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Inviato: 13/04/2012, 9:05
( la stampa)
13/04/2012 - CINEMA
Diaz, il film che sana una ferita
Il film di Daniele Vicari sulle violenze durante il G8 di Genova del 2001 non è una visione piacevole, non è una visione divertente, ma un'esperienza memorabile
MULTIMEDIA
ANTONIO SCURATI
Andare a vedere Diaz è un dovere civile. Il film di Daniele Vicari sulle violenze perpetrate da alcuni reparti della polizia durante il G8 di Genova del luglio 2001, non sarà una visione piacevole, non sarà una visione divertente, non sarà una visione conciliante. Sarà, in compenso, un’esperienza memorabile.
Sì, perché di questo si tratta. Questo è il pregio etico ed estetico di questo film potente e commovente: ci investe con un flusso di immagini destinate a restare nella memoria e, ancor di più,ciconsegnaunastoriaper immagini che finalmente consente agli italiani della presente e delle future generazioni di far entrare nella propria memoria nazionale i fatti accaduti nei terribili giorni di quel luglio d’inizio secolo e millennio.
I fatti sono noti. Noti, arcinoti e, per l’appunto, dimenticati: sabato 21 luglio 2001, ultimo giorno di manifestazioni e scontri al G8 di Genova, poco prima di mezzanotte, centinaia di poliziotti fanno irruzione nel complesso scolastico «A. Diaz» – adibito dai manifestanti a media-center – picchiano selvaggiamente e arrestano immotivatamente centinaia di ragazze e ragazzi, italiani e stranieri, inermi e colti nel sonno. Poi falsificano le prove riguardo presunti reati di resistenza e porto d’armi cercando di depistare le indagini. Amnesty International definirà l’accaduto come «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la fine della II guerra mondiale».
A questo proposito sarà bene chiarire subito una cosa: non deve essere questo film l’occasione per riaprire la ferita di una sterile e annosa polemica nei confronti della polizia. La condotta di quei reparti di polizia in quelle circostanze fu illegale, inaccettabile e vergognosa proprio perché polizia di uno Stato democratico in cui tutti ci riconosciamo, non certo di quel sinistro «stato di Polizia» che fu bersaglio polemico di legioni di antagonisti dei secoli precedenti. Lo Stato siamo noi, dunque la Polizia siamo noi, dunque pretendiamo che i suoi agenti si conducano nel rispetto della persona e della legalità. Punto. Fine delle polemiche.
No, la straordinaria occasione fornitaci da produttori, sceneggiatori, regista e attori di questo film è ben altra: è l’occasione di una testimonianza artistica indelebile grazie alla quale la ferita possa finalmente sanarsi come pelle lacerata attorno a un primo, piccolo coagulo di sangue rappreso. Ora, forse, finalmente, grazie a questo film coraggioso, i fatti di Genova, potranno uscire dal ricordo individuale ed entrare nella memoria collettiva. Potranno, insomma, smettere di sanguinare uscendo dalla necrotica zona di rimozione in cui rischiavano di piombare ed entrando, benignamente, nell’esperienza della Nazione. Sì, perché questo è il significato dell’esperienza, di quel vivere consapevole con cui è possibile riconciliarsi: la ferita più la memoria che ti ha lasciato.
E ferita, indubbiamente, vi fu. Ferita profonda. Diaz di DanieleVicariescenellesaleitaliane a pochi giorni di distanza da Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana. Impossibile non accostarli. Impossibile ma equivoco. La contiguità temporale potrebbe indurre a collocare i fatti narrati da Vicari nello stesso solco storico degli antefatti e retroscena della strage di piazza fontana narrati da Giordana. Se lo si facesse, a mio modesto parere, si prenderebbe un grosso abbaglio. Non siamo di fronte al proseguimento della stessa eterna, identica storia di un medesimo volto tenebroso di un potere arcano che si esercita attraverso complotti, trame oscure, misteri inconfessabili e irrisolti. Quella raccontata da Diaz è un’altra storia, che riguarda una nuova e diversa generazione e checiimpone,se vogliamo renderle giustizia, di ribellarci al ricatto ideologico in forza del quale in tutti questi anni ci è stato quasi imposto di ricondurre ogni passaggio della storia italiana recente alla presunta matrice universale della strategia della tensione e delle violenze politiche degli anni ’70.
