LA SFIDA del REFERENDUM

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Referendum, in prima fila per il Sì c’è Verdini(P2-P3-P4-P5 NDT)
Il suo mantra: ‘Vinciamo e Ala entra nel governo’


A Bologna l’appello degli ex forzisti Pera e Urbani a B: “E’ la tua legge”. C’è anche il senatore (video)
Che sui giornali fa trapelare: “Dal 5 dicembre cambierà tutto, se passa la riforma noi dentro l’esecutivo”

pera-990
Referendum Costituzionale

L’ex presidente del Senato Marcello Pera riunisce a Bologna chi nel centrodestra è a favore del ddl Boschi. Con lui anche Verdini. Pera ricorda come in un giorno LiberiSì abbia raccolto l’adesione di 40 ex parlamentari azzurri e chiede a B. di ripensare il suo No: “Rientri in gioco e diventi coprotagonista della riforma” (video di David Marceddu). Intanto il plurimputato ex braccio destro di Berlusconi ha le idee chiare: “Dal 5 dicembre cambierà tutto, se vince il Sì noi di Ala entreremo nell’esecutivo”
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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erding ha scritto:Penso che possa essere utile conoscere
il testo di legge costituzionale
pubblicato sulla gazzetta ufficiale n°88 del 15 Aprile 2016

CON TESTO A FRONTE della Costituzione vigente:


http://documenti.camera.it/Leg17/Dossie ... C0500N.Pdf


CONOSCERE PER DELIBERARE. MA QUANTI SONO GLI ITALIANI CHE CONOSCONO??????

AL PRIMO REFERENDUM REPUBBLICANO, MONARCHIA O REPUBBLICA TUTTI SAPEVA COSA VOTAVANO.

AI TEMPI DI DIVORZIO E ABORTO SI SAPEVA SU COSA SI VOTAVA.

PERCHE' LA TRUFFA DI OGGI PORTA A VOTARE MILIONI DI IGNORANTI??????
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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18 OTT 2016 12:27
DOPO QUELLO DI PRODI, RENZI BECCA LO SCHIAFFO ANCHE DA MARIO MONTI: “VOTERÒ ‘NO’ AL REFERENDUM. SE PREVARRÀ IL SÌ AVREMO UNA COSTITUZIONE FORSE MIGLIORE DELLA PRECEDENTE MA AVREMO UN MODO DI GOVERNARE LE RISORSE PUBBLICHE CHE PENSAVO IL GOVERNO AVREBBE ABBANDONATO”. CHE SUPERCAZZOLE...




Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

Il senatore Mario Monti, l'ex premier ed ex commissario Ue, tuttora uno degli italiani più ascoltati nelle grandi capitali, ci ha pensato a lungo. Non è stato facile per lui decidere come votare nel referendum.

Lei frequenta molto istituzioni e cancellerie europee. Non trova che fra i partner ci siano reali preoccupazioni nel caso vincesse il No?

«Questo mi ricorda le apprensioni che tanti capi di governo manifestavano a me sul finire del 2012 di fronte alla grande incertezza delle elezioni. Li ho sempre tranquillizzati, dicendo che l'Italia è un Paese affidabile e che le politiche necessarie per il Paese sarebbero continuate. La stessa cosa penso e dico oggi all'estero.

E vorrei dirlo anche agli italiani: diamo il voto secondo coscienza. Se vincesse il No non sparirebbero gli investitori esteri. Se vincesse il Sì non sparirebbe ogni democrazia. E la Ue, che peraltro non ha mai chiesto questa modifica della Costituzione, può stare tranquilla. L'Italia non rischia, come cinque anni fa, di cadere e di travolgere l'euro».

Non si entrerebbe in una fase di instabilità?
«Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come caldeggiano molti sostenitori del No e come aveva affermato all' inizio lo stesso premier. Se tuttavia dovesse lasciare, non vedo particolari sconvolgimenti. Toccherà al capo dello Stato decidere, ma sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell' assetto di governo attuale con un altro premier parte della maggioranza».

Lei ha votato per questo impianto di riforma costituzionale almeno una volta in Senato.
«Ho votato Sì in prima lettura nell' agosto del 2014, poi in seconda e terza lettura ero assente per impegni europei».

