WELFARE.....E BUGIE.
Inviato: 14/05/2013, 15:11
Welfare... e bugie
Tanti dicono il contrario, ma lo stato sociale in Italia costa meno che in Francia, Germania e Inghilterra
Come un mantra, in questi anni di crisi, continuiamo a sentirci ripetere da molti osservatori (evidentemente interessati) che il debito pubblico italiano è cresciuto perché, rispetto ad altri paesi, noi siamo gravati da una spesa pubblica eccessiva, soprattutto nella sua dimensione sociale e riferita al welfare. Come se i nostri debiti fossero colpa di un buco nero mangiasoldi, fatto da sanità, pensioni, sostegni all’invalidità, assistenza agli anziani, aiuti alle famiglie e via di questo passo. Insomma un “welfare che - molti ci continuano a ripetere - non ci possiamo più permettere”.
Ebbene, tutto ciò non è vero. Nel senso che la spesa sociale italiana è al di sotto di quella di altri paesi come Germania, Francia e Inghilterra. La conferma viene da una interessante ricerca condotta dal Cergas, il Centro di ricerca sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università Bocconi che, insieme al Sindacato pensionati italiani Spi Cgil della Lombardia ha pazientemente ricostruito la composizione della spesa pubblica nei principali paesi europei (quelli più vicini e simili a noi e dove c’è un sistema di welfare vero e articolato. Dire che un paese senza welfare spende meno è facile…).
Ebbene, anche se poi emergono problemi e difetti evidenti nella spesa italiana (su cui arriveremo), sul piano quantitativo non ci sono dubbi.
La spesa pubblica procapite, destinata al welfare è stata (nel 2011) di 7.055 euro in Italia, contro i 7.303 dell’Inghilterra, i 9.008 della Germania e i 10.011 della Francia. Anche se si guarda alla spesa pubblica complessiva (nella quale è inclusa la quota di spesa per gli interessi sul debito pubblico che è per noi la più alta con 1.254 euro a testa, contro gli 800 circa di Francia e Germania ed i 903 dell’Inghilterra), per ogni cittadino italiano questa ammonta a 13.154 euro, contro i 14.235 della Germania, i 14.429 dell’Inghilterra ed i 17.119 della Francia. Dunque siamo quelli che ricevono meno e che da quel che ricevono si vedono scalata una quota maggiore per colpa del debito accumulato.
Se invece guardiamo all’incidenza della spesa pubblica per i servizi di welfare sul Pil totale del paese, vediamo che in Italia questa incidenza è del 27,1%, contro il 26,3% dell’Inghilterra, il 28,4% della Germania e il 32,7% della Francia.
“Ciò che evidenzia la nostra ricerca – spiega Elisabetta Notarnicola, una dei ricercatori che hanno preso parte al progetto – consente di sfatare miti che sono presenti in un dibattito pubblico decisamente deviato. Di come è organizzato il welfare italiano è sicuramente doveroso discutere, riforme e miglioramenti sono necessari, ma sgombriamo il campo dall’idea che si spenda troppo. Forse si spende male, si è puntato troppo sulla concessione di sussidi economici diretti più che sull’offerta di servizi veri e propri”.
La ricerca del Cergas-Bocconi, definito il quadro generale, si spinge poi più nel dettaglio per raffrontare le diverse voci di intervento.
Ad esempio, la spesa procapite per la non autosufficienza e gli anziani disabili è di 558 euro in Italia, contro gli 841 euro della Francia, i 912 della Germania e i 963 dell’Inghilterra.
Uno scarto enorme.
Così come siamo assolutamente inadeguati negli interventi a sostegno della famiglia e dell’infanzia, con 219 euro a testa, contro i 486 dell’Inghilterra, gli 899 euro della Francia e i 997 della Germania.
Anche per la sanità abbiamo un sistema efficiente e di qualità con una spesa ben sotto agli altri, con 1.534 euro, contro i 2.449 dell’Inghilterra, i 2.644 della Francia e i 2.847 della Germania.
Dove siamo sopra la media è nella spesa per pensioni, con 3.755 euro procapite, contro i 2.623 inglesi, i 3.629 tedeschi, ma sotto ai 4.255 francesi.
Sulle pensioni c’è poi da dire che, su questi dati riferiti al 2011, saranno da vedere gli effetti della riforma Monti-Fornero, ora in vigore, che alza decisamente l’età di pensionamento.
Approfondendo poi l’analisi sui servizi rivolti alle persone non autosufficienti, si arriva al cuore dei problemi del welfare italiano.
Anche sulla non autosufficienza spendiamo molto meno degli altri (558 euro a testa, contro dati che variano tra 841 euro e 963 euro).
Ma il punto è soprattutto che si privilegiano i contributi economici: cioè la maggior parte degli anziani non autosufficienti riceve assistenza esclusivamente attraverso l’elargizione di un assegno (tipicamente l’Indennità di accompagnamento) che, oltre che essere di ammontare esiguo, lascia le famiglie sole di fronte alla necessità di costruirsi un pacchetto di cura e di orientarsi tra i diversi servizi disponibili.
