Evo Morales: Io, presidente sequestrato
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Evo Morales: Io, presidente sequestrato
«Io, presidente sequestrato»
Evo Morales *
02.08.2013
Il racconto di Evo Morales, fermato a Vienna come un criminale comune. Il 2 luglio scorso quattro paesi europei (Italia inclusa) gli hanno negato il diritto di sorvolo per ordine degli Usa. Tutta la storia su Le Monde diplomatique in uscita il 20 agosto con il manifesto
ESCLUSIVO
EDITORIALE/2 -
Il 2 luglio scorso si è verificato uno degli avvenimenti più insoliti nella storia del diritto internazionale: il divieto di sorvolare i territori francese, spagnolo, italiano e portoghese, imposto all'aereo presidenziale dello stato plurinazionale di Bolivia, e poi il mio sequestro all'aeroporto di Vienna (Austria) per 14 ore.
Settimane dopo, questo attentato contro la vita dei membri di una delegazione ufficiale, commesso da stati ritenuti democratici e rispettosi delle leggi, continua a sollevare indignazione.
Cos'è accaduto? Ero a Mosca, qualche istante prima dell'inizio di una riunione con Vladimir Putin, quando un assistente mi ha avvertito che c'erano difficoltà tecniche: impossibile recarci in Portogallo come inizialmente previsto. Tuttavia, quando termina il mio incontro con il presidente russo, diventa già chiaro che il problema non ha niente di tecnico...
Da La Paz, il nostro ministro degli Esteri, David Choquehuanca, riesce a organizzare uno scalo a Las Palmas di Gran Canaria, in Spagna, e a far approvare un nuovo piano di volo. Tutto sembra in ordine...
Eppure, dopo il decollo, il colonnello dell'aviazione Celiar Arispe, che comanda il gruppo dell'aereo presidenziale e quel giorno è anche il pilota, mi si avvicina: «Parigi ritira l'autorizzazione al sorvolo! Non possiamo entrare nello spazio aereo francese». Eravamo sul punto di farlo. Potevamo tentare di tornare in Russia, ma correvamo il rischio di restare senza carburante. Il colonnello Arispe ha perciò contattato la torre di controllo dell'aeroporto di Vienna per sollecitare l'autorizzazione a effettuare un atterraggio di emergenza. Che le autorità austriache siano ringraziate per averci dato il via libera. In un piccolo ufficio dell'aeroporto messo a mia disposizione, il pilota mi informa che anche l'Italia ci rifiuta l'entrata nel suo spazio aereo.
È in quel momento che ricevo la visita dell'ambasciatore di Spagna in Austria, Alberto Carnero. Mi annuncia che un nuovo piano di volo sta per essere approvato per farmi passare dalla Spagna. Solo, spiega, dovrà prima ispezionare l'aereo presidenziale. Altrimenti non potremo partire. Quando gli chiedo perché, Carnero evoca il nome di Edward Snowden, quell'impiegato di una società nordamericana alla quale Washington subappalta alcune delle sue attività di spionaggio. Rispondo che lo conosco solo attraverso i giornali. Ricordo anche al diplomatico spagnolo che il mio paese rispetta le convenzioni internazionali: non avrei in nessun caso cercato di estradare chicchessia verso la Bolivia.
Carnero è in contatto permanente con il sottosegretario agli Esteri spagnolo, Rafael Mendívil Peydro, che, in tutta evidenza, gli chiede di insistere. «Voi non ispezionerete questo aereo - dico - se non mi credete, vuol dire che trattate da bugiardo il presidente dello stato sovrano di Bolivia».
Il diplomatico esce per prendere istruzioni dal suo superiore, poi ritorna.
Mi chiede allora di invitarlo a «prendere un caffettino» sull'aereo. «Ma mi prendete per un delinquente? - ribatto - se volete entrare in questo aereo dovrete farlo con la forza. Non resisterò a un'operazione militare o poliziesca: non ne ho i mezzi».
Avendo certamente avuto paura, l'ambasciatore esclude l'uso della forza, non prima di aver precisato che, in tal caso, non potrà autorizzare il nostro piano di volo: «Alle 9 del mattino, vi faremo sapere se potete partire o no. Intanto, discuteremo con i nostri amici», mi spiega. «Amici? Ma chi sono dunque questi amici della Spagna a cui vi riferite? La Francia e l'Italia, forse?» Rifiuta di rispondermi e se ne va...