Perché votò Sì nel 2014?
«Consideravo essenziale non indebolire la corsa di Renzi sulle riforme economiche. Perciò votai Sì, pur avendo varie riserve. Di questa riforma mi hanno sempre convinto la modifica del rapporto fra Stato e Regioni, l'abolizione del Cnel e la fine del bicameralismo perfetto. Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo».


Altri fattori che la convincono dell'impianto della riforma?
«Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello dei senatori. È nel combinato disposto fra la Costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l'opinione pubblica con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perché accettasse questo. Ho riflettuto a lungo in proposito».

Cosa ne ha concluso?
«Che votare Sì al referendum significherebbe votare Sì al tenere gli italiani dipendenti da questo tipo di provvidenza dello Stato. Sarebbe un Sì a non mantenere con loro un rapporto da cittadini adulti o maturi nei confronti dello Stato. Da trent'anni mi occupo di metodi di governo, in particolare dell' economia. Quando ne ho avuto l'occasione ho cercato di migliorarli, in Europa e in Italia. Nel nostro Paese l'ho fatto dalle colonne di questo giornale, contribuendo a un lento ma continuo miglioramento dagli anni 90, spinto anche dall'Europa, e poi nel breve periodo della mia esperienza di governo.


Partendo da queste premesse, molto diverse da tante altre voci che si sono espresse per il No, a me risulta impossibile dare il mio voto a una Costituzione che contiene alcune cose positive e altre negative, ma che - per essere varata - sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile dei mali più gravi dell'Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico».

Insomma il suo è un No anche se in parte apprezza il merito della riforma costituzionale?

«Dire che una parziale modifica della Costituzione, conseguita in un modo così costoso per il bilancio pubblico, sarà molto benefica per la crescita economica e sociale dell'Italia, è una valutazione che non posso accettare. Se prevarrà il Sì avremo una Costituzione riformata, forse leggermente migliore della precedente, ma avremo con essa l'approvazione degli italiani a un modo di governare le risorse pubbliche che pensavo il governo Renzi avrebbe abbandonato per sempre, come ha fatto meritoriamente con gli eccessi della concertazione tra governo e parti sociali. Speravo che fosse arrivato il momento in cui gli italiani potessero essere e sentirsi adulti, non guidati dalla mano visibile del potere politico».

Insomma, è il modo con cui il premier cerca consenso attorno al Sì che la spinge al No?

«Esatto. Non avrebbe senso darsi una Costituzione nuova, se essa deve segnare il trionfo di tecniche di generazione del consenso che più vecchie non si può. Peraltro trovo negativo avere tenuto in piedi con l'uso del denaro pubblico queste deformazioni del rapporto degli italiani con la classe politica. Questo problema rischia solo di essere accresciuto portando alla ribalta la classe politica regionale nel nuovo Senato».

Ma non è necessario per chiunque coltivare il consenso anche con il bilancio dello Stato?
«È la via più facile. Ma se il Paese, poco alla volta, cresce in consapevolezza, non è detto che sia così per sempre. Dopo tutto, alle elezioni del 2013 il movimento che si riconosceva nell' opera del mio "austero" governo ottenne, partendo da zero e senza un partito alle spalle, 3.005.000 voti, cioè più dei 2.269.000 voti che alle Europee del 2014 Renzi, in quello che venne considerato un trionfo, riuscì ad aggiungere ai voti che il Pd di Bersani aveva avuto nel 2013».

Sulla legge elettorale, che pensa del modello originario di Renzi?
«A sentire alcuni ormai sembra improponibile qualunque sistema in cui non si conosce il vincitore la sera stessa. Eppure in Germania non solo non lo si conosce la domenica sera, ma a volte bisogna aspettare mesi. Eppure poi si arriva a un programma chiaro, ben definito e tale da limitare patti fra arcangeli o nazareni.

