Dove va l'America?

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camillobenso
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A OGNUNO IL SUO "ADOLF"




23 LUG 2016 11:36
1."THE DONALD" VOLA NEI SONDAGGI: E’ AVANTI ALLA CLINTON IN FLORIDA E PENNSYLVANIA. NEL DISCORSO D’ACCETTAZIONE DELLA NOMINATION REPUBBLICANA IL TYCOON HA ALTERATO I NUMERI SU OMICIDI, IMMIGRAZIONE E POVERTA’ MA LE SUE PAROLE SU UN’AMERICA STREMATA E ANGOSCIATA SUONANO VERE PER MOLTI STATUNITENSI PRONTI A DARGLI CARTA BIANCA

2. PIU’ CHE A REAGAN TRUMP SI ISPIRA A RICHARD NIXON E NE RIPRENDE ANCHE LO SLOGAN, "LAW AND ORDER": “IL NOSTRO CREDO SARÀ L' AMERICANISMO. LE ALTRE NAZIONI DEVONO RICOMINCIARE A TRATTARCI CON RISPETTO". L'EREDITA' DI OBAMA E HILLARY CLINTON? "MORTE, DISTRUZIONE, TERRORISMO E DEBOLEZZA” - L’APPELLO ALLA COMUNITA’ GAY E LE FRASI “RUBATE” AL SOCIALISTA BERNIE SANDERS PER DESCRIVERE LE SOFFERENZE SOCIALI



1. LA MESSINSCENA DI TRUMP
Federico Rampini per “la Repubblica”


L’eredità di Obama- Hillary? «Morte, distruzione, debolezza». «Questa convention si svolge mentre l’America è in crisi. La polizia è sotto attacco, il terrorismo minaccia il nostro modello di vita. C’è violenza per le strade, caos nelle nostre comunità ». Così Donald Trump giovedì sera ha aperto il suo discorso di “accettazione”.

Nel momento più solenne, mentre a Cleveland lui diventava ufficialmente il candidato del Partito Repubblicano alla Casa Bianca, ha scelto di parlare il linguaggio dell’Apocalisse. Ha descritto un’America stremata e angosciata, costringendo Barack Obama a intervenire l’indomani.


«Quest’idea che siamo sull’orlo di un crollo, questa visione cupa di violenza e caos dilaganti, non corrispondono alla realtà vissuta dagli americani», ha ribattuto il presidente ieri. Chi ha ragione dei due? Quale sentimento prevarrà l’8 novembre quando gli elettori dovranno scegliere un nuovo presidente?

Il discorso di Trump è stato interrotto più volte da ovazioni entusiaste in sala. Per i 2.500 delegati repubblicani è stata una chiusura trionfale. Hanno colto anche il messaggio positivo, praticamente uno solo, martellante: «Cambierà tutto da gennaio, quando alla Casa Bianca ci sarò io. Ristabilirò legge e ordine. Io sarò il vostro difensore. Io darò voce ai dimenticati. L’America con me tornerà a essere leader, unita, grande e orgogliosa ».


Gli osservatori indipendenti, i grandi media, hanno verificato i dati che Trump ha usato per giustificare la visione tragica e angosciosa del presente. Raggiungendo conclusioni diverse. Il New York Times lo ha promosso, a sorpresa, accettando come buoni molti dati citati da Trump nel palazzo dello sport di Cleveland (una novità, vista la fama del tycoon come «bugiardo patologico », definizione di Ted Cruz).

Il Washington Post è di parere opposto: le statistiche di Trump sono selezionate in modo arbitrario per distorcere la realtà. A metà strada c’è un ampio ventaglio di verdetti che includono Cnn, la radio pubblica Npr, il sito Politifact, e naturalmente la puntigliosa confutazione di Obama.

«L’anno scorso gli omicidi sono saliti del 17% nelle 50 maggiori città americane, è il più forte aumento da 25 anni», ha detto Trump sottolineando il tema dell’insicurezza. Il dato è esatto anche se parziale, esclude delle città come New York (la più grande) dove invece gli omicidi continuano a scendere. Falsa, invece, l’altra affermazione di Trump secondo cui «dall’anno scorso sono aumentati del 50% i poliziotti uccisi ». Ma le sue parole suonano vere per molti americani (e infatti nei sondaggi Trump sale sfiorando il pareggio con la Clinton), essendo pronunciate a brevissima distanza dalle stragi di Dallas e Baton Rouge, in tutto otto agenti di polizia uccisi in una sola settimana in azioni di “vendetta” compiute da afroamericani.

E quanta insicurezza è dovuta all’immigrazione clandestina? Trump sul palco di Cleveland ha lanciato l’allarme per «i 180 mila stranieri illegali con precedenti penali che, pur essendo stati raggiunti da ordini di espulsione, si aggirano sul nostro territorio e minacciano i cittadini onesti». Il dato è preciso, i ghostwriter di Trump lo hanno preso dalle statistiche governative.

C’è un dettaglio importante, però, che Trump ha tralasciato. Per gran parte di quegli stranieri i “precedenti penali” sono semplicemente il reato d’immigrazione clandestina, dunque non si tratta per forza di individui pericolosi.

Parlando di economia, Trump ha esagerato come di consueto i dati sulla disoccupazione di alcune categorie. Ha attribuito ai giovani neri un tasso di disoccupazione del 58% mentre è del 31%. Ha rilanciato la sua teoria sui «14 milioni di americani scomparsi dalle statistiche della forza lavoro», mentre per la maggior parte si tratta semplicemente di baby- boomer che hanno raggiunto l’età della pensione. Ha sostenuto che il reddito medio della famiglia americana è più basso di 4 mila dollari rispetto all’anno 2000, ma questo è un dato vecchio di due anni, in realtà grazie alla ripresa i redditi sono tornati uguali a quelli di 16 anni fa. Altri indicatori dicono che la crescita economica durante gli anni di Obama ha creato 15 milioni di posti, e che la disoccupazione Usa oggi è ai minimi storici.

Ma contestargli queste inesattezze o parzialità non risponde alla sostanza delle sue accuse. Alla convention lui ha accusato la «mitologia dei media» che impediscono di vedere la realtà per quello che è. Conta quello che viene percepito da ampie fasce della popolazione, per le quali l’impoverimento o il declino delle aspettative dei figli sono un assillo quotidiano, non guaribile con statistiche. Trump ruba le frasi a Bernie Sanders per descrivere le sofferenze sociali che sette anni di crescita obamiana non hanno curato.
La sua requisitoria contro la politica estera dei democratici è semplicistica ma efficace.

