VERSO QUALE FUTURO?
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VERSO QUALE FUTURO?
Il voto è stato clamoroso. Soprattutto per l’aspirante DUCE che non si aspettava questo risultato dopo che si era speso fino all’ultimo.
Tanto da fargli venire un groppo in gola ed un principio di lacrime ieri quando ha dichiarato:
“Non pensavo che mi odiassero tanto !!!”
Battuto Pinocchio Mussoloni, battuto Giorgio Napolitano, battute le élite nazionali, battute le élite internazionali che governano il mondo Occidentale, adesso si riparte.
Ma per andare dove?
Massimo Cacciari legge il nostro futuro in questo modo:
LIBRE news
Cacciari: arriva la catastrofe, solo il Pd non lo capisce
Scritto il 06/12/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«Oggi trionfano quelli che chiamate populisti, ma domani sarà molto peggio: vincerà la destra-destra, quella vera, con conseguenze spaventose per l’Europa». Il filosofo Massimo Cacciari, in prima serata, dipinge così il day-after referendario, parlando ai (pochi) renziani moderati, ancora tramortiti dallo tsunami del 4 dicembre. «Sono anni – dice Cacciari, ospite di Lilli Gruber su La7 – che chiedo inutilmente al Pd di fare qualcosa contro la crisi che sta devastando il tessuto sociale italiano, a cominciare dalla stessa base sociale di quel partito». E invece sono arrivati il beffardo Jobs Act e provocazioni continue contro i sindacati, fino all’harakiri finale: una riforma costituzionale assurda, incomprensibile, respinta a furor di popolo da chi si è sentito essenzialmente preso in giro. E la musica non cambia nemmeno dopo la débacle di Renzi: «Ci risiamo con le polemiche di palazzo, i calcoli, le tattiche. Non una sola parola di vera autocritica, da un partito ormai al governo da quattro anni. Cosa intende fare, il Pd, per rispondere alle drammatiche urgenze degli italiani?». Perdurando l’assenza di risposte, Cacciari vede una strada a senso unico: il legittimo voto di protesta aprirà la strada al livido trionfo di una destra intollerante e reazionaria, di cui avere paura.
Cacciari sa benissimo che il Pd è un fallimento, «e infatti Renzi ha potuto impadronirsene proprio perché in crisi: fosse stato in buona salute, non avrebbe avuto quello spazio». E il Pd «si è rotto fin dall’inizio, una settimana dopo la sua fondazione», a cui il filosofo (già sindaco di Venezia) collaborò, per poi distaccarsene rapidamente. Cacciari si rifiuta di aderire alla lettura dei critici più intransigenti, secondo cui il centrosinistra in Europa (quindi il Pd in Italia) non è stato “un fallimento, frutto di errori”, ma un complice organico, cooptato dalla destra economica per distruggere i diritti sociali, patrimonio storico della sinistra. Demolire il welfare sarebbe stato impossibile, per governi di centrodestra: occorrevano “collaborazionisti” in grado di mobilitare l’elettorato di sinistra per appoggiare tutte le controriforme degli ultimi anni, dai decreti sul lavoro all’agenda Monti, nel quadro di un “format” europeista modellato dalla finanza e dalle multinazionali con l’obiettivo di sterilizzare le pulsioni sociali dei governi, l’istinto democratico di protezione delle comunità nazionali, verso il tramonto storico dei diritti. «Siamo sull’orlo della catastrofe», dice Cacciari, ben sapendo che il voto del 4 dicembre è l’ultimo avvertimento prima del “diluvio” che minaccia di travolgere tutto.
Anziché liquidare il Pd come “gatekeeper”, abbaglio collettivo e specchietto per allodode “di sinistra”, in realtà completamente asservito all’élite, Cacciari insiste sul partito fondato da Veltroni, poi ereditato da Franceschini e Bersani, quindi “occupato militarmente” da Renzi. Nel mirino del filosofo veneziano restano le imbarazzanti nomenklature alla testa di un disegno fallito (o di un grande inganno, a seconda dei punti di vista), ma la prima preoccupazione è per l’elettorato, che rappresenta ancora un patrimonio sociale e culturale che il Pd ha prima congelato, poi illuso, e oggi deluso e tradito. “Smontato” anche quello, secondo Cacciari, cadrà un argine: e i dirigenti del Pd non stanno facendo nulla perché quella diga non crolli. La situazione dell’Italia, sotto il regime Ue, è ormai insostenibile: e dal partito di Renzi, D’Alema e Bersani, non un fiato. I giovani, in massa, hanno votato No al referedum. Ma l’ex Ulivo non ha nulla da dire, di serio, sull’Europa – nulla da proporre, in concreto, per riscrivere (davvero) le regole, costruendo un orizzonte sostenibile, diverso dai salari irrisori, dai lavori precari e neo-schiavistici. Il boato del No ha frastornato tutti, dimissionando Renzi, ma a quanto pare non ha sortito alcun effetto capace di trrasformare il Pd in uno strumento socialmente utile.
Tanto da fargli venire un groppo in gola ed un principio di lacrime ieri quando ha dichiarato:
“Non pensavo che mi odiassero tanto !!!”
Battuto Pinocchio Mussoloni, battuto Giorgio Napolitano, battute le élite nazionali, battute le élite internazionali che governano il mondo Occidentale, adesso si riparte.
Ma per andare dove?
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Cacciari: arriva la catastrofe, solo il Pd non lo capisce
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Cacciari sa benissimo che il Pd è un fallimento, «e infatti Renzi ha potuto impadronirsene proprio perché in crisi: fosse stato in buona salute, non avrebbe avuto quello spazio». E il Pd «si è rotto fin dall’inizio, una settimana dopo la sua fondazione», a cui il filosofo (già sindaco di Venezia) collaborò, per poi distaccarsene rapidamente. Cacciari si rifiuta di aderire alla lettura dei critici più intransigenti, secondo cui il centrosinistra in Europa (quindi il Pd in Italia) non è stato “un fallimento, frutto di errori”, ma un complice organico, cooptato dalla destra economica per distruggere i diritti sociali, patrimonio storico della sinistra. Demolire il welfare sarebbe stato impossibile, per governi di centrodestra: occorrevano “collaborazionisti” in grado di mobilitare l’elettorato di sinistra per appoggiare tutte le controriforme degli ultimi anni, dai decreti sul lavoro all’agenda Monti, nel quadro di un “format” europeista modellato dalla finanza e dalle multinazionali con l’obiettivo di sterilizzare le pulsioni sociali dei governi, l’istinto democratico di protezione delle comunità nazionali, verso il tramonto storico dei diritti. «Siamo sull’orlo della catastrofe», dice Cacciari, ben sapendo che il voto del 4 dicembre è l’ultimo avvertimento prima del “diluvio” che minaccia di travolgere tutto.
Anziché liquidare il Pd come “gatekeeper”, abbaglio collettivo e specchietto per allodode “di sinistra”, in realtà completamente asservito all’élite, Cacciari insiste sul partito fondato da Veltroni, poi ereditato da Franceschini e Bersani, quindi “occupato militarmente” da Renzi. Nel mirino del filosofo veneziano restano le imbarazzanti nomenklature alla testa di un disegno fallito (o di un grande inganno, a seconda dei punti di vista), ma la prima preoccupazione è per l’elettorato, che rappresenta ancora un patrimonio sociale e culturale che il Pd ha prima congelato, poi illuso, e oggi deluso e tradito. “Smontato” anche quello, secondo Cacciari, cadrà un argine: e i dirigenti del Pd non stanno facendo nulla perché quella diga non crolli. La situazione dell’Italia, sotto il regime Ue, è ormai insostenibile: e dal partito di Renzi, D’Alema e Bersani, non un fiato. I giovani, in massa, hanno votato No al referedum. Ma l’ex Ulivo non ha nulla da dire, di serio, sull’Europa – nulla da proporre, in concreto, per riscrivere (davvero) le regole, costruendo un orizzonte sostenibile, diverso dai salari irrisori, dai lavori precari e neo-schiavistici. Il boato del No ha frastornato tutti, dimissionando Renzi, ma a quanto pare non ha sortito alcun effetto capace di trrasformare il Pd in uno strumento socialmente utile.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
Di Francesco Briganti:
"… hey oh, hey oh …
"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione"
Questa è la formula di rito che insedia il Presidente della repubblica Italiana ed il presidente del consiglio di un qualsiasi governo della Repubblica. Questo è il giuramento davanti a Dio, alla Costituzione ed al Popolo italiano che impegna le persone a svolgere due dei ruoli più importanti in un paese che voglia dirsi civile.
Il governo di un paese non è cosa facile; quando quel paese fosse l’Italia, l’impresa è ancora più ardua del solito giacché gli eletti dagli italiani sono, nella maggioranza dei casi, personalità attese ad una qualche interesse: di parte, privato o comunque particolare piuttosto che al bene supremo del paese. E’ una triste considerazione su di una realtà piuttosto squallida, ma tacerselo sarebbe ancora più squallido.