Per quanto mi riguarda mi sono gradualmente convinto sempre più che i problemi dell' Italia non dipendono tanto dalla forma costituzionale e dalla legge elettorale, ma da alcuni connotati fondamentali: l' evasione, la corruzione e una classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità».
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il manifesto 18.10.16
Referendum, il titolo parlante davanti ai giudici del Tar
Attesa per la decisione dei magistrati amministrativi sul testo del quesito pubblicato sulla scheda, che i sostenitori del No giudicano ingannevole. C'è l'ipotesi del rinvio. Intanto gli avvocati dello stato danno ragione a chi critica la riforma: non si tratta di una revione puntuale e limitata della Costituzione come prevista dalla legge sul referendum costituzionale
di Andrea Fabozzi


ROMA Resisterà il «titolo parlante»? La definizione è presa dalla memoria degli avvocati dello stato, che ieri mattina davanti alla seconda sezione bis del Tribunale amministrativo del Lazio hanno difeso la formula scelta dal governo per battezzare la riforma costituzionale Renzi-Boschi e per chiamare al referendum del 4 dicembre i cittadini. Per i parlamentari di Sinistra italiana e Movimento 5 Stelle De Petris e Toninelli, e per gli avvocati Bozzi e Palumbo (difesi da Vasques), quel titolo che parla di «superamento del bicameralismo, riduzione dei parlamentari e contenimento dei costi delle istituzioni» è ingannevole per gli elettori, essendo formulato – senza i riferimenti, previsti dalla legge, agli articoli modificati della Costituzione – come un invito a votare Sì. Il Tar, dopo un pomeriggio di camera di consiglio, ieri sera non aveva ancora comunicato la sua decisione. Dalla quale dipende non solo la sorte del quesito «governativo» ma anche quella del referendum, che potrebbe al limite slittare.
Il Tar, infatti, potrebbe decidere di fissare un’altra udienza per riunire l’esame del ricorso con quelli analoghi proposti dal Codacons e dall’ex presidente della Corte costituzionale Onida. E (anche in relazione a questa esigenza) sospendere la validità del decreto del presidente della Repubblica che ha fissato le urne e formalizzato il quesito: ne risulterebbe un clamoroso rinvio del referendum. Ma potrebbe anche decidere nel merito con una sentenza di rigetto o di accoglimento (in questo caso disponendo una nuova formulazione del quesito). Potrebbe persino rimettere la questione della costituzionalità della legge sul referendum alla Corte costituzionale. La quale ha tempi lunghi, ma – sostiene Onida – potrebbe eventualmente sospendere per cautela le urne.
La decisione arriverà nelle prossime ore, forse oggi. Gli avvocati del comitato del Sì, intervenuti ieri contro le tesi dei ricorrenti, hanno però riconosciuto l’opportunità di affiggere in tutti i seggi il testo delle effettive modifiche alla Costituzione, non desumibili dal quesito sulla schede. Schede che, ha informato ieri Alfano sventolando un facsimile, sono comunque già in fase di stampa da parte del Poligrafico.
Gli avvocati del governo hanno difeso la correttezza del quesito. Hanno chiesto al Tar di rigettare i ricorsi per difetto di giurisdizione, perché il decreto del presidente della Repubblica dev’essere considerato un «atto vincolato» dalle decisioni della Cassazione e del Consiglio dei ministri, dunque insindacabile. Ieri, però, proprio gli avvocati dello stato hanno prodotto una copia della deliberazione del Consiglio dei ministri del 26 settembre, quello che ha fissato la data del referendum al 4 dicembre. Si è così scoperto che in quell’atto non c’è traccia del quesito da stampare sulla scheda, quello che i ricorrenti considerano «fuorviante»: dunque sarebbe «nato» al Quirinale, direttamente nel decreto del presidente, con la formula vistata dalla Cassazione.
L’avvocatura dello stato, inoltre, ha difeso la scelta di definire sulla scheda del referendum la Renzi-Boschi «legge costituzionale» in luogo di quella più corretta di «legge di revisione costituzionale». Per farlo, però, ha finito con avvalorare una delle tesi dei sostenitori del No. È vero, hanno in sostanza riconosciuto, che nella legge del 1970 che ha introdotto il referendum si parla a questo proposito di «revisione costituzionale». Ma all’epoca si immaginavano interventi sulla Costituzione «puntuali e limitati», mentre la Renzi-Boschi modifica «interi istituti costituzionali»; è un riscrittura della Carta così vasta da potersi ben chiamare «legge costituzionale».
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum costituzionale, agli indecisi consiglio di ascoltare il Monti-pensiero