Le stragi terroristiche continuano, dando ragione al pessimismo di Trump che vede un islamismo più diffuso e pericoloso oggi rispetto al 2009, quando arrivarono al potere Obama e la Clinton. Certo è arbitrario indicare in loro due i colpevoli del caos mondiale, ma anche gli elettori democratici fanno un bilancio negativo su quel che è successo in Medio Oriente dopo il tramonto delle primavere arabe. Il candidato che ha travolto l’establishment repubblicano parla un linguaggio semplice e chiaro quando di fronte all’islamismo dice: «Non ammetterò dentro i nostri confini chi non ama il nostro paese e il nostro popolo».
camillobenso
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA






LIBRE news

Trump snobba anche la Nato, ma non facciamoci illusioni
Scritto il 27/7/16 • nella Categoria: idee Condividi


Donald Trump è strepitoso. Con la leggerezza che lo contraddistingue, ieri ha messo in dubbio addirittura l’automatismo del sistema di difesa della Nato, voluto storicamente dagli stessi Stati Uniti. Alla domanda del “New York Times” su come si sarebbe comportato nel caso di una richiesta di intervento militare da parte di un’altra nazione Nato, Trump ha candidamente risposto: «Dipende da come loro si sono comportati con noi. Se hanno rispettato i loro obblighi verso di noi, allora sì, potremmo intervenire». In altre parole, Donald Trump ha messo gli accordi Nato sullo stesso piano di un qualunque contratto di lavoro: se tu rispetti gli impegni che hai preso con me, allora io rispetterò quelli che ho preso con te. Altrimenti, sono affari tuoi. La reazione del segretario generale della Nato, Stoltenberg, non si è fatta aspettare: «La solidarietà fra le nazioni partecipanti – ha detto – è un punto centrale per la Nato». Ma Donald Trump da questo orecchio sembra non sentirci. Per lui contano solo gli interessi americani, e l’unico punto di vista che conta è il punto di vista americano.Esattamente come per i suoi business, Trump dice: «Se qualcosa mi conviene la faccio, altrimenti no». E il bello è che se una cosa gli conviene o meno, lo decide soltanto lui. Per ora i sondaggi danno ancora un leggero vantaggio per Hillary Clinton, ma molte cose possono cambiare da oggi a novembre, e di certo nessuno se la sente di escludere che alla Casa Bianca possa andarci davvero Trump. Ma non si faccia illusioni, chi spera magari in un ribaltamento degli equilibri internazionali dovuto ad una presidenza così poco ortodossa come quella di Trump: anche George Bush, nella campagna elettorale del 2000, predicava che gli Stati Uniti dovevano tirarsi indietro dal “nation building”, e che dovevano tornare a farsi gli affari propri, in casa loro. Poi è arrivato l’11 Settembre, e abbiamo visto tutti com’è andata a finire.E anche con l’avvento di Barack Obama le cose non sono cambiate molto. Pur partito con gli intenti migliori (chiudere Guantanamo, ritirarsi da Afghanistan e Iraq), anche il presidente nero ha dovuto fare marcia indietro, e trasformarsi lentamente in un guerrafondaio lui stesso. Se quindi per caso dovesse vincere Donald Trump, l’unica cosa “divertente” che potremo fare sarà quella di osservare che cosa riusciranno a combinare gli uomini del complesso militare industriale, per trasformare anche lui in un nuovo, forse ineguagliabile, “premio Nobel per la pace”. Chi comanda alla fine sono sempre loro. Questo non scordiamolo mai.

(Massimo Mazzucco, “Donald Trump e la Nato”, da “Luogo Comune” del 21 luglio 2016).
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REPUBBLICANI
Usa, Trump ha successo perché siamo tutti più scemi
Sembra 
la caricatura fumettistica di 
un ricco furfante e parla come un vero briccone. A volte si pone come l’eroe misogino di un western. Ma chi è? Capitan America 
o un candidato alla presidenza? Tutte e due le cose
DI RICHARD ZIMLER*
01 agosto 2016


Un anno fa ho tenuto una conferenza sull’importanza della narrazione e per dimostrare la mia tesi sull’infantilizzazione del cinema americano ho fatto una ricerca sui primi film in classifica nel 2014. Ecco i maggiori successi di quell’anno: “Capitan America”, “X-Men”,“Guardiani della Galassia”, “Interstellar”, “Cattivi vicini” “Tartarughe Ninja”. Oggi, quasi tutti i film che ottengono i maggiori incassi in America sono rielaborazioni di fumetti, commedie adolescenziali 
e fanta-western. O si basano 
su trame sciocche, stereotipate (il bene supremo contro il male implacabile). Spesso, come nel film “Lego Movie” sembra che siano state scritte per vendere giocattoli ai bambini.

Il problema però è che questi film vengono visti e apprezzati anche da decine di milioni 
di adulti. Un gran numero 
di uomini e donne fra i venti 
e i cinquant’anni li trovano eccitanti.

Adesso - quasi fosse un destino - questi spettatori istupiditi hanno un perfetto candidato presidenziale: Donald Trump che sembra 
la caricatura fumettistica di 
un ricco furfante e parla come un vero briccone. Prendiamo, ad esempio, il suo piano per contenere gli immigranti messicani: «Vorrei costruire 
un muro, e nessuno costruisce muri meglio di me, credetemi, 
e lo costruirò senza spendere. Costruirò un grandissimo muro sul nostro confine meridionale. Ricordate queste mie parole».

Ma chi è? Capitan America 
o un candidato alla presidenza? Tutte e due le cose, a quanto pare. Altre volte, parla come 
se si fosse calato nei panni dell’eroe misogino di un western: un John Wayne in abito elegante, per intenderci. Da qui le spacconate sul suo fascino sessuale: «Tutte le donne di “The Apprentice” hanno flirtato con me. C’era 
da aspettarselo, del resto».

Per creare l’immagine del vero uomo, rude, spesso insulta le donne in modi che lui ritiene intelligenti. Così si è espresso, per esempio, su una giornalista che lo criticava: «Arianna Huffington è poco attraente, sia dentro che fuori. Capisco bene perché il suo ex marito l’ha lasciata per un uomo. Ha preso una saggia decisione».
Per un pubblico che trova un film come “Cattivi vicini” uno spasso, questo è umorismo. A queste persone Trump appare un tipo divertente e intelligente. E le reti tv americane gli danno tanta visibilità proprio perché - come l’ultimo film della Marvel - con lui si può stare sicuri di ottenere buoni ascolti.

Quando la “Princeton Review” analizzò il lessico utilizzato 
nei dibattiti dai candidati presidenziali del 2000, scoprì che George W. Bush aveva 
il vocabolario di un bambino 
di quinta elementare, mentre quello di Al Gore era un po’ più ricco, come quello di un ragazzo di scuola media.

