rispetti ha preso nota di quanto gli diceva il Presidente e ha puntualmente pubblicato. Il problema è che (almeno secondo lo spirito della Costituzione ancora vigente) il capo dello Stato dovrebbe sempre agire come arbitro imparziale che non prende parte alla contesa politica, meno che mai alla vigilia di un referendum che,di fatto,se approvato stravolgerà l’assetto di quelle stesse istituzioni repubblicane di cui il Presidente è garante. La prima ipotesi è che Mattarella abbia detto a Scalfari (dopo averlo invitato al Quirinale) di essere “favorevole al referendum costituzionale che pone fine al bicameralismo perfetto”, proprio perché Scalfari lo scrivesse. Usandolo in qualche modo come suo ventriloquo o portavoce non potendo egli esprimersi in modo formale su temi di tale delicatezza. In questo caso si tratterebbe di una evidente e gravissima scorrettezza. La seconda ipotesi è che Mattarella abbia compiutamente espresso a Scalfari il suo giudizio favorevole sulla riforma del governo Renzi convinto che Scalfari nulla avrebbe scritto. Ma in questo caso si tratterebbe di una grave ingenuità non potendo pensare Mattarella che un giornalista come Scalfari potesse non scriverne.In ogni caso il Quirinale dovrà sbrigarsi a chiarire poiché questa volta il consueto silenzio di Mattarella costituirebbe una rumorosa e pessima risposta confermando le ipotesi peggiori.
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UncleTom
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Referendum, la Cassazione respinge il ricorso del Codacons sul quesito

Referendum Costituzionale
di F. Q. | 24 ottobre 2016
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La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dal Codacons all’Ufficio centrale per il referendum, chiedendo la correzione del quesito referendario relativo alla riforme costituzionali. La motivazione per cui la Cassazione non ha accolto l’istanza avanzata dal Codacons è il “difetto di legittimazione attiva”. Ha cioè riscontrato che l’associazione non è un soggetto titolare dei requisiti necessari per avanzare la richieste sottoposta all’Ufficio centrale.
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Referendum, il tribunale di Milano prende tempo sul ricorso di Onida



Referendum Costituzionale
Il giudice si riserva sul rinvio alla Corte costituzionale chiesto dall'ex presidente della Consulta
di F. Q. | 27 ottobre 2016
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Il giudice della prima sezione civile di Milano, Loreta Dorigo, si è riservata di decidere sul ricorso presentato dall’ex presidente della Corte Costituzionale, Valerio Onida, che ha chiesto di sollevare davanti alla Consulta l’eccezione di legittimità della legge 352 del 1970 istitutiva del referendum laddove non prevede l’obbligo di scissione del quesito quando ci sono più temi, come nel caso di quello sulla riforma costituzionale fissato per il 4 dicembre.

Onida contesta la chiarezza e l’omogeneità del quesito che per la sua eterogeneità viola la libertà di voto dell’elettore che si trova a dover decidere su “un intero pacchetto senza poter valutare le sue diverse componenti”. Il ricorso è stato discusso per oltre due ore alla presenza di Onida e della professoressa Barbara Randazzo, docente di Diritto costituzionale alla Statale di Milano e firmataria dell’istanza con l’alto magistrato. In udienza era presente anche l’avvocato dello Stato Gabriella Vanadia, che anche in questo caso ha chiesto il rigetto del ricorso. “Se lo scopo finale di queste domande è quello di incidere sulle prerogative politiche – aveva già spiegato Vanadia – non è lecito e va respinto, in quanto un procedimento di questo tipo non può incidere sulla politica”.