Approfitto per discutere con la presidente argentina Cristina Fernández, un'eccellente avvocata che mi guida nelle questioni giuridiche, e con i presidenti venezuelano e ecuadoregno Nicolás Maduro e Rafael Correa, entrambi molto preoccupati per noi.
Correa mi richiamerà diverse volte nella giornata per avere notizie.
Questa solidarietà mi dà forza: «Evo, non hanno alcun diritto di ispezionare il tuo aereo!», mi ripetono. Sapevo che un aereo presidenziale usufruisce dello stesso status di un'ambasciata. Ma quei consigli e l'arrivo degli ambasciatori dell'Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) moltiplicano la mia determinazione.
L'ambasciatore di Spagna riappare. Preoccupato, inquieto e nervoso, mi indica che dispone finalmente di tutte le autorizzazioni e che posso andarmene. Finalmente, decolliamo...
Questo divieto di sorvolo, decretato in modo simultaneo da quattro paesi e coordinato dalla Central Intelligence Agency (Cia) contro un paese sovrano con il solo pretesto che potessimo trasportare forse Snowden, mette in luce il peso politico della principale potenza imperiale: gli Stati uniti.
Fino al 2 luglio (data del nostro sequestro), tutti capivano che gli Stati si dotano di agenzie per la sicurezza per proteggere il proprio territorio e la propria popolazione.
Ma Washington ha superato i limiti del concepibile. Violando le convenzioni internazionali, ha trasformato una parte del continente europeo in un territorio colonizzato. Un insulto ai diritti dell'uomo, una delle conquiste della Rivoluzione francese. Lo spirito coloniale che ha portato a sottomettere in questo modo diversi paesi dimostra una volta di più che l'impero non tollera alcun limite - né legale, né morale, né territoriale.
La potenza degli Stati uniti è sicuramente costituita dalle Forze armate, implicate in diverse guerre d'invasione e sostenute da un complesso militar-industriale fuori dal comune. Le tappe dei loro interventi sono ben note: dopo le conquiste militari, l'imposizione del libero scambio, quella di una singolare concezione della democrazia e, infine, la sottomissione delle popolazioni alla voracità delle multinazionali.
Il marchio indelebile dell'imperialismo - militare o economico - ha sfigurato l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia, la Siria. Alcuni di questi paesi sono stati invasi perché li si sospettava di detenere armi di distruzione di massa o di ospitare organizzazioni terroriste. Paesi nei quali migliaia di esseri umani sono stati uccisi, senza che la Corte penale internazionale abbia intentato il minimo processo.
È la politica della «punizione esemplare», nel più puro stile coloniale: si pensi ai colpi di Stato contro Hugo Chávez in Venezuela nel 2002, contro il presidente honduregno Manuel Zelaya nel 2009, contro Rafael Correa nel 2010, contro il presidente paraguaiano Fernando Lugo nel 2012 e, naturalmente, contro il nostro governo nel 2008, per mezzo dell'ambasciatore nordamericano in Bolivia, Philip Goldberg.
L'«esempio», affinché gli indigeni, gli operai, i contadini, i movimenti sociali non osino risollevare la testa contro le classi dominanti.
L'«esempio», per far piegare quelli che resistono e terrorizzare gli altri. Ma un «esempio» che porta ormai gli umili del continente e del mondo intero a raddoppiare i loro sforzi di unità per rafforzare le loro lotte. L'attentato che abbiamo subìto rivela i due volti di una stessa oppressione, contro la quale i popoli hanno deciso di ribellarsi: l'imperialismo e il suo gemello politico e ideologico, il colonialismo.
Il sequestro di un aereo presidenziale e del suo equipaggio - impensabile nel XXI secolo - illustra il persistere di una forma di razzismo in seno a certi governi europei. Per loro, gli indigeni e i processi democratici o rivoluzionari nei quali sono impegnati rappresentano ostacoli sulla via della civiltà. Questo razzismo si rifugia ormai nell'arroganza e le spiegazioni «tecniche» più ridicole per mascherare una decisione politica nata in un ufficio di Washington. Ecco dunque dei governi che hanno perso persino la capacità di riconoscersi come colonizzati, e che tentano di proteggere la reputazione del loro padrone...