Referendum Costituzionale
di Daniela Gaudenzi | 18 ottobre 2016
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Daniela Gaudenzi
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Come era abbastanza facile prevedere con l’avvicinarsi della fatidica data referendaria e con l’intensificarsi di una campagna mediatica sempre più sbilanciata sul Sì, benché spacciata come “informazione” al servizio dei cittadini, si sta vistosamente riducendo l’area degli indecisi. E stando ai sondaggi, come rilevato anche Enrico Mentana, i 3/4 di quel 5,7 % sarebbe orientato ad esprimersi a favore della riforma targata Boschi.

Naturalmente il dato dell’incertezza rimane sovrano, tenendo conto di un’astensione sempre elevatissima, del vantaggio ancora di 3,2 punti percentuali attribuiti al fronte del No e del margine di errore delle previsioni valutato sempre al 3 per cento. Se, in un’ipotesi astratta, l’astensione rimanesse invariata e l’andamento dell’area degli indecisi progredisse costantemente in favore del Sì, quello che è oggi il vantaggio attribuito al No verrebbe eroso massicciamente fino ad un pareggio o al rischio di una sconfitta, anche se di misura o per pochi decimali.


Per questo, quanto più abbiamo a cuore le ragioni del No tanto più dobbiamo cercare le parole e gli argomenti per convincere gli indecisi, dato che quelli già motivati riguardo il merito della riforma ed il metodo con cui è stata approvata e viene “promossa” dal governo hanno molto chiaro, al di là della formulazione promozionale del quesito, come votare.

Se tra gli indecisi, ci sono molti “moderati” che in buona fede tengono presente “il contesto” a cui si appiglia anche Massimo Cacciari per votare Sì ad una “riforma che tecnicamente fa schifo”, come ama ripetere, mi permetterei di invitarli a riflettere su quanto ha dichiarato Mario Monti al Corriere. L’ex presidente del Consiglio che non è un campione di popolarità né di successi politici, come testimonia la deriva verdiniana della sua ex-creatura, ma che non può essere tacciato di opacità e disonestà intellettuale, nel dichiarare in tempo utile che voterà No, a differenza di troppi pavidi che devono “riflettere” ha fatto chiarezza su due pilastri della propaganda renziana. Ha indicato con termini inequivocabili le tecniche di persuasione governativa incentrate sulla “lubrificazione” dell’opinione pubblica tramite bonus fiscali ed elargizioni mirate, la quintessenza delle più deteriori pratiche consociative, ora benevolmente concesse dal “principe” riformatore in vista degli appuntamenti elettorali cruciali. E per essere ancora più chiaro ha spiegato che “Votare Sì non significa ridurre i costi della politica” che non dipendono dalla parziale riduzione del numero dei senatori ma in primo luogo dalle pratiche di governo e dunque votare Si vuol dire avallare questa “provvidenza di Stato” per avere dei cittadini non “indipendenti e maturi”: in altre parole dei sudditi.

Quanto alle conseguenze terrificanti della vittoria del No paventate dalla propaganda renziana, l’ex commissario europeo Mario Monti ha banalmente ricordato che l’esito del referendum non deve incidere sulla permanenza di Renzi a palazzo Chigi e che comunque nella (felice) ma improbabile ipotesi che levasse le tende non succederebbe nulla di eclatante. In Italia, ci ha rassicurato anche un ex presidente del Consiglio, sopravviverebbe la democrazia, secondo molti meglio.

In Europa se ne farebbero prontamente una ragione e forse, se a capo del governo venisse qualcuno più attento al debito pubblico, alla lotta all’evasione e al “sommerso” e a velocizzare la giustizia più che a tagliare le ferie ai magistrati, aumenterebbero anche gli investimenti stranieri.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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il manifesto 19.10.16
Serve una scossa d’informazione
di Vincenzo Vita


