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UncleTom
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Re: News dal mondo

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Sono passate 48 ore dall'annuncio dello Zar Vlad, ma non si sentono le reazioni a Stelle e Strisce.

755 diplomatici cacciati non sono pochi





Russia, cacciati 755 diplomatici americani da Mosca. Putin: “È la nostra risposta alle sanzioni statunitensi”


Mondo


La decisione di Mosca è diretta conseguenza delle nuove sanzioni approvate dal Senato statunitense con una larghissima maggioranza. Putin: "La parte americana ha fatto una mossa che non era stata provocata da nulla. Le nostre relazioni peggioreranno"



di F. Q. | 30 luglio 2017

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Più informazioni su: Donald Trump, Russia, Usa, Vladimir Putin


Ben 755 diplomatici americani dovranno lasciare la Russia dal primo settembre. A renderlo noto è il presidente Vladimir Putin citato dai media russi, dopo l’annuncio della misura ritorsiva contro gli Stati Uniti due giorni fa. “È venuto il momento di mostrare agli Usa che non lasceremo le loro azioni senza risposta – ha detto Putin – Washington ha assunto posizioni che peggiorano le nostre relazioni bilaterali. Possiamo mettere in campo anche altre misure per rispondere agli Usa”. Intervistato dalla rete Rossia-24, il leader russo ha chiarito che i trasferimenti verranno messi in atto entro settembre: “Più di un migliaio di persone lavoravano e stanno ancora lavorando” all’ambasciata Usa a Mosca e nei consolati per cui ora “755 di loro debbono porre fine alle loro attività in Russia”.

La decisione di Mosca è diretta conseguenza delle nuove sanzioni approvate dal Senato statunitense con una larghissima maggioranza, 98 voti favorevoli e 2 contrari, e che comprendono oltre alla Russia, anche Iran e Corea del Nord. Il provvedimento legislativo include anche limiti al potere del presidente Donald Trump di alleggerire o interrompere misure verso il governo di Mosca. Portando quindi di fatto il pacchetto, dopo l’approvazione avvenuta già alla Camera, sul tavolo del presidente di cui è necessaria la firma. “La parte americana ha fatto una mossa, che, è importante notare, non era stata provocata da nulla, per peggiorare le relazioni russo-americane – ha accusato Putin – Comprende restrizioni illegali, tentativi di influenzare altri Paesi del mondo, tra cui nostri alleati, che sono interessati a sviluppare ed avere relazioni con la Russia”.

“Abbiamo aspettato per molto tempo che qualcosa cambiasse in meglio – ha quindi sottolineato Putin, riferendosi ai rapporti con gli Stati Uniti – speravamo che la situazione cambiasse. Ma sembra che non cambierà in un futuro prossimo”. Per questo, ha detto, “ho deciso che era arrivato per noi il momento di dimostrare che non lasceremo tutto questo senza una risposta”. Nei giorni scorsi, dopo il via libera del Congresso alle nuove sanzioni, il ministero degli Esteri russo aveva fatto sapere di aver chiesto a Washington di ridurre a 455 il numero del suo staff diplomatico in Russia, che conta su oltre 1.200 persone.
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Rothschild Connection in Libia, grazie al loro uomo: Macron

Scritto il 02/8/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




«Ciò che avviene oggi in Libia è il nodo di una destabilizzazione dai molteplici aspetti»: lo ha dichiarato il presidente Emmanuel Macron celebrando all’Eliseo l’accordo che «traccia la via per la pace e la riconciliazione nazionale».

Macron attribuisce la caotica situazione del paese unicamente ai movimenti terroristi, i quali «approfittano della destabilizzazione politica e della ricchezza economica e finanziaria che può esistere in Libia per prosperare».

Per questo – conclude – la Francia aiuta la Libia a bloccare i terroristi.

Macron capovolge, in tal modo, i fatti.

Artefice della destabilizzazione della Libia è stata proprio la Francia, unitamente agli Stati Uniti, alla Nato e alle monarchie del Golfo.

Nel 2010, documentava la Banca mondiale, la Libia registrava in Africa i più alti indicatori di sviluppo umano, con un reddito pro capite medio-alto, l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e del 46% alla terziaria.

Vi trovavano lavoro circa 2 milioni di immigrati africani.

La Libia favoriva con i suoi investimenti la formazione di organismi economici indipendenti dell’Unione Africana.

Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – si accordarono per bloccare il piano di Gheddafi di creare una moneta africana, in alternativa al dollaro e al franco Cfa (moneta che la Francia impone a 14 sue ex colonie africane).

Fu la Clinton – Libiadocumenta il “New York Times” – a far firmare al presidente Obama «un documento che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino ad allora classificati come terroristi.

Poco dopo, nel 2011, la Nato sotto comando statunitense demolisce con la guerra (aperta dalla Francia) lo Stato libico, attaccandolo anche dall’interno con forze speciali.

Da qui il disastro sociale, che farà più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti.

Una storia che Macron ben conosce: dal 2008 al 2012 fa una folgorante (quanto sospetta) carriera alla Banca Rothschild, l’impero finanziario che controlla le banche centrali di quasi tutti i paesi del mondo.

In Libia la Rothschild sbarca nel 2011, mentre la guerra è ancora in corso.

Le grandi banche statunitensi ed europee effettuano allo stesso tempo la più grande rapina del secolo, confiscando 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici.

Nei quattro anni di formazione alla Rothschild, Macron viene introdotto nel gotha della finanza mondiale, dove si decidono le grandi operazioni come quella della demolizione dello Stato libico.

Passa quindi alla politica, facendo una folgorante (quanto sospetta) carriera, prima quale vice-segretario generale dell’Eliseo, poi quale ministro dell’economia.

Nel 2016 crea in pochi mesi un suo partito, MacronEn Marche!, un “instant party” sostenuto e finanziato da potenti gruppi multinazionali, finanziari e mediatici, che gli spianano la strada alla presidenza.

Dietro il protagonismo di Macron non ci sono quindi solo gli interessi nazionali francesi.

Il bottino da spartire in Libia è enorme: le maggiori riserve petrolifere africane e grosse riserve di gas naturale; l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, l’oro bianco in prospettiva più prezioso dell’oro nero; lo stesso territorio libico di primaria importanza geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medioriente.

C’è «il rischio che la Francia eserciti una forte egemonia sulla nostra ex colonia», avverte “Analisi Difesa”, sottolineando l’importanza dell’imminente spedizione navale italiana in Libia.

Un richiamo all’«orgoglio nazionale» di un’Italia che reclama la sua fetta nella spartizione neocoloniale della sua ex colonia.

(Manlio Dinucci, “Macron-Libia: la Rothschild Connection”, dal “Manifesto” del 1° agosto 2017).
UncleTom
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UncleTom ha scritto:Sono passate 48 ore dall'annuncio dello Zar Vlad, ma non si sentono le reazioni a Stelle e Strisce.

755 diplomatici cacciati non sono pochi





Russia, cacciati 755 diplomatici americani da Mosca. Putin: “È la nostra risposta alle sanzioni statunitensi”


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La decisione di Mosca è diretta conseguenza delle nuove sanzioni approvate dal Senato statunitense con una larghissima maggioranza. Putin: "La parte americana ha fatto una mossa che non era stata provocata da nulla. Le nostre relazioni peggioreranno"



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Ben 755 diplomatici americani dovranno lasciare la Russia dal primo settembre. A renderlo noto è il presidente Vladimir Putin citato dai media russi, dopo l’annuncio della misura ritorsiva contro gli Stati Uniti due giorni fa. “È venuto il momento di mostrare agli Usa che non lasceremo le loro azioni senza risposta – ha detto Putin – Washington ha assunto posizioni che peggiorano le nostre relazioni bilaterali. Possiamo mettere in campo anche altre misure per rispondere agli Usa”. Intervistato dalla rete Rossia-24, il leader russo ha chiarito che i trasferimenti verranno messi in atto entro settembre: “Più di un migliaio di persone lavoravano e stanno ancora lavorando” all’ambasciata Usa a Mosca e nei consolati per cui ora “755 di loro debbono porre fine alle loro attività in Russia”.

La decisione di Mosca è diretta conseguenza delle nuove sanzioni approvate dal Senato statunitense con una larghissima maggioranza, 98 voti favorevoli e 2 contrari, e che comprendono oltre alla Russia, anche Iran e Corea del Nord. Il provvedimento legislativo include anche limiti al potere del presidente Donald Trump di alleggerire o interrompere misure verso il governo di Mosca. Portando quindi di fatto il pacchetto, dopo l’approvazione avvenuta già alla Camera, sul tavolo del presidente di cui è necessaria la firma. “La parte americana ha fatto una mossa, che, è importante notare, non era stata provocata da nulla, per peggiorare le relazioni russo-americane – ha accusato Putin – Comprende restrizioni illegali, tentativi di influenzare altri Paesi del mondo, tra cui nostri alleati, che sono interessati a sviluppare ed avere relazioni con la Russia”.

“Abbiamo aspettato per molto tempo che qualcosa cambiasse in meglio – ha quindi sottolineato Putin, riferendosi ai rapporti con gli Stati Uniti – speravamo che la situazione cambiasse. Ma sembra che non cambierà in un futuro prossimo”. Per questo, ha detto, “ho deciso che era arrivato per noi il momento di dimostrare che non lasceremo tutto questo senza una risposta”. Nei giorni scorsi, dopo il via libera del Congresso alle nuove sanzioni, il ministero degli Esteri russo aveva fatto sapere di aver chiesto a Washington di ridurre a 455 il numero del suo staff diplomatico in Russia, che conta su oltre 1.200 persone.


Adesso ha reagito, ma a modo suo, "in maniera distensiva."



2 ago 2017 19:15
IL FESTIVAL DELLA SANZIONE

- TRUMP PROMULGA LE NUOVE RAPPRESAGLIE CONTRO LA RUSSIA: ‘QUESTA LEGISLAZIONE È SIGNIFICATIVAMENTE IMPERFETTA, E ALCUNE PARTI SONO INCOSTITUZIONALI’. LA LEGGE VOTATA DAL CONGRESSO IMPEDISCE INFATTI AL PRESIDENTE DI TRATTARE SULLE SANZIONI E INTERAGIRE CON FUNZIONARI STRANIERI




Da www.lastampa.it
 
Il presidente americano Donald Trump ha promulgato le nuove sanzioni economiche contro la Russia, adottate dal Congresso per punire Mosca dell’ingerenza nelle elezioni presidenziali americane. Lo ha annunciato la Casa Bianca, citata dalla Cnn. Le sanzioni, che riguardano principalmente il settore energetico russo, sono state criticate in particolare dall’Unione Europea che teme per le sue forniture di gas e condanna un’azione unilaterale.
 
Le sanzioni riguardano anche Iran e Nord Corea. Il Congresso ha votato la scorsa settimana il provvedimento, così larga maggioranza da aggirare un eventuale veto presidenziale, per punire Mosca oltre che per la sua presunta interferenza nelle elezioni presidenziali del 2016, anche per l’annessione della Crimea e altre violazioni al diritto internazionale. Il disegno di legge è stato approvato a larghissima maggioranza.
 
 
«Nonostante io sia a favore di misure per punire e dissuadere da comportamenti aggressivi e destabilizzanti da parte di Iran, Corea del Nord e Russia, questa legislazione è significativamente imperfetta», ha dichiarato Trump in una nota. «Nella fretta di approvare il disegno di legge, il Congresso ha incluso una serie di disposizioni chiaramente incostituzionali», ha aggiunto.
 
Secondo Trump «il disegno di legge incide soprattutto sull’autorità dell’esecutivo di negoziare. Limitando la flessibilità dell’esecutivo il disegno di legge rende più difficile per gli Stati Uniti ottenere buoni accordi per il popolo americano, e avvicinerà molto di più Cina, Russia e Corea del Nord». 
 
 
Inoltre, si legge «i nostri Padri costituenti hanno posizionato gli affari esteri nelle mani del presidente, e questo disegno di legge mostra la loro saggezza. Eppure - sottolinea Trump - nonostante i suoi problemi, ho firmato questo disegno di legge a favore dell’unità nazionale. Rappresenta la volontà del popolo americano vedere la Russia adottare misure per migliorare i rapporti con gli Stati Uniti.
 
Speriamo che ci sarà cooperazione tra i nostri due Paesi sulle grandi questioni globali affinché queste sanzioni non siano più necessarie». In particolare Trump se la prende con i passaggi che colpiscono la sua autorità di presidente e che, secondo quanto si legge nella nota, limiterebbero la possibilità del presidente di ricevere alcune visite di funzionari stranieri.

 
Già nel fine settimana le decisione del Congresso ha fatto crescere le tensioni con la Russia: il presidente russo, Vladimir Putin, ha definito la legge «illegale». Inoltre Mosca ha sequestrato due proprietà del consolato americano e ha obbligato gli Usa a ridurre il personale che hanno in Russia di 755 unità su 1.200 totali. Il documento prevede che ogni decisione di eliminare sanzioni da parte dell’amministrazione, dovrà essere sottoposta alla revisione del Congresso.
 
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ITALIA


Questo pazzo, pazzo, pazzo mondo non tiene più a furia di inseguire il dio denaro





5 ago 2017 15:39

1. UNA MODELLA INGLESE DI VENTI ANNI E’ STATA RAPITA A MILANO, TENUTA IN OSTAGGIO E MESSA ALL’ASTA NEL DEEP WEB, COME SCHIAVA DEL SESSO, PER TRECENTOMILA EURO

2. LA RAGAZZA E’ STATA ATTIRATA IN UN FINTO SET FOTOGRAFICO, DROGATA E SEQUESTRATA

3. POI IL SUO CARCERIERE, L’ANGLO-POLACCO LUKASZ PAWEL HERBA, LA LIBERA SPIEGANDOLE CHE C’E’ STATO UN ERRORE DI PERSONA COMMESSO DAL GRUPPO DI RAPITORI (“TU HAI UN FIGLIO DI DUE ANNI E LE NOSTRE REGOLE ESCLUDONO LE MADRI”). E POI LA MINACCIA FINALE: “TI LASCIAMO ANDARE MA POI TROVA IL MODO DI DARCI 50 MILA EURO, E SE PARLI SARAI ELIMINATA”

4. LA FANTOMATICA SETTA “BLACK DEATH”, I PUNTI OSCURI, LE DROGHE: ECCO LA STORIA


http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 153781.htm
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Ritirate dai supermercati milioni di uova contaminate. Da giorni in Germania e Belgio non si parla d'altro
1/30


AGI
cecilia scaldaferri
10 ore fa
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Allarme uova contaminate in Germania: a milioni, provenienti dall’Olanda, sono state ritirate dagli scaffali dei supermercati tedeschi dopo che sono state scoperte tracce di un insetticida, il Fipronil, usato solitamente per combattere parassiti negli animali, ma non in quelli destinati al consumo alimentare da parte dell’uomo. Al momento l'allarme non riguarda l'Italia che non è uno dei mercati coinvolti.
Circa 180 fattorie olandesi sono state temporaneamente chiuse, mentre continuano le analisi sui campioni e la procura ha aperto un’inchiesta per risalire alla fonte della contaminazione. Secondo Aldi, una delle più grosse catene di discount in Germania con quattromila punti vendita, il ritiro delle uova è “solo una precauzione, non ci sono ragioni per credere che ci siano rischi per la salute”.

Il Fipronil, cos’è e quali sono i rischi per gli uomini

Test su uova, sangue e feci dei polli hanno evidenziato alti livelli dell’insetticida che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) può provocare danni ai reni, tiroide e fegato se ingerito in grandi quantità per un certo periodo di tempo.
Altamente tossico, usato per proteggere le coltivazioni così come in veterinaria contro pulci, pidocchi e zecche, il Fipronil  può avere effetti anche sulle api da miele. L’insetticida può essere assorbito attraverso la pelle o ingerito.
Secondo l’Istituto federale per la valutazione del rischio, citato dalla Deutsche Welle, un bambino che pesa circa 16 kg potrebbe mangiare 1,7 uova al giorno – o prodotti che le contengono come pancake - senza raggiungere il livello in cui il Fipronil diventa pericoloso, mentre per un adulto di 65 kg si potrebbe arrivare fino a 7 uova al giorno.
Il ministro dell’Agricoltura per la Bassa Sassonia, Christian Meyer, ha dichiarato alla televisione che c’è un rischio per i bambini se mangiano due uova contaminate al giorno, aggiungendo che potrebbero essere in totale 10 milioni quelle arrivate in Germania dall’Olanda. Il ministero dell’Agricoltura di Berlino, però, finora ha parlato di 2,9 milioni di uova che si ritiene siano state esposte al Fipronil e sono state esportate in Germania prima del 22 luglio, quando le spedizioni sono state bloccate.

© Fornito da AGI - Agenzia Giornalistica Italia Spa

Le autorità belghe lo sapevano da giugno

Intanto, dal Belgio le autorità per la sicurezza alimentare hanno ammesso che sapevano già da giugno di una possibile contaminazione da Fipronil in uova provenienti da fattorie olandesi. Un’azienda di pollame li avrebbe avvertiti più di un mese fa di aver riscontrato un alto livello dell’insetticida nei loro prodotti. “Abbiamo immediatamente lanciato un’indagine e abbiamo anche informato il procuratore perché era una questione di possibile frode”, hanno spiegato. 
Secondo quanto riferito dal quotidiano olandese ‘De Volkskrant’, ripreso dal Guardian, si teme che la sostanza illegale sia stata mischiata con un altro insetticida autorizzato usato per accrescere la resa e il mix usato per oltre un anno. Dall’autorità competente olandese, la Nvwa, però non sono arrivate conferme. “Non abbiamo modo di accertarlo perché le uova sono state mangiate”, ha sottolineato un portavoce dell’agenzia per la sicurezza alimentare. “Stiamo ancora calcolando il numero di fattorie che sono state colpite e le analisi di 600 campioni sono in corso”.

I timori del sindacato olandese: rischi per un mercato da 10 miliardi di uova prodotte all’anno

L’Olanda è la più grossa produttrice europea di uova, e tra le maggiori al mondo, con un’esportazione di circa il 65% dei 10 miliardi di uova prodotte ogni anno. Da qui i timori della presidente del sindacato olandese dei produttori di pollame, Hennie de Haan, che ha messo in guardia contro reazioni eccessive.
“Se altri rivenditori seguono l’esempio di Rewe, il disastro non può essere trascurato”, ha affermato. “Se è temporaneo, è ancora possibile recuperare, ma se dura più a lungo, l’intero settore olandese, compresi i commercianti, è alla bancarotta. Non si può semplicemente trovare un mercato da 4,5 miliardi di uova all’anno”.


http://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/ ... spartanntp
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La Truffa dei Sei Giorni: così Israele eliminò l’Ataturk arabo

Scritto il 17/8/17 • nella Categoria: segnalazioni
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La Truffa dei Sei Giorni: «In realtà la guerra-lampo del 1967 durò appena 6 minuti, il tempo che impiegò l’aviazione israeliana per annientare quella egiziana, ancora a terra», senza che un solo aereo del Cairo avesse potuto decollare. E i famosi Sei Giorni? «Servirono solo a occupare e annettere territori non-israeliani, che da allora – con la sola eccezione del Sinai – fanno parte di Israele». Parola dello storico statunitense Norman Filkenstein, intervistato da Aaron Mate per l’emittente “The Real News” nel cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967, evento fondante del mito vittimistico dell’autodifesa di Israele, paese “attaccato dagli arabi”. Un falso storico, accusa l’autore del bestseller “Palestine: Peace Not, Apartheid”, tradotto in 50 paesi. Fu Israele a provocare il conflitto, afferma Filkenstein: abbattè deliberatamente alcuni aerei siriani, ben sapendo che l’Egitto sarebbe stato costretto a schierarsi con la Siria, cui era legato da un patto di mutua assistenza. Obiettivo segreto di Tel Aviv: conquistare falcilmente territori, sapendo (da Cia e Mossad) che gli arabi non avrebbero potuto resistere. E soprattutto: demolire il leader politico egiziano Nasser, temutissimo come possibile “Ataturk arabo”, capace di guidare lo sviluppo laico del Medio Oriente, superando la storica arretratezza della regione.
A partire dal 5 giugno del 1967, ricorda Filkenstein, Israele «ha catturato il Sinai egiziano, le alture del Golan siriano, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Con l’eccezione del Sinai, Israele controlla ancora tutti questi territori. Di fatto l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e di Gaza è la più lunga dei tempi moderni». La versione ufficiale del mainstream è quella ancora oggi rilanciata dal “New York Times”, che scrive: «Quest’anno segna mezzo secolo dalla guerra arabo-israeliana del 1967, nella quale Israele ha resistito vittoriosamente a una minaccia di annientamento da parte dei suoi vicini arabi». Tutto falso, replica lo storico: «E’ un grosso problema, è ciò che noi chiamiamo “falsificare la storia”». E spiega: sia la Cia che il Mossad – è documentato – sapevano perfettamente che gli eserciti arabi non avrebbero potuto resistere all’attacco di Israele, la cui unica preoccupazione era: come avrebbe reagito il presidente americano Lyndon Jonhson? «Nel 1957, dieci anni prima, gli Usa avevano agito con molta severità. Dwight Eisenhower aveva dato a Israele un ultimatum: uscite dal Sinai, o dovrete affrontare una forte reazione del governo degli Stati Uniti. Nel 1967 gli israeliani avevano paura che si ripetesse la situazione del 1957».
Sicché, Tel Aviv mandò emissari a tastare il polso di Washington. Come il generale Meir Amit, capo del Mossad. La risposta degli Usa: nessun indizio che il presidente egiziano Abdel Gamal Nasser stesse per attaccare Israele. Nasser, disse Johnson, sa benissimo che, «se vi attacca, voi israeliani gli darete una batosta». Una valutazione Cia, identica a quella del Mossad. Tel Aviv sapeva perfettamente che non aveva nulla da temere, dall’Egitto. Il segretario alla difesa, Robert McNamara, fu ancora più preciso: disse a Israele che, in caso di guerra, avrebbe vinto in 7 giorni, 10 al massimo. Era vero: la guerra sarebbe terminata «non solo in 6 giorni, ma letteralmente in 6 minuti circa», afferma Filkenstein. «Nel momento in cui Israele ha lanciato il suo attacco-lampo e distrutto la flotta aerea egiziana, che era ancora al suolo, ha tolto tutti gli appoggi aerei alle truppe al suolo. Era finita. L’unica ragione per la quale questa guerra è durata sei giorni, è perché volevano impadronirsi dei territori. Era un’occupazione violenta delle terre». Come sono riusciti a coinvolegere l’Egitto, sapendo che mai Nasser – di sua iniziativa – avrebbe aperto le ostilità? Semplice: attaccando la Siria, alleata dell’Egitto. Fu lo stesso Moshe Dayan ad ammettere che, nell’aprile del 1967, Israele abbattè 6 aerei siriani, uno dei quali nel cielo sopra Damasco.
Ammise Dayan, poi uomo-chiave del governo Begin a partire dal 1977:  «Vi dirò perché noi avevamo tutti questi conflitti con la Siria. C’era una zona smilitarizzata tracciata dopo la guerra del 1948 tra la Siria e Israele. Almeno l’80% del tempo noi mandavamo dei bulldozer in questa zona smilitarizzata perché Israele era impegnata a occupare territori con la forza». Israele, quindi, cercava di impadronirsi di terre nella zona smilitarizzata. Racconta Filkenstein: «Mandava dei bulldozer, i siriani reagivano, e questo aumentava la tensione. Nel aprile 1967 questo è sfociato in un combattimento aereo tra siriani e israeliani. Dopodiché Israele ha cominciato a minacciare, verbalmente, di lanciare un attacco contro la Siria. La dichiarazione più celebre in quel momento la fece Yitzhak Rabin, ma numerosi responsabili israeliani minacciavano la Siria». Lo storico israeliano Ami Gluska, nel suo libro “L’esercito israeliano e le origini della guerra del 1967”, scrive: «La valutazione sovietica della metà di maggio 1967, che Israele stava per colpire la Siria, era giusta e ben fondata». C’erano voci attendibili, dunque, secondo le quali Israele avrebbe aggredito gli arabi. Gluska «conferma che gli israeliani avevano preso la decisione di attaccare».
L’Egitto aveva un patto di difesa con la Siria: sapendo che era imminente un attacco israeliano aveva l’obbligo di andare in aiuto di Damasco. Per questo, Nasser ha schierato – a scopo dissuasivo – delle truppe egiziane nel Sinai, zona allora presidiata da una forza di pace dell’Onu, l’Unef. La United National Emergency Force divideva l’Egitto da Israele. Nasser ha chiesto a U Thant, segretario generale dell’Onu, di ritirarla. In forza della legge, U Thant era obbligato a ritirare quelle truppe. «Ma c’era una risposta molto semplice alla richiesta di Nasser: spostate le truppe dell’Onu sul versante israeliano», ricorda Filkenstein. «Nel 1957, quando era stata schierata l’Unef, si erano accordati per disporla sia sul lato egiziano della frontiera, sia sul lato israeliano. Così, nel 1967, quando Nasser ha detto: “Ritirate l’Unef dalla nostra parte”, tutto quello che Israele doveva dire era: “Bene, noi la riposizioniamo dalla nostra parte della frontiera”, sul versante israeliano. Ma non lo hanno fatto». Ragiona lo storico: «Se l’Unef avrebbe veramente potuto evitare un attacco egiziano, come suggerisce Israele quando dice che U Thant ha commesso un errore monumentale ritirando la forza dell’Onu, perché gli israeliani non l’hanno semplicemente schierata dall’altra parte della frontiera?». Ovvio: perché erano loro a volere la guerra.
Altro piccolo casus belli: c’erano degli attacchi di guerriglia contro la frontiera israeliana lanciati dalla Giordania e dalla Siria, descritti nella storia ufficiale come una grande minaccia per la sicurezza di Israele. Si trattava di incursioni di commandos palestinesi, sostenuti principalmente dal regime siriano. «Ma come hanno riconosciuto anche gli ufficiali superiori israeliani – obietta Filkenstein – la ragione per la quale la Siria incoraggiava questi raid di commandos era l’occupazione delle terre nelle zone smilitarizzate da parte di Israele». Inoltre si trattava di «azioni coraggiose ma estremamente inefficaci», peraltro «compiute da persone che erano state private della loro patria nel 1948». In alre parole, quei palestinesi «erano dei rifugiati». Avverte lo storico: «Ricordatevi che era passato poco tempo tra il 1948 e il 1967, meno di una generazione». Ma, appunto, quegli attacchi erano poco più che simbolici. A confermarlo è uno dei capi dello spionaggio israeliano, Yehosafat Harkabi, che dopo il 1967 li ha descritto come «ben poco significativi, secondo tutti i metri di giudizio».
L’altro incidente storico importante che viene citato er giustificare la guerra-lampo di Israele è la chiusura, da parte dell’Egitto, dello Stretto di Tiran, all’imbocco del Mar Rosso, strategico per accedere al porto israeliano di Eilat. Passaggio marittimo chiuso effettivamente da Nasser a metà maggio. «Israele adesso respira con un solo polmone», protestò il diplomatico Abba Eban, allora rappresentante israeliano all’Onu, poi ministro degli esteri. Era vero? Non proprio, osserva Filkenstein: intanto, Israele disponeva di riserve di petrolio che garantivano allo Stato ebraico un’autonomia di mesi. «Ma la cosa più importante è che non c’è stato un blocco. Nasser era un fanfarone: ha annunciato il blocco, lo ha applicato per ciò che si stima abitualmente essere due o tre giorni, poi ha cominciato a lasciar passare tranquillamente le navi israeliane. Non c’era blocco, il problema non era un blocco fisico effettivo, il problema era  politico. E cioè che Nasser aveva sfidato pubblicamente Israele. La chiusura di un canale navigabile non è un attacco armato. Comunque la si guardi, Israele non aveva alcuna valida ragione».
L’Egitto aveva reagito in modo prevedibile – con il blocco (solo simbolico) del Mar Rosso – per “difendere a distanza” la Siria attaccata un mese prima dall’aviazione israeliana, agevolando così la “regia occulta” della guerra, progettata unilateralmente da Tel Aviv, travestitasi da vittima. Domanda Aaron Mate: perché Israele ha preso delle misure così straordinarie per iniziare quella guerra e impadronirsi di così tanti territori? Risponde Norman Finkelstein: perché il vero incubo di Israele era il presidente egiziano Nasser. Un politico arabo laico, indipendente, autorevole. Fin dalla sua fondazione nel 1948, il leader fondatore di Israele, David Ben Gurion, «si è sempre preoccupato che potesse arrivare al potere nel mondo arabo quello che lui chiamava un Ataturk arabo. Cioè qualcuno come il personaggio turco Kemal Ataturk, che ha modernizzato la Turchia, ha introdotto la Turchia nel mondo moderno; Ben Gurion ha sempre avuto paura che una figura come Ataturk potesse emergere nel mondo arabo, e quindi il mondo arabo si sottraesse allo Stato di arretratezza e di dipendenza dall’Occidente e potesse diventare una potenza con la quale bisognava fare i conti nel mondo e nella regione». La paura del regime sionista si impersonificò nel 1952, quando emerse Nasser come leader della rivoluzione attraverso cui l’Egitto si liberò del dominio europeo post-coloniale.
Nasser, continua Filkenstein, era una figura emblematica di quell’epoca «molto inebriante», chiamata “decolonizzazione”: «L’epoca del dopoguerra, dei non-allineati, del terzomondismo». Anti-imperialismo e decolonizzazione: leader come Nehru in India, Tito in Jugoslavia. E Nasser. «Non erano ufficialmente compresi nel blocco sovietico. Erano una terza forza. Non allineata». Più incline a rivolgersi al blocco sovietico perché «ufficialmente antimperialista», ma solo a scopo difensivo: nel 1956, quando Nasser aveva sbarrato il Canale di Suez per protestare contro la mancata concessione del maxi-prestito della Banca Mondiale (Usa) per costruire sul Nilo la Diga di Assuan che averebbe dato respiro all’agricoltura egiziana, francesi e inglesi sbarcarono in armi a Port Said minacciando di deporre Nasser. Intervenne direttamente l’Urss, rivolgendo un ultimatum agli eserciti europei, tacitamente avallato dagli Stati Uniti: se le truppe anglo-francesi non avessero lasciato il litorale egiziano, Mosca le avrebbe colpite con la bomba atomica. Questo consacrò Nasser come grande leader arabo, senza farne – per forza – un satellite dei russi. Inutile aggiungere che il crescente prestigio internazionale del carismatico leader egiziano faceva paura soprattutto a Israele: sembrava davvero arrivato “l’Atarurk arabo”, il modernizzatore paventato da Ben Gurion.
«Israele era considerato non senza ragione, come una postazione occidentale nel mondo arabo, e veniva ugualmente interpretato come il tentativo di mantenere nell’arretratezza il mondo arabo», osserva Filkenstein. C’era dunque una sorta di conflitto e di contrapposizione tra Nasser e Israele. E questo ha dato il via, come viene documentato anche stavolta assai scrupolosamente non da Finkelstein ma da uno storico importante molto considerato, cioè Benny Morris. Nel libro “Le guerre di frontiera di Israele”, che parla del periodo tra il 1949 ed il 1956, Morris dimostra che «intorno al 1952-53 Ben Gurion e Moshe Dayan erano veramente determinati a provocare Nasser, a continuare a stuzzicarlo fino a che avessero un pretesto per distruggerlo: volevano sbarazzarsi di lui». Insistettero, in modo che  a un certo punto il leader egiziano non potesse fare a meno di rispondere: «Sostanzialmente Nasser è stato preso in trappola». Per Morris, la stessa crisi di Suez del 1956 era nata da «un complotto ordito dagli israeliani per rovesciarlo, con il concorso degli inglesi e dei francesi», con i quali Israele collaborò invadendo il Sinai.
Gli americani non si opposero alla ferma difesa di Nasser da parte dell’Urss. «Eisenhower pensava che non fosse ancora il momento adatto», per abbattere il “raiss” egiziano. «Ma anche gli americani sicuramente volevano sbarazzarsi di Nasser», aggiunge Filkenstein: «Lo vedevano tutti come una spina nel fianco». Sicché, la guerra-lampo del 1967 non sarebbe altro che «una ripetizione del 1956, con una differenza fondamentale: il sostegno americano». Alla Guerra dei Sei Giorni, infatti, «gli Stati Uniti non si sono opposti», restando «molto prudenti e cauti nelle loro dichiarazioni». Non hanno sostenuto apertamente la guerra di Israele, «perché era illegale». E gli Usa erano già impantanati nella tragedia del Vietnam, estremamente impopolare: «Non volevano impegnarsi anche nel sostegno a Israele,  che sarebbe stato visto allo stesso modo come il colonialismo occidentale che tenta di prevalere sul Terzo Mondo, sul mondo non-allineato». Ma c’era un comune interesse strategico: eliminare Nasser. «Era un obiettivo a lungo termine, mantenere il mondo arabo nell’arretratezza. Mantenerlo in uno stato subordinato, primitivo».
Perfettamente funzionali, in questo, il “falchi” israeliani come Ariel Sharon: «Dobbiamo attaccare adesso, perché altrimenti perdiamo la nostra capacità di dissuasione». Frase storica, rimasta – da allora – a fondamento della “dottrina” politico-militare di Israele, la propaganda vittimistica che ha giustificato massacri come quello della popolazione della Striscia di Gaza. «La “capacità di dissuasione” – traduce Filkenstein – significa: “la paura che di noi ha il mondo arabo”». La “colpa” di Nasser? «Risollevava il morale degli arabi,  i quali non avevano più paura». E per gli israeliani la paura «è una carta molto forte, per tenere gli arabi al loro posto». A questo, ovviamente, si aggiunge la “necessità”, per Israele, di incrementare i propri territori a spese degli arabi. E in tutto questo, chiarisce lo storico, la religione non c’entra: «Bisogna ricordare che il movimento sionista era per la maggior parte secolare, per la grandissima parte ateo. Una larga parte si considerava socialista e comunista e non aveva nessun aggancio con la religione. Ma consideravano lo stesso di avere un titolo legale di proprietà sulla terra perché nel loro pensiero la Bibbia non era solo un documento religioso, era un documento storico». Una mentalità “secolare”, «profondamente radicata e fanatica». Al punto da falsificare la storia, inventare un’aggressione araba mai avvenuta e organizzare la Truffa dei Sei Giorni per metter fine alla carriera di Nasser, il temutissimo Ataturk arabo.
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Jerry Lewis, morto a 91 anni il grande attore comico americano
di F. Q. | 20 agosto 2017
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Il suo modo del tutto originale di far ridere la gente è diventato, in oltre settant'anni di carriera, iconico e caratterizzante di un personaggio che ha fatto la storia della comicità mondiale
di F. Q. | 20 agosto 2017
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È morto a 91 anni il grande comico americano Jerry Lewis. La notizia è stata data dal giornalista del Las Vegas Review-Journal John Katsilometes e poi è stata confermata dall’agente dell’attore. Il suo modo del tutto originale di far ridere la gente è diventato, in oltre settant’anni di carriera, iconico e caratterizzante di un personaggio che ha fatto la storia della comicità mondiale.
Dalla seconda metà degli anni Quaranta ha formato una efficacissima coppia con Dean Martin, un sodalizio artistico nato per caso nel 1946 (con Martin che sostituì all’ultimo minuto un attore indisponibile) e che è durato esattamente dieci anni, pieni di successi cinematografici, spettacoli tv e radio e addirittura un fumetto dedicato a loro. Dopo la separazione da Dean Martin, Jerry Lewis affinò la tecnica comica, si esibì a Las Vegas con Judy Garland e nel giro di pochi anni conquistò pubblico e critica con Ragazzo tuttofare, Il Cenerentolo e Il Professore matto, cominciando anche a dirigere i suoi stessi film. Persino la prestigiosa rivista francese Cahiers du cinéma lo esaltò definendolo “il regista totale”, capace di dare dignità registica e spessore qualitativo a un film comico.
Dalla fine degli anni Sessanta in poi, Lewis recitò sempre meno, dedicandosi all’attività di beneficenza di Telethon, l’associazione contro la distrofia muscolare che proprio grazie all’impulso dell’attore è riuscita a raccogliere negli Stati Uniti 2,5 miliardi di dollari. E proprio le attività benefiche erano riuscite a far riavvicinare Lewis e Martin (che non si erano separati nel migliore dei modi), con l’attore italo-americano ospite a sorpresa del Telethon 1976.
All’inizio degli anni Ottanta, precisamente nel 1982, Martin Scorsese lo volle al fianco di Robert De Niro in Re per una notte, mentre gli ultimi, diradati lavori non hanno lasciato il segno. Nonostante i tanti problemi di salute (quattro by-pass cardiaci, l’asportazione di un cancro alla prostata, diabete e fibrosi polmonare), Jerry Lewis si è esibito a Las Vegas fino all’ultimo e recentemente aveva fondato la “House of Laughter” per aiutare i bambini malati a guarire anche attraverso la risata.
Comico tra i più grandi della storia, Jerry Lewis non ha mai vinto un Oscar ma nel 1999 è stato premiato con un Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia. Racchiudere una carriera come la sua in un’immagine è impresa ardua, ma è rimasta nella memoria di intere generazioni la scena di “Dove vai sono guai!” in cui Lewis usa la macchina da scrivere al ritmo di una musica sempre più indiavolata.
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Uova contaminate con insetticida in Italia, ministero Salute: “Due casi in aziende di Roma e Ancona”


