Legge elettorale, Bersani si sente sotto assedio.
"Casini ha fatto partire il treno del Monti-bis" Il capo centrista:
sarò determinante.
Ipotesi soglia al 40% e premio al 10.
D'Alema ha insistito con Casini sulla premiership di Bersani:
tu puoi tornare alla Camera.
L'accelerazione dopo che il segretario Pd ha candidato il Professore al Colle .
ROMA -
Dopo la rottura di ieri un nuovo accordo è in vista tra centristi e Pd.
Si tratta di far scendere al 40% la soglia oltre la quale scatta il premio di maggioranza, garantendo comunque un "premiolino" del 10 per cento al primo partito in caso la coalizione non vinca il "premione".
Tradotto, l'alleanza fra il Pd (30%) e Sel (5%) non potrebbe governare da sola, non raggiungerebbe il premio e avrebbe comunque bisogno dell'apporto della "Lista per l'Italia" di Casini e Fini per formare una maggioranza.
Spalancando così le porte a un Monti-bis.
Grazie al "premiolino" la coalizione dei progressisti potrebbe però consolarsi alla Camera con il 45% dei seggi (35%+10% regalati ope legis).
Se questo è il compromesso che si profila, per capire cosa è successo ieri a palazzo Madama
- la prima vera frattura strategica fra Casini e Bersani -
bisogna tuttavia fare un passo indietro.
Illuminando il patto segreto che Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani avrebbero proposto nei giorni scorsi in alcuni colloqui riservati con i principali leader politici.
Un patto per garantire i numeri della maggioranza futura e gli assetti di vertice della Repubblica.
Anche il capo dello Stato ne sarebbe stato informato, così come il premier.
La sostanza dell'accordo, naufragato ieri, ruotava su due cardini:
mantenere il premio di maggioranza così com'è congegnato nell'attuale legge elettorale e, in cambio, assicurare il sostegno del Pd all'elezione di Mario Monti al Quirinale.
Mentre la presidenza della Camera sarebbe andata a Pier Ferdinando Casini e quella del Senato ad Anna Finocchiaro.
"Al posto di un pastrocchio che ci farebbe perdere l'unica cosa positiva dell'attuale legge, ovvero la garanzia della governabilità, forse - è stata la sostanza del ragionamento fatto a Casini e agli altri dal leader Pd - tanto varrebbe tenere in piedi l'attuale impianto".
C'è questo dietro la baraonda di ieri in commissione affari costituzionali al Senato.
Perché la possibilità di mantenere in vita il Porcellum - con l'autosufficienza della futura maggioranza Pd-Sel - ha allarmato non poco tutti gli altri protagonisti.
Provocando una reazione immediata di rigetto.
Senza contare che Mario Monti, che nel disegno del Pd dovrebbe traslocare al Quirinale per lasciare il posto a Bersani, non è affatto entusiasta della prospettiva.
"Non so se quello è il posto dove posso essere utile - aveva spiegato il premier nei giorni scorsi - non so se sono adatto".
Insomma, il corto circuito è stato totale e i sospetti reciproci hanno provocato l'isolamento in cui si è trovato ieri il Pd.
La rottura infatti è stata vera e inaspettata.
Dario Franceschini, che ha partecipato alla riunione mattutina con Bersani, Zanda e Violante per definire le ultime mosse, racconta così la doccia fredda:
"Avevamo fatto sapere a Udc e Pdl che eravamo disposti a trattare su una soglia minima oltre la quale far scattare il premio di maggioranza, ma loro sono andati avanti lo stesso imponendo il 42,5%.
Quella soglia è impossibile da raggiungere per chiunque, significa semplicemente che il premio non esiste e la legge è un proporzionale puro".
Una legge fatta apposta per arrivare al Monti-bis.
E dunque inaccettabile.
"Pier ha fatto partire il treno del Monti-bis", si è sfogato il leader democratico.
Nella maggioranza di Bersani ieri la freddezza verso il capo dello Stato era palese.
Proprio il capo dello Stato, al di là degli omaggi formali, è visto come il principale regista dell'operazione per riportare Monti a palazzo Chigi d'intesa con Casini e con la complicità di una parte del Pd.
I veleni sono sul punto di tracimare, l'irritazione verso il Quirinale per il pressing sulla legge elettorale sta montando sempre più forte.
Come rivela un dirigente del Nazareno "sono mesi che i rapporti tra Napolitano e Bersani sono ridotti al minimo sindacale".
Così, quando la scorsa settimana il segretario del Pd, richiesto di un commento sull'ultima uscita del capo dello Stato, ha dettato un laconico
"noi siamo sempre d'accordo con il presidente della Repubblica",
a molti è sembrata nient'altro che la conferma del muro di incomprensione che si è alzato tra i due.
(07 novembre 2012) © Riproduzione riservata
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