Secondo la stessa analisi, nei dibattiti presidenziali del 1858, Abraham Lincoln parlava come un ragazzo di terza liceo, mentre Stephen Douglas come uno di quarta. Nel tempo, il nostro sistema politico si è evoluto per fare appello a elettori che non sono in grado di comprendere un linguaggio più sofisticato di quello di “Toy Story” o di “Spider Man 3”.

Quest’anno, Donald Trump 
e i suoi seguaci repubblicani sembrano aver portato il livello del discorso a un gradino ancor più basso. E non solo in termini di vocabolario. Come non ricordare, ad esempio, la discussione fra Trump e Cruz sulle dimensioni dei genitali 
del candidato favorito dei repubblicani? Non solo, ma la vacuità delle posizioni di Trump su molte questioni interne 
e internazionali dimostra l’arroganza di un magnate provinciale che pensa di farsi strada verso la Casa Bianca con la prepotenza e con l’inganno. Ecco il suo discorso sui rapporti con la Cina: «Il nostro paese ha un grosso problema. Non vinciamo più. Una volta vincevamo, adesso non lo facciamo più. Quando abbiamo visto l’ultima vittoria contro la Cina in una trattativa commerciale? Io batterò la Cina, Sempre!». Per lui, si tratta sempre di una lotta del bene contro il male, cioè fra l’America e il resto del mondo.

Donald Trump è il candidato ideale per un pubblico 
di elettori che interpretano 
il mondo come se fosse 
un fumetto.

L’istupidimento dell’America non si fermerà tanto presto: è troppo redditizio. Ciò significa che, anche se Trump perde questa volta, possiamo star certi che nel prossimo futuro avremo più Capitan America in corsa per la Casa Bianca, che prometteranno di schiacciare 
il Dottor Doom e l’Islam, le critiche femministe e quelle 
di chiunque altro che non sarà d’accordo con loro. Se non miglioreremo sensibilmente 
il nostro sistema di istruzione, la qualità della produzione culturale e l’informazione sulle campagne elettorali, prima o poi ci ritroveremo uno di questi arruffapopolo alla Casa Bianca.

* Richard Zimler, scrittore, 
è autore de “Il cabalista 
di Lisbona”, “Gli anagrammi 
di Varsavia” e “The Night Watchman”.

Traduzione di Mario Baccianini

http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
camillobenso
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MONDO

Usa 2016: Donald Trump, tutto il potere agli stupidi
di Massimo Cavallini | 2 agosto 2016
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Massimo Cavallini
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“We’ve got to stop being the stupid party“, dobbiamo smetterla di essere il partito degli stupidi. Questo disse Bobby Jindal, governatore della Louisiana, durante il tradizionale winter meeting, la riunione d’inverno del Republican National Commitee. Era il 25 gennaio del 2013 e la sonora sconfitta elettorale di Mitt Romney, il candidato repubblicano contrapposto al presidente uscente, Barack Obama, era vecchia d’appena un paio di mesi. Il che inevitabilmente trasformava quell’incontro dello Stato Maggiore del Gop (Grand Old Party) nel primo atto d’un processo di contrizione e revisione. O, più esattamente, come molti scrissero, nella prima puntata di quella che intendeva essere una spietata autopsia del proprio cadavere.

Di che cosa era “morto”, due mesi prima, il Partito Repubblicano? Per l’appunto: “di stupidità” aveva provocatoriamente risposto Bobby Jindal, primo governatore d’origine asiatica nella storia degli Stati Uniti. E, così dicendo, aveva affondato il coltello in quella che non solo lui percepiva, dopo la sconfitta di novembre, come una delle più infette piaghe della politica repubblicana. Vale a dire: l’ostentato antintellettualismo che – in dichiarata contrapposizione ad un ipotetico “establishment cultural-mediatico”, nonché, ovviamente, al vituperatissimo politically correct – era progressivamente divenuto una dei più visibili vessilli del Gop. E che, a sua volta, altro non era che uno dei risvolti della strategia d’un partito rimasto politicamente e demograficamente immobile in un paese che andava profondamente trasformandosi.

Appena tre mesi dopo quella riunione e quello stupid – un auto-insulto che, in realtà, non era che un grido di dolore – il Rnc aveva pubblicato un documento di quasi 100 pagine ufficialmente intitolato Growth and Opportunities Project. Ovvero: il risultato della “autopsia” di cui sopra, essenzialmente basata sull’impietosa analisi statistica dei voti perduti. Chi sono gli elettori che, dopo il 2008, hanno smesso di votare (o hanno scelto di non votare) repubblicano? E perché l’hanno fatto? Lo hanno fatto, rispondeva il rapporto citando una minuziosa inchiesta d’opinione, perché il Grand Old Party veniva da loro percepito come scary, narrow minded, out of touch. Ovvero: come il partito della paura, intellettualmente limitato e distaccato dalla realtà. In sintesi: come il partito degli stuffy old men, dei vecchi ammuffiti. Vecchi, maschi, bianchi e d’assai modesto curriculum scolastico (gli “stupidi”, per l’appunto).

Conclusione: per mantenere qualche seria possibilità di riconquistare la Casa bianca il Gop doveva ripulire la propria immagine ed allargare la propria base elettorale adattandola ad una realtà in rapida trasformazione. Doveva ristabilire, o rendere più visibili, i contatti con le élite intellettuali ed estendere il proprio messaggio a minoranze che, se valutate nel loro complesso, ormai da tempo non sono più tali: donne, latinos, afro-americani, immigrati di ogni origine. Doveva cessare d’essere – per tornare all’appello di Jindal – the stupid party: bianco, maschio e incolto.

Fine del flash-back. Dissolvenza. Giorni nostri. Primo piano sul volto rubizzo di Donald Trump che, dal podio della convention repubblicana di Cleveland, pronuncia il suo discorso d’accettazione della candidatura per il partito repubblicano. Un lungo (75 minuti), rabbioso e divagante rantolo sormontato – tra xenofobi e apocalittici accenti, false statistiche e frottole da circo – da un unico riconoscibile concetto: “I alone can fix it” solo io posso mettere a posto le cose.
camillobenso
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Media ridicoli: Trump impresentabile, come Silvio e Reagan
Scritto il 04/8/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi


Ricordate la battuta di Marx su Napoleone III? La storia si ripete sempre due volte, scriveva il genio di Treviri, la seconda in forma di farsa. Di recente la storia ha preso il vizio di ripetersi più di due volte, ma la battuta funziona ancora, solo che, a ogni replica, l’elemento farsesco si acuisce, fino al grottesco. La colpa è dei media, i quali, nel raccontarci il mondo contemporaneo, ripropongono ossessivamente gli stessi schemi, che suonano ogni volta più ridicoli e stantii. Un esempio? Guardate come ci stanno raccontando la resistibile ascesa di Donald Trump, fino alla sua “intronazione” a candidato repubblicano alle imminenti elezioni presidenziali americane – evento che si è appena celebrato in quel di Cleveland. Ogni volta che leggo un articolo sul “New York Times”, sull’“Economist”, sul “Guardian” o sul nostro “Corriere della Sera”, mi scattano ricordi su come, qualche decennio fa, furono raccontate le fortune politiche di personaggi come Ronald Reagan o Silvio Berlusconi: il primo dipinto come un vecchio, patetico attore di western, un ridicolo parvenu che, se fosse riuscito a farsi eleggere, avrebbe sicuramente combinato pasticci; il secondo come un volgare arricchito, digiuno di ogni più elementare nozione e competenza politica, destinato a ottenere, tuttalpiù, una breve parentesi di notorietà come Guglielmo Giannini e il suo Uomo Qualunque.Sappiamo come sono andate le cose: Reagan ha inaugurato la controrivoluzione liberista e contribuito ad affossare l’impero sovietico, Berlusconi si è trasformato nell’“eroe” di un ventennio che ha rivoltato come un calzino il nostro sistema politico. Ed entrambi sono stati servilmente celebrati come straordinari “innovatori” dai media che li avevano presi in giro. Ora tocca a Trump. La grande stampa americana non riesce a digerire il fatto che un outsider si sia fatto beffe dell’establishment repubblicano e delle lobby che lo sostengono, per cui, scongiurato il pericolo di una candidatura Sanders in campo democratico, si stanno scatenando, sia attaccandone da “sinistra” (parola che suscita ilarità ove si considerino i pulpiti da cui provengono gli attacchi) le dichiarazioni razziste, sessiste e xenofobe, sia cercando di metterne in ridicolo i gesti, l’aspetto fisico e il linguaggio. Il “Corriere” del 19 luglio scorso si è allineato a tale strategia, pubblicando un articolo dello scrittore Richard Ford in cui leggiamo frasi come «non potrei cenare da solo con Trump nel mio ristorante preferito di Parigi. Rovinerebbe la cena»; oppure: «Sono certo che non potrei discutere con lui di un grande romanzo appena letto»; mentre, nella pagina a fianco, compare un trafiletto sulla “odissea tricologica” del tycoon (accompagnato da immagini che ritraggono Trump nelle varie fasi della metamorfosi subita dalla sua improbabile chioma).Sorvolando sui tempi in cui il “Corriere” sviolinava Berlusconi (dimostrandosi assai più indulgente con le di lui chiome), è chiara l’intenzione di mettere alla gogna questo “villano rifatto”. Al pari di sua moglie, sbeffeggiata in un altro articolo di Maria Laura Rodotà, nel quale ci si chiede come potrebbe questa “ex modella di biancheria intima” diventare First Lady. Essendo cinico e maligno, penso che a nessuno di questi giornali importi qualcosa se alla Casa Bianca dovesse approdare un “cafone” (non sarebbe certo il primo). Ciò che spaventa non è il candidato sporco, brutto e cattivo: sono gli elettori sporchi brutti e cattivi, cioè quel proletariato bianco impoverito e incazzato che sostiene Trump allo stesso modo in cui si è “permesso” di votare Brexit. Così come spaventano le sparate di Trump contro il free trade, le promesse di abbandonare l’Europa al proprio destino (si paghi da sola le sue avventure neocoloniali), le minacce contro Wall Street e i super ricchi e altre cosette di sinistra che sembra aver “rubato” al populista di sinistra Bernie Sanders.Vorrei rassicurare lor signori: non credo che Trump possa vincere, visto che la macchina politica – ormai trasversale – e le super lobby che appoggiano la Clinton le regaleranno quasi certamente la vittoria (benché la maggioranza del popolo americano la odi cordialmente – e con buone ragioni). Ma quand’anche vincesse, vedrete che la sua demagogia antisistema sparirà come d’incanto, e lui farà esattamente quello che l’establishment si attende da un “buon” presidente. Dopodiché “New York Times”, “Economist”, “Corriere” e compagnia cantante inizieranno a sviolinarlo così come hanno sviolinato Reagan e Berlusconi. Un’altra replica, un’altra farsa.

(Carlo Formenti, “Trump e i media, la storia si ripete in farsa”, da “Micromega” del 21 luglio 2016).
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Media ridicoli: Trump impresentabile, come Silvio e Reagan
Scritto il 04/8/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi


Ricordate la battuta di Marx su Napoleone III? La storia si ripete sempre due volte, scriveva il genio di Treviri, la seconda in forma di farsa. Di recente la storia ha preso il vizio di ripetersi più di due volte, ma la battuta funziona ancora, solo che, a ogni replica, l’elemento farsesco si acuisce, fino al grottesco. La colpa è dei media, i quali, nel raccontarci il mondo contemporaneo, ripropongono ossessivamente gli stessi schemi, che suonano ogni volta più ridicoli e stantii. Un esempio? Guardate come ci stanno raccontando la resistibile ascesa di Donald Trump, fino alla sua “intronazione” a candidato repubblicano alle imminenti elezioni presidenziali americane – evento che si è appena celebrato in quel di Cleveland. Ogni volta che leggo un articolo sul “New York Times”, sull’“Economist”, sul “Guardian” o sul nostro “Corriere della Sera”, mi scattano ricordi su come, qualche decennio fa, furono raccontate le fortune politiche di personaggi come Ronald Reagan o Silvio Berlusconi: il primo dipinto come un vecchio, patetico attore di western, un ridicolo parvenu che, se fosse riuscito a farsi eleggere, avrebbe sicuramente combinato pasticci; il secondo come un volgare arricchito, digiuno di ogni più elementare nozione e competenza politica, destinato a ottenere, tuttalpiù, una breve parentesi di notorietà come Guglielmo Giannini e il suo Uomo Qualunque.Sappiamo come sono andate le cose: Reagan ha inaugurato la controrivoluzione liberista e contribuito ad affossare l’impero sovietico, Berlusconi si è trasformato nell’“eroe” di un ventennio che ha rivoltato come un calzino il nostro sistema politico. Ed entrambi sono stati servilmente celebrati come straordinari “innovatori” dai media che li avevano presi in giro. Ora tocca a Trump. La grande stampa americana non riesce a digerire il fatto che un outsider si sia fatto beffe dell’establishment repubblicano e delle lobby che lo sostengono, per cui, scongiurato il pericolo di una candidatura Sanders in campo democratico, si stanno scatenando, sia attaccandone da “sinistra” (parola che suscita ilarità ove si considerino i pulpiti da cui provengono gli attacchi) le dichiarazioni razziste, sessiste e xenofobe, sia cercando di metterne in ridicolo i gesti, l’aspetto fisico e il linguaggio. Il “Corriere” del 19 luglio scorso si è allineato a tale strategia, pubblicando un articolo dello scrittore Richard Ford in cui leggiamo frasi come «non potrei cenare da solo con Trump nel mio ristorante preferito di Parigi. Rovinerebbe la cena»; oppure: «Sono certo che non potrei discutere con lui di un grande romanzo appena letto»; mentre, nella pagina a fianco, compare un trafiletto sulla “odissea tricologica” del tycoon (accompagnato da immagini che ritraggono Trump nelle varie fasi della metamorfosi subita dalla sua improbabile chioma).Sorvolando sui tempi in cui il “Corriere” sviolinava Berlusconi (dimostrandosi assai più indulgente con le di lui chiome), è chiara l’intenzione di mettere alla gogna questo “villano rifatto”. Al pari di sua moglie, sbeffeggiata in un altro articolo di Maria Laura Rodotà, nel quale ci si chiede come potrebbe questa “ex modella di biancheria intima” diventare First Lady. Essendo cinico e maligno, penso che a nessuno di questi giornali importi qualcosa se alla Casa Bianca dovesse approdare un “cafone” (non sarebbe certo il primo). Ciò che spaventa non è il candidato sporco, brutto e cattivo: sono gli elettori sporchi brutti e cattivi, cioè quel proletariato bianco impoverito e incazzato che sostiene Trump allo stesso modo in cui si è “permesso” di votare Brexit. Così come spaventano le sparate di Trump contro il free trade, le promesse di abbandonare l’Europa al proprio destino (si paghi da sola le sue avventure neocoloniali), le minacce contro Wall Street e i super ricchi e altre cosette di sinistra che sembra aver “rubato” al populista di sinistra Bernie Sanders.Vorrei rassicurare lor signori: non credo che Trump possa vincere, visto che la macchina politica – ormai trasversale – e le super lobby che appoggiano la Clinton le regaleranno quasi certamente la vittoria (benché la maggioranza del popolo americano la odi cordialmente – e con buone ragioni). Ma quand’anche vincesse, vedrete che la sua demagogia antisistema sparirà come d’incanto, e lui farà esattamente quello che l’establishment si attende da un “buon” presidente. Dopodiché “New York Times”, “Economist”, “Corriere” e compagnia cantante inizieranno a sviolinarlo così come hanno sviolinato Reagan e Berlusconi. Un’altra replica, un’altra farsa.

(Carlo Formenti, “Trump e i media, la storia si ripete in farsa”, da “Micromega” del 21 luglio 2016).
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Piovono Rane
di Alessandro Gilioli
04 ago


Chi ci ha portato nell'era della pancia
Ieri leggevo su un sito americano un po' di interviste a elettori che voteranno Trump e mi ha colpito una tizia (già fan di Sanders) che diceva: "Almeno lui è vero".

A noi Trump pare tutto fuori che "vero", con quei capelli che nemmeno Biscardi, i lineamenti alterati dal bisturi, quei vestiti da manichino.

Invece a molti pare "vero" e forse basta vedere un suo comizio per capire cosa intendono.

Trump, tanto per cominciare, nel suo parlare a braccio va oltre il rifiuto del "politichese": arriva infatti a evitare proprio i ragionamenti lineari, a scansare la coerenza razionale. In altri termini, emette un flusso emotivo e su questo punta: anche quando questo si contraddice. Anzi: proprio nelle sue contraddizioni.

Può dire, anzi dice, nello stesso comizio cose logicamente contrarie una all'altra, in termini di tasse e di spesa pubblica ad esempio, ma anche di istruzione e di sanità, di guerre e di isolazionismo. Lo fa all'interno di alcuni punti fermi elementari (tipo Cina=male, veterani=bene; messicani=male, armi libere=bene, musulmani=male, prodotti americani=bene) ma poi tutto il resto è flusso emotivo, onde e risacche, senza (volutamente senza) una coerenza logica.

Sembra "vero" insomma perché rifugge subcorticalmente la razionalità e parla per emozioni, affetti, rancori; si contraddice e non se ne preoccupa, anzi: la contraddizione appare come una bastonata in più al ragionamento logico, tecnico, coerente e sistematico.

E si dà il caso, purtroppo, che il ragionamento tecnico (tecnocratico) abbia prodotto molti danni, ultimamente. Essendo stato usato in modo truffaldino, s'intende, ma ha provocato danni. Ci sono state persone molto logiche, pacate, razionali, forti di numeri e coerenze, che hanno fatto male alle persone, alla maggior parte delle persone.

Da noi, in Italia, questa fredda razionalità tecnica ha avuto anche un simbolo incarnato: Mario Monti. Per capirci. Ora c'è mezzo pianeta in rivolta contro i suoi Mario Monti. C'è mezzo mondo che ha imparato a diffidare di quella razionalità lì. Di quella tecnocrazia lì: che dietro i ragionamenti e i numeri, dietro la preparazione tecnica, nascondeva - mi si perdoni - un gigantesco cetriolo. E adesso, per reazione, si cerca chi non parla per ragionamenti e numeri, ma per flussi emotivi incoerenti. Questi ultimi sembrano più "veri", appunto.

Ecco perché sarà molto, molto dura per la signora Clinton. Difficile immaginare persona più freddamente logica. E più pateticamente a disagio quando tenta di comunicare emozioni.

Questa la situazione, oggi. Non solo in America. Pensate a Farage o agli altri leader pro Brexit. E così via, in quasi tutta Europa.

A tutto questo è stato dato il nome di "populismo", termine tanto abusato e strattonato che già non se ne può più. Personalmente, credo piuttosto che il problema affondi le sue radici e le sue cause proprio nella grande truffa di chi ha ridotto il ceto medio in semipovertà e in angoscia di futuro - per il vantaggio di pochissimi - proprio usando i "ragionamenti", la tecnica, i propri raffinati studi economici e la propria pacata allure istituzionale.

Sono loro, che hanno armato la bocca di Trump e dei Trump, sono loro che ne stanno riempendo le urne. Loro, i truffatori della razionalità, gli abusatori della razionalità, che ci hanno gettato nell'era in cui vince il flusso emotivo incoerente e quelli che meglio lo interpretano.

Ci vorrà tempo, per liberarci dei primi come dei secondi, certo.

Ma soprattutto non ci liberemo dei secondi senza esserci liberati dai primi, che li causano.
camillobenso
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Re: Dove va l'America?

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Bomba atomica, gaffe e scontri nel partito
Trump a picco tra i Repubblicani e nei sondaggi

Dal mancato appoggio allo speaker uscente alle polemiche con la madre del soldato morto: gli ultimi giorni di campagna elettorale del miliardario sembrano un suicidio politico. E il suo fronte perde pezzi

Mondo
Un partito ben oltre lo sfascio. Un candidato avvitato sul proprio ego, incontrollabile, pronto a distruggere tutto ciò che gli si para davanti – forse anche se stesso. E’ l’immagine del partito repubblicano e di Trump in questi giorni. Non che manchi l’entusiasmo attorno al candidato. A luglio 82 milioni di dollari sono entrati nelle casse della sua campagna, la gran parte in piccole donazioni. Quello che manca è tutto il resto. Unità. Strategia. Idee. E le ultime mosse del miliardario acuiscono l’imbarazzo repubblicano di Roberto Festa


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Elezioni Usa 2016, Donald Trump mette in imbarazzo il partito e la sua candidatura. E i sondaggi ora lo danno sconfitto

Mondo
Il mancato appoggio allo speaker uscente, gli scivoloni sull'uso della bomba atomica, le polemiche con la madre del soldato morto e decorato con la massima onoreficenza, le gaffes con i bambini: gli ultimi giorni di campagna elettorale del miliardario hanno messo in difficoltà i repubblicani, che iniziano a perdere pezzi al pari del fronte che sostiene Trump
di Roberto Festa | 4 agosto 2016
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Un partito ben oltre lo sfascio. Un candidato avvitato sul proprio ego, incontrollabile, pronto a distruggere tutto ciò che gli si para davanti – forse anche se stesso. E’ l’immagine del partito repubblicano e di Donald Trump in questi giorni. Non che manchi l’entusiasmo attorno al candidato. Nel solo mese di luglio, 82 milioni di dollari sono entrati nelle casse della sua campagna, la gran parte in piccole donazioni. Quello che manca è tutto il resto. Unità. Strategia. Idee. Partiamo dall’ultimo episodio. L’opzione nucleare. O “l’incubo nucleare”, come l’ha chiamato qualcuno. Mercoledì mattina Joe Scarborough, che conduce “Morning Joe”, un programma di MSNBC, dice che Trump avrebbe chiesto almeno tre volte a un esperto di politica estera: “Perché, se abbiamo l’atomica, non la possiamo usare?” Scarborough non cita la fonte, ma spiega che la cosa è totalmente affidabile.


Scoppia la polemica. Già Hillary Clinton, nel discorso finale della Convention democratica, ha detto: “Non possiamo permetterci che uno come Trump abbia il controllo del bottone nucleare”. I nuovi commenti ora spiegano che le domande di Trump sull’atomica ribaltano decenni di politica nucleare, basata sulla “deterrenza” e non sull’uso delle armi. La campagna di Trump interviene affermando che il candidato non ha “assolutamente fatto la domanda sull’uso dell’atomica”. Emergono però altre frasi che Trump ha disseminato in televisione, a MSNBC e Fox News, lo scorso marzo. Alla domanda se può escludere l’uso dell’atomica in Medio Oriente ed Europa, Trump ha spiegato che no, non lo può escludere: “E l’Europa è così grande. Non mi privo di nessuna opzione…”.

Si dirà che si tratta di affermazioni che rivelano una certa ingenuità da parte di un candidato non abituato a maneggiare i grandi temi della politica internazionale. E del resto è stato lo stesso Trump a sostenere che “Putin non andrà in Ucraina”, come se la crisi della Crimea del 2014 non fosse mai esistita. Il problema è che l’ingenuità – o pericolosità, secondo i punti di vista – in tema di nucleare si accompagnano a una serie di fronti, polemiche, cadute, enormità che Trump sta offrendo negli ultimi giorni. C’è stata la polemica con Khizr e Ghazala Khan, genitori di Humayun, il capitano di 24 anni ucciso da un’autobomba dopo aver messo al sicuro i commilitoni. I due hanno parlato alla Convention democratica, denunciando la proposta di Trump di bloccare l’arrivo dei musulmani negli Stati Uniti. “Se fosse per Donald Trump, Humayun non sarebbe mai stato in America. Trump offende continuamente il carattere dei musulmani. Non mostra alcun rispetto per le altre minoranze, per le donne, per i giudici, persino per i leader del suo stesso partito”. Da lì è partita un’escalation di accuse e controaccuse, con Trump che è arrivato a dire che anche lui, come i Khan, ha dovuto fare dei “sacrifici” nella vita. Alla domanda: “Quale tipo di sacrifici?”, ha risposto: “Ho costruito case. Ho dato lavoro a molta gente”.

A nulla sono valsi gli inviti alla prudenza di consiglieri e amici politici. Negli Stati Uniti non è mai una buona idea mettersi contro l’esercito; in particolare, non è vantaggioso, né moralmente accettabile, ingaggiare uno scontro pubblico con i genitori di un soldato morto e decorato con la massima onoreficenza. La cosa non ha frenato Trump, che si è lasciato andare a un profluvio di dichiarazioni e tweet contro i Khan (il fatto che la signora Khan, sul palco della Convention, non abbia parlato, è stata attribuita da Trump al fatto che è musulmana e che non può parlare in pubblico; lei ha risposto spiegando di non essere stata in grado di parlare perché distrutta dal dolore). L’imbarazzo dei repubblicani – il partito alleato tradizionale dell’apparato militare – è cresciuto, fino a quando John McCain, prigioniero di guerra in Vietnam, ha sentenziato: “La posizione di Trump non è quella repubblicana”.

McCain, insieme allo speaker della Camera Paul Ryan, sono stati del resto oggetto della successiva uscita di Trump. I due, McCain e Ryan, sono impegnati tra qualche giorno in primarie combattute per conquistare la candidatura a novembre. Decoro istituzionale vorrebbe che il candidato alla presidenza appoggi i candidati uscenti del partito, soprattutto se il candidato uscente è Ryan, massima carica istituzionale per i repubblicani. Trump ha però negato il suo sostegno (nonostante Ryan e McCain, sia pure con qualche esitazione, abbiano appoggiato Trump nella corsa alla Casa Bianca). “Ryan mi piace, ma non al punto di sostenerlo”, ha spiegato. Uomini legati a Trump, del resto, stanno apertamente facendo campagna per l’avversario di Ryan in Wisconsin. Un altro episodio non ha a che fare con la politica, bensì con il privato. E’ successo a un comizio in Virginia. Trump stava parlando della concorrenza commerciale della Cina agli Stati Uniti, quando un bambino ha cominciato a piangere in sala. Trump si è interrotto e rivolto alla madre: “Non ti preoccupare – le ha detto – amo i bambini. Amo i bambini. Sento quel bambino piangere. Mi piace. Che bambino. Che meraviglioso bambino”. Il candidato ha ripreso. Poi, di fronte al bambino che continuava a piangere, si è di nuovo rivolto alla madre: “In effetti, stavo scherzando. Porta quel bambino fuori della sala”.