Da noi l’elargizione di contributi in denaro va infatti al 52% degli utenti complessivi, contro un 48% che riceve servizi.
Negli altri paesi oggetto dell’indagine, la situazione è decisamente diversa e chi riceve servizi reali e non soldi è la netta maggioranza: il 54% in Inghilterra, il 61% in Francia e, addirittura, il 69% in Germania.
“I servizi reali costano sicuramente di più dei trasferimenti in denaro – spiega Elisabetta Notarnicola – Questo in prima battuta, perché comunque l’intensità e l’appropriatezza assistenziale, ottenuti erogando un servizio sono più alte e garantiscono una risposta al bisogno più efficace nel lungo periodo”.
Guardando sempre verso gli anziani non autosufficienti o bisognosi di assistenza, scopriamo che, di questa fascia che in Italia arriva a includere 2 milioni e 165 mila persone, ben il 95,1% riceve qualcosa dallo Stato. Una percentuale altissima, contro il 44% dell’Inghilterra, il 49,2% della Francia e il 65,5% della Germania.
Ma il voler dare un poco a quasi tutti, si traduce nel fatto che la spesa mensile pro-capite per gli anziani over 65 bisognosi di assistenza è in Italia di 1.033 euro, meno della metà rispetto ai 2.123 euro della Francia, ai 2.372 dell’Inghilterra e ai 2.528 della Germania.
“Qui sta proprio il cuore dei problemi del welfare italiano – conclude Notarnicola – un welfare che non sceglie, che preferisce dare poco a tanti e che non costruisce servizi. Il risultato è che così non si combattono le diseguaglianze, ma anzi si rischia che i più ricchi e istruiti siano anche quelli che poi riescono meglio a costruire e trovare soluzioni ai loro problemi. Negli altri paesi come vediamo, si ha il coraggio di scegliere chi si vuole aiutare e si è poi in grado di dare a questa persona un servizio a più alta intensità.
Dunque abbiamo un welfare che non costa più degli altri, ma che deve semmai imparare a spendere bene.
È evidente che per i prossimi anni ci sarà un tema di risorse sempre più scarse e dunque chi governa sarà chiamato a fare scelte difficili. Ma almeno questo nostro lavoro consegna alcuni elementi oggettivi da cui partire: complessivamente spendiamo meno degli altri e abbiamo una rete di servizi meno consistente.
Sapendo questo dobbiamo decidere come orientare le risorse, evitando che il non scegliere si trasformi in un fattore che paralizza il sistema”. E, aggiungiamo noi, non riduce certo le diseguaglianze.
http://www.consumatori.e-coop.it/index. ... e-e-bugie/
http://www.consumatori.e-coop.it/files/ ... iale_1.jpg
Tanti dicono il contrario, ma lo stato sociale in Italia costa meno che in Francia, Germania e Inghilterra
Come un mantra, in questi anni di crisi, continuiamo a sentirci ripetere da molti osservatori (evidentemente interessati) che il debito pubblico italiano è cresciuto perché, rispetto ad altri paesi, noi siamo gravati da una spesa pubblica eccessiva, soprattutto nella sua dimensione sociale e riferita al welfare. Come se i nostri debiti fossero colpa di un buco nero mangiasoldi, fatto da sanità, pensioni, sostegni all’invalidità, assistenza agli anziani, aiuti alle famiglie e via di questo passo. Insomma un “welfare che - molti ci continuano a ripetere - non ci possiamo più permettere”.
Ebbene, tutto ciò non è vero. Nel senso che la spesa sociale italiana è al di sotto di quella di altri paesi come Germania, Francia e Inghilterra. La conferma viene da una interessante ricerca condotta dal Cergas, il Centro di ricerca sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università Bocconi che, insieme al Sindacato pensionati italiani Spi Cgil della Lombardia ha pazientemente ricostruito la composizione della spesa pubblica nei principali paesi europei (quelli più vicini e simili a noi e dove c’è un sistema di welfare vero e articolato. Dire che un paese senza welfare spende meno è facile…).
Ebbene, anche se poi emergono problemi e difetti evidenti nella spesa italiana (su cui arriveremo), sul piano quantitativo non ci sono dubbi.
La spesa pubblica procapite, destinata al welfare è stata (nel 2011) di 7.055 euro in Italia, contro i 7.303 dell’Inghilterra, i 9.008 della Germania e i 10.011 della Francia. Anche se si guarda alla spesa pubblica complessiva (nella quale è inclusa la quota di spesa per gli interessi sul debito pubblico che è per noi la più alta con 1.254 euro a testa, contro gli 800 circa di Francia e Germania ed i 903 dell’Inghilterra), per ogni cittadino italiano questa ammonta a 13.154 euro, contro i 14.235 della Germania, i 14.429 dell’Inghilterra ed i 17.119 della Francia. Dunque siamo quelli che ricevono meno e che da quel che ricevono si vedono scalata una quota maggiore per colpa del debito accumulato.
Se invece guardiamo all’incidenza della spesa pubblica per i servizi di welfare sul Pil totale del paese, vediamo che in Italia questa incidenza è del 27,1%, contro il 26,3% dell’Inghilterra, il 28,4% della Germania e il 32,7% della Francia.