Serve una scossa. È indispensabile programmare una giornata di iniziative sull’informazione, sulle agguerrite tecniche manipolatorie utilizzate dai media radiotelevisivi nella campagna referendaria.
In arrivo i dati, finalmente, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Quelli dell’Osservatorio di Pavia sono stati appena resi noti. Ma già si può anticipare la tendenza, rilevata anche dallo specifico gruppo di lavoro messo in piedi dal Comitato per il No.
Sul piano quantitativo le percentuali si avvicinano (del resto a qualcosa saranno pure servite le proteste), ma su quello qualitativo le misure cambiano.
Infatti, mentre il Sì è avvolto nell’aura dell’ufficialità e parla con la voce «rassicurante» del governo, il No è presentato come un mosaico eclettico formato da forze politiche tra di loro lontanissime. Mentre la presenza dei giuristi che hanno animato l’opposizione alla «riforma» rimane sporadica e residuale.
Non solo. Il voto positivo alla consultazione è spesso il naturale punto di arrivo di una notizia. O, peggio, è l’arma segreta della conferenza stampa sulla legge di bilancio, il cui sottotesto è proprio il rapporto tra le misure finanziarie e la scadenza di dicembre. Per non dire della vera e propria epopea di regime che ha fatto da cornice alla visita di Renzi negli Stati uniti, con il momento cult della conferenza stampa con Obama, laddove il voto italiano prevaleva bizzarramente sul prossimo election day americano.
Veniva il magone a sentire persino Obama, indotto a recitare la parte del papà buono che riconosce i meriti del «capo» docile di un paese della periferia dell’impero. Che si ricorda per il cibo, la moda e i vini. E per Sophia Loren. Ci mancherebbe.
Scomparse o ridotte a riempitivo, invece, le notizie hard sul brusco calo dei contratti a tempo indeterminato, sull’aumento dei licenziamenti, sul triste primato dei voucher del nuovo schiavismo. O, più ancora, sull’impressionante aumento delle povertà.
L’informazione, insomma, è assai manipolata e il referendum è fatto vivere come un immaginifico toccasana: lo spettacolo della politica al massimo della sua espressione.
I regolamenti sulla campagna referendaria varati dall’Agcom e dalla Commissione parlamentare di vigilanza sono, purtroppo, una stanca riedizione dei loro omologhi precedenti. Peccato che qui non si tratta di un periodo elettorale delimitato, bensì di otto mesi di contesa sui valori fondanti della democrazia.
Ad esempio, lo spot illustrativo del governo, che va avanti imperterrito ancorché sia una forma di pubblicità ingannevole, dovrebbe essere curato da un’entità autonoma e indipendente, non dagli uffici di Palazzo Chigi.
Così, la verifica dei tempi assegnati ai due schieramenti mediante le apposite tabelle richiede tempestività e non la cadenza di quattordici giorni. Così, soprattutto in prossimità del voto, le possibilità di riequilibrio in caso di violazione della par condicio svaniscono completamente. Le sanzioni arrivano, cioè, per i posteri.
Ecco perché è indispensabile una giornata di lotta e di risveglio delle coscienze, con manifestazioni, proteste pubbliche e sit in. In accordo con le organizzazioni sindacali che stanno giustamente protestando contro il ricorso della Rai agli appalti esterni per diverse trasmissioni, mortificando le risorse interne.
Quanto al servizio pubblico, affidato ad un amministratore delegato preso dal mercato, è curioso che non si sia levata alcuna voce, quando Renzi ha annunciato la diminuzione del canone per il prossimo anno di dieci euro: 180 milioni in meno. Comincia lo spezzatino?
UncleTom
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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CI SONO PRETI E PRETI. PRIMA C'ERA A GENOVA DON GALLO, AFFIANCATO DA DON FARINELLA.

OGGI IL PRETE DI GENOVA E' SOLO IN PRIMA LINEA.




REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum costituzionale, perché l’ultima cena americana ha rafforzato il mio No

Referendum Costituzionale
di Paolo Farinella | 20 ottobre 2016
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Paolo Farinella
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Cosa bisogna fare per un Sì americano, scodinzolando senza dignità con moglie e giullari al seguito! Parafrando Étienne de La Boétie (sec. XVI) «è [Renzi] che si assoggetta, si taglia la gola da solo e potendo scegliere fra la servitù e la libertà rifiuta la sua indipendenza, mette il collo sotto il giogo, approva il proprio male, anzi se lo procura…


L’inerzia soddisfatta dei cittadini è all’origine di quella incredibile malattia che è la servitù volontaria» (Discorso sulla servitù volontaria, Jaca Book, Milano 1979, 18 e 23).