Ciò che rende la storia narrata da Diaz una storia diversa è soprattutto la natura del contropotere che vi si rappresenta, i volti, le identità e i destini delle ragazze e dei ragazzi catturati nella mattanza verso cui l’intero film precipita come verso un centro vorticoso, violento e vuoto. Nel secolo scorso, ogni volta che le forze del cambiamento s’infrangevano contro la violenza altrui, gli antagonisti si rassodavano nella convinzione di trovarsi dalla parte giusta, si rafforzavano nelle loro motivazioni di impegno nella lotta politica (talvolta scegliendo la violenza in proprio). Ciò che accadde a Genova fu tutt’altra storia: fu l’unico e ultimo,debole conato di partecipazione attiva lla vita politica da parte di una generazione cresciuta dopo la grande smobilitazione ideologica degli anni ’80. Quella generazione tentò allora di alzare la testa. Fu bastonata e la riabbassò per non alzarla mai più. Soltanto due mesi dopo quel luglio del 2001 venne l’Undici Settembre a seppellire lo slancio del movimento alter mondista. Adesso, dieci anni più tardi, la carne morsa dalla crisi, ci accorgiamo di quante ragioni ci fossero in quelle azzittite voci di dissenso.
Per tutti questi motivi, poter vedere Diaz di Daniele Vicari, nonèsoloundoverecivile,è,oserei dire, un diritto civile. Il diritto di una generazione – che non è affatto la stessa di Piazza Fontana – a riappropriarsi della propria storia, la storia di una generazioneperdutaallapolitica.Ele conseguenze di questa perdita sono sotto gli occhi di tutti.
13/04/2012 - CINEMA
Diaz, il film che sana una ferita
Il film di Daniele Vicari sulle violenze durante il G8 di Genova del 2001 non è una visione piacevole, non è una visione divertente, ma un'esperienza memorabile
MULTIMEDIA
ANTONIO SCURATI
Andare a vedere Diaz è un dovere civile. Il film di Daniele Vicari sulle violenze perpetrate da alcuni reparti della polizia durante il G8 di Genova del luglio 2001, non sarà una visione piacevole, non sarà una visione divertente, non sarà una visione conciliante. Sarà, in compenso, un’esperienza memorabile.
Sì, perché di questo si tratta. Questo è il pregio etico ed estetico di questo film potente e commovente: ci investe con un flusso di immagini destinate a restare nella memoria e, ancor di più,ciconsegnaunastoriaper immagini che finalmente consente agli italiani della presente e delle future generazioni di far entrare nella propria memoria nazionale i fatti accaduti nei terribili giorni di quel luglio d’inizio secolo e millennio.
I fatti sono noti. Noti, arcinoti e, per l’appunto, dimenticati: sabato 21 luglio 2001, ultimo giorno di manifestazioni e scontri al G8 di Genova, poco prima di mezzanotte, centinaia di poliziotti fanno irruzione nel complesso scolastico «A. Diaz» – adibito dai manifestanti a media-center – picchiano selvaggiamente e arrestano immotivatamente centinaia di ragazze e ragazzi, italiani e stranieri, inermi e colti nel sonno. Poi falsificano le prove riguardo presunti reati di resistenza e porto d’armi cercando di depistare le indagini. Amnesty International definirà l’accaduto come «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la fine della II guerra mondiale».