* L'autore è il presidente della Bolivia, traduzione di Ermanno Gallo, copyright le monde diplomatique / il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/9710/
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
Se i ns. obiettivi sono queste democrazie a sovranità limitata che me ne faccio di queste?
Avete sentito qualche giornale che si definisce riformista e/o democratico parlarne seriamente di questo caso grave ? o vogliamo lasciarlo sempre fare a questi 4 comunisti nostalgici del Manifesto?
Qualche interpellanza in parlamento?
Se si allora siamo in "buone mani"
Se no, cosa ci stanno a fare in questo governo gli ex comunisti ora diventatidemocratici e riformisti?
Vaffa......
un salutone da Juan
Evo Morales *
02.08.2013
Il racconto di Evo Morales, fermato a Vienna come un criminale comune. Il 2 luglio scorso quattro paesi europei (Italia inclusa) gli hanno negato il diritto di sorvolo per ordine degli Usa. Tutta la storia su Le Monde diplomatique in uscita il 20 agosto con il manifesto
ESCLUSIVO
EDITORIALE/2 -
Il 2 luglio scorso si è verificato uno degli avvenimenti più insoliti nella storia del diritto internazionale: il divieto di sorvolare i territori francese, spagnolo, italiano e portoghese, imposto all'aereo presidenziale dello stato plurinazionale di Bolivia, e poi il mio sequestro all'aeroporto di Vienna (Austria) per 14 ore.
Settimane dopo, questo attentato contro la vita dei membri di una delegazione ufficiale, commesso da stati ritenuti democratici e rispettosi delle leggi, continua a sollevare indignazione.
Cos'è accaduto? Ero a Mosca, qualche istante prima dell'inizio di una riunione con Vladimir Putin, quando un assistente mi ha avvertito che c'erano difficoltà tecniche: impossibile recarci in Portogallo come inizialmente previsto. Tuttavia, quando termina il mio incontro con il presidente russo, diventa già chiaro che il problema non ha niente di tecnico...
Da La Paz, il nostro ministro degli Esteri, David Choquehuanca, riesce a organizzare uno scalo a Las Palmas di Gran Canaria, in Spagna, e a far approvare un nuovo piano di volo. Tutto sembra in ordine...
Eppure, dopo il decollo, il colonnello dell'aviazione Celiar Arispe, che comanda il gruppo dell'aereo presidenziale e quel giorno è anche il pilota, mi si avvicina: «Parigi ritira l'autorizzazione al sorvolo! Non possiamo entrare nello spazio aereo francese». Eravamo sul punto di farlo. Potevamo tentare di tornare in Russia, ma correvamo il rischio di restare senza carburante. Il colonnello Arispe ha perciò contattato la torre di controllo dell'aeroporto di Vienna per sollecitare l'autorizzazione a effettuare un atterraggio di emergenza. Che le autorità austriache siano ringraziate per averci dato il via libera. In un piccolo ufficio dell'aeroporto messo a mia disposizione, il pilota mi informa che anche l'Italia ci rifiuta l'entrata nel suo spazio aereo.
È in quel momento che ricevo la visita dell'ambasciatore di Spagna in Austria, Alberto Carnero. Mi annuncia che un nuovo piano di volo sta per essere approvato per farmi passare dalla Spagna. Solo, spiega, dovrà prima ispezionare l'aereo presidenziale. Altrimenti non potremo partire. Quando gli chiedo perché, Carnero evoca il nome di Edward Snowden, quell'impiegato di una società nordamericana alla quale Washington subappalta alcune delle sue attività di spionaggio. Rispondo che lo conosco solo attraverso i giornali. Ricordo anche al diplomatico spagnolo che il mio paese rispetta le convenzioni internazionali: non avrei in nessun caso cercato di estradare chicchessia verso la Bolivia.
Carnero è in contatto permanente con il sottosegretario agli Esteri spagnolo, Rafael Mendívil Peydro, che, in tutta evidenza, gli chiede di insistere. «Voi non ispezionerete questo aereo - dico - se non mi credete, vuol dire che trattate da bugiardo il presidente dello stato sovrano di Bolivia».
Il diplomatico esce per prendere istruzioni dal suo superiore, poi ritorna.
Mi chiede allora di invitarlo a «prendere un caffettino» sull'aereo. «Ma mