Il ricambio generazionale.
Inviato: 28/05/2012, 17:45
L'articolo di Luca Ricolfi su La Stampa del 27 maggio 2012
I partiti bloccati
L'INCAPACITA' DI UN RICAMBIO DI LEADER
C'e' un pensiero, o meglio una domanda, che ultimamente mi perseguita, quando penso alla politica italiana. Con tutto quello che e' venuto fuori su Bossi, sua moglie, i suoi figli, compresa la laurea falsa del "trota" comprata in Albania, com'e' possibile che Bossi resti al comando? Come e' possibile che anche quanti si ripromettono di ripulire e rifondare la Lega prendano seriamente in considerazione l'ipotesi di un partito con un segretario diverso (Maroni) ma con Bossi presidente della "nuova Lega"?
Che cosa deve succedere perche' un capo-partito venga non dico cacciato, espulso, punito ma semplicemente archiviato?
Che cosa fa si' che non si possa mai assistere a una battaglia politica che porti alla sostituzione di un vecchio gruppo dirigente con uno nuovo e diverso?
Questo genere di domande me le ero gia' fatte molte volte a proposito di Berlusconi e del suo partito, ma li' avevo una risposta: Berlusconi ha i cordoni della borsa, e ha sempre fatto attenzione a non dare spazio a persone troppo capaci o indipendenti da lui.
Che il Pdl senza Berlusconi rischiasse di implodere (come ora sta succedendo) e' sempre stata per me una risposta soddisfacente alla mia istintiva e un po' moralistica domanda: visto che ne combina di tutti i colori, perche' i suoi non se ne liberano?
Ma con la Lega e' diverso. Bossi non ha risorse economiche proprie (tanto e' vero che usa quelle della Lega a beneficio dei suoi familiari), e inoltre non e' circondato da figure chiaramente minori rispetto a lui stesso. Se volessero, i suoi potrebbero benissimo dirgli: caro Umbero, hai abusato della tua posizione, hai 70 anni suonati, ora fatti da parte che la Lega la prendiamo in mano noi.
Mentre mi chiedevo perche' non succede, ha cominciato pero' a ronzarmi un pensiero piu' radicale, una sorta di sospetto piu' generale. Mi sono venute in mente decine e decine di situazioni, non solo nella politica, ma anche al di fuori di essa in cui succede la stessa cosa. La resistenza dei vecchi capi al cambiamento, e soprattutto la rinuncia dei giovani a dare battaglia, va molto al di la' del recinto del centrodestra. Anche nelle imprese, nelle universita', nelle fondazioni bancarie, l'eta' media dei capi e' prossima ai 60 anni, ma soprattutto - questo e' il fatto interessante - i quarantenni non danno battaglia. Aspettano. Attendono fatalisticamente che venga la loro ora. Una sorte di "sindrome di Carlo d'Inghilterra", che ormai 65enne non sa ancora se mai ascendera' al trono.
Con la differenza che una posizione dirigente nella politica, nell'economia, o nella societa' non si eredita come un trono, ma si dovrebbe conquistare in base ai meriti guadagnati sul campo.
Ecco, i meriti. Forse questo e' il punto. Forse la ragione per cui nessuno da' battaglia, anche quando avrebbe tutte le carte in regola per farlo, e' che in Italia i capi beneficiano di un sovrappiu' - di un anomalo e perverso sovrappiu' - di deferenza, di rispetto, di gratitudine. Una sorta di intangibiita', che fa apparire tradimento quella che altrove sarebbe giudicata una normale e fisiologica competizione fra gruppi e generazioni. Ma dove deriva tale sovrappiu'? Come siamo arrivati, un po' tutti, ad esitare di fronte all'eventualita' di intraprendere certe battaglie?
La risposta e' che in Italia si va avanti per cooptazione. Anche chi va avanti con pieno merito, in genere puo' farlo solo perche' qualcun'altro - il "capo" - a un certo punto ha dato disco verde. Ha chiamato. Ha promosso. Ha coinvolto. Ha incluso. Ha ammesso nel clan, nel gruppo, nella rete, nel "cerchio magico". A quel punto e' naturale per il cooptato maturare un senso di riconoscenza, di fedelta', di lealta', che gli fa percepire ogni possibile battaglia futura come un tradimento, una manifestazione di ingratitudine.
Questo meccanismo e' cosi' diffuso, cosi' endemico, quasi scolpito nel nostro modo di sentire, che finisce per coinvolgere anche chi
- in realta' - avrebbe tutti i numeri per dare battaglia, per promuovere il ricambio, per liberarci di personaggi che, con il passare degli anni, diventano un peso, se non altro perche' non possono piu' dare il meglio di se'. Una singolare incapacita' di "uccidere il padre", nel senso freudiano di diventare grandi e maturi, inquina e intorbida la vita del nostro Paese. Il padre non viene ucciso semplicemente perche' gli dobbiamo troppo, se non tutto; e chi ha grandi debiti non puo' essere libero, non solo in economia.
