Enrico, la Forza dell’Esempio
Inviato: 11/06/2012, 10:41
Enrico, la Forza dell’Esempio
Posted GIU 11 2011 by PIERPAOLO FARINA in ENRICO BERLINGUER, IL ROMPIBALLE, QUESTIONE MORALE with 78 COMMENTS
http://www.enricoberlinguer.it/qualcosa ... 99esempio/
“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spontanee, più turbato che alettato dalla prospettiva del potere, e in perfetta buona fede di cui ci resta un programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese.”
(Indro Montanelli)
Enrico Berlinguer, ventisette anni dopo la sua morte. C’erano molti modi con cui potevamo commemorarlo in questi anni e rendere giustizia di quel programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto di cui parla Montanelli nel suo epitaffio sopra riportato.
Si poteva rievocare la commozione e il dolore dell’Italia intera, dei compagni e degli avversari, che si strinsero a lui nei giorni dell’agonia e che divennero un oceano di bandiere rosse e non solo il giorno del suo funerale. Oppure molto semplicemente elencare le grandi svolte che impresse al suo partito, nel più grande progetto di ricollocazione politica e culturale della più grande forza comunista d’Occidente.
Abbiamo deciso di fare una scelta diversa con questo sito web (che oggi supera i 210.000 iscritti) che si rivolge in primo luogo alla nostra generazione di giovani nati dopo il Crollo del Muro di Berlino; una generazione che, nel bene o nel male, non fu partecipe né di quell’emozione, né tantomeno della lunga stagione politica di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer moriva l’11 giugno 1984, verso la fine dell’altro secolo, aveva 62 anni, era padre di quattro figli ed era segretario del Partito Comunista Italiano da più di dodici. Come dice Gaber in una sua celebre canzone, “qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.”
A rileggerlo adesso (bisognerebbe avere solo la volontà di farlo, questo sito è nato apposta) risulta più moderno e attuale lui dei tanti politicanti e pseudo-rivoluzionari alle vongole che ci sono oggi.
E questo nonostante il facile gioco al massacro che stanno conducendo certi presunti intellettuali progressisti, impegnati non a contrastare culturalmente il Berlusconismo, ma ad ammazzare l’unico esempio di modello alternativo ad esso che rimane oggi a Sinistra. E forse è il caso di domandarsi perché sia rimasto l’unico, a distanza di 27 anni.
Scrisse Norberto Bobbio, “Caratteristica fondamentale di Enrico Berlinguer è stata, a mio avviso, quella di non avere i tratti negativi che contraddistinguono tanta parte della classe politica italiana. Penso alla vanità, all’esibizionismo, all’arroganza, al desiderio di primeggiare che purtroppo fanno parte del ‘mestiere’, della professione del politico.”
Ecco, la differenza tra Enrico e i suoi presunti eredi o comunque gli uomini politici del suo tempo era che dava l’ESEMPIO: la sua convinzione per la quale dietro ogni scelta politica ci dovesse essere anche una precisa scelta morale, coerente con i propri ideali, sarà stata poco comunista e poco rivoluzionario (o forse troppo poco machiavellica), però avrebbe funzionato se Berlinguer oltre ad USA, URSS e borghesia reazionaria (leggere un mio vecchio articolo al riguardo) non avesse avuto contro anche una parte della Sinistra, quella pura e rivoluzionaria (il cui triste epilogo è sotto gli occhi di tutti).
Si capisce perché Berlinguer fu definito da Kissinger “il comunista più pericoloso”.
Con una capacità di anticipazione che oggi lascia stupiti, aveva intuito la degenerazione che stavano vivendo i partiti, la loro trasformazione in macchine di potere e di corruzione. Aveva capito che il mondo stava cambiando e che la sinistra, se voleva continuare ad esistere e a non rinunciare a se stessa, doveva rinnovare il suo bagaglio, “trovare strade nuove per i vecchi ideali“.