Succede, quindi, che in questopaese, quali che siano gli arzigogoli elettorali inventati in nome di una governabilità molto aleatoria, i governi spesso perdano la fiducia del parlamento e, dunque, si debbano dimettere per intervenuta impossibilità a svolgere la propria funzione. Da quel momento in poi la nostra COSTITUZIONE, quella testé confermata da un suffragio popolare figlio di una percentuale di votanti che questo Paese non vedeva da tempo, prevede un iter ben preciso e codificato:
: “ Il presidente della Repubblica, dopo aver ascoltato una serie di rilevanti personalità politiche (leader di partito, capogruppo parlamentari, presidenti di Camera e Senato) può adottare diverse soluzioni in caso di crisi di governo (disposte per ordine di grandezza della crisi, da quella minima a quella irrisolvibile):
1. Rinvio alle camere: rinvio del governo alle camere per la verifica della sussistenza del rapporto fiduciario in entrambi i rami del parlamento;
2. Governo-bis: nomina di un nuovo governo, presieduto dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri, con eventuali modifiche della compagine ministeriale;
3. Nomina di un nuovo leader all'interno della stessa maggioranza;
4. Governo del presidente: una personalità con forte caratura istituzionale viene designato dal capo dello Stato come presidente del Consiglio dei ministri;
5. Governo tecnico: viene nominato un governo costituito da esperti in materia politica, ma estranei alla vita politica in quanto tale;
6. Elezioni anticipate: il presidente della Repubblica scioglie le camere ed indice nuove elezioni. “ (wikipedia; ndr)
Per tutto ciò, LA NOSTRA COSTITUZIONE, NON prevede suppliche a miserabili marionette o loro congelamenti affinché pietiscano una illegittima fiducia per poi dimettersi subito dopo e non c’è finanziaria che tenga, in quanto la Nostra Costituzione prevede l’uso dell’ ESERCIZIO PROVVISORIO delle finanze dello stato secondo canoni e dettati allo stesso modo intransigenti e stabiliti.
Dunque compito preciso di un Presidente della Repubblica che non voglia essere RE DISPOTICO O SERVO SCIOCCO DI QUALCUNO è quello di rimettersi al dettato della COSTITUZIONE e, per il proprio giuramento, seguirlo pedissequamente.
Prassi politica sino all’avvento di RE GIORGIO PRIMO IL PARTENOPE è stata questa; senza deroghe o artifici possibili. Poi, hanno cominciato a dettar legge, in barba alla NOSTRA COSTITUZIONE, le finanze internazionali, gli interessi stranieri, il supremo bene degli altri e mai quello del popolo italiano e, quindi, della NOSTRA COSTITUZIONE SI E’ FATTA CARTA STRACCIA secondo interessi e convenienze.
La cosa si sta ripetendo; in barba al volere popolare; in barba di un referendum che ha sancito il supremo valore della Carta; in barba ad ogni vergogna e ad ogni onesta interpretazione del divenire politico e sociale di questopaese.
Dunque si è vinta una battaglia, ma si rischia di perdere la guerra, giacché politicanti da due lire la tonnellata pensano di fare delle leggi di uno stato quello che più gli aggrada, ma:
“ … Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità. “
E questo appena su non è un bollettino delle brigate rosse, ma sono le parole della Costituzione statunitense. Dopo di che fate VOI …
io è già da un po’ che ho smesso di farmi prendere in giro!." ( F.B.)
Non ci rimane altro che la costituzione.
CON UNA LARGA E NETTA VITTORIA ABBIAMO SALVATO LA COSTITUZIONE.
ORA DOBBIAMO PRETENDERNE LA SUA ATTUAZIONE!
Un saluto erding
"… hey oh, hey oh …
"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione"
Questa è la formula di rito che insedia il Presidente della repubblica Italiana ed il presidente del consiglio di un qualsiasi governo della Repubblica. Questo è il giuramento davanti a Dio, alla Costituzione ed al Popolo italiano che impegna le persone a svolgere due dei ruoli più importanti in un paese che voglia dirsi civile.
Il governo di un paese non è cosa facile; quando quel paese fosse l’Italia, l’impresa è ancora più ardua del solito giacché gli eletti dagli italiani sono, nella maggioranza dei casi, personalità attese ad una qualche interesse: di parte, privato o comunque particolare piuttosto che al bene supremo del paese. E’ una triste considerazione su di una realtà piuttosto squallida, ma tacerselo sarebbe ancora più squallido.
Succede, quindi, che in questopaese, quali che siano gli arzigogoli elettorali inventati in nome di una governabilità molto aleatoria, i governi spesso perdano la fiducia del parlamento e, dunque, si debbano dimettere per intervenuta impossibilità a svolgere la propria funzione. Da quel momento in poi la nostra COSTITUZIONE, quella testé confermata da un suffragio popolare figlio di una percentuale di votanti che questo Paese non vedeva da tempo, prevede un iter ben preciso e codificato:
: “ Il presidente della Repubblica, dopo aver ascoltato una serie di rilevanti personalità politiche (leader di partito, capogruppo parlamentari, presidenti di Camera e Senato) può adottare diverse soluzioni in caso di crisi di governo (disposte per ordine di grandezza della crisi, da quella minima a quella irrisolvibile):
1. Rinvio alle camere: rinvio del governo alle camere per la verifica della sussistenza del rapporto fiduciario in entrambi i rami del parlamento;
2. Governo-bis: nomina di un nuovo governo, presieduto dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri, con eventuali modifiche della compagine ministeriale;
3. Nomina di un nuovo leader all'interno della stessa maggioranza;
4. Governo del presidente: una personalità con forte caratura istituzionale viene designato dal capo dello Stato come presidente del Consiglio dei ministri;
5. Governo tecnico: viene nominato un governo costituito da esperti in materia politica, ma estranei alla vita politica in quanto tale;
6. Elezioni anticipate: il presidente della Repubblica scioglie le camere ed indice nuove elezioni. “ (wikipedia; ndr)
Per tutto ciò, LA NOSTRA COSTITUZIONE, NON prevede suppliche a miserabili marionette o loro congelamenti affinché pietiscano una illegittima fiducia per poi dimettersi subito dopo e non c’è finanziaria che tenga, in quanto la Nostra Costituzione prevede l’uso dell’ ESERCIZIO PROVVISORIO delle finanze dello stato secondo canoni e dettati allo stesso modo intransigenti e stabiliti.
Dunque compito preciso di un Presidente della Repubblica che non voglia essere RE DISPOTICO O SERVO SCIOCCO DI QUALCUNO è quello di rimettersi al dettato della COSTITUZIONE e, per il proprio giuramento, seguirlo pedissequamente.
Prassi politica sino all’avvento di RE GIORGIO PRIMO IL PARTENOPE è stata questa; senza deroghe o artifici possibili. Poi, hanno cominciato a dettar legge, in barba alla NOSTRA COSTITUZIONE, le finanze internazionali, gli interessi stranieri, il supremo bene degli altri e mai quello del popolo italiano e, quindi, della NOSTRA COSTITUZIONE SI E’ FATTA CARTA STRACCIA secondo interessi e convenienze.
La cosa si sta ripetendo; in barba al volere popolare; in barba di un referendum che ha sancito il supremo valore della Carta; in barba ad ogni vergogna e ad ogni onesta interpretazione del divenire politico e sociale di questopaese.
Dunque si è vinta una battaglia, ma si rischia di perdere la guerra, giacché politicanti da due lire la tonnellata pensano di fare delle leggi di uno stato quello che più gli aggrada, ma:
“ … Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità. “
E questo appena su non è un bollettino delle brigate rosse, ma sono le parole della Costituzione statunitense. Dopo di che fate VOI …
io è già da un po’ che ho smesso di farmi prendere in giro!." ( F.B.)
Non ci rimane altro che la costituzione.
CON UNA LARGA E NETTA VITTORIA ABBIAMO SALVATO LA COSTITUZIONE.
ORA DOBBIAMO PRETENDERNE LA SUA ATTUAZIONE!
Un saluto erding
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
Certo se sono vere le notizie che compaiono oggi su vari giornali e siti che affermano che il M5S aprirebbe ad alleanze con Forza Italia e Lega per andare al governo allora siamo definitivamente fritti.
Ultima modifica di Maucat il 06/12/2016, 12:49, modificato 1 volta in totale.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
Un "signore" ha detto di voler ripartire da quel 40%.
Non mi sembra che ci sia nessuno che dica di voler ripartire da quel 60%, di cui ,pare, che l'80% sia stato espresso dai giovani.
Qualcuno terrà conto di ciò??
Non mi sembra che ci sia nessuno che dica di voler ripartire da quel 60%, di cui ,pare, che l'80% sia stato espresso dai giovani.
Qualcuno terrà conto di ciò??
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
erding ha scritto:Un "signore" ha detto di voler ripartire da quel 40%.