“Ciò che evidenzia la nostra ricerca – spiega Elisabetta Notarnicola, una dei ricercatori che hanno preso parte al progetto – consente di sfatare miti che sono presenti in un dibattito pubblico decisamente deviato. Di come è organizzato il welfare italiano è sicuramente doveroso discutere, riforme e miglioramenti sono necessari, ma sgombriamo il campo dall’idea che si spenda troppo. Forse si spende male, si è puntato troppo sulla concessione di sussidi economici diretti più che sull’offerta di servizi veri e propri”.
La ricerca del Cergas-Bocconi, definito il quadro generale, si spinge poi più nel dettaglio per raffrontare le diverse voci di intervento.
Ad esempio, la spesa procapite per la non autosufficienza e gli anziani disabili è di 558 euro in Italia, contro gli 841 euro della Francia, i 912 della Germania e i 963 dell’Inghilterra.
Uno scarto enorme.
Così come siamo assolutamente inadeguati negli interventi a sostegno della famiglia e dell’infanzia, con 219 euro a testa, contro i 486 dell’Inghilterra, gli 899 euro della Francia e i 997 della Germania.
Anche per la sanità abbiamo un sistema efficiente e di qualità con una spesa ben sotto agli altri, con 1.534 euro, contro i 2.449 dell’Inghilterra, i 2.644 della Francia e i 2.847 della Germania.
Dove siamo sopra la media è nella spesa per pensioni, con 3.755 euro procapite, contro i 2.623 inglesi, i 3.629 tedeschi, ma sotto ai 4.255 francesi.
Sulle pensioni c’è poi da dire che, su questi dati riferiti al 2011, saranno da vedere gli effetti della riforma Monti-Fornero, ora in vigore, che alza decisamente l’età di pensionamento.
Approfondendo poi l’analisi sui servizi rivolti alle persone non autosufficienti, si arriva al cuore dei problemi del welfare italiano.
Anche sulla non autosufficienza spendiamo molto meno degli altri (558 euro a testa, contro dati che variano tra 841 euro e 963 euro).
Ma il punto è soprattutto che si privilegiano i contributi economici: cioè la maggior parte degli anziani non autosufficienti riceve assistenza esclusivamente attraverso l’elargizione di un assegno (tipicamente l’Indennità di accompagnamento) che, oltre che essere di ammontare esiguo, lascia le famiglie sole di fronte alla necessità di costruirsi un pacchetto di cura e di orientarsi tra i diversi servizi disponibili.
Da noi l’elargizione di contributi in denaro va infatti al 52% degli utenti complessivi, contro un 48% che riceve servizi.
Negli altri paesi oggetto dell’indagine, la situazione è decisamente diversa e chi riceve servizi reali e non soldi è la netta maggioranza: il 54% in Inghilterra, il 61% in Francia e, addirittura, il 69% in Germania.
“I servizi reali costano sicuramente di più dei trasferimenti in denaro – spiega Elisabetta Notarnicola – Questo in prima battuta, perché comunque l’intensità e l’appropriatezza assistenziale, ottenuti erogando un servizio sono più alte e garantiscono una risposta al bisogno più efficace nel lungo periodo”.
Guardando sempre verso gli anziani non autosufficienti o bisognosi di assistenza, scopriamo che, di questa fascia che in Italia arriva a includere 2 milioni e 165 mila persone, ben il 95,1% riceve qualcosa dallo Stato. Una percentuale altissima, contro il 44% dell’Inghilterra, il 49,2% della Francia e il 65,5% della Germania.
Ma il voler dare un poco a quasi tutti, si traduce nel fatto che la spesa mensile pro-capite per gli anziani over 65 bisognosi di assistenza è in Italia di 1.033 euro, meno della metà rispetto ai 2.123 euro della Francia, ai 2.372 dell’Inghilterra e ai 2.528 della Germania.
“Qui sta proprio il cuore dei problemi del welfare italiano – conclude Notarnicola – un welfare che non sceglie, che preferisce dare poco a tanti e che non costruisce servizi. Il risultato è che così non si combattono le diseguaglianze, ma anzi si rischia che i più ricchi e istruiti siano anche quelli che poi riescono meglio a costruire e trovare soluzioni ai loro problemi. Negli altri paesi come vediamo, si ha il coraggio di scegliere chi si vuole aiutare e si è poi in grado di dare a questa persona un servizio a più alta intensità.
Dunque abbiamo un welfare che non costa più degli altri, ma che deve semmai imparare a spendere bene.
È evidente che per i prossimi anni ci sarà un tema di risorse sempre più scarse e dunque chi governa sarà chiamato a fare scelte difficili. Ma almeno questo nostro lavoro consegna alcuni elementi oggettivi da cui partire: complessivamente spendiamo meno degli altri e abbiamo una rete di servizi meno consistente.
Sapendo questo dobbiamo decidere come orientare le risorse, evitando che il non scegliere si trasformi in un fattore che paralizza il sistema”. E, aggiungiamo noi, non riduce certo le diseguaglianze.
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