Nei primi anni Ottanta Berlinguer era riuscito a mettere a fuoco i grandi temi di una nuova politica di sinistra, al di là della tradizione comunista, che abbracciava il pacifismo, l’ambientalismo e, soprattutto, quell’idealismo che la tradizione comunista ha sempre rifiutato per un materialismo storico che non poco ha contribuito alla sua disfatta: l’impiego dell’energia solare, invocato nel 1983, per ridurre la dipendenza energetica del nostro paese; l’attenzione posta alla rivoluzione elettronica, con l’auspicio che la politica non si riducesse solo a sondaggi ed elezioni; la strategia del compromesso storico, per creare un unico orizzonte delle forze anti-fasciste e superare la crisi economica, sociale e morale del nostro Paese; la rottura con l’URSS, quando il socialismo sovietico era un punto di riferimento internazionale per tutti i comunisti; la battaglia per la dissoluzione del divario crescente tra nord e sud del mondo, quando la globalizzazione non era ancora nemmeno inclusa nel dizionario; l’importanza del ruolo dell’Europa, da contrapporre sia al decrepito comunismo reale sia al neoliberismo portatore di ricchezze per pochi e di ingiustizie per molti; per non parlare del progetto di un’economia mondiale con Olof Palme, della valorizzazione delladiplomazia dei popoli, dei movimenti della pace e delle donne.
Ma è proprio nella Questione Morale che si comprende appieno la grandezza e la lungimiranza di Enrico Berlinguer, il suo andare oltre la tradizione comunista, rinnovandola e portandola verso nuovi orizzonti come mai nessun altro era riuscito a fare: prima di tutti, infatti, aveva capito il rischio a cui andavano incontro i grandi partiti di massa, se non avessero aggredito appieno la cause della Questione Morale, punto fondamentale per la ripresa di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e quindi della tutela della democrazia.
Berlinguer non era un moralista, ma un uomo profondamente morale, nell’accezione kantiana del termine: al di là della denuncia morale, della lotta politica, agiva perché pensava fosse giusto farlo.
Fu inascoltato e, in quegli anni, anche schernito da alcuni compagni di partito. Poi arrivò Tangentopoli, che travolse i partiti della Prima Repubblica: fu Romiti, davanti ai giudici di Milano, a riconoscere la giustezza della denuncia di Berlinguer, a rammaricarsi per non averlo ascoltato.
E aveva ragione anche quando denunciava la pericolosa mutazione genetica impressa da Craxi al PSI, con una durezza forse insolita per lui, ma che nascondeva l’amarezza per le divisioni della Sinistra, per le occasioni perse, per l’alternativa rifiutata, convinto che la legittima ripresa di autonomia politica del PSI non fosse volta alla costruzione di uno schieramento progressista senza egemonie, ma semplicemente per spartirsi a metà il potere con la Dc. E così fu.
E quei fischi al 43° Congresso del PSI, provenienti da galantuomini seduti in platea come Sacconi, Brunetta, Tremonti, Frattini, De Michelis e tutta la marmaglia di socialisti passati armi e bagagli a Forza Italia, (a dimostrazione che il craxismo ha contribuito non poco alla nascita di quella Destra populista, piduista e neo-fascista che campa sotto Berlusconi), sono il momento storico in cui viene uccisa la gloriosa tradizione socialista italiana e il motivo per cui, morta nel 1992, non riesce più a rinascere.
Del resto, piaceva allora come piace oggi il decisionismo, il potere ostentato, l’irrisione, la demonizzazione dell’avversario, tutti tratti che qualcuno osa pure spacciare per modernità e che a Sinistra si tenta di seguire, non capendo che tutto ciò porta solo ad una morte prematura. Da un eccesso all’altro: c’è ancora chi è convinto che Berlusconi si combatta snaturando se stessi e abbandonandosi ad un indistinto moderatismo da operetta. L’unione di questi due fattori ha portato il Berlusconismo ad essere maggioranza culturale in questo Paese.
Non si tratta di usarlo come una bandiera o un santino, come ci ha accusato qualcuno, ma di prenderlo ad esempio.
Perché se oggi noi siamo ancora qui a parlare di Questione Morale è anche perché, a differenza di Enrico Berlinguer, molti politici di ieri e di oggi non hanno dato e non danno l’esempio. Pensate a quell’umanità, quella franchezza, quella modestia, quella discrezione che caratterizzavano Berlinguer: sono connotati che fanno a pugni con le immagini ricorrenti di arroganza, prepotenza, presunzione e ostentazione del potere, a cui soprattutto noi giovani siamo abituati di questi tempi.
C’è un episodio della vita di Enrico Berlinguer, che dà la dimensione della sua grandezza umana e politica, che ci tengo a ricordare. Alle elezioni politiche del 4 giugno 1979 il PCI perde 1 milione di voti, la metà della grande avanzata del ’76 che aveva poi inaugurato quello che era il Compromesso Storico. Non è ancora passata una settimana dalla batosta che Enrico è già in una sezione a Palermo, la “Togliatti”, con un taccuino e una penna in mano. “Non sono io che devo parlare stasera, sono qui per ascoltare. Dovete dirmi cosa è successo.” Ecco, pensate voi ad un leader di partito che si rechi in una sezione e ascolti gli umori della base: io non ci riesco proprio, tanto sono abituato a vedere chi perde da 20 anni (e vincere solo oggi dopo che per anni ti ha detto che la strada che ci ha portato al successo era quella sbagliata) a dare lezioni di vittoria, avendo alle spalle solo sconfitte. Non solo politiche, ma anche culturali e sociali.
Quale politico oggi avrebbe l’autorità, la credibilità e la capacità di parlare come parlava Enrico Berlinguer di Questione Morale?
Per questo oggi siamo qui, con questo sito internet e l’associazione, che riunisce 210.000 persone in tutta Italia, con questo blog letto da 15.000 persone ogni giorno.
Per ricordare non solo il politico, ma anche l’uomo e l’idea: il dolore e il rimpianto per la perdita di quel grande uomo che è stato Enrico Berlinguer non la esauriamo in sterili dibattiti, ma la traduciamo nella voglia di immaginare, progettare e proporre quell’idea alta della politica che Enrico Berlinguer ha testimoniato con la sua vita e con la sua morte, rimanendo fino all’ultimo su quel palco, a Padova, come un eroe. Perché Enrico non è morto: le sue idee camminano sulle nostre gambe. E servono ancora, nonostante tutto, ad una Sinistra che ha smarrito se stessa e il suo ruolo nel mondo.
Posted GIU 11 2011 by PIERPAOLO FARINA in ENRICO BERLINGUER, IL ROMPIBALLE, QUESTIONE MORALE with 78 COMMENTS
http://www.enricoberlinguer.it/qualcosa ... 99esempio/
“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spontanee, più turbato che alettato dalla prospettiva del potere, e in perfetta buona fede di cui ci resta un programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese.”
(Indro Montanelli)
Enrico Berlinguer, ventisette anni dopo la sua morte. C’erano molti modi con cui potevamo commemorarlo in questi anni e rendere giustizia di quel programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto di cui parla Montanelli nel suo epitaffio sopra riportato.
Si poteva rievocare la commozione e il dolore dell’Italia intera, dei compagni e degli avversari, che si strinsero a lui nei giorni dell’agonia e che divennero un oceano di bandiere rosse e non solo il giorno del suo funerale. Oppure molto semplicemente elencare le grandi svolte che impresse al suo partito, nel più grande progetto di ricollocazione politica e culturale della più grande forza comunista d’Occidente.
Abbiamo deciso di fare una scelta diversa con questo sito web (che oggi supera i 210.000 iscritti) che si rivolge in primo luogo alla nostra generazione di giovani nati dopo il Crollo del Muro di Berlino; una generazione che, nel bene o nel male, non fu partecipe né di quell’emozione, né tantomeno della lunga stagione politica di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer moriva l’11 giugno 1984, verso la fine dell’altro secolo, aveva 62 anni, era padre di quattro figli ed era segretario del Partito Comunista Italiano da più di dodici. Come dice Gaber in una sua celebre canzone, “qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.”
A rileggerlo adesso (bisognerebbe avere solo la volontà di farlo, questo sito è nato apposta) risulta più moderno e attuale lui dei tanti politicanti e pseudo-rivoluzionari alle vongole che ci sono oggi.