La frase chiave dello sceneggiato americano è di Obama – perché fosse chiara – in italiano: «Patti chiari e amicizia lunga». Il «duro» in Europa diventa «molle» in America: gli Usa vogliono Renzi per estorcergli soldi, armi e uomini ovunque nel mondo e il trattato Ttip che sarebbe il nostro capestro.

Il 13 settembre 2016, l’ambasciatore Usa a Roma, John Phillips ha offerto l’antipasto dell’Ultima Cena consumata mentre Obama traslocava a vita privata: «Il Sì può aiutare l’Italia» pontifica il sommo sacerdote a stelle e strisce, mentre riceve l’ossequio del suddito. Vendersi agli Usa è vizio italiota.


Hillary Clinton, imitando Berlusconi, ha fatto capire che costui piangeva davanti a lei perché trattava male lui, sempre disposto a leccare la ciotola del cane pur di stare nel ranch del vaccaro W. George Bush.

Gli americani disprezzavano Berlusconi, usandolo per i loro fini ignobili. Berlusconi e Renzi, amerikani di ferro.

No deciso al referendum per l’indipendenza della nostra Nazione: se tutti sono interessati (Usa, Germania, Francia, Esquimesi, primitivi ancora da scoprire in Amazzonia, Apaches, Toro seduto e Vacca in piedi, Biancaneve e i sette nani), vuol dire che tutti hanno la loro convenienza.

I fautori del Sì, profeti del fulgido futuro renziano sono rappresentati dalla banca americana, JPMorgan, responsabile della crisi («derivati» – 2008-2012), un cui uomo, Marco Morelli, multato dalla Banca d’Italia, Renzi ha imposto in Mps.


La JPMorgan è la stessa che vuole abolire la Costituzione: «I sistemi politici dei paesi europei del Sud e… le loro costituzioni… inadatte a favorire l’integrazione… [per] forte influenza idee socialiste… tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori… licenza di protestare… esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni».


La riforma Renzi realizza il delirio di JPMorgan che copia il «Piano Solo» della P2 di Licio Gelli che Berlusconi, massone con tessera n. 1816, tentò di realizzare, ma che un referendum gli fece trangugiare.



Ci riprova Renzi, estraneo alla sinistra, senza riguardo per le Istituzioni, offendendo il popolo del Pd che ha snaturato.




Che la Carta del 1948 sia prima applicata e quindi riformata con un «aggiornamento» funzionale, nel rispetto degli ideali, sorti dal sangue di giovanissimi e giovani e uomini e donne. Votare Sì è tradirli.



I genuflessi del «Sì» dicono che non bisogna personalizzare, ma entrare «nel merito», ma si limitano a dare risposte di comodo: stabilità del governo, velocità di decisione, fine del bicameralismo e risparmi astronomici sparati a caso.


Sanno di dire bugie perché Renzi governa da tre anni, pur non eletto.



Letta Enrico è durato pochi mesi non è colpa della Costituzione, ma di Renzi, extraparlamentare, che lo ha pugnalato alle spalle. Il bicameralismo perfetto è una scusa, perché il finanziamento dei partiti è passato in Senato in meno di 3 ore (15 ottobre 2015): contro M5S e Sel.

I risparmi sono fittizi perché bisognerà pagare diarie e residenza a Roma del Senato nominato, mentre resta intatta la struttura del Senato, con dipendenti e servizi. Non bisogna personalizzare?


Scusate, ma Renzi non sta continuando a personalizzare, usando lo Stato, il governo e la diplomazia per sostenere il suo Sì?


La finanziaria non è un uso personalizzato di denaro pubblico per propagandare la sua campagna elettorale?


La visita servile negli Usa non è una personalizzazione del Sì? Il viaggio della Boschi Maria Etruria in Argentina non è stato un uso personale per fare propaganda? La televisione di Stato non è usata a servizio del Sì con boicottaggio del No?



Bisogna dire No anche per il metodo della controriforma, opera del governo, che avrebbe dovuto restare rigorosamente estraneo.