Piu' che i padri che non lasciano il comando, colpisce il fenomeno dei figli che nulla fanno per prenderlo. Come se ereditare fosse l'unica modalita' di successione che conoscono. E non si pensi che, in politica, il problema riguardi solo la destra. C'e' una controprova clamorosa che non e' cosi'. Tu apri Radio Radicale e immancabilmente, quotidianamente, incappi in una esternazione di Marco Pannella. Un fiume di parole disordinato e sostanzialmente incomprensibile, almeno per persone normali. Perche'? Perche' nessun politico radicale ha mai seriamente conteso la leadership all'ultra-ottantenne Pannella? Qui non c'entrano i soldi, non credo che Pannella finanzi il suo movimento politico. Non credo che i radicali abbiano fatto particolare attenzione a escludere persone capaci. Non credo che, ad esempio, a Emma Bonino manchino le qualita' per assumere la piena leadership dei radicali.
Eppure non e' mai successo. Non succede. Non succedera'. La deferenza verso i capi, la sottomissione all'autorita' dei cooptanti e' cosi' profonda, in Italia, da coinvolgere persino i radicali, ovvero il piu' anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani.
Per non parlare del Pd, dove un gruppo di colonnelli 60enni controlla il partito da un quarto di secolo, i futuri premier vengono decisi a tavolino (ricordate le primarie finte per Prodi?), e i rarissimi casi anomali -come quello di Matteo Renzi, che ha sfidato apertamente il partito- sono visti con un misto di irritazione, insofferenza, fastidio. Ne', forse, e' solo un caso che le uniche novita' importanti e relativamente giovani del panorama politico italiano - il movimento Cinque Stelle e Italia Futura - abbiano avuto bisogno, per venire al mondo, di due levatrici non precisamente giovanissime, ovvero il 64enne Beppe Grillo e il 65enne Luca Cordero di Montezemolo.
Che cosa dobbiamo attenderci dunque? Forse quello che potrebbe succedere in Inghilterra, dove ormai e' piu' probabile che il trono della vecchissima regina Elisabetta (86 anni) passi al giovanissimo principe William (30) che non al vecchio Carlo (65), "principe del Galles". La generazione dei Fini, Casini, Maroni, Bonino ha atteso troppo a condurre le proprie battaglie. Quando ricambio ci sara', e' piu' facile che a imporlo siano i 30-40enni di oggi. Specie quelli che hanno meriti e capacita' proprie, e non debbono ai vecchi le posizioni che occupano.
La "risposta" di Marco Pannella a Luca Ricolfi in apertura della conversazione domenicale con Bordin del 27 maggio 2012.
http://www.radioradicale.it/scheda/353413
I partiti bloccati
L'INCAPACITA' DI UN RICAMBIO DI LEADER
C'e' un pensiero, o meglio una domanda, che ultimamente mi perseguita, quando penso alla politica italiana. Con tutto quello che e' venuto fuori su Bossi, sua moglie, i suoi figli, compresa la laurea falsa del "trota" comprata in Albania, com'e' possibile che Bossi resti al comando? Come e' possibile che anche quanti si ripromettono di ripulire e rifondare la Lega prendano seriamente in considerazione l'ipotesi di un partito con un segretario diverso (Maroni) ma con Bossi presidente della "nuova Lega"?
Che cosa deve succedere perche' un capo-partito venga non dico cacciato, espulso, punito ma semplicemente archiviato?
Che cosa fa si' che non si possa mai assistere a una battaglia politica che porti alla sostituzione di un vecchio gruppo dirigente con uno nuovo e diverso?
Questo genere di domande me le ero gia' fatte molte volte a proposito di Berlusconi e del suo partito, ma li' avevo una risposta: Berlusconi ha i cordoni della borsa, e ha sempre fatto attenzione a non dare spazio a persone troppo capaci o indipendenti da lui.
Che il Pdl senza Berlusconi rischiasse di implodere (come ora sta succedendo) e' sempre stata per me una risposta soddisfacente alla mia istintiva e un po' moralistica domanda: visto che ne combina di tutti i colori, perche' i suoi non se ne liberano?
Ma con la Lega e' diverso. Bossi non ha risorse economiche proprie (tanto e' vero che usa quelle della Lega a beneficio dei suoi familiari), e inoltre non e' circondato da figure chiaramente minori rispetto a lui stesso. Se volessero, i suoi potrebbero benissimo dirgli: caro Umbero, hai abusato della tua posizione, hai 70 anni suonati, ora fatti da parte che la Lega la prendiamo in mano noi.
Mentre mi chiedevo perche' non succede, ha cominciato pero' a ronzarmi un pensiero piu' radicale, una sorta di sospetto piu' generale. Mi sono venute in mente decine e decine di situazioni, non solo nella politica, ma anche al di fuori di essa in cui succede la stessa cosa. La resistenza dei vecchi capi al cambiamento, e soprattutto la rinuncia dei giovani a dare battaglia, va molto al di la' del recinto del centrodestra. Anche nelle imprese, nelle universita', nelle fondazioni bancarie, l'eta' media dei capi e' prossima ai 60 anni, ma soprattutto - questo e' il fatto interessante - i quarantenni non danno battaglia. Aspettano. Attendono fatalisticamente che venga la loro ora. Una sorte di "sindrome di Carlo d'Inghilterra", che ormai 65enne non sa ancora se mai ascendera' al trono.