Il giudice deciderà nei prossimi giorni anche sul ricorso “parallelo”presentato da un pool di legali e discusso nei giorni scorsi davanti allo stesso magistrato. Si tratta della “squadra” di avvocati che ha vinto la battaglia davanti alla Consulta sul Porcellum. Anche gli avvocati Claudio e Ilaria Tani, Felice Besostri, Emilio Zecca e Aldo Bozzi hanno chiesto al giudice civile Dorigo di sollevare davanti alla Corte l’eccezione di legittimità della legge che regola l’indizione del referendum, “laddove non prevede l’articolazione dei quesiti in caso di referendum approvativo”.

Malgrado alcune differenze “tecniche”, la sostanza dei due ricorsi è la stessa. Il giudice aveva già deciso di non accorpare i due ricorsi.
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E' PER QUESTO MOTIVO CHE RE GIORGIO, E' RITORNATO IN CAMPO?????



Sondaggi, referendum: per Ixè il No allunga sul Sì, 3 punti di vantaggio. Migranti, il 74% li accoglierebbe in città


Referendum Costituzionale
Le rilevazioni dell'istituto di Weber per Agorà: sulla consultazione popolare diminuiscono gli indecisi e aumenta l'affluenza. Partiti stabili, Pd ancora primo. Gli intervistati in larga maggioranza contro i cittadini di Goro. E tre quarti di loro sono contrari a barriere anti-immigrazione
di F. Q. | 28 ottobre 2016
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Più informazioni su: Migranti, Referendum Costituzionale 2016, Sondaggi, Sondaggi Elettorali
Il sorpasso ora diventa consolidato: il No, nei sondaggi Ixè per Agorà, allunga al 40 per cento, lasciando il Sì al 37. Nel frattempo, confermando un trend registrato nelle ultime settimane, mentre aumenta l’affluenza (dal 55 al 56) calano gli indecisi, dal 25 al 23 per cento. All’interno degli elettori del Partito democratico le riforme sono sostenute dal 79 per cento (contro il 16 per il No), mentre si ribalta la proporzione all’interno degli elettorati di M5s, Lega Nord e Forza Italia (il 20 per cento degli elettori di questi tre partiti sono favorevoli alla riforma). Quanto alla partecipazione al voto sembrano più motivati gli elettori di Pd e Lega Nord (77-78 per cento) e leggermente meno quelli di M5s e Forza Italia (rispettivamente 68 e 62 per cento).

Ixè ha analizzato come sempre anche lo stato di salute dei partiti. In linea generale si può dire che sono tutti stabili perché le variazioni sono di qualche decimale, quindi niente per una rilevazione che prevede come le altre un margine d’errore del 3 per cento. Crescono Partito democratico (33,1, +0,2) e Cinquestelle (29,3, +0,1). Calano i partiti che seguono, Lega Nord (13,9, -0,3) e Forza Italia (9,6, -0,2). Per il momento l’unico partito che riuscirebbe a entrare in Parlamento sarebbe Sinistra Italiana (4 per cento, -0,3). Riprende fiato Fratelli d’Italia, al 2,9 (+0,4 nell’ultima settimana). Tra i leader il presidente del Consiglio Matteo Renzi resta fermo al 31 per cento, restano stabili – subito dietro – la presidente di Fdi Giorgia Meloni al 21 per cento e Beppe Grillo al 20. Calano di un punto il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio e il segretario della Lega Nord Matteo Salvini (al 17%) e il possibile leader di Forza Italia Stefano Parisi (al 14%). In testa resta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con l’incremento di un punto, che è al 50 per cento. Il governo vede crescere il suo indice di fiducia di un punto, dal 30 al 31%.

migrantiDopo il caso di Goro, l’istituto diretto da Roberto Weber ha misurato anche l’attitudine all’accoglienza degli intervistati. Diciamo che gli abitanti del piccolo Comune in provincia di Ferrara starebbero tutti in quel 22 per cento che risponde che alzerebbe le barricate se al proprio paese venissero assegnati dei migranti. Al contrario tre quarti del campione accoglierebbe i migranti.