A questo proposito sarà bene chiarire subito una cosa: non deve essere questo film l’occasione per riaprire la ferita di una sterile e annosa polemica nei confronti della polizia. La condotta di quei reparti di polizia in quelle circostanze fu illegale, inaccettabile e vergognosa proprio perché polizia di uno Stato democratico in cui tutti ci riconosciamo, non certo di quel sinistro «stato di Polizia» che fu bersaglio polemico di legioni di antagonisti dei secoli precedenti. Lo Stato siamo noi, dunque la Polizia siamo noi, dunque pretendiamo che i suoi agenti si conducano nel rispetto della persona e della legalità. Punto. Fine delle polemiche.
No, la straordinaria occasione fornitaci da produttori, sceneggiatori, regista e attori di questo film è ben altra: è l’occasione di una testimonianza artistica indelebile grazie alla quale la ferita possa finalmente sanarsi come pelle lacerata attorno a un primo, piccolo coagulo di sangue rappreso. Ora, forse, finalmente, grazie a questo film coraggioso, i fatti di Genova, potranno uscire dal ricordo individuale ed entrare nella memoria collettiva. Potranno, insomma, smettere di sanguinare uscendo dalla necrotica zona di rimozione in cui rischiavano di piombare ed entrando, benignamente, nell’esperienza della Nazione. Sì, perché questo è il significato dell’esperienza, di quel vivere consapevole con cui è possibile riconciliarsi: la ferita più la memoria che ti ha lasciato.
E ferita, indubbiamente, vi fu. Ferita profonda. Diaz di DanieleVicariescenellesaleitaliane a pochi giorni di distanza da Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana. Impossibile non accostarli. Impossibile ma equivoco. La contiguità temporale potrebbe indurre a collocare i fatti narrati da Vicari nello stesso solco storico degli antefatti e retroscena della strage di piazza fontana narrati da Giordana. Se lo si facesse, a mio modesto parere, si prenderebbe un grosso abbaglio. Non siamo di fronte al proseguimento della stessa eterna, identica storia di un medesimo volto tenebroso di un potere arcano che si esercita attraverso complotti, trame oscure, misteri inconfessabili e irrisolti. Quella raccontata da Diaz è un’altra storia, che riguarda una nuova e diversa generazione e checiimpone,se vogliamo renderle giustizia, di ribellarci al ricatto ideologico in forza del quale in tutti questi anni ci è stato quasi imposto di ricondurre ogni passaggio della storia italiana recente alla presunta matrice universale della strategia della tensione e delle violenze politiche degli anni ’70.
Ciò che rende la storia narrata da Diaz una storia diversa è soprattutto la natura del contropotere che vi si rappresenta, i volti, le identità e i destini delle ragazze e dei ragazzi catturati nella mattanza verso cui l’intero film precipita come verso un centro vorticoso, violento e vuoto. Nel secolo scorso, ogni volta che le forze del cambiamento s’infrangevano contro la violenza altrui, gli antagonisti si rassodavano nella convinzione di trovarsi dalla parte giusta, si rafforzavano nelle loro motivazioni di impegno nella lotta politica (talvolta scegliendo la violenza in proprio). Ciò che accadde a Genova fu tutt’altra storia: fu l’unico e ultimo,debole conato di partecipazione attiva lla vita politica da parte di una generazione cresciuta dopo la grande smobilitazione ideologica degli anni ’80. Quella generazione tentò allora di alzare la testa. Fu bastonata e la riabbassò per non alzarla mai più. Soltanto due mesi dopo quel luglio del 2001 venne l’Undici Settembre a seppellire lo slancio del movimento alter mondista. Adesso, dieci anni più tardi, la carne morsa dalla crisi, ci accorgiamo di quante ragioni ci fossero in quelle azzittite voci di dissenso.
Per tutti questi motivi, poter vedere Diaz di Daniele Vicari, nonèsoloundoverecivile,è,oserei dire, un diritto civile. Il diritto di una generazione – che non è affatto la stessa di Piazza Fontana – a riappropriarsi della propria storia, la storia di una generazioneperdutaallapolitica.Ele conseguenze di questa perdita sono sotto gli occhi di tutti.