IL 25 APRILE SIA FESTA PER TUTTI
Inviato: 20/04/2012, 10:38
Apro questo 3d con una bel servizio su come Giuliano Pisapia intende celebrare il 25 aprile a Milano,città che è stata strappata da lui,dopo tanti anni,alla destra più becera.
nei prossimi giorni mi riservo di mettere qualche considerazione personale sull'argomento.
intanto...buona lettura.
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Pisapia:
"non aprire i negozi Il 25 aprile sia festa per tutti."
Il sindaco di Milano non ha dubbi:
«Ci sono ricorrenze civili come la Liberazione e il Primo maggio che devono essere celebrate».
Anche con il diritto di non lavorare.
Di Oreste Pivetta
20 aprile 2012
Ci sono feste che tutti hanno il diritto di celebrare e oltre a quelle religiose, ci sono quelle civili, tra cui il 25 aprile e il Primo Maggio.
Devono essere celebrate con la partecipazione ad eventi e manifestazioni e questo contrasta con l'apertura dei negozi».
Sono parole del sindaco di Milano,
Giuliano Pisapia, pronunciate in un deposito dell’Atm, l’azienda milanese del trasporto pubblico, un luogo simbolo perché fu uno dei capisaldi delle lotte operaie nel 1943 e poi nel 1944, contro i salari di fame e contro i fascisti e i nazisti, fino alla Liberazione.
Molti di quei lavoratori, che in quei mesi incrociarono le braccia, finirono in galera e poi deportati, molti morirono.
Sono parole che un tempo si sarebbero giudicate ovvie.
Poi sono arrivati Albertini e Letizia Moratti,
sindaci in nome della destra di Berlusconi,
impegnati entrambi a minare il senso di quelle feste nazionali, di quel moto popolare.
Il sindaco Albertini cominciò, nel giorno in cui si ricordavano i caduti partigiani, deponendo il suo mazzo di fiori là dove sono sepolti, al campo 10 del Cimitero Monumentale, i morti della repubblica di Salò.
Tutti uguali, sotto terra:
questa fu sempre la banale spiegazione di Albertini, che nell’equiparazione dopo la morte finiva sempre però con il negare le fatali ( per tutti noi) differenze della vita.
La Moratti, succedendo ad Albertini, non si recò al campo 10.
Alla sua prima campagna elettorale, si concesse anche una rapida apparizione, insieme con il padre in carrozzella, il padre combattente partigiano nelle file dei liberali, al corteo del 25 Aprile.
Ci riprovò, non gli fecero mancare fischi.
Li si poteva immaginare.
Nella sua amministrazione molto pesava il vice sindaco Riccardo De Corato, ex Fronte della gioventù, missino, poi in Alleanza Nazionale, infine nel Pdl, e qualche segnale la sua amministrazione la diede.
In modo palese:
negando sale ad esempio dei consigli di zona alle celebrazioni del 25 Aprile e invece riconoscendo a organizzazioni di estrema destra il diritto di occupare sedi comunali, sfrattando l’Associazione nazionale partigiani dalla sua storica sede, allo stesso modo contro l’Associazione dei reduci dai campi di sterminio.
Con l’apertura dei negozi ci fu un salto di qualità, nel segno della presunta modernizzazione, intesa ovviamente alla maniera del consumismo, una bandiera però agitata persino contro una tradizione antifascista e sindacale.
Un paio di anni fa si cominciò a dire che i negozi si sarebbero dovuti mantenere aperti per favorire i consumi e dare fiato al commercio in un momento di crisi.
Con insistenza.
E via con le ordinanze.
E via con l’esaltazione delle compere.
Un assessore della giunta Moratti spiegò che il 25 aprile della Liberazione, nel 1945, quando sfilarono i cortei partigiani, i negozi erano aperti:
un buon motivo per riaprirli sessantacinque anni dopo.
La prima volta capitò nel 2010.
L’anno scorso andò male per una coincidenza:
s’era anche nel giorno di pasquetta e il sacro, si sa, deve essere rispettato.
Stessa storia con il Primo Maggio, malgrado la ferrea opposizione dei sindacati.
La stupidità comunque aveva fatto breccia, con l’indifferenza nei confronti della storia, con l’insofferenza nei confronti di uno stato che era nato libero proprio in quel giorno, il 25 Aprile, con il presunto spirito di modernità (e di innovazione) che aveva spinto ad attaccare quelle virtù e quei diritti che il Primo Maggio continua a rappresentare.
Giuliano Pisapia,
che si definì sindaco di un’altra liberazione (dalla Moratti, da un ventennio di governo cittadino della destra), sta cercando di interrompere quell’intollerabile tentativo di negare certe basi della nostra vicenda nazionale e di un cultura universale del lavoro.
Non sarà solo questione di negozi aperti.
Revisionismo, negazionismo, occultamento di palesi verità storiche, l’ambizione di smantellare le conquiste operaie continuano a manovrare.
Però Pisapia un segnale lo ha dato.
Una piccola inversione di rotta rispetto a una passato recente, un colpo agli ideologi di una storia senza storia e persino ai banali “economisti” che in un giorno in più di negozi aperti intravvedono chissà quale slancio alle fortune economiche del Paese, senza preoccuparsi del suo degrado morale e culturale, evidentemente per loro di nessuno rilievo “economico”.
http://www.unita.it/italia/il-25-aprile ... i-1.403354
nei prossimi giorni mi riservo di mettere qualche considerazione personale sull'argomento.
intanto...buona lettura.