migranti-2Su muri e barriere gli intervistati sono altrettanto netti. Il 15 per cento risponde di essere favorevole a barriere a terra e in mare per bloccare l’afflusso di migranti. A questi si aggiunge un 4 per cento che risponde sì, ma ammette che è tecnicamente impossibile. A fronte di questo 19 per cento, però, il 77 per cento contrario a alzare muri e barriere contro l’afflusso di immigrati.
pancho
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Questo referendum mette in evidenza quante siano le anime all'interno della sinistra e quante contraddizione fra gli ex iscritti al PCI che militano nel PD e fuori dal PD.
Come metterli assieme e rifare tutto?

https://www.facebook.com/groups/75324425156/?fref=nf

un salutone

ps.Non credo che siano tutti stati iscritti da come si leggono i post. Cmq.....
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
UncleTom
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Corriere 31.10.16
Perché dico no a un salto nel buio
di Mario Monti


Invidio quei cittadini che, di fronte ai limiti della nuova Costituzione, si sentono sicuri nel dire che è migliore dell’attuale. Anche a me farebbe piacere votare Sì. Ma, a mio giudizio, le modifiche peggiorative prevalgono su quelle migliorative.

Caro direttore, in una recente intervista a Federico Fubini ( Corriere del 18 ottobre) ho preannunciato il mio No al referendum sulla riforma costituzionale. Il beneficio che la nuova Costituzione arrecherebbe, in termini di qualità della governance, è a mio giudizio nullo o negativo, in quanto le modifiche peggiorative prevalgono su quelle migliorative. Elevato è peraltro il costo che il Paese sta già pagando da qualche tempo, a carico del bilancio dello Stato, per la creazione di un clima di consenso inteso a favorire il Sì al referendum. Mi è stato chiesto di chiarire meglio la mia posizione nel merito della riforma. Lo faccio ricorrendo di nuovo alla Sua ospitalità.
Bicameralismo temerario. Per superare il bicameralismo paritario, non si è optato per una seconda Camera di riflessione e orientamento, come la House of Lords; o di raccordo strutturato con i governi dei territori, come il Bundesrat; o più semplicemente per l’abolizione del Senato. Si è optato per un bicameralismo alquanto «temerario» («di persona che affronta i pericoli senza calcolo, sconsiderato o ardimentoso», secondo il dizionario Sabatini Coletti). Si è scelto di accrescere di molto, nell’architettura della Repubblica Italiana, il ruolo degli esponenti politici dei Comuni e soprattutto delle Regioni, proprio di quel segmento della classe politica che negli anni scorsi, con le dovute eccezioni, non ha offerto l’esempio migliore di gestione corretta e avveduta della cosa pubblica.
Poiché il nuovo Senato avrà pur sempre funzioni importanti (ancorché difficili da prefigurare concretamente oggi) in campo legislativo e di controllo, temo due conseguenze : da un lato, un’accresciuta e forse caotica capacità di pressione del personale politico territoriale sulle decisioni nazionali, con la possibilità di esigere «contropartite» a fronte del proprio consenso; dall’altro, un contributo di riflessione — ad esempio sulla dimensione europea e internazionale, così come sugli effetti di lungo periodo dei provvedimenti — che non si preannuncia necessariamente distaccato e autorevole. In un disegno di legge costituzionale che avevo presentato in Senato come contributo alla riforma, si prevedeva che anche figure rappresentative della società civile e della cultura operanti nelle regioni potessero essere elette dai Consigli regionali a far parte del nuovo Senato. Quel disegno di legge, lo dico en passant, prevedeva che ai senatori a vita (a parte gli ex presidenti della Repubblica) non spettassero né indennità né immunità.
Costituzione dagli effetti imprevedibili. Nel momento in cui saremo chiamati a scegliere tra la nuova Costituzione e quella vigente, non sapremo come avverrà l’elezione dei senatori. Sapremo che avverrà «in conformità alle scelte espresse dagli elettori», ma in un modo che sarà determinato da una legge ordinaria, che verrà presentata e adottata dopo il referendum. Inoltre, non sapremo con quale legge elettorale andremo a votare in futuro per eleggere i membri della Camera dei Deputati. È vero che al referendum non saremo chiamati ad esprimerci sulla legge elettorale, ma è ovvio che gli effetti concreti della nuova Costituzione, su cui ci dovremo esprimere, dipenderanno in buona parte dalla legge elettorale.
Una scelta storica, ma al buio. Invidio quei cittadini che, di fronte a questi limiti e a queste incognite, si sentono sicuri nel dire che la nuova Costituzione, destinata a reggere la vita italiana per decenni, è migliore di quella attuale. Anche a me farebbe piacere votare Sì. È più facile. E poi, diciamolo, sentirsi dalla parte del «nuovo» gratifica, anche se più d’una volta in Italia il «nuovo» è stata la scorciatoia per tornare al «vecchio» però con la coscienza a posto. Ma trovo poco serio che si chiamino i cittadini ad una scelta, di portata storica, su un oggetto che per molti aspetti è ancora misterioso. Sulla base di ciò che sappiamo oggi, non ritengo affatto che la Costituzione proposta sia migliore di quella attuale.
Costituzione, ricerca del consenso, governabilità. Non sono mai stato tra coloro che hanno esaltato la Costituzione attuale come «la più bella del mondo». Ne vedo i limiti. Ma so anche che essa non ha mai impedito la governabilità dell’Italia, quando i governi sono stati sufficientemente risoluti. Con le molte decisioni che ha preso, diverse delle quali ho condiviso e sostenuto, il governo Renzi lo ha dimostrato chiaramente. E il governo Ciampi, il primo governo Amato, il primo governo Prodi che ha portato l’Italia nell’euro, per citarne alcuni, hanno o no governato? Sono stati governi che hanno governato con efficacia, pur con la Costituzione attuale, anche perché — soprattutto questi ultimi — non hanno esitato, quando necessario, a prendere decisioni impopolari e non hanno cercato il consenso a carico del bilancio dello Stato.
Costi della politica. Trovo im peccabile la parte del quesito referendario che parla di «contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni», che certo si verificherà con la riduzione, opportuna, del numero dei parlamentari. Non si parli però, come fa uno degli slogan, di riduzione dei «costi della politica». Il costo per il bilancio dello Stato delle molte misure prese per favorire il consenso alla nascita della Costituzione è un multiplo di quanto si potrà risparmiare sul funzionamento delle istituzioni. E ha ritardato un più solido ancoraggio dell’Italia nel porto della stabilità finanziaria, nel caso arrivi una nuova tempesta. Pur affidata alle cure solide e sagge del ministro Padoan, la politica del bilancio pubblico non è certo stata insensibile — nei grandi saldi e nella minuta composizione delle misure — alle esigenze di creare consenso a destra e a manca, con effetti limitati sulla domanda aggregata e sul prodotto interno lordo, ma forse maggiori sulla gratitudine complessiva e sulla propensione a esprimerla nell’urna.
Detto questo, a differenza di molti sostenitori del No non ho mai sostenuto che, ove vinca il Sì, la nuova Costituzione metterebbe a rischio la democrazia. E ho sempre detto che, anche in caso di vittoria del No, non riterrei né doveroso né auspicabile che il premier Renzi si dimettesse. Mantengo questa opinione, pur trovando fuori luogo i toni sprezzanti che, sul tema del referendum, il presidente del Consiglio sta usando nei confronti non solo dei suoi avversari politici ma anche di chi, al di fuori della battaglia politica, si sforza di ragionare con la propria testa.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Corriere 31.10.16
La sinistra non vede un’intesa
Pronta la campagna per il No
Scetticismo sull’Italicum, gelo su Cuperlo in piazza. Lui: lo rifarei
di Alessandro Trocino


ROMA Miguel Gotor oggi sarà a Foggia, per rappresentare il No al referendum, insieme a Gaetano Quagliariello. Per i prossimi giorni ha già una ventina di inviti, a cominciare da Sorrento venerdì. Roberto Speranza ne ha a decine anche lui di inviti sul territorio, a cominciare dal prossimo, il 4 novembre in Puglia. Li tiene in stand by, «per rispetto alla trattativa ancora in corso», ma è una formalità. Insomma, il treno del No con altre decine di appuntamenti in tutta Italia della minoranza dem è già partito e sembra aver lasciato a terra Gianni Cuperlo. A far salire la tensione, e indignare molti a sinistra, è stata anche la sua partecipazione a sorpresa, con tanto di accoglienza festosa, alla manifestazione del sì in piazza del Popolo.
Speranza è rimasto di sasso, avvertito solo pochi minuti prima dell’arrivo in piazza, nonostante diverse telefonate nei giorni precedenti: «Molti di noi sono stati spiazzati da questa partecipazione». Perché, spiegano a sinistra, «è come se avesse già deciso di dar ragione a quelli del Sì, di cedere alle parole vaghe di Renzi e dei suoi». Speranza non si pronuncia da settimane, aspettando di capire se si produrrà l’attesa retromarcia sulla legge elettorale. Ma il Comitato lanciato da Renzi stenta a decollare. Un risultato era stato promesso prima della manifestazione. Poi è slittato: mercoledì sera ci sarà un’altra riunione, ma stavolta lo scetticismo è totale.
Cuperlo ieri ha voluto confermare su Facebook la sua posizione: «Con il senno del giorno dopo tornerei in quella piazza». Perché «lì c’era un pezzo del Pd e della sinistra». Anche se lo stesso rispetto, «forse anche più grande», va «a chi in quella piazza non è andato perché non la sentiva sua». Cuperlo ribadisce la sua posizione, per chiarezza: «Se nei prossimi giorni ci sarà un atto concreto del segretario sull’Italicum si potrà ridurre la frattura. Altrimenti voterò no e ne trarrò le conseguenze annunciate». Ovvero le dimissioni da deputato.
Cuperlo sente il clima negativo che si sta creando intorno e reagisce: «In politica si può sbagliare e nel mio piccolo sono più gli errori che mi imputo che non i meriti. Però questo spirito distruttivo, questa denigrazione dell’altro che segna come un marchio questa stagione, temo possa scardinare quel tanto di coesione senza la quale non si costruisce nulla. Ripeto: chi è alla guida porta di su di sé le responsabilità più grandi: e purtroppo ancora nel discorso di ieri questa consapevolezza è apparsa mancante. Io continuerò a cercare la via di un altro metodo».
Via che in diversi nella minoranza credono che sia ormai un vicolo cieco. Non è un caso che Gotor attacchi sarcasticamente la partecipazione di Cuperlo alla manifestazione di piazza del Popolo: «Credo che si sia interrogato a lungo, morettiamente, se lo si sarebbe notato di più andando o restando a casa. Poi ha deciso di andare e in effetti ha avuto ragione: lo si è notato di più». Con risultati decisamente sgraditi al senatore della minoranza: «Ho visto il selfie con la Boschi: sembrava il rapace che acchiappa l’uccellino». Insomma, per Gotor Cuperlo è stato arruolato nelle fila della maggioranza renziana. Senza reali speranza di un vero accordo in zona Cesarini sulla legge elettorale: «Serve un provvedimento di legge a nome del governo, irreversibile. Noi crediamo nei miracoli ma siamo come San Tommaso: se non mettiamo il dito nel costato del Signore, non ci crediamo».
UncleTom
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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ANCHE LA GERMANIA SI RITROVA AI MINIMI LIVELLI

I POTERI MARCI SONO AL CONTRATTACCO




REFERENDUM COSTITUZIONALE
Il ministro tedesco: “Il Sì
alla riforma potrà dare
all’Italia un futuro migliore”