Ambiente & Veleni
Il dicastero in una nota ha specificato di aver proceduto alla segnalazione alle Regioni e Asl competenti territorialmente "per ulteriori accertamenti sulla fonte di contaminazione e l’adozione, in esito ad essi, di eventuali provvedimenti restrittivi". Coldiretti: "Pubblicare la lista delle aziende coinvolte"
di F. Q. | 21 agosto 2017
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Due dei 114 campioni di uova esaminati in Italia sono risultati positivi al fipronil. I prodotti sono stati
Uova contaminate con insetticida in Italia, ministero Salute: “Due casi in aziende di Roma e Ancona”rilevati dopo i controlli del ministero della Salute in un piccolo laboratorio artigianale di pasta all’uovo in provincia di Roma e in uno stabilimento di uova in provincia di Ancona. “Si tratta”, ha dichiarato all’adnkronos Giuseppe Ruocco, direttore generale della Sicurezza alimentare del dicastero, “di campioni risultati irregolari, ma il dosaggio rilevato è molto lontano dalle dosi tossiche e i necessari provvedimenti urgenti cautelativi a tutela dei cittadini sono già stati presi dagli enti competenti”.
Ad oggi, sono stati effettuati “42 campionamenti conoscitivi dai Nas”, ha dichiarato il ministero, “su prodotti trasformati contenenti uova o derivati, prelevati nei negozi e supermercati su disposizione del Ministero del 14/8; 181 campionamenti dalle Regioni, nell’ambito del Piano di ricerca su pollame, uova, derivati disposto dal Ministero il giorno 11/8; 60 campionamenti dagli Uffici periferici del Ministero della salute per gli adempimenti comunitari (Uvac), per merci provenienti dai Paesi interessati dall’allerta”. Il ministero aggiunge che “sono stati inoltre gestiti, con segnalazioni alle autorità territoriali e attività di rintraccio, i sei messaggi sul sistema di allerta comunitario Rasff che riguardavano anche l’Italia. L’attività delle autorità sanitarie centrali e periferiche prosegue, anche alla luce di quanto concordato nel corso di una riunione di verifica e coordinamento con le autorità regionali e i Carabinieri Nas in corso questa mattina presso il Ministero”.
In proposito, il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ha chiesto ufficialmente di “fare i nomi delle aziende coinvolte”: “Pubblicare”, ha chiesto dal Meeting di Rimini, “come in Francia subito l’elenco dei prodotti coinvolti e togliere il segreto sulla destinazione finale di tutti i prodotti alimentari importati rendendo finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero. “Di fronte alle emergenze sanitarie provenienti dall’estero che si ripetono nell’alimentare occorre intervenire subito con la trasparenza dell’informazione per evitare allarmismi che danneggiano imprese e consumatori”.

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