La truffa della flexsecurity all'italiana.
Inviato: 23/03/2012, 10:50
La cosiddetta riforma dell'art. 18 è alle battute finali.
Siamo dunque vicini alla conclusione di un lungo periodo di discussioni, talvolta accese, polemiche, lacerazioni, che hanno attraversato in particolar modo il Partito Democratico soprattutto ad opera di coloro che mi permisi di definire, nel vecchio forum, "i liberisti di noantri".
Al di là delle questioni di principio, più o meno condivisibili, intorno all'art. 18 della legge 300, sulle questioni di "civiltà" dei rapporti sociali ed economici ad esso connesse, alla concezione del valore del diritto al lavoro e della sua "monetizzazione", ho sempre sostenuto che in realtà il dibattito e lo scontro tra le posizioni era viziato da una profonda mistificazione e da una chiara mala fede da parte dei sostenitori di improbabili modelli nord-europei.
Per aver affermato che le tesi del prof. Ichino, a prescindere dal giudizio di merito sulle soluzioni prospettate, erano viziate da un'incontestabile dose di mala fede, tendente a prospettare un "paradiso" alternativo esplicitamente ispirato al cosiddetto modello danese (modello più volte richiamato dal professore nei suoi numerosi interventi e documenti), pur nella consapevolezza che per motivi di incompatibilità finanziarie, sociali e culturali con il contesto nostrano, esso era in realtà altamente improbabile e scarsamente credibile, fui minacciato di essere "bannato" dal forum.
Oggi, nel momento della resa dei conti, i termini delle questioni sono più chiari e concreti e gli spazi per le mistificazioni notevolmente più ridotti.
Per parlare in termini semplici di una problematica ostica e complessa, facciamo l'esempio tra ciò che accadrebbe, secondo il modello danese-Ichino ad un lavoratore licenziato per "motivi economici" (quindi non disciplinari o discriminatori) e ciò che è previsto dall'attuale formulazione della riforma Fornero dell'art. 18.
Nel primo caso, a detta di Ichino, al lavoratore spetterebbe:
- un'indennità di preavviso pari almeno a tante mensilità per quanti sono gli anni di anzianità fino ad un massimo di 12;
- un’indennità di licenziamento pari a tanti dodicesimi della retribuzione lorda complessivamente goduta nell’ultimo anno di lavoro, quanti sono gli anni compiuti di anzianità di servizio in azienda oltre i dodici coperti dall'indennità di cui al punto precedente;
- l’erogazione a cura e spese del datore di lavoro di un trattamento complementare per il periodo di disoccupazione effettiva e involontaria, tale che il trattamento complessivo ammonti al 90 per cento dell’ultima retribuzione per il primo anno, all’80 per cento per il secondo e al 70 per cento per il terzo;
- l’erogazione di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, "secondo le migliori tecniche del settore";
- la predisposizione di iniziative di formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali "appropriati in relazione alle capacità del lavoratore".
Quando il lavoratore abbia maturato venti anni di anzianità di servizio e non abbia ancora maturato il diritto al pensionamento di vecchiaia, il licenziamento motivato con esigenze oggettive si presume dettato da intendimento di discriminazione in ragione dell’età, salva prova del giustificato motivo economico, tecnico od organizzativo, della quale il datore di lavoro è onerato in giudizio.
Passando dal "paradiso danese" all'inferno italiano, tutto ciò si riduce, secondo la "riforma Fornero" ad un assegno pari al 70% della retribuzione fino ad un massimo di 1.119 € mensili per la durata di un anno, prorogabile fino a 18 messi per i lavoratori di età superiore ai 55 anni (!).
Solo nel caso in cui il lavoratore intenti causa contro il datore di lavoro e venga riconosciuta l'illeggittimità del licenziamento per assenza di motivi oggettivi, si vedrebbe riconosciuto (forse dopo almeno tre anni di cause) un indennizzo compreso tra le 15 e le 27 mensilità.
Di fronte ad una tale schifezza, una qualunque persona in buona fede, al posto del prof. Ichino prenderebbe le distanze mettendo ben in evidenza che "la sua riforma" nulla ha a che vedere con questa clamorosa truffa contrabbandata per flexsecurity all'amatriciana.
Ed invece, l'esimio professore, mentre il suo partito per bocca del segretario cerca di porre uno stop, si affretta a scrivere sul Corriere del 22 marzo una lettera in cui definisce la riforma "molto imperfetta" ma che "va nella direzione giusta", declassando le voragini sopra evidenziate come "qualche difetto" nell'ambito di un progetto che "tende ad allineare il nostro sistema di protezione del lavoro a quelli dei nostri maggiori partner europei".
Qui evidentemente non siamo in presenza di una contrapposizione tra diverse visioni politiche e culturali, ma alla truffa bella e buona che come tale andrebbe trattata.
Siamo dunque vicini alla conclusione di un lungo periodo di discussioni, talvolta accese, polemiche, lacerazioni, che hanno attraversato in particolar modo il Partito Democratico soprattutto ad opera di coloro che mi permisi di definire, nel vecchio forum, "i liberisti di noantri".
Al di là delle questioni di principio, più o meno condivisibili, intorno all'art. 18 della legge 300, sulle questioni di "civiltà" dei rapporti sociali ed economici ad esso connesse, alla concezione del valore del diritto al lavoro e della sua "monetizzazione", ho sempre sostenuto che in realtà il dibattito e lo scontro tra le posizioni era viziato da una profonda mistificazione e da una chiara mala fede da parte dei sostenitori di improbabili modelli nord-europei.
Per aver affermato che le tesi del prof. Ichino, a prescindere dal giudizio di merito sulle soluzioni prospettate, erano viziate da un'incontestabile dose di mala fede, tendente a prospettare un "paradiso" alternativo esplicitamente ispirato al cosiddetto modello danese (modello più volte richiamato dal professore nei suoi numerosi interventi e documenti), pur nella consapevolezza che per motivi di incompatibilità finanziarie, sociali e culturali con il contesto nostrano, esso era in realtà altamente improbabile e scarsamente credibile, fui minacciato di essere "bannato" dal forum.
Oggi, nel momento della resa dei conti, i termini delle questioni sono più chiari e concreti e gli spazi per le mistificazioni notevolmente più ridotti.
Per parlare in termini semplici di una problematica ostica e complessa, facciamo l'esempio tra ciò che accadrebbe, secondo il modello danese-Ichino ad un lavoratore licenziato per "motivi economici" (quindi non disciplinari o discriminatori) e ciò che è previsto dall'attuale formulazione della riforma Fornero dell'art. 18.
Nel primo caso, a detta di Ichino, al lavoratore spetterebbe:
- un'indennità di preavviso pari almeno a tante mensilità per quanti sono gli anni di anzianità fino ad un massimo di 12;
- un’indennità di licenziamento pari a tanti dodicesimi della retribuzione lorda complessivamente goduta nell’ultimo anno di lavoro, quanti sono gli anni compiuti di anzianità di servizio in azienda oltre i dodici coperti dall'indennità di cui al punto precedente;
- l’erogazione a cura e spese del datore di lavoro di un trattamento complementare per il periodo di disoccupazione effettiva e involontaria, tale che il trattamento complessivo ammonti al 90 per cento dell’ultima retribuzione per il primo anno, all’80 per cento per il secondo e al 70 per cento per il terzo;
- l’erogazione di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, "secondo le migliori tecniche del settore";
- la predisposizione di iniziative di formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali "appropriati in relazione alle capacità del lavoratore".
Quando il lavoratore abbia maturato venti anni di anzianità di servizio e non abbia ancora maturato il diritto al pensionamento di vecchiaia, il licenziamento motivato con esigenze oggettive si presume dettato da intendimento di discriminazione in ragione dell’età, salva prova del giustificato motivo economico, tecnico od organizzativo, della quale il datore di lavoro è onerato in giudizio.
Passando dal "paradiso danese" all'inferno italiano, tutto ciò si riduce, secondo la "riforma Fornero" ad un assegno pari al 70% della retribuzione fino ad un massimo di 1.119 € mensili per la durata di un anno, prorogabile fino a 18 messi per i lavoratori di età superiore ai 55 anni (!).
Solo nel caso in cui il lavoratore intenti causa contro il datore di lavoro e venga riconosciuta l'illeggittimità del licenziamento per assenza di motivi oggettivi, si vedrebbe riconosciuto (forse dopo almeno tre anni di cause) un indennizzo compreso tra le 15 e le 27 mensilità.
Di fronte ad una tale schifezza, una qualunque persona in buona fede, al posto del prof. Ichino prenderebbe le distanze mettendo ben in evidenza che "la sua riforma" nulla ha a che vedere con questa clamorosa truffa contrabbandata per flexsecurity all'amatriciana.
Ed invece, l'esimio professore, mentre il suo partito per bocca del segretario cerca di porre uno stop, si affretta a scrivere sul Corriere del 22 marzo una lettera in cui definisce la riforma "molto imperfetta" ma che "va nella direzione giusta", declassando le voragini sopra evidenziate come "qualche difetto" nell'ambito di un progetto che "tende ad allineare il nostro sistema di protezione del lavoro a quelli dei nostri maggiori partner europei".
Qui evidentemente non siamo in presenza di una contrapposizione tra diverse visioni politiche e culturali, ma alla truffa bella e buona che come tale andrebbe trattata.