Con la differenza che una posizione dirigente nella politica, nell'economia, o nella societa' non si eredita come un trono, ma si dovrebbe conquistare in base ai meriti guadagnati sul campo.
Ecco, i meriti. Forse questo e' il punto. Forse la ragione per cui nessuno da' battaglia, anche quando avrebbe tutte le carte in regola per farlo, e' che in Italia i capi beneficiano di un sovrappiu' - di un anomalo e perverso sovrappiu' - di deferenza, di rispetto, di gratitudine. Una sorta di intangibiita', che fa apparire tradimento quella che altrove sarebbe giudicata una normale e fisiologica competizione fra gruppi e generazioni. Ma dove deriva tale sovrappiu'? Come siamo arrivati, un po' tutti, ad esitare di fronte all'eventualita' di intraprendere certe battaglie?
La risposta e' che in Italia si va avanti per cooptazione. Anche chi va avanti con pieno merito, in genere puo' farlo solo perche' qualcun'altro - il "capo" - a un certo punto ha dato disco verde. Ha chiamato. Ha promosso. Ha coinvolto. Ha incluso. Ha ammesso nel clan, nel gruppo, nella rete, nel "cerchio magico". A quel punto e' naturale per il cooptato maturare un senso di riconoscenza, di fedelta', di lealta', che gli fa percepire ogni possibile battaglia futura come un tradimento, una manifestazione di ingratitudine.
Questo meccanismo e' cosi' diffuso, cosi' endemico, quasi scolpito nel nostro modo di sentire, che finisce per coinvolgere anche chi
- in realta' - avrebbe tutti i numeri per dare battaglia, per promuovere il ricambio, per liberarci di personaggi che, con il passare degli anni, diventano un peso, se non altro perche' non possono piu' dare il meglio di se'. Una singolare incapacita' di "uccidere il padre", nel senso freudiano di diventare grandi e maturi, inquina e intorbida la vita del nostro Paese. Il padre non viene ucciso semplicemente perche' gli dobbiamo troppo, se non tutto; e chi ha grandi debiti non puo' essere libero, non solo in economia.
Piu' che i padri che non lasciano il comando, colpisce il fenomeno dei figli che nulla fanno per prenderlo. Come se ereditare fosse l'unica modalita' di successione che conoscono. E non si pensi che, in politica, il problema riguardi solo la destra. C'e' una controprova clamorosa che non e' cosi'. Tu apri Radio Radicale e immancabilmente, quotidianamente, incappi in una esternazione di Marco Pannella. Un fiume di parole disordinato e sostanzialmente incomprensibile, almeno per persone normali. Perche'? Perche' nessun politico radicale ha mai seriamente conteso la leadership all'ultra-ottantenne Pannella? Qui non c'entrano i soldi, non credo che Pannella finanzi il suo movimento politico. Non credo che i radicali abbiano fatto particolare attenzione a escludere persone capaci. Non credo che, ad esempio, a Emma Bonino manchino le qualita' per assumere la piena leadership dei radicali.
Eppure non e' mai successo. Non succede. Non succedera'. La deferenza verso i capi, la sottomissione all'autorita' dei cooptanti e' cosi' profonda, in Italia, da coinvolgere persino i radicali, ovvero il piu' anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani.
Per non parlare del Pd, dove un gruppo di colonnelli 60enni controlla il partito da un quarto di secolo, i futuri premier vengono decisi a tavolino (ricordate le primarie finte per Prodi?), e i rarissimi casi anomali -come quello di Matteo Renzi, che ha sfidato apertamente il partito- sono visti con un misto di irritazione, insofferenza, fastidio. Ne', forse, e' solo un caso che le uniche novita' importanti e relativamente giovani del panorama politico italiano - il movimento Cinque Stelle e Italia Futura - abbiano avuto bisogno, per venire al mondo, di due levatrici non precisamente giovanissime, ovvero il 64enne Beppe Grillo e il 65enne Luca Cordero di Montezemolo.
Che cosa dobbiamo attenderci dunque? Forse quello che potrebbe succedere in Inghilterra, dove ormai e' piu' probabile che il trono della vecchissima regina Elisabetta (86 anni) passi al giovanissimo principe William (30) che non al vecchio Carlo (65), "principe del Galles". La generazione dei Fini, Casini, Maroni, Bonino ha atteso troppo a condurre le proprie battaglie. Quando ricambio ci sara', e' piu' facile che a imporlo siano i 30-40enni di oggi. Specie quelli che hanno meriti e capacita' proprie, e non debbono ai vecchi le posizioni che occupano.
La "risposta" di Marco Pannella a Luca Ricolfi in apertura della conversazione domenicale con Bordin del 27 maggio 2012.
http://www.radioradicale.it/scheda/353413