Alcide De Gaspari, presidente del consiglio, non mise mai piede nella Costituente.


Questo parlamento, dichiarato dalla Corte Costituzionale indirettamente illegittimo, perché eletto con una legge incostituzionale, è incompetente per riformare 47 articoli della Costituzione e a maggioranza.



Nella gita a Washington c’era Roberto Benigni e consorte che in un colpo solo ha rinnegato le splendide lezioni sulla «Costituzione più bella del mondo». Svenduto è la parola giusta. Un’ultima cena valeva la pena, seppur ultima cena? Una prece!

di Paolo Farinella | 20 ottobre 2016
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Sondaggi, referendum: affluenza aumenta. Ixè: “Più gente vota e più il No è favorito”. Due indecisi su 3 sono donne

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10 ... e/3113073/
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Sondaggi referendum, per Ipsos il No aumenta il vantaggio: 8 punti. Ma per gli altri il Sì è in netta rimonta

Referendum Costituzionale
di F. Q. | 22 ottobre 2016
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Ipsos: “Il No è in vantaggio di 8 punti“. Demopolis: “Il Sì per la prima volta ha superato il No”. Nel mezzo, analizzando i dati dei principali istituti demografici, sono due i dati più o meno concordi: il fronte del No resta in vantaggio, ma il Sì è in rimonta. Una doppia tendenza che emerge dai rilevamenti effettuati negli ultimi quattro/cinque giorni, ovvero a cavallo della visita di Renzi negli Stati Uniti e dell’endorsement di Obama per il Sì, ma soprattutto dopo gli annunci governativi su pensioni e cancellazione di Equitalia. Si spiegherebbe così il risultato del sondaggio Demopolis, che ha registrato il sorpasso del Sì (51%) sul No (49%). In questo caso, le domande sono state poste il 19 e il 20 ottobre: appena tre giorni fa. Risultato a sorpresa, ma che secondo gli esperti sentiti dal quotidiano di Largo Fochetti dice poco su cosa succederà il 4 dicembre. Il motivo? Manca ancora troppo tempo. “Il 15% decide l’ultima settimana, il 4% direttamente nell’urna” dice Antonio Noto, di Ipr. Discorso identico per quanto riguarda il sondaggio di Ipsos sull’edizione odierna del Corriere della Sera. Secondo Nando Pagnoncelli, il No è al 54% contro il 46% del Sì.


Per Ipsos il No aumenta il distacco. Giovani contro la riforma, pensionati a favore
Otto punti percentuali di vantaggio e un orientamento demografico molto chiaro: tra chi voterà No al referendum costituzionale del 4 dicembre i giovani sono la maggioranza. Al contrario, il fronte del Sì è ‘territorio’ dei pensionati. E’ quanto emerge da un sondaggio Ipsos pubblicato oggi dal Corriere della Sera. Per l’istituto guidato da Nando Pagnoncelli, se si votasse oggi il 54% voterebbe No, mentre il Sì si fermerebbe al 46%: otto punti percentuali di vantaggio e una forbice che – al contrario di quanto sostenuto da altre rilevazioni – continua ad aumentare. A leggere il sondaggio di Ipsos del 3 ottobre scorso, infatti, il vantaggio dei contrari alla riforma costituzionale era praticamente dimezzato. Significativo, inoltre, l’approfondimento sulle identità all’interno dei due fronti. Tra i No, ad esempio, la percentuale più alta dei contrari (il 29%) è nella fascia di età tra i 35 e i 49 anni. Ma i contrari prevalgono (25% per il “No”, contro il 19% per il “Si”) anche tra i più giovani: tra i 18 e i 34 anni. Fascia quest’ultima in cui si registra comunque una minore propensione ad andare a votare: il 49% intenderebbe astenersi. Non solo. Tra i favorevoli alla riforma voluta dal governo Renzi, il 33% è laureato, mentre nella schiera del “No” chi ha la laurea è il 28%. Tra i contrari, invece, la percentuale maggiore (il 29%) è diplomato. Il “Si”, insomma, prevale, “tra i pensionati” (27%).

Il coinvolgimento dei cittadini, tuttavia, è ancora lontano da quanto auspicato da entrambi i fronti.