Non mi sembra che ci sia nessuno che dica di voler ripartire da quel 60%, di cui ,pare, che l'80% sia stato espresso dai giovani.
Qualcuno terrà conto di ciò??
Quando l'astinenza da poltrona, è peggio di quella da cocaina.
L'ostruzionismo del premier per minare il nuovo governo
I fedelissimi di Renzi: coi nostri numeri alle Camere possiamo sabotare il successore e votare al più presto
Laura Cesaretti - Mar, 06/12/2016 - 10:50
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Cento fedelissimi a Montecitorio, un gruppetto compatto di senatori a Palazzo Madama: i conti che fanno i renziani sono questi.
E servono ad un obiettivo ben preciso: avere la forza numerica per staccare la spina a qualunque governo venga dopo quello di Matteo Renzi. E costringere ad elezioni anticipate.
Nel day after della batosta, il ragionamento che si fa nelle file renziane è semplice: quel 40% di Sì alla riforma è un potenziale bacino elettorale «tutto e solo di Matteo Renzi», come riconosce un autorevole ministro non renziano. Un bacino elettorale, come ricordava ieri in un tweet Luca Lotti, che corrisponde a quello della vittoria alle Europee del 2014. Anzi, si fa notare, sono anche di più in cifre assolute, visto che nel referendum i voti a favore della riforma sono stati un paio di milioni più delle Europee. Dunque, prima si va all'incasso nelle urne, con Renzi saldo in sella alla segreteria del Pd che fa le liste elettorali, meglio è: «Più attendiamo, più ci logoriamo», dicono. Ovviamente il premier si guarda bene dall'avallare esplicitamente il piano, e si limita a dire: «I tempi sono fondamentali, non possiamo consentirci errori». Ed esclude di volersi dimettere da segretario del Pd nella Direzione convocata per domani. Intanto si valutano le ipotesi per la successione a Palazzo Chigi, e accanto al nome di Padoan emerge quello del ministro degli Esteri Gentiloni, renziano di ferro, che garantirebbe una durata breve del governo in caso di necessità.
Gli ostacoli su questo percorso di guerra non sono pochi: la legge elettorale da modificare («Ma si può fare in poche settimane, anche prima della sentenza della Corte a febbraio», dicono nel Pd), l'ostilità di Mattarella al voto anticipato e la forza d'inerzia del grande partitone dell'attesa, quello che vuole arrivare alla fine della legislatura (e possibilmente nel frattempo liberarsi di Renzi) e che ha ampie propaggini in casa Pd. Massimo D'Alema se ne fa portavoce esplicito: «Se Renzi si dimettesse dalla segreteria del partito dovremmo fare il congresso ora, in un clima avvelenato: resti lì e aspetti la fine naturale della legislatura». Una ricetta perfetta per il «rosolamento» a fuoco lento del giovane leader odiato dall'ex premier. Che però non è il solo a pensarla così: ieri Peppe Fioroni, esponente di quell'area centrista della maggioranza Pd che fa capo a Dario Franceschini (il cui nome è tornato a circolare come possibile premier) spiegava ad importanti dirigenti renziani: «Convincete Matteo a dimettersi da segretario, così lo preserviamo e quando si andrà ad elezioni nel 2018 sarà il nostro candidato». Lo scopo è identico, anche se i passaggi sono diversi: D'Alema non vuole il congresso perché l'intera minoranza Pd ne è terrorizzata. La scena di D'Alema e Speranza che, nella notte di domenica, festeggiavano entusiasti la sconfitta del proprio partito ha suscitato un'ondata di sdegno nella base Pd, che si è tradotta in una infinita serie di lettere e messaggi di protesta e spesso anche di insulti ai dirigenti bersanian-dalemiani: «Traditori, siete peggio dei 101 di Prodi», era il tono generale. Insomma, come ammette un esponente della minoranza, «Se andassimo al congresso anticipato, Renzi ci asfalterebbe: il 25% del 2012 ce lo sogneremmo, i nostri sarebbero i primi a non votarci». Quanto ai renziani, il congresso lo vogliono fare e stravincere. Ma siccome «servono tre mesi per celebrarlo», se si vuol riuscire ad andare al voto in primavera, lo si rimanderà.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
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“FA MINGA L’UNDA” (Tradotto dal meneghino, Non fare l’onda)
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
ALL’INTERNO DI UN’AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI SPURGHI.
Purtroppo, il mondo dei media tricolore, non è assolutamente differente da quello dei media attuali a stelle e strisce nelle prime ore del dopo Trump.
La stampa ha smesso da troppo tempo di fare il cane da guardia del potere.
Il famoso: “E’ la stampa bellezza!!!” è solo un pallido ricordo dei tempi dei dinosauri.
https://www.youtube.com/watch?v=u3WpqsgTXUQ
Noi dobbiamo convivere con la fetenzia di doppiogiochisti e di “Tengo famiglia” al servizio del potere.
6 dic 2016 09:19
1. ORA ANCHE I GIORNALONI, DA “CORRIERE” A “REPUBBLICA”, DA GALLI DELLA LOGGIA A FRANCESCO MERLO, S’ACCORGONO CHE, SALITO AL POTERE, RENZI E’ DIVENTATO UN BULLETTO
2. SONO ARRIVATI A CIO’ CHE DAGOSPIA SCRIVE ORMAI DA TEMPO. CI VOLEVA LA PALLA DI VETRO? NO, BASTA DESCRIVERE LA REALTA’ SENZA MISTIFICARLA PER CONTO DI UN EDITORE, DI UN PARTITO, DI OPPORTUNISMI PERSONALI O DI QUALCHE 'DANTE CAUSA' VARIO E AVARIATO
3. PER DELLA LOGGIA HA PRESO CORPO VERSO RENZI UN “RIFIUTO PROFONDO VERSO LA SUA PERSONALITÀ”. PER MERLO QUELLA DI MATTEUCCIO “È LA STORIA DI UNO SPAVALDO DELL'ANTIPOTERE CHE È DIVENTATO UN POTENTE SPAVALDO, LA PARABOLA DEL GUASCONE DEL 2014 CHE S'È GONFIATO DI BORIA NEL 2016”. UN APPLAUSO AGLI EDITORIALISTI DEL GIORNO DOPO
1 - LE CINQUE RAGIONI DI UNA SCONFITTA
Ernesto Galli Della Loggia per “il Corriere della Sera”
La personalizzazione controproducente, certo; e poi l'eccessiva invadenza mediatica; poi ancora il fatto di avere contro 4/5 dei partiti del Paese e perfino buona parte del suo: tutto vero, sicché sembra essercene abbastanza per spiegare la sconfitta di Matteo Renzi al referendum di domenica. Invece non basta, credo. In quel risultato c' è qualcos' altro. Le sue proporzioni rovinose manifestano qualcosa di più: un rifiuto profondo che via via ha preso corpo nei confronti della personalità stessa dell' ormai ex presidente del Consiglio, il rigetto della sua proposta in un certo senso «a prescindere», la crescita di un' insofferenza radicale per la sua immagine e il suo discorso.
Lo dirò molto alla buona: il risultato del referendum più che mostrare la devozione degli italiani al testo della Costituzione indica che alla maggioranza di essi Matteo Renzi era ormai diventato insopportabilmente antipatico. «Poco convincente», se si preferisce un termine politologicamente più nobile.
Eppure Matteo Renzi non è mai stato il giovane Achille Starace, anche se in tutte queste settimane i suoi avversari di sinistra e di destra - uniti in un lodevole afflato di impegno antifascista - si sono sforzati di dipingerlo in qualcosa di simile a un pericolo per la democrazia e di descrivere la sua riforma come la potenziale anticamera di una dittatura.
Invece, particolarmente oggi, nel giorno della sua sconfitta, sarebbe più che ingeneroso spregevole dimenticare le non poche buone leggi che il suo governo ha promosso, l' impulso dinamico che ha cercato d' imprimere in certi settori dell' amministrazione pubblica, la sua continua insistenza sulla necessità di svecchiare, sveltire, semplificare.
Ma perché allora il risultato così negativo di domenica, perché l' ondata di antipatia e di avversione che ha travolto Renzi? Per effetto dei suoi errori, naturalmente, che hanno oscurato tutto il resto. Ecco un elenco disordinato di quelli che specie sul piano della comunicazione e dell' immagine, ma non solo, mi sembrano essere stati i più gravi.
1) Il profluvio dell' ottimismo, degli annunci sull' uscita dal tunnel, del «ce la stiamo facendo», «ecco ormai ce l' abbiamo fatta». Ai tanti italiani che viceversa se la passano tuttora male, talvolta malissimo e senza speranza, sentirsi dire che invece e contrariamente alla loro esperienza quotidiana le cose si stavano mettendo bene, deve essere suonata come una beffa e deve aver provocato un effetto di esclusione e di immeritata colpevolizzazione. Specie al Sud - verso il cui declino storico la comprensione politico-intellettuale e la personale empatia di Renzi non sono riusciti a mostrarsi se non eguali pressoché allo zero - l' effetto è stato catastrofico.