Di F. Q.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano (versione cartacea)

REFERENDUM Sondato B. che dice no (per ora)
Fuga dalla sconfitta
Renzi e Napolitano
vogliono rinviare
il voto a primavera


Gianni Letta e Confalonieri perorano
con il leader di Forza Italia la causa del
capo del governo, che in pubblico nega
l’idea dello slittamento. Ma per farlo
legalmente c’è solo il ricorso di Onida
UncleTom
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Il referendum rischia di saltare
Il ricorso di alcuni comitati del No può far slittare il voto Un assist a Renzi che ora spera nel rinvio e un regalo ai grillini


Augusto Minzolini - Mer, 02/11/2016 - 14:14
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Caro direttore,

la chiamano «eterogenesi dei fini», cioè lo strano meccanismo per cui - secondo il dizionario di filosofia Treccani - «le azioni umane possono produrre fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l'azione».


Le cronache della politica italiana sono ricche di questi paradossi: Bettino Craxi, ad esempio, non andò ad elezioni anticipate nel 1991 con l'obiettivo, dopo la caduta del muro di Berlino, di inglobare gli ex Pci nel Psi, ma, invece, in quel lasso di tempo scoppiò Tangentopoli e i socialisti scomparvero dallo scenario politico, mentre gli ex comunisti andarono al governo; o ancora, Giorgio Napolitano ebbe la geniale idea, si fa per dire, di non aprire la strada alle elezioni anticipate nel 2011 e di dare vita al governo Monti per combattere l'antipolitica, col risultato che i grillini passarono in un anno - secondo i sondaggi - dall'8 al 25%.

Come si vede «gli astuti piani» che poi si tramutano in catastrofi per i loro autori, nascono sempre dall'allergia che l'establishment politico italiano nutre verso le urne, si tratti di elezioni politiche o referendum.

Il referendum sulla riforma Costituzionale del governo Renzi non fa eccezione.

Anzi. Qui «l'eterogenesi dei fini» coinvolge i piani di un vasta platea di persone, tutte intente a perseguire degli obiettivi ben precisi, ignare del rischio che i risultati potrebbero essere ben altri, se non addirittura opposti, rispetto ai loro desideri.


Prendiamo il ricorso dell'ex presidente della Consulta, Valerio Onida, e della costituzionalista Barbara Randazzo, contro il quesito referendario, su cui il Tribunale civile di Milano si è riservato di decidere. La coppia di costituzionalisti, legati da affetto e stima reciproca, è decisamente schierata sul No alla riforma Renzi. Le ragioni che sono alla base del ricorso non fanno una piega: il quesito ammesso dalla Corte di cassazione ai primi del mese di agosto, infatti, non sta né in cielo, né in terra e infrange tutti i crismi costituzionali. «Se ci aggiungiamo poi il fatto - ironizza l'ex ministro della difesa, Mario Mauro - che una settimana fa tutti i presidenti dell'Alta corte hanno ricevuto dal governo la proroga per andare in pensione un anno dopo, viene quasi da ridere». Ma a parte ciò, l'iniziativa dei due esponenti del fronte del No rischia di trasformarsi in una ciambella di salvataggio per Renzi e lo schieramento del Sì, in grandi ambasce nei sondaggi.

«Quel genio di Onida - osserva ruvido Maurizio Gasparri - rischia di fare la frittata e, visto che è schierato per il No, mi appare anche un po' masochista».

Il motivo è semplice: se il Tribunale di Milano decidesse di rinviare alla Consulta la decisione sul ricorso Onida, il referendum potrebbe essere posticipato al prossimo anno; o, ancora, il quesito referendario spacchettato in più quesiti. Ipotesi estremamente nefaste per gli oppositori alla riforma Renzi e che, invece, renderebbero felice l'establishment istituzionale del Paese.