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Pisapia:
"non aprire i negozi Il 25 aprile sia festa per tutti."
Il sindaco di Milano non ha dubbi:
«Ci sono ricorrenze civili come la Liberazione e il Primo maggio che devono essere celebrate».
Anche con il diritto di non lavorare.
Di Oreste Pivetta
20 aprile 2012
Ci sono feste che tutti hanno il diritto di celebrare e oltre a quelle religiose, ci sono quelle civili, tra cui il 25 aprile e il Primo Maggio.
Devono essere celebrate con la partecipazione ad eventi e manifestazioni e questo contrasta con l'apertura dei negozi».
Sono parole del sindaco di Milano,
Giuliano Pisapia, pronunciate in un deposito dell’Atm, l’azienda milanese del trasporto pubblico, un luogo simbolo perché fu uno dei capisaldi delle lotte operaie nel 1943 e poi nel 1944, contro i salari di fame e contro i fascisti e i nazisti, fino alla Liberazione.
Molti di quei lavoratori, che in quei mesi incrociarono le braccia, finirono in galera e poi deportati, molti morirono.
Sono parole che un tempo si sarebbero giudicate ovvie.
Poi sono arrivati Albertini e Letizia Moratti,
sindaci in nome della destra di Berlusconi,
impegnati entrambi a minare il senso di quelle feste nazionali, di quel moto popolare.
Il sindaco Albertini cominciò, nel giorno in cui si ricordavano i caduti partigiani, deponendo il suo mazzo di fiori là dove sono sepolti, al campo 10 del Cimitero Monumentale, i morti della repubblica di Salò.
Tutti uguali, sotto terra:
questa fu sempre la banale spiegazione di Albertini, che nell’equiparazione dopo la morte finiva sempre però con il negare le fatali ( per tutti noi) differenze della vita.
La Moratti, succedendo ad Albertini, non si recò al campo 10.
Alla sua prima campagna elettorale, si concesse anche una rapida apparizione, insieme con il padre in carrozzella, il padre combattente partigiano nelle file dei liberali, al corteo del 25 Aprile.
Ci riprovò, non gli fecero mancare fischi.
Li si poteva immaginare.
Nella sua amministrazione molto pesava il vice sindaco Riccardo De Corato, ex Fronte della gioventù, missino, poi in Alleanza Nazionale, infine nel Pdl, e qualche segnale la sua amministrazione la diede.
In modo palese:
negando sale ad esempio dei consigli di zona alle celebrazioni del 25 Aprile e invece riconoscendo a organizzazioni di estrema destra il diritto di occupare sedi comunali, sfrattando l’Associazione nazionale partigiani dalla sua storica sede, allo stesso modo contro l’Associazione dei reduci dai campi di sterminio.
Con l’apertura dei negozi ci fu un salto di qualità, nel segno della presunta modernizzazione, intesa ovviamente alla maniera del consumismo, una bandiera però agitata persino contro una tradizione antifascista e sindacale.
Un paio di anni fa si cominciò a dire che i negozi si sarebbero dovuti mantenere aperti per favorire i consumi e dare fiato al commercio in un momento di crisi.
Con insistenza.
E via con le ordinanze.
E via con l’esaltazione delle compere.
Un assessore della giunta Moratti spiegò che il 25 aprile della Liberazione, nel 1945, quando sfilarono i cortei partigiani, i negozi erano aperti:
un buon motivo per riaprirli sessantacinque anni dopo.
La prima volta capitò nel 2010.
L’anno scorso andò male per una coincidenza:
s’era anche nel giorno di pasquetta e il sacro, si sa, deve essere rispettato.
Stessa storia con il Primo Maggio, malgrado la ferrea opposizione dei sindacati.
La stupidità comunque aveva fatto breccia, con l’indifferenza nei confronti della storia, con l’insofferenza nei confronti di uno stato che era nato libero proprio in quel giorno, il 25 Aprile, con il presunto spirito di modernità (e di innovazione) che aveva spinto ad attaccare quelle virtù e quei diritti che il Primo Maggio continua a rappresentare.
Giuliano Pisapia,
che si definì sindaco di un’altra liberazione (dalla Moratti, da un ventennio di governo cittadino della destra), sta cercando di interrompere quell’intollerabile tentativo di negare certe basi della nostra vicenda nazionale e di un cultura universale del lavoro.
Non sarà solo questione di negozi aperti.
Revisionismo, negazionismo, occultamento di palesi verità storiche, l’ambizione di smantellare le conquiste operaie continuano a manovrare.
Però Pisapia un segnale lo ha dato.
Una piccola inversione di rotta rispetto a una passato recente, un colpo agli ideologi di una storia senza storia e persino ai banali “economisti” che in un giorno in più di negozi aperti intravvedono chissà quale slancio alle fortune economiche del Paese, senza preoccuparsi del suo degrado morale e culturale, evidentemente per loro di nessuno rilievo “economico”.
http://www.unita.it/italia/il-25-aprile ... i-1.403354