E questo nonostante il facile gioco al massacro che stanno conducendo certi presunti intellettuali progressisti, impegnati non a contrastare culturalmente il Berlusconismo, ma ad ammazzare l’unico esempio di modello alternativo ad esso che rimane oggi a Sinistra. E forse è il caso di domandarsi perché sia rimasto l’unico, a distanza di 27 anni.
Scrisse Norberto Bobbio, “Caratteristica fondamentale di Enrico Berlinguer è stata, a mio avviso, quella di non avere i tratti negativi che contraddistinguono tanta parte della classe politica italiana. Penso alla vanità, all’esibizionismo, all’arroganza, al desiderio di primeggiare che purtroppo fanno parte del ‘mestiere’, della professione del politico.”
Ecco, la differenza tra Enrico e i suoi presunti eredi o comunque gli uomini politici del suo tempo era che dava l’ESEMPIO: la sua convinzione per la quale dietro ogni scelta politica ci dovesse essere anche una precisa scelta morale, coerente con i propri ideali, sarà stata poco comunista e poco rivoluzionario (o forse troppo poco machiavellica), però avrebbe funzionato se Berlinguer oltre ad USA, URSS e borghesia reazionaria (leggere un mio vecchio articolo al riguardo) non avesse avuto contro anche una parte della Sinistra, quella pura e rivoluzionaria (il cui triste epilogo è sotto gli occhi di tutti).
Si capisce perché Berlinguer fu definito da Kissinger “il comunista più pericoloso”.
Con una capacità di anticipazione che oggi lascia stupiti, aveva intuito la degenerazione che stavano vivendo i partiti, la loro trasformazione in macchine di potere e di corruzione. Aveva capito che il mondo stava cambiando e che la sinistra, se voleva continuare ad esistere e a non rinunciare a se stessa, doveva rinnovare il suo bagaglio, “trovare strade nuove per i vecchi ideali“.
Nei primi anni Ottanta Berlinguer era riuscito a mettere a fuoco i grandi temi di una nuova politica di sinistra, al di là della tradizione comunista, che abbracciava il pacifismo, l’ambientalismo e, soprattutto, quell’idealismo che la tradizione comunista ha sempre rifiutato per un materialismo storico che non poco ha contribuito alla sua disfatta: l’impiego dell’energia solare, invocato nel 1983, per ridurre la dipendenza energetica del nostro paese; l’attenzione posta alla rivoluzione elettronica, con l’auspicio che la politica non si riducesse solo a sondaggi ed elezioni; la strategia del compromesso storico, per creare un unico orizzonte delle forze anti-fasciste e superare la crisi economica, sociale e morale del nostro Paese; la rottura con l’URSS, quando il socialismo sovietico era un punto di riferimento internazionale per tutti i comunisti; la battaglia per la dissoluzione del divario crescente tra nord e sud del mondo, quando la globalizzazione non era ancora nemmeno inclusa nel dizionario; l’importanza del ruolo dell’Europa, da contrapporre sia al decrepito comunismo reale sia al neoliberismo portatore di ricchezze per pochi e di ingiustizie per molti; per non parlare del progetto di un’economia mondiale con Olof Palme, della valorizzazione delladiplomazia dei popoli, dei movimenti della pace e delle donne.
Ma è proprio nella Questione Morale che si comprende appieno la grandezza e la lungimiranza di Enrico Berlinguer, il suo andare oltre la tradizione comunista, rinnovandola e portandola verso nuovi orizzonti come mai nessun altro era riuscito a fare: prima di tutti, infatti, aveva capito il rischio a cui andavano incontro i grandi partiti di massa, se non avessero aggredito appieno la cause della Questione Morale, punto fondamentale per la ripresa di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e quindi della tutela della democrazia.
Berlinguer non era un moralista, ma un uomo profondamente morale, nell’accezione kantiana del termine: al di là della denuncia morale, della lotta politica, agiva perché pensava fosse giusto farlo.
Fu inascoltato e, in quegli anni, anche schernito da alcuni compagni di partito. Poi arrivò Tangentopoli, che travolse i partiti della Prima Repubblica: fu Romiti, davanti ai giudici di Milano, a riconoscere la giustezza della denuncia di Berlinguer, a rammaricarsi per non averlo ascoltato.