Egocentrismo? Ingenuità politica? Sintomi di un disturbo più profondo della personalità? Sono le domande che a questo punto ci si fa e che sono state riassunte da Barack Obama quando ha detto che “Donald Trump è inadeguato a guidare gli Stati Uniti” e chiesto ai repubblicani di abbandonarlo. Sono proprio i repubblicani del resto ad apparire increduli. Fonti del partito dicono che il chair Reince Priebus, non uso a prendere posizioni troppo coraggiose, abbia telefonato a Trump e gli abbia urlato tutta la sua indignazione per la piega che la campagna sta prendendo. Sempre fonti interne al partito parlano di un prossimo intervento di Priebus, insieme a Newt Gingrich e Rudy Giuliani, due dei “grandi elettori” di Trump, per convincerlo a una campagna più controllata.

Intanto però il partito perde i pezzi. Hanno annunciato che non voteranno per Trump due deputati, Richard Hanna e Adam Kinzingersaid (quest’ultimo veterano della guerra in Iraq). Non voteranno Trump Maria Comella, ex capo staff di Chris Christie; e Stuart Stevens, ex consulente di Mitt Romney e tra gli strateghi repubblicani più ascoltati. Non voterà per Trump lo stesso Romney, che ha detto di voler scegliere Gary Johnson, il candidato dei libertarian. Mentre il silenzio dei tre Bush è più che rivelatore. La confusione non si limita peraltro al partito ma sembra allargarsi anche allo stesso staff di Trump. Testimoni parlano di collaboratori di Trump frustrati e sgomenti di fronte a un candidato che pare avviato al suicidio politico. Questa frustrazione è stata, sia pur velatamente, espressa dal capo della campagna di Trump, Paul Manafort, che in una dichiarazione a Fox News ha detto: “Sono in controllo delle cose che il candidato vuole io faccia”. Mentre Trump apre sempre nuovi fronti, i numeri per lui crollano. Un sondaggio Fox News dà Clinton avanti di 10 punti; per CNN il vantaggio è di 9 punti. Il credito politico che i repubblicani erano riusciti a conquistare alla Convention di Cleveland – soprattutto di fronte a una candidata debole, gravata da scandali e divisioni come Hillary Clinton – pare ormai completamente dissolto.
camillobenso
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Re: Dove va l'America?

Messaggio da camillobenso »

L'effetto-Trump è svanito? Il «tycoon» sembra il Titanic
In una settimana il candidato repubblicano è riuscito a disperdere consensi e fortuna. E non ha più soldi


Paolo Guzzanti - Sab, 06/08/2016 - 08:21
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Passata l'euforia e il balzo nei sondaggi dopo lo show della sua Convention, Donald Trump da una settimana sta colando a picco e anche la stampa amica come il Wall Street Journal ha smesso di sostenerlo perché ne ha combinate troppe.


Non che il campo democratico sia messo molto meglio perché la candidatura della Clinton si regge a forza di iniezioni miliardarie, pubblicità massiccia e una coreografia dispendiosa che la accompagna come un gigantesco matrimonio, o funerale. La Clinton è in testa, ma la qualità dello scontro è bassa: «Si sta diffondendo un neologismo che non avevo mai sentito dice la commentatrice Peggy Noonan ed è kakistocracy, un grecismo per dire il governo del peggio, la politica rivoltante».

La Clinton per ora stacca il rivale Trump di ben 9 punti, 43 a 34 (esistono in gara anche il libertario Gary Johnson con un buon dieci per cento e la verde Jill Stein con il cinque per cento) e se The Donald seguiterà a commettere altri errori andrà incontro alla catastrofe. Anzi, con una dichiarazione a sorpresa, visto il suo carattere fin troppo sicuro di sé, ha già detto che se per caso le elezioni di novembre dovessero andare male per lui, ciò vorrebbe senz'altro dire che sono state «rigged», truccate. Questo è accaduto dopo che Barack Obama, presidente in carica, chiamandolo per nome, ha detto che il candidato repubblicano non è all'altezza della presidenza per evidenti disturbi di personalità e di ignoranza.

Se Trump non avesse fatto gli errori che ha fatto come negare il sostegno a Paul Ryan per il rinnovo della sua carica di Chairman del Congresso, cosa che lo ha messo subito in conflitto con il suo possibile vicepresidente Mike Pence forse la Clinton sarebbe affondata nelle sabbie mobili delle email segrete riservate che lei ha trasferito sul suo server di posta personale mettendo a rischio la sicurezza del Paese. Hillary dice in proposito di essere stata totalmente scagionata dal direttore dell'Fbi James Comey che secondo lei avrebbe certificato la sua buona fede, mentre invece Comey ha soltanto detto che non consiglia un procedimento penale, rimproverando però a Hillary Clinton di essere stata «sloppy», trasandata con i documenti segreti che non le appartengono.

Un tale verdetto avrebbe tagliato le gambe di qualsiasi candidato, purché non avesse avuto come avversario un uomo bizzarro come The Donald che ha ingaggiato una poco nobile guerra contro il signor Khizr Khan, padre pakistano di un capitano dell'esercito americano morto in Irak per salvare i suoi soldati durante un attacco suicida. Il signor Khan era stato, con sua moglie - una «Gold Star Family» dal nome della medaglia concessa alla memoria del figlio - il pezzo forte della convention democratica dove aveva esclamato: «Ma lei, signor Trump, ha mai letto la Costituzione degli Stati Uniti? Questa è la mia copia. La vuole?».

Un altro handicap del candidato repubblicano è che non ha soldi: lui è ricchissimo, ma non ha grandi finanziatori. Questa settimana ha raccolto varie collette, ma si tratta di spiccioli mesi insieme dai suoi fans, come ha fatto finora Bernie Sanders. Per un bizzarro meccanismo della politica americana, i finanziamenti concessi a un candidato sono una prova della sua popolarità: se nessuno viene a riempire il tuo cappello mentre suona vuol dire che suona male. All'opposto, la Clinton trasuda milioni di dollari delle maggiori compagnie e corporazioni, soldi che può sbandierare come un segno di successo alla maniera calvinista: Dio premia i suoi prescelti.

Per risalire la china Trump cerca accordi con le grandi aziende per offrire ai lavoratori bianchi non laureati (il suo elettorato) qualche prospettiva concreta. Intanto, ha accusato la Clinton di aver autorizzato il versamento di quattrocentomila dollari per la liberazione di quattro americani prigionieri in Iran e la Clinton gli ha dato del pazzo. L'elettorato americano, di destra e di sinistra, per non dire di quello di centro, è attonito. Mai nelle campagne presidenziali il livello era sceso così in basso.