Eh già, perché gli inquilini dei piani alti del Palazzo (presidenti ed ex presidenti) farebbero i salti di gioia se il fatidico giudizio di Dio del 4 dicembre fosse rinviato. O se il referendum fosse declinato in tante domande, evitando il fatidico Sì o No, che presuppone un vincitore e uno sconfitto. L'establishment istituzionale, per sua natura, preferisce il grigio, al bianco o al nero. Ecco perché è molto probabile che l'attuale inquilino del Colle, Sergio Mattarella, sogni, in cuor suo, un rinvio, magari per rendere meno drammatica la campagna referendaria. Certo non si espone visto che il presidente non ha il carattere «interventista» del suo predecessore. Ma che questa sia l'aria che tira al Quirinale non ci sono dubbi: lo dimostra il fatto che Pierluigi Castagnetti, esponente del Pd e grande amico del capo dello Stato, abbia teorizzato il rinvio con una motivazione, che pure ha le sue ragioni, cioè la difficoltà di tenere il referendum nelle aree terremotate. Un'opinione che è condivisa da tutto l'establishment istituzionale, basta guardare alle mosse del presidente emerito: Giorgio Napolitano, infatti, da una decina di giorni si è eclissato dalla campagna referendaria ed è tornato a cimentarsi nelle alchimie di Palazzo. Segue, soprattutto, con attenzione le vicende del ricorso di Onida e le sue conseguenze. «I due ora sono in buoni rapporti», confida Paolo Naccarato, grande conoscitore dei corridoi della politica più nascosti. E qualcuno comincia a pensare che l'iniziativa di Onida, al di là delle intenzioni del suo autore, sia diventata uno strumento dei disegni dell'ex capo dello Stato. «Il sospetto ce l'ho - osserva Mario Mauro, calato nei panni della sentinella del fronte del No -. Se conosco Onida si è mosso avendo già la sentenza del tribunale in mano. E, diciamocelo francamente, il rinvio del referendum o lo spacchettamento dei quesiti vanno sulla linea di Napolitano, che punta a disinnescare gli effetti politici del referendum».

Appunto, la strategia dell'establishment istituzionale è quella di disinnescare gli effetti politici dell'appuntamento del 4 dicembre, in sintesi di trovare una via d'uscita al bambinone Renzi, che con il suo vizio di rilanciare sempre, si è ficcato in un cul de sac. Ma anche qui l'eterogenesi dei fini potrebbe provocare conseguenze ben più disastrose per il Paese che non il semplice svolgimento del referendum. Il premier, che sicuramente ha più fiuto nel comprendere gli umori dell'opinione pubblica rispetto agli altri inquilini del Palazzo, ha già rifiutato l'ipotesi di un rinvio. Almeno a parole. Non bisogna essere degli esperti di psicologia delle masse, infatti, per sapere che non puoi privare un Paese a cui hai imposto un premier non eletto, una modifica della Costituzione che non prevede l'elezione dei senatori e un Parlamento giudicato dalla Consulta incostituzionale, di dire la sua su una riforma di cui si parla da due anni e su cui si sta svolgendo da sei mesi una campagna referendaria estremamente dura. Sarebbe uno scippo dalle conseguenze imprevedibili. Una forzatura, più o meno camuffata, che il governo e la sua maggioranza pagherebbero caro alle prossime elezioni politiche: per salvaguardarsi nel presente, rischiamo di ipotecare il futuro. «Questi sono pazzi - sbotta Renato Brunetta -: se compiono un errore del genere regalano il Paese ai populisti». «È gente che continua a giocare con il fuoco - sono le parole che qualcuno ha sentito uscire dalla bocca di Massimo D'Alema -. Porteranno i grillini al 51%». Più che affermazioni polemiche, sono analisi realistiche, sensate.

Anche perché questo Paese, che ne ha viste di tutti i colori, non si merita il déjà vu di vedere affidato il proprio futuro politico nelle mani del solito tribunale di Milano.
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