2) A una conferenza stampa o a una riunione di responsabili acquisti di una catena di supermercati si può comunicare all' uditorio attraverso le slide : a una massa di cittadini elettori no. Di un discorso complesso la gente comune può capire spesso la metà, ma capisce che se le si rivolge in quel modo significa che la si tiene in considerazione, che la si ritiene importante. Renzi non ha mai parlato al Paese in modo «alto» ed «eloquente»: starei per dire in modo «serio». La sola cifra di serietà del suo discorso è stata solitamente quella del sarcasmo: non proprio l' ideale, come si capisce, per suscitare simpatia. Per il resto la sua irresistibile propensione al tono leggero e alla battuta ne hanno inevitabilmente diminuito la statura politica.
3) La mancanza di posizioni critiche vere, argomentate e conseguenti di qualunque tipo verso le élite del potere che non fossero le élite politico-parlamentari o mediatiche italiane. In un' epoca invece nella quale - almeno a mio giudizio con più di un fondamento - è largamente diffuso un sentimento opposto, questo orientamento di Renzi non gli ha procurato alcuna simpatia.
Che a mia memoria al capo del nostro governo non sia mai uscita di bocca un' espressione di censura verso i dirigenti dell' inefficiente e per più versi marcio mondo bancario o verso la Consob, responsabili della rovina di decine di migliaia di cittadini italiani, è apparso quanto mai significativo.
Egualmente significativo, per esempio, che per tanto tempo egli non sia mai andato al di là delle battute circa il modo spudorato con cui l' Unione Europea si stava comportando con l' Italia a proposito della questione dei migranti. Cose come queste hanno allontanato Renzi dal modo d' essere e di sentire prevalente nel Paese. La sintonia con il quale non credo che sia stata di molto accresciuta dalla sua frequentazione intensa, a tratti si sarebbe detta compulsiva, con gli ambienti dell' industria e della finanza.
4) La politica dei bonus: dagli 80 euro ai lavoratori dipendenti, ai 500 euro a insegnanti e neo-diciottenni. Personalmente, così come dubito che i primi siano stati cruciali per il successo di Renzi alle Europee del 2014, invece sono sicuro che tanto i primi che i secondi non siano serviti ad aggiungergli il minimo consenso domenica scorsa. Il fatto è che l' attribuzione di tali somme (con quel termine «bonus», degno della pubblicità di un casinò volta ad attrarre clienti alle slot machine ) è stata sentita probabilmente non già come il riconoscimento di un compenso atteso e meritato quanto, più che altro, come l' elargizione di una mancia umiliante, concessa per acquistarsi il buon volere e la gratitudine del «beneficato». È facile immaginare la popolarità derivatane al «benefattore».
5) Il tratto marcato di «consorteria toscana» che Matteo Renzi non ha esitato a dare all' intera, vasta cerchia dei suoi collaboratori. È ovvio come ciò lo abbia fatto percepire dal resto del Paese come murato in una posizione «chiusa», non disposta ad accogliere e a colloquiare con apporti diversi. Si aggiunga il carattere non proprio di rango di un gran numero di tali collaboratori, così come dei tanti nominati in una miriade di posti: troppo spesso scelti con ogni evidenza più che per i loro meriti per la loro sicura fedeltà (vedi il caso, esemplare tra i tanti, per il risultato grigissimo verificabile quotidianamente da tutti 24 ore su 24, dei vertici Rai).
2 - LA METAMORFOSI
Francesco Merlo per “la Repubblica”
Avesse incontrato se stesso due anni fa, Renzi si sarebbe autorottamato senza pietà. Dalla Smart all' aereo di Stato, dal selfie al fotografo personale, dalla pizza con Blair al "bollito non bollito" di Bottura con Hollande e la Merkel, la sua è infatti la storia di uno spavaldo dell' antipotere che è diventato un potente spavaldo, la parabola del guascone del 2014 («Mi sento come Al Pacino nel film Ogni Maledetta domenica ») che si è gonfiato di boria nel 2016 («Sono cattivo, arrogante e impulsivo»).
Gli spostamenti progressivi del potere hanno dunque trasformato il simpatico giovanotto che sfacciatamente voleva impadronirsi del mondo («Ho l' ambizione smisurata, non lo smentisco ») nel più scorbutico dei vecchi antirenziani che si compiacevano di essere uomini di mondo, «uno di quei polli di batteria» di cui il "renzidiprima" voleva a tutti i costi non rispettare le regole: «Non starò mai alle loro regole, le regole di una generazione che ha già dato tutto quello che poteva dare».
Il "renzidipoi" è invece quello che nel Capodanno del 2015 andò a sciare con la famiglia prendendo l' aereo di Stato sino ad Aosta e poi l' elicottero sino a Courmayeur. Si giustificò così: «Per protocollo di sicurezza», che è lo scudo linguistico di un privilegio. Il renzidiprima, il 18 febbraio 2014, al contrario diceva: «No, guardate, a me la scorta non mi garba, non la voglio, grazie. La mia scorta è la gente ».
E tutti a replicargli «ma non si può...». Con la Giulietta bianca era salito al Quirinale e contro "il protocollo di sicurezza" montava sopra i treni: «Non voglio dare al Paese l' impressione di un uomo che una volta al governo cambia status, immagine, stile. Non posso e non voglio passare dalla bicicletta all' auto blu. Io sono di Rignano! ».
Ma ecco la questione amletica: quando quel ragazzo, che sembrava agli italiani simpatico e sanguigno, con quegli incredibili pantaloni attillati e il giubbotto di pelle a chiodo in opposizione ideologica, è diventato anche lui nomenklatura? Si sa, ogni rivoluzione mangia i suoi figli. Ebbene, quando Renzi si è auotomangiato? Quando Renzi ha smesso di fare il Renzi? E ancora: si diventa nomenklatura a poco a poco, oppure a scatti, o la sua era solo demagogia; oppure forse, c' è stato, nei mille giorni del potere, un momento fatale che ha cambiato il renzidiprima nel renzidipoi?
Di sicuro aveva ancora una fame da lupo («A 38 anni sono pronto per fare tutto») il renziediprima quando, il 13 luglio del 2013, andò di nascosto e di mattina presto a trovare la Merkel, che di lui disse: «Questo ragazzo mi incuriosisce». Due anni dopo, il 23 gennaio 2015, con una conferenza stampa napoleonica il renzidipoi esibì la Merkel ai giornalisti nella Galleria dell' Accademia di Firenze ai piedi del David: «Consiglio alla Germania di adottare la legge elettorale che noi abbiamo fatto in 11 mesi». E promise: «Come a Michelangelo era bastato togliere il marmo in eccesso così faremo anche noi con il processo di riforme, toglieremo la burocrazia in eccesso».
E però, ad ogni slittamento dall' immagine di bullo bellimbusto, come il famoso Fonzie televisivo, a quella del boiardo di Stato con busto al Pincio, come La Marmora e Ricasoli, era come se i peli dell' ambiguità italiana si spostassero dalla faccia di D' Alema a quella di Renzi. E oggi il No che lo rottama dimostra che la metafora dei baffi ha traslocato: imago animi vultus.
Dunque sono traslocate le ambiguità, le mille trame attribuite, i presunti inciuci, gli affari, le ombre cinesi, il petto gonfio, il mezzo sorriso, persino il passo che da saltellante si è fatto marziale. E forse il momento fatale, quel momento che tutto riassume e tutto trasforma in Storia, è stato il suicido di Luigino D' Angelo, il 28 novembre del 2015, il sessantottenne pensionato - di sinistra - a cui la Banca Etruria aveva azzerato i risparmi, 110mila euro investiti in spazzatura finanziaria.
Renzi non pregò sulla sua tomba, non andò ad abbracciare la vedova, la signora Lidia Di Marcantonio («Solo Berlusconi mi ha mandato un bellissimo telegramma, lo Stato ci ha girato le spalle»). Renzi si chiuse a Palazzo Chigi, e non fece quel che il renzidiprima avrebbe fatto - prima di ubriacarsi con il 41 per cento dei consensi - : carezze economiche e belle parole ai pensionati, la promessa di riformare le banche, non dico i versi di Ezra Pound sull' usura e neppure le metafore di Brecht o gli aforismi di Kraus, o i disegni di Otto Dix, ma le parole di Obama del 2010 contro «gli speculatori banditi»: «Mai più salvataggi a spese dei consumatori». E invece il New Deal del renzidipoi fu… il salvataggio delle banche già fallite.
Ed è passata un' epoca da quando Renzi, giocando con il suo iphone faceva un autoscatto goffo e scriveva "io" sotto una faccia gonfia e nessuna messa a fuoco. Era l' 8 settembre del 2014. Confrontate quell' immagine con quell' altra, per esempio, del 29 ottobre del 2016, realizzata dal fotografo personale Tiberio Barchielli.
È insieme a Zuckerberg lungo i corridoi di Palazzo Chigi, tra mappamondi e arazzi. Il renzidipoi ama infatti le eccellenze, i cantieri finiti, i nastri da tagliare, i viadotti riedificati a tempo di record e subito richiusi dopo la sua visita.
Era ben più vero e più popolare lo scapestrato che a Firenze, indossando l' elmetto giallo, saliva sulle ruspe, rispetto allo statista in visita alla Ferrrari il 31 agosto 2016, alla Ferrero il 14 settembre 2016, alla Lamborghini e poi alla Philip Morris il 23 settembre 2016, all' Hitachi di Pistoia il 13 ottobre 2016, alla ex Fiat di Cassino il 24 novembre 2016… Ma fotografandolo ormai abitualmente in pose che sanno di pensiero, il bravo Barchielli ce lo mostra nella verità più cruda: il renzidipoi è un personaggio ormai immaginario, il vezzoso involucro del potere, la metamorfosi è compiuta.
E forse tutto è cominciato quel giorno a Siracusa, il 5 marzo del 2014, quando - ricordate? - in una scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, Renzi accettò l' accoglienza servile dei bambini che, istruiti dai maestri, gli cantarono "facciamo un salto / battiam le mani / muoviam la testa/ facciam la festa".
Ecco, noi allora intuimmo la metamorfosi. Scrivemmo infatti: «Se fosse stato ancora lo stesso che, appena eletto segretario, scelse come inno "Resta ribelle" dei Negrita, Renzi avrebbe certamente intonato "prendi una chitarra e qualche dose di follia / come una mitraglia sputa fuoco e poesia". E, con l' incitamento a contestare e a irridere i maestri, avrebbe rifiutato quei miagolii che dai maestri erano stati imposti: "presidente Renzi/ da oggi in poi / ovunque vai / non scordarti di noi"».
Ecco, c' era già il renzidipoi nel renzidiprima, l' evoluzione non fa salti, la metamorfosi è il bruco che non può non farsi farfalla, è l' uomo che non può che farsi scarafaggio. Viene dunque da lontano la sconfitta del renzidipoi. Ma non è la sconfitta dello stil novo "da Dante a Twitter" (che è il suo libro del 2012), ma è semmai il No al twittume che lo circonda, alla petulanza del circoletto social che, per esempio, produsse il ciaone ai tempi del referendum "No trivelle" (17 aprile 2016), la pacchianeria del vincitore renziano che dimostrò di non sapere vincere con quello sbotto di scherno che ricordava le corna di Gassman quando, sulla spider, sorpassava strombazzando.
E però, poiché nella fine c' è sempre la perfezione dell' inizio, l' altro ieri Renzi ha dimostrato di saper perdere, di essere ancora un capo nel Paese dei maggiordomi e dei militanti ossessivi. Domenica notte, con accanto Agnese che lo rendeva elegante, Renzi ha provato che si può vincere perdendo. Sia pure per il tempo di un discorso, il renzidiprima infatti ha avuto la meglio sul renzidipoi.
Purtroppo, il mondo dei media tricolore, non è assolutamente differente da quello dei media attuali a stelle e strisce nelle prime ore del dopo Trump.
La stampa ha smesso da troppo tempo di fare il cane da guardia del potere.
Il famoso: “E’ la stampa bellezza!!!” è solo un pallido ricordo dei tempi dei dinosauri.
https://www.youtube.com/watch?v=u3WpqsgTXUQ
Noi dobbiamo convivere con la fetenzia di doppiogiochisti e di “Tengo famiglia” al servizio del potere.
6 dic 2016 09:19
1. ORA ANCHE I GIORNALONI, DA “CORRIERE” A “REPUBBLICA”, DA GALLI DELLA LOGGIA A FRANCESCO MERLO, S’ACCORGONO CHE, SALITO AL POTERE, RENZI E’ DIVENTATO UN BULLETTO
2. SONO ARRIVATI A CIO’ CHE DAGOSPIA SCRIVE ORMAI DA TEMPO. CI VOLEVA LA PALLA DI VETRO? NO, BASTA DESCRIVERE LA REALTA’ SENZA MISTIFICARLA PER CONTO DI UN EDITORE, DI UN PARTITO, DI OPPORTUNISMI PERSONALI O DI QUALCHE 'DANTE CAUSA' VARIO E AVARIATO
3. PER DELLA LOGGIA HA PRESO CORPO VERSO RENZI UN “RIFIUTO PROFONDO VERSO LA SUA PERSONALITÀ”. PER MERLO QUELLA DI MATTEUCCIO “È LA STORIA DI UNO SPAVALDO DELL'ANTIPOTERE CHE È DIVENTATO UN POTENTE SPAVALDO, LA PARABOLA DEL GUASCONE DEL 2014 CHE S'È GONFIATO DI BORIA NEL 2016”. UN APPLAUSO AGLI EDITORIALISTI DEL GIORNO DOPO
1 - LE CINQUE RAGIONI DI UNA SCONFITTA
Ernesto Galli Della Loggia per “il Corriere della Sera”
La personalizzazione controproducente, certo; e poi l'eccessiva invadenza mediatica; poi ancora il fatto di avere contro 4/5 dei partiti del Paese e perfino buona parte del suo: tutto vero, sicché sembra essercene abbastanza per spiegare la sconfitta di Matteo Renzi al referendum di domenica. Invece non basta, credo. In quel risultato c' è qualcos' altro. Le sue proporzioni rovinose manifestano qualcosa di più: un rifiuto profondo che via via ha preso corpo nei confronti della personalità stessa dell' ormai ex presidente del Consiglio, il rigetto della sua proposta in un certo senso «a prescindere», la crescita di un' insofferenza radicale per la sua immagine e il suo discorso.
Lo dirò molto alla buona: il risultato del referendum più che mostrare la devozione degli italiani al testo della Costituzione indica che alla maggioranza di essi Matteo Renzi era ormai diventato insopportabilmente antipatico. «Poco convincente», se si preferisce un termine politologicamente più nobile.
Eppure Matteo Renzi non è mai stato il giovane Achille Starace, anche se in tutte queste settimane i suoi avversari di sinistra e di destra - uniti in un lodevole afflato di impegno antifascista - si sono sforzati di dipingerlo in qualcosa di simile a un pericolo per la democrazia e di descrivere la sua riforma come la potenziale anticamera di una dittatura.
Invece, particolarmente oggi, nel giorno della sua sconfitta, sarebbe più che ingeneroso spregevole dimenticare le non poche buone leggi che il suo governo ha promosso, l' impulso dinamico che ha cercato d' imprimere in certi settori dell' amministrazione pubblica, la sua continua insistenza sulla necessità di svecchiare, sveltire, semplificare.
Ma perché allora il risultato così negativo di domenica, perché l' ondata di antipatia e di avversione che ha travolto Renzi? Per effetto dei suoi errori, naturalmente, che hanno oscurato tutto il resto. Ecco un elenco disordinato di quelli che specie sul piano della comunicazione e dell' immagine, ma non solo, mi sembrano essere stati i più gravi.
1) Il profluvio dell' ottimismo, degli annunci sull' uscita dal tunnel, del «ce la stiamo facendo», «ecco ormai ce l' abbiamo fatta». Ai tanti italiani che viceversa se la passano tuttora male, talvolta malissimo e senza speranza, sentirsi dire che invece e contrariamente alla loro esperienza quotidiana le cose si stavano mettendo bene, deve essere suonata come una beffa e deve aver provocato un effetto di esclusione e di immeritata colpevolizzazione. Specie al Sud - verso il cui declino storico la comprensione politico-intellettuale e la personale empatia di Renzi non sono riusciti a mostrarsi se non eguali pressoché allo zero - l' effetto è stato catastrofico.
2) A una conferenza stampa o a una riunione di responsabili acquisti di una catena di supermercati si può comunicare all' uditorio attraverso le slide : a una massa di cittadini elettori no. Di un discorso complesso la gente comune può capire spesso la metà, ma capisce che se le si rivolge in quel modo significa che la si tiene in considerazione, che la si ritiene importante. Renzi non ha mai parlato al Paese in modo «alto» ed «eloquente»: starei per dire in modo «serio». La sola cifra di serietà del suo discorso è stata solitamente quella del sarcasmo: non proprio l' ideale, come si capisce, per suscitare simpatia. Per il resto la sua irresistibile propensione al tono leggero e alla battuta ne hanno inevitabilmente diminuito la statura politica.
3) La mancanza di posizioni critiche vere, argomentate e conseguenti di qualunque tipo verso le élite del potere che non fossero le élite politico-parlamentari o mediatiche italiane. In un' epoca invece nella quale - almeno a mio giudizio con più di un fondamento - è largamente diffuso un sentimento opposto, questo orientamento di Renzi non gli ha procurato alcuna simpatia.
Che a mia memoria al capo del nostro governo non sia mai uscita di bocca un' espressione di censura verso i dirigenti dell' inefficiente e per più versi marcio mondo bancario o verso la Consob, responsabili della rovina di decine di migliaia di cittadini italiani, è apparso quanto mai significativo.
Egualmente significativo, per esempio, che per tanto tempo egli non sia mai andato al di là delle battute circa il modo spudorato con cui l' Unione Europea si stava comportando con l' Italia a proposito della questione dei migranti. Cose come queste hanno allontanato Renzi dal modo d' essere e di sentire prevalente nel Paese. La sintonia con il quale non credo che sia stata di molto accresciuta dalla sua frequentazione intensa, a tratti si sarebbe detta compulsiva, con gli ambienti dell' industria e della finanza.
4) La politica dei bonus: dagli 80 euro ai lavoratori dipendenti, ai 500 euro a insegnanti e neo-diciottenni. Personalmente, così come dubito che i primi siano stati cruciali per il successo di Renzi alle Europee del 2014, invece sono sicuro che tanto i primi che i secondi non siano serviti ad aggiungergli il minimo consenso domenica scorsa. Il fatto è che l' attribuzione di tali somme (con quel termine «bonus», degno della pubblicità di un casinò volta ad attrarre clienti alle slot machine ) è stata sentita probabilmente non già come il riconoscimento di un compenso atteso e meritato quanto, più che altro, come l' elargizione di una mancia umiliante, concessa per acquistarsi il buon volere e la gratitudine del «beneficato». È facile immaginare la popolarità derivatane al «benefattore».
5) Il tratto marcato di «consorteria toscana» che Matteo Renzi non ha esitato a dare all' intera, vasta cerchia dei suoi collaboratori. È ovvio come ciò lo abbia fatto percepire dal resto del Paese come murato in una posizione «chiusa», non disposta ad accogliere e a colloquiare con apporti diversi. Si aggiunga il carattere non proprio di rango di un gran numero di tali collaboratori, così come dei tanti nominati in una miriade di posti: troppo spesso scelti con ogni evidenza più che per i loro meriti per la loro sicura fedeltà (vedi il caso, esemplare tra i tanti, per il risultato grigissimo verificabile quotidianamente da tutti 24 ore su 24, dei vertici Rai).
2 - LA METAMORFOSI
Francesco Merlo per “la Repubblica”
Avesse incontrato se stesso due anni fa, Renzi si sarebbe autorottamato senza pietà. Dalla Smart all' aereo di Stato, dal selfie al fotografo personale, dalla pizza con Blair al "bollito non bollito" di Bottura con Hollande e la Merkel, la sua è infatti la storia di uno spavaldo dell' antipotere che è diventato un potente spavaldo, la parabola del guascone del 2014 («Mi sento come Al Pacino nel film Ogni Maledetta domenica ») che si è gonfiato di boria nel 2016 («Sono cattivo, arrogante e impulsivo»).
Gli spostamenti progressivi del potere hanno dunque trasformato il simpatico giovanotto che sfacciatamente voleva impadronirsi del mondo («Ho l' ambizione smisurata, non lo smentisco ») nel più scorbutico dei vecchi antirenziani che si compiacevano di essere uomini di mondo, «uno di quei polli di batteria» di cui il "renzidiprima" voleva a tutti i costi non rispettare le regole: «Non starò mai alle loro regole, le regole di una generazione che ha già dato tutto quello che poteva dare».
Il "renzidipoi" è invece quello che nel Capodanno del 2015 andò a sciare con la famiglia prendendo l' aereo di Stato sino ad Aosta e poi l' elicottero sino a Courmayeur. Si giustificò così: «Per protocollo di sicurezza», che è lo scudo linguistico di un privilegio. Il renzidiprima, il 18 febbraio 2014, al contrario diceva: «No, guardate, a me la scorta non mi garba, non la voglio, grazie. La mia scorta è la gente ».
E tutti a replicargli «ma non si può...». Con la Giulietta bianca era salito al Quirinale e contro "il protocollo di sicurezza" montava sopra i treni: «Non voglio dare al Paese l' impressione di un uomo che una volta al governo cambia status, immagine, stile. Non posso e non voglio passare dalla bicicletta all' auto blu. Io sono di Rignano! ».
Ma ecco la questione amletica: quando quel ragazzo, che sembrava agli italiani simpatico e sanguigno, con quegli incredibili pantaloni attillati e il giubbotto di pelle a chiodo in opposizione ideologica, è diventato anche lui nomenklatura? Si sa, ogni rivoluzione mangia i suoi figli. Ebbene, quando Renzi si è auotomangiato? Quando Renzi ha smesso di fare il Renzi? E ancora: si diventa nomenklatura a poco a poco, oppure a scatti, o la sua era solo demagogia; oppure forse, c' è stato, nei mille giorni del potere, un momento fatale che ha cambiato il renzidiprima nel renzidipoi?
Di sicuro aveva ancora una fame da lupo («A 38 anni sono pronto per fare tutto») il renziediprima quando, il 13 luglio del 2013, andò di nascosto e di mattina presto a trovare la Merkel, che di lui disse: «Questo ragazzo mi incuriosisce». Due anni dopo, il 23 gennaio 2015, con una conferenza stampa napoleonica il renzidipoi esibì la Merkel ai giornalisti nella Galleria dell' Accademia di Firenze ai piedi del David: «Consiglio alla Germania di adottare la legge elettorale che noi abbiamo fatto in 11 mesi». E promise: «Come a Michelangelo era bastato togliere il marmo in eccesso così faremo anche noi con il processo di riforme, toglieremo la burocrazia in eccesso».
E però, ad ogni slittamento dall' immagine di bullo bellimbusto, come il famoso Fonzie televisivo, a quella del boiardo di Stato con busto al Pincio, come La Marmora e Ricasoli, era come se i peli dell' ambiguità italiana si spostassero dalla faccia di D' Alema a quella di Renzi. E oggi il No che lo rottama dimostra che la metafora dei baffi ha traslocato: imago animi vultus.
Dunque sono traslocate le ambiguità, le mille trame attribuite, i presunti inciuci, gli affari, le ombre cinesi, il petto gonfio, il mezzo sorriso, persino il passo che da saltellante si è fatto marziale. E forse il momento fatale, quel momento che tutto riassume e tutto trasforma in Storia, è stato il suicido di Luigino D' Angelo, il 28 novembre del 2015, il sessantottenne pensionato - di sinistra - a cui la Banca Etruria aveva azzerato i risparmi, 110mila euro investiti in spazzatura finanziaria.
Renzi non pregò sulla sua tomba, non andò ad abbracciare la vedova, la signora Lidia Di Marcantonio («Solo Berlusconi mi ha mandato un bellissimo telegramma, lo Stato ci ha girato le spalle»). Renzi si chiuse a Palazzo Chigi, e non fece quel che il renzidiprima avrebbe fatto - prima di ubriacarsi con il 41 per cento dei consensi - : carezze economiche e belle parole ai pensionati, la promessa di riformare le banche, non dico i versi di Ezra Pound sull' usura e neppure le metafore di Brecht o gli aforismi di Kraus, o i disegni di Otto Dix, ma le parole di Obama del 2010 contro «gli speculatori banditi»: «Mai più salvataggi a spese dei consumatori». E invece il New Deal del renzidipoi fu… il salvataggio delle banche già fallite.
Ed è passata un' epoca da quando Renzi, giocando con il suo iphone faceva un autoscatto goffo e scriveva "io" sotto una faccia gonfia e nessuna messa a fuoco. Era l' 8 settembre del 2014. Confrontate quell' immagine con quell' altra, per esempio, del 29 ottobre del 2016, realizzata dal fotografo personale Tiberio Barchielli.
È insieme a Zuckerberg lungo i corridoi di Palazzo Chigi, tra mappamondi e arazzi. Il renzidipoi ama infatti le eccellenze, i cantieri finiti, i nastri da tagliare, i viadotti riedificati a tempo di record e subito richiusi dopo la sua visita.
Era ben più vero e più popolare lo scapestrato che a Firenze, indossando l' elmetto giallo, saliva sulle ruspe, rispetto allo statista in visita alla Ferrrari il 31 agosto 2016, alla Ferrero il 14 settembre 2016, alla Lamborghini e poi alla Philip Morris il 23 settembre 2016, all' Hitachi di Pistoia il 13 ottobre 2016, alla ex Fiat di Cassino il 24 novembre 2016… Ma fotografandolo ormai abitualmente in pose che sanno di pensiero, il bravo Barchielli ce lo mostra nella verità più cruda: il renzidipoi è un personaggio ormai immaginario, il vezzoso involucro del potere, la metamorfosi è compiuta.
E forse tutto è cominciato quel giorno a Siracusa, il 5 marzo del 2014, quando - ricordate? - in una scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, Renzi accettò l' accoglienza servile dei bambini che, istruiti dai maestri, gli cantarono "facciamo un salto / battiam le mani / muoviam la testa/ facciam la festa".
Ecco, noi allora intuimmo la metamorfosi. Scrivemmo infatti: «Se fosse stato ancora lo stesso che, appena eletto segretario, scelse come inno "Resta ribelle" dei Negrita, Renzi avrebbe certamente intonato "prendi una chitarra e qualche dose di follia / come una mitraglia sputa fuoco e poesia". E, con l' incitamento a contestare e a irridere i maestri, avrebbe rifiutato quei miagolii che dai maestri erano stati imposti: "presidente Renzi/ da oggi in poi / ovunque vai / non scordarti di noi"».
Ecco, c' era già il renzidipoi nel renzidiprima, l' evoluzione non fa salti, la metamorfosi è il bruco che non può non farsi farfalla, è l' uomo che non può che farsi scarafaggio. Viene dunque da lontano la sconfitta del renzidipoi. Ma non è la sconfitta dello stil novo "da Dante a Twitter" (che è il suo libro del 2012), ma è semmai il No al twittume che lo circonda, alla petulanza del circoletto social che, per esempio, produsse il ciaone ai tempi del referendum "No trivelle" (17 aprile 2016), la pacchianeria del vincitore renziano che dimostrò di non sapere vincere con quello sbotto di scherno che ricordava le corna di Gassman quando, sulla spider, sorpassava strombazzando.
E però, poiché nella fine c' è sempre la perfezione dell' inizio, l' altro ieri Renzi ha dimostrato di saper perdere, di essere ancora un capo nel Paese dei maggiordomi e dei militanti ossessivi. Domenica notte, con accanto Agnese che lo rendeva elegante, Renzi ha provato che si può vincere perdendo. Sia pure per il tempo di un discorso, il renzidiprima infatti ha avuto la meglio sul renzidipoi.
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- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: VERSO QUALE FUTURO?
ALL’INTERNO DI UN’AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI SPURGHI.
ANGELINO,......................QUEL GENIO CHE TUTTO IL MONDO CI INVIDIA
6 dic 2016 16:05
ALFANO VUOLE LE ELEZIONI? E L’UDC LO MOLLA
- HANNO UNA RAPPRESENTANZA DA PREFISSO DI MILANO, MA ERANO IN MAGGIORANZA PRIMA DEL REFERENDUM
- RIMANGONO 4 DEPUTATI E UN SENATORE MA HANNO ESPRESSO DUE MINISTRI (GALLETTI E COSTA) E CASINI RESTA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ESTERI
- ANGELINO FA SPALLUCCE
Da Ansa
"L'idea di far precipitare il Paese verso il voto appare più il segno di una reazione emotiva che un disegno politico utile all'Italia. Su questo punto si segna l'ultima differenza nei confronti di Alfano. L'esperienza di Ap, forse mai decollata, si conclude qui con lo scioglimento dei gruppi e la ripresa di autonome presenze parlamentari".
Lo annunciano in una nota congiunta i parlamentari dell'Udc assieme al segretario nazionale Lorenzo Cesa. Da Ap escono quindi 4 deputati e 1 senatore. Ad uscire dai gruppi congiunti, si apprende dall'Udc, sono i parlamentari Buttiglione, Binetti, De Mita e Cera e il senatore De Poli.
"In questo momento riteniamo che in primo luogo spetti al presidente Mattarella definire percorsi e prospettive. Ci limitiamo a considerare che dopo il referendum il Paese ha bisogno con urgenza di una messa in sicurezza sociale, di interventi sul sistema creditizio a tutela dei risparmiatori e di una nuova legge elettorale a base proporzionale votata dal parlamento”.
La nota prosegue: “E non ultimo c'è bisogno, al di là delle distinzioni sul referendum, di un lavoro di ricomposizione specie all'interno dell'area del cattolicesimo popolare e di ceti medi e popolari, che miri alla costruzione di un soggetto politico credibile" si spiega nella nota dell'Udc che conclude: "Facciamo appello a noi stessi e a quanti, tra parlamentari e movimenti nella società civile, colgano come noi la rilevanza di questo passaggio".
Immediata la reazione di Angelino Alfano. L'Udc ha lasciato Ap? "Nessuna sorpresa, l'Udc, che è un partito dal quale era già uscito Pier Ferdinando Casini, ha votato ufficialmente No al referendum, queste sono le naturali conseguenze politiche della divisione al referendum. Mi sembra anche che ci sia un clima all'interno del sistema politico italiano per cui le conseguenze del referendum si faranno sentire credo nell'ambito di vari partiti nelle prossime ore".
ANGELINO,......................QUEL GENIO CHE TUTTO IL MONDO CI INVIDIA
6 dic 2016 16:05
ALFANO VUOLE LE ELEZIONI? E L’UDC LO MOLLA
- HANNO UNA RAPPRESENTANZA DA PREFISSO DI MILANO, MA ERANO IN MAGGIORANZA PRIMA DEL REFERENDUM
- RIMANGONO 4 DEPUTATI E UN SENATORE MA HANNO ESPRESSO DUE MINISTRI (GALLETTI E COSTA) E CASINI RESTA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ESTERI
- ANGELINO FA SPALLUCCE
Da Ansa
"L'idea di far precipitare il Paese verso il voto appare più il segno di una reazione emotiva che un disegno politico utile all'Italia. Su questo punto si segna l'ultima differenza nei confronti di Alfano. L'esperienza di Ap, forse mai decollata, si conclude qui con lo scioglimento dei gruppi e la ripresa di autonome presenze parlamentari".
Lo annunciano in una nota congiunta i parlamentari dell'Udc assieme al segretario nazionale Lorenzo Cesa. Da Ap escono quindi 4 deputati e 1 senatore. Ad uscire dai gruppi congiunti, si apprende dall'Udc, sono i parlamentari Buttiglione, Binetti, De Mita e Cera e il senatore De Poli.
"In questo momento riteniamo che in primo luogo spetti al presidente Mattarella definire percorsi e prospettive. Ci limitiamo a considerare che dopo il referendum il Paese ha bisogno con urgenza di una messa in sicurezza sociale, di interventi sul sistema creditizio a tutela dei risparmiatori e di una nuova legge elettorale a base proporzionale votata dal parlamento”.
La nota prosegue: “E non ultimo c'è bisogno, al di là delle distinzioni sul referendum, di un lavoro di ricomposizione specie all'interno dell'area del cattolicesimo popolare e di ceti medi e popolari, che miri alla costruzione di un soggetto politico credibile" si spiega nella nota dell'Udc che conclude: "Facciamo appello a noi stessi e a quanti, tra parlamentari e movimenti nella società civile, colgano come noi la rilevanza di questo passaggio".
Immediata la reazione di Angelino Alfano. L'Udc ha lasciato Ap? "Nessuna sorpresa, l'Udc, che è un partito dal quale era già uscito Pier Ferdinando Casini, ha votato ufficialmente No al referendum, queste sono le naturali conseguenze politiche della divisione al referendum. Mi sembra anche che ci sia un clima all'interno del sistema politico italiano per cui le conseguenze del referendum si faranno sentire credo nell'ambito di vari partiti nelle prossime ore".
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
SEMPRE PIU'
ALL’INTERNO DI UN’AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI
SPURGHI.
Consultazioni già da giovedì
E tutti guardano a Gentiloni
L'approvazione della manovra fa accelerare i tempi. Mattarella pronto a trattare. Ma a Palazzo Chigi c'è aria di inciucio
di Sergio Rame
2 ore fa
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Governo, non escluse consultazioni da giovedì: Gentiloni in ascesa
L'approvazione della manovra fa accelerare i tempi. Mattarella è pronto per le consultazioni. Ma a Palazzo Chigi c'è aria di inciucio
Sergio Rame - Mar, 06/12/2016 - 16:48
commenta
In attesa che le dimissioni di Matteo Renzi da presidente del Consiglio divengano effettive è già scattata la ricerca del nome giusto per sostituire il segretario del Partito Democratico a Palazzo Chigi.
Per il nuovo capo di governo è in corso un "totonome" tutto interno ai dem. Oltre al nome del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, a quello delle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio, e a quello del presidente del Senato Pietro Grasso, in queste ore ha cominciato a circolare con insistenza quello di Paolo Gentiloni: il ministro degli Esteri avrebbe dalla sua il fatto di essere nativo Pd, di essere uomo delle istituzioni e un renziano di ferro di "rito" rutelliano.
L'accelerazione che stanno subendo i tempi di approvazione della legge di Bilancio al Senato non fa escludere che le consultazioni per la formazione del nuovo governo possano iniziare già da giovedì. Secondo fonti qualificate, tutto dipenderà dal giorno che vedrà Renzi ritornare al Colle per scongelare le dimissioni. Il nome di Gentiloni avrebbe il gradimento dei capigruppo Pd di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda che, da capigruppo, potrebbero avanzarne il nome davanti il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante le consultazioni che inizieranno dopo il via libera della Legge di Bilancio al Senato. Rimane in piedi l'ipotesi che, in caso di elezioni già nei primissimi mesi dell'anno, Renzi debba rimanere a guidare l'esecutivo per il disbrigo degli affari correnti. In questo modo, come svelato oggi da Adalberto Signore sul Giornale, si giocherebbe tutto a febbraio, appena la Corte Costituzionale si sarà pronunciata sull'Italicum, cancellando il ballottaggio e rendendo omogenei i sistemi di voto di Camera e Senato.
Padoan ha dalla sua il vantaggio di avere in mano tutti i dossier economici del governo uscente ed essere apprezzato a livello internazionale. Con lui sarebbe garantita una certa continuità nell'azione di governo, cosa che contribuirebbe a tranquillizzare i mercati internazionali. Il fatto, però, che proprio i mercati abbiano smentito chi prevedeva fibrillazioni all'indomani della vittoria del No, potrebbe far virare l'attenzione su un altro nome. Quello di Gentiloni, appunto. Rimane sul tavolo, ma perde quota, il nome del titolare delle Infrastrutture. Delrio è sempre stato apprezzato da Renzi che lo ha voluto, ad inizio del suo mandato, vicino a sé nella veste di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il trasferimento dell'ex sindaco di Reggio Emilia a Porta Pia fu interpretato come un raffreddamento dei rapporti tra i due. È un fatto, però, che in un momento particolarmente delicato per il governo, con l'allora ministro Maurizio Lupi che si dimise a causa dell'affaire Rolex, Renzi abbia scelto uno dei suoi uomini più forti e meno inclini a scendere a patti con la burocrazia e i tecnocrati dei palazzi.
ALL’INTERNO DI UN’AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI
SPURGHI.
Consultazioni già da giovedì
E tutti guardano a Gentiloni
L'approvazione della manovra fa accelerare i tempi. Mattarella pronto a trattare. Ma a Palazzo Chigi c'è aria di inciucio
di Sergio Rame
2 ore fa
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Governo, non escluse consultazioni da giovedì: Gentiloni in ascesa
L'approvazione della manovra fa accelerare i tempi. Mattarella è pronto per le consultazioni. Ma a Palazzo Chigi c'è aria di inciucio
Sergio Rame - Mar, 06/12/2016 - 16:48
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In attesa che le dimissioni di Matteo Renzi da presidente del Consiglio divengano effettive è già scattata la ricerca del nome giusto per sostituire il segretario del Partito Democratico a Palazzo Chigi.
Per il nuovo capo di governo è in corso un "totonome" tutto interno ai dem. Oltre al nome del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, a quello delle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio, e a quello del presidente del Senato Pietro Grasso, in queste ore ha cominciato a circolare con insistenza quello di Paolo Gentiloni: il ministro degli Esteri avrebbe dalla sua il fatto di essere nativo Pd, di essere uomo delle istituzioni e un renziano di ferro di "rito" rutelliano.
L'accelerazione che stanno subendo i tempi di approvazione della legge di Bilancio al Senato non fa escludere che le consultazioni per la formazione del nuovo governo possano iniziare già da giovedì. Secondo fonti qualificate, tutto dipenderà dal giorno che vedrà Renzi ritornare al Colle per scongelare le dimissioni. Il nome di Gentiloni avrebbe il gradimento dei capigruppo Pd di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda che, da capigruppo, potrebbero avanzarne il nome davanti il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante le consultazioni che inizieranno dopo il via libera della Legge di Bilancio al Senato. Rimane in piedi l'ipotesi che, in caso di elezioni già nei primissimi mesi dell'anno, Renzi debba rimanere a guidare l'esecutivo per il disbrigo degli affari correnti. In questo modo, come svelato oggi da Adalberto Signore sul Giornale, si giocherebbe tutto a febbraio, appena la Corte Costituzionale si sarà pronunciata sull'Italicum, cancellando il ballottaggio e rendendo omogenei i sistemi di voto di Camera e Senato.
Padoan ha dalla sua il vantaggio di avere in mano tutti i dossier economici del governo uscente ed essere apprezzato a livello internazionale. Con lui sarebbe garantita una certa continuità nell'azione di governo, cosa che contribuirebbe a tranquillizzare i mercati internazionali. Il fatto, però, che proprio i mercati abbiano smentito chi prevedeva fibrillazioni all'indomani della vittoria del No, potrebbe far virare l'attenzione su un altro nome. Quello di Gentiloni, appunto. Rimane sul tavolo, ma perde quota, il nome del titolare delle Infrastrutture. Delrio è sempre stato apprezzato da Renzi che lo ha voluto, ad inizio del suo mandato, vicino a sé nella veste di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il trasferimento dell'ex sindaco di Reggio Emilia a Porta Pia fu interpretato come un raffreddamento dei rapporti tra i due. È un fatto, però, che in un momento particolarmente delicato per il governo, con l'allora ministro Maurizio Lupi che si dimise a causa dell'affaire Rolex, Renzi abbia scelto uno dei suoi uomini più forti e meno inclini a scendere a patti con la burocrazia e i tecnocrati dei palazzi.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?
I PROBLEMI SUL TAVOLO
ALL’INTERNO DI UN’AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI SPURGHI.
IlFattoQuotidiano.it / Cervelli in fuga
Istat, oltre 147mila italiani emigrati all’estero nel 2015. Aumentano i laureati over 25
Cervelli in fuga
I dati sono contenuti nel dossier "Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente". Aumentati dell'8 per cento rispetto al 2014 i concittadini che se ne sono andati. I Paesi preferiti sono Regno Unito e Germania
di F. Q. | 6 dicembre 2016
commenti (30)
Più informazioni su: Germania, Italiani all'Estero, Laureati, Neolaureati, Regno Unito
L’Italia continua a perdere i suoi concittadini, che preferiscono cercare un futuro all’estero. In tutto nel 2015 sono stati 147mila, l’8% in più rispetto al 2014. E sono sempre di più i laureati con più di 25 anni che lasciano il Paese, quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014, anche se l’emigrazione aumenta anche fra chi ha un titolo di studio medio-basso (52 mila, +9%). A rilevarlo è il report dell’Istat sulle ‘Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente‘ relativo al 2015.
Nel 2015 cresce il numero delle emigrazioni: un aumento dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (da 89mila a 102mila unità, pari a +15%), mentre quelle dei cittadini stranieri si riducono da 47mila a 45mila (-6%). Gli emigrati di cittadinanza italiana nati all’estero ammontano a oltre 23 mila: il 55% torna nel Paese di nascita, il 37% emigra in un Paese dell’Unione europea, il restante 8% si dirige verso un Paese terzo non Ue.
Un dossier che rileva anche i Paesi di destinazione preferiti: al primo posto c’è il Regno Unito (17,1%), che da solo ne ha attratti 3.790, pari al 32,1% del totale di immigrati Oltremanica. Seguono Germania (16,9%), Svizzera (11,2%) e Francia (10,6%). Nel 2015, il saldo migratorio con l’estero degli italiani con almeno 25 anni evidenzia una perdita di residenti pari a 51 mila unità, di cui tre su dieci (15 mila) sono individui in possesso di laurea.
ALL’INTERNO DI UN’AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI SPURGHI.
IlFattoQuotidiano.it / Cervelli in fuga
Istat, oltre 147mila italiani emigrati all’estero nel 2015. Aumentano i laureati over 25
Cervelli in fuga
I dati sono contenuti nel dossier "Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente". Aumentati dell'8 per cento rispetto al 2014 i concittadini che se ne sono andati. I Paesi preferiti sono Regno Unito e Germania
di F. Q. | 6 dicembre 2016
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Più informazioni su: Germania, Italiani all'Estero, Laureati, Neolaureati, Regno Unito
L’Italia continua a perdere i suoi concittadini, che preferiscono cercare un futuro all’estero. In tutto nel 2015 sono stati 147mila, l’8% in più rispetto al 2014. E sono sempre di più i laureati con più di 25 anni che lasciano il Paese, quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014, anche se l’emigrazione aumenta anche fra chi ha un titolo di studio medio-basso (52 mila, +9%). A rilevarlo è il report dell’Istat sulle ‘Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente‘ relativo al 2015.
Nel 2015 cresce il numero delle emigrazioni: un aumento dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (da 89mila a 102mila unità, pari a +15%), mentre quelle dei cittadini stranieri si riducono da 47mila a 45mila (-6%). Gli emigrati di cittadinanza italiana nati all’estero ammontano a oltre 23 mila: il 55% torna nel Paese di nascita, il 37% emigra in un Paese dell’Unione europea, il restante 8% si dirige verso un Paese terzo non Ue.
Un dossier che rileva anche i Paesi di destinazione preferiti: al primo posto c’è il Regno Unito (17,1%), che da solo ne ha attratti 3.790, pari al 32,1% del totale di immigrati Oltremanica. Seguono Germania (16,9%), Svizzera (11,2%) e Francia (10,6%). Nel 2015, il saldo migratorio con l’estero degli italiani con almeno 25 anni evidenzia una perdita di residenti pari a 51 mila unità, di cui tre su dieci (15 mila) sono individui in possesso di laurea.
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