Un sondaggio del Wall Street Journal e di NBC Polls dimostra che entrambi i candidati presidenziali vengono considerati dagli elettori politicamente insignificanti e pericolosi. La Clinton è migliorata un po' nell'immagine anche se soltanto il 37 per cento degli elettori la vede positivamente mentre il 53 la detesta.

Quanto a Trump le sue uscite sulla Russia hanno imbarazzato anche il Cremlino impropriamente chiamato in causa. Lo stesso effetto hanno fatto le sue uscite sull'Ucraina e la questione delle molestie sessuali, argomento sul quale è tornato a litigare con la giornalista televisiva Magyn Kelly sul cui conto aveva fatto all'inizio della campagna allusioni al ciclo mestruale: «I suoi occhi sono iniettati di sangue e non soltanto gli occhi...».

Infine, circolano battute sul narcisismo di Trump il quale, quando si vede sullo schermo, chiama i collaboratori gridando: «Guardate che energia! Questo Trump è troppo forte, non può che vincere!». E con animo lieto salta e balla.
camillobenso
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Re: Dove va l'America?

Messaggio da camillobenso »

Se la situazione Usa è quella descritta da Maurizio Blondet,
non solo gli ammericà, sarebbero messi male, ma l'intero pianeta.




LIBRE news

Quelle strane morti nella campagna elettorale della Clinton

Scritto il 17/8/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


La campagna della Clinton è lastricata di morti sospette: gente che avrebbe potuto parlare contro di lei? In più, Hillary è regolarmente accompagnata da un uomo obeso che sembra il suo assistente medico. In una foto, l’obeso tiene in mano un auto-iniettore di Diazepam: nome commerciale “Valium”, è un farmaco indicato nel trattamento di ansia, insonnia, paranoie, persino allucinazioni e spasmi muscolari di varia gravità, fino alla sclerosi multipla. La candidata democratica, scrive Maurizio Blondet, ha subito un ictus nel 2013, per il quale sembra venga trattata con anticoagulanti. Il web s’è scatenato in diagnosi ipotetiche, che vanno dall’epilessia ad altre malattie neurologiche o cardiovascolari (fino alla sifilide, che avrebbe contratto dal marito). «Spesso la signora è confusa e si abbandona a movimenti spastici del capo; fa fatica a salire una piccola rampa di scale e inciampa spesso; ha talora una tosse convulsa o nervosa: che la candidata abbia problemi di salute che si aggravano, non pare dubbio», anche se i media fingono di non accorgersene. La cosa però non è sfuggita a Donald Trump, che ripete: “low energy”, Hillary è troppo debole per reggere una semplice conferenza stampa. Non ne tiene più da ben 7 mesi, infatti.Letteralmente, continua Blondet nel suo blog, Hillary non fa che dormire. E ha un dottore che la segue continuamente. Si chiama Oladotun Okunola, è un afroamericano corpulento. L’hanno ripreso mentre le mette una mano sulla spalla e le dice: “keep talking”, inizia pure a parlare. Un uomo dei servizi? Quella volta, «la Clinton si è ripresa e ha detto in tono semi-isterico, a voce molto alta, “here we are, I keep talking”, eccoci, ora parlo. Una candidata solo in parte padrona di sé? Ma il peggio, scrive Blondet, è quella che definisce la «inquietante lista di morti attorno alla campagna di Hillary: persone che per qualche motivo potevano rovinargliela». Il primo era l’avvocato Shawn Lucas, incaricato dai sostenitori di Bernie Sanders di querelare Debbie Wasserman Schultz, presidente della Convention democratica, dopo la fuga delle email in cui costei mostrava di favorire Hillary sul candidato Sanders – ragion per cui la Wasserman Schultz ha dovuto dimettersi. Il 2 agosto, l’avvocato Lucas è stato trovato morto nel bagno di casa dalla sua fidanzata. Sulle cause della morte le autorità non hanno dichiarato nulla.Il secondo uomo si chiama Seth Rich. Era direttore del Voter Expansion Data dei democratici. E’ stato ucciso da vari colpi di pistola alla schiena a due passi da casa. L’omicidio, annota Blondet, è avvenuto dopo che Wikileaks aveva spifferato le 20.000 email che provano che il Dnc, la struttura elettorale democratica, stava favorendo Hillary contro Sanders: e Seth Rich, per le sue mansioni, poteva essere lo spifferatore. Per la polizia è stato un tentativo di rapina finito tragicamente. Ma sul corpo della vittima c’erano ancora portafoglio e orologio. C’è poi il caso di Victor Thorn, giornalista, che sulla “American Free Press” (un periodico di destra estremamente ben informato) ha firmato decine di articoli-inchiesta contro il clan Clinton e i suoi segreti più oscuri; tre suoi saggi – una trilogia, “Crowning Clinton: Why Hillary Shouldn’t Be in the White House” – stavano per essere tradotti all’estero. Ma il 1° agosto Thorn è stato trovato morto, anche lui ucciso da un colpo di pistola presso casa. Suicidio, ha decretato la polizia.E poi Joe Montano, presidente del Dnc prima di Debbie Wasserman Schultz. Dopo che Wikileaks a diffuso le 20.000 email dello scandalo – scrive Blondet – Montano è morto improvvisamente il 25 luglio scorso. «Attacco cardiaco, è stato decretato: a 47 anni e nessuna storia di malattie». Infine la lista delle strani morti si completa con John Ashe, già presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: stava per essere sottoposto a un processo per aver accettato mazzette da un ricco cinese, Ng Lap Seng, nel 1996. «Seng aveva fatto donazioni illegali per la rielezione di Bill Clinton; Ashe avrebbe certamente dovuto testimoniare sui legami tra il cinese e i Clinton». E’ morto il 23 giugno scorso, il giorno stesso in cui avrebbe testimoniato. Secondo la polizia, stava sollevando un pesante bilancere da ginnastica ma se l’è fatto cadere addosso, e – sfortuna – l’attrezzo gli ha schiacciato la gola. «Cose che succedono», commenta Blondet, sarcastico. Che aggiunge: ad un comizio di Hillary vicino a Orlando, è apparso al suo fianco Seddique Mateen, il padre di Omar Mateen, protagonista della strage del 12 giugno in quella città. Ai giornalisti che gli hanno domandato come mai fosse al comizio, a soli due mesi dalla tragedia, papà Mateen ha risposto: «Hillary Clinton è buona per gli Stati Uniti, al contrario di Trump che non offre soluzioni».
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