E aveva ragione anche quando denunciava la pericolosa mutazione genetica impressa da Craxi al PSI, con una durezza forse insolita per lui, ma che nascondeva l’amarezza per le divisioni della Sinistra, per le occasioni perse, per l’alternativa rifiutata, convinto che la legittima ripresa di autonomia politica del PSI non fosse volta alla costruzione di uno schieramento progressista senza egemonie, ma semplicemente per spartirsi a metà il potere con la Dc. E così fu.
E quei fischi al 43° Congresso del PSI, provenienti da galantuomini seduti in platea come Sacconi, Brunetta, Tremonti, Frattini, De Michelis e tutta la marmaglia di socialisti passati armi e bagagli a Forza Italia, (a dimostrazione che il craxismo ha contribuito non poco alla nascita di quella Destra populista, piduista e neo-fascista che campa sotto Berlusconi), sono il momento storico in cui viene uccisa la gloriosa tradizione socialista italiana e il motivo per cui, morta nel 1992, non riesce più a rinascere.
Del resto, piaceva allora come piace oggi il decisionismo, il potere ostentato, l’irrisione, la demonizzazione dell’avversario, tutti tratti che qualcuno osa pure spacciare per modernità e che a Sinistra si tenta di seguire, non capendo che tutto ciò porta solo ad una morte prematura. Da un eccesso all’altro: c’è ancora chi è convinto che Berlusconi si combatta snaturando se stessi e abbandonandosi ad un indistinto moderatismo da operetta. L’unione di questi due fattori ha portato il Berlusconismo ad essere maggioranza culturale in questo Paese.
Non si tratta di usarlo come una bandiera o un santino, come ci ha accusato qualcuno, ma di prenderlo ad esempio.
Perché se oggi noi siamo ancora qui a parlare di Questione Morale è anche perché, a differenza di Enrico Berlinguer, molti politici di ieri e di oggi non hanno dato e non danno l’esempio. Pensate a quell’umanità, quella franchezza, quella modestia, quella discrezione che caratterizzavano Berlinguer: sono connotati che fanno a pugni con le immagini ricorrenti di arroganza, prepotenza, presunzione e ostentazione del potere, a cui soprattutto noi giovani siamo abituati di questi tempi.
C’è un episodio della vita di Enrico Berlinguer, che dà la dimensione della sua grandezza umana e politica, che ci tengo a ricordare. Alle elezioni politiche del 4 giugno 1979 il PCI perde 1 milione di voti, la metà della grande avanzata del ’76 che aveva poi inaugurato quello che era il Compromesso Storico. Non è ancora passata una settimana dalla batosta che Enrico è già in una sezione a Palermo, la “Togliatti”, con un taccuino e una penna in mano. “Non sono io che devo parlare stasera, sono qui per ascoltare. Dovete dirmi cosa è successo.” Ecco, pensate voi ad un leader di partito che si rechi in una sezione e ascolti gli umori della base: io non ci riesco proprio, tanto sono abituato a vedere chi perde da 20 anni (e vincere solo oggi dopo che per anni ti ha detto che la strada che ci ha portato al successo era quella sbagliata) a dare lezioni di vittoria, avendo alle spalle solo sconfitte. Non solo politiche, ma anche culturali e sociali.
Quale politico oggi avrebbe l’autorità, la credibilità e la capacità di parlare come parlava Enrico Berlinguer di Questione Morale?
Per questo oggi siamo qui, con questo sito internet e l’associazione, che riunisce 210.000 persone in tutta Italia, con questo blog letto da 15.000 persone ogni giorno.
Per ricordare non solo il politico, ma anche l’uomo e l’idea: il dolore e il rimpianto per la perdita di quel grande uomo che è stato Enrico Berlinguer non la esauriamo in sterili dibattiti, ma la traduciamo nella voglia di immaginare, progettare e proporre quell’idea alta della politica che Enrico Berlinguer ha testimoniato con la sua vita e con la sua morte, rimanendo fino all’ultimo su quel palco, a Padova, come un eroe. Perché Enrico non è morto: le sue idee camminano sulle nostre gambe. E servono ancora, nonostante tutto, ad una Sinistra che ha smarrito se stessa e il suo ruolo nel mondo.