Il tasso di mobilitazione è al 58%: in aumento, seppur di poco, rispetto al recente passato, ma comunque su livelli già registrati a luglio scorso.

Evidentemente, la massiccia campagna mediatica del premier Renzi e da coloro che sono contrari alla ‘sua’ legge stenta a decollare.

Specie tra i più giovani: il 49% al momento non andrebbe alle urne.

Differenze altissime anche per livello di scolarizzazione e di ceto: i ceti alti il 33% dei laureati andrà a votare, mentre è ai minimi tra chi ha un titolo di studio elementare.

Per quanto riguarda le professioni, i ceti elevati sono mobilitati al 68%: percentuale in linea tra chi è in pensione, al contrario di quanto avviene per le casalinghe (47%).

Interessante notare, inoltre, come il dibattito sia molto diffuso nell’area della popolazione che vota sinistra o centrosinistra, quasi che il tema sia ‘interno’ ad una fetta dell’elettorato.

In tal senso, la sinistra per così dire ‘storica’ è fortemente orientata per il No, centrosinistra e centro per il Sì.

Il centrodestra? Una parte consistente (non la maggioranza) è per approvare la riforma costituzionale.

Demopolis: il Sì ha guadagnato due punti negli ultimi dieci giorni. Ed è in vantaggio sul No


Per la prima volta dal giugno scorso, secondo l’analisi dell’Istituto Demopolis per il programma Otto e Mezzo, il Sì è tornato in leggero vantaggio, con una crescita di 2 punti negli ultimi 10 giorni, passando dal 49% del 10 ottobre al 51% di oggi.

“L’esito del Referendum Costituzionale del 4 dicembre – ha spiegato il direttore dell’istituto Pietro Vento – rimane molto incerto: con un’affluenza al 53% e oltre un quarto di italiani che non ha ancora deciso, l’opinione pubblica è di fatto spaccata in due. La forbice stimata oggi oscilla tra il 48 ed il 54% per il Sì, e tra il 46 ed il 52% per il No”.

Questo trend fornisce pienamente le mutevoli distanze tra i due fronti: dopo una fase iniziale di maggioranza del Sì, negli ultimi 5 mesi si è registrata una costante lieve prevalenza del No.

L’indagine è stata condotta il 19 ed il 20 ottobre scorsi su un campione di 1.200 intervistati.

I risultati degli altri istituti: da Ipr a Ixè fino a Index e Tecnè
Secondo il sondaggio di Ixè per Agorà il No è per la prima volta in vantaggio: 38 contro il 37% (rilevazione eseguita il 19 ottobre).

Due settimane fa lo stesso istituto aveva registrato una sostanziale parità, mentre il 23 settembre dava il Sì in vantaggio di tre punti.

A leggere i risultati dello studio di Ipr Marketing per Porta a porta, invece, il risultato è molto diverso: i contrari alla riforma sono sempre in vantaggio, ma il Sì è in netta ripresa.

Nella fattispecie, voterebbe No il 51% degli intervistati (domande poste il 15 ottobre) contro il 48,5% di coloro che voterebbero Sì.

Rispetto a un mese fa, la flessioni sarebbe del 2,5% per entrambi i fronti. Giovedì sera, invece, poche sorprese per il sondaggio dell’istituto Index Research per Piazza Pulita: No in vantaggio di tre punti (51,5% contro il 48,5%), esattamente come tre settimane fa. 52% per il No/48% per il Sì è invece il risultato del sondaggio Tecnè, sempre per Porta a Porta: in questo caso la flessione (positiva per il Sì, negativa per il No) è di un punto percentuale rispetto alla precedente rilevazione. Per Euromedia Research di Alessandra Ghisleri, invece, il No è in vantaggio di 6 punti percentuali, ma le domande agli intervistati sono state poste il 15 ottobre.

Modificato da Redazione Web alle 19.30 del 22 ottobre 2016
UncleTom
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da UncleTom »

vox populi


NO Alberto61 • 30 minuti fa
Votare NO perché questa riforma è abominevole!
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TocTocPlanet Alberto61 • 19 minuti fa
e SPARGERE la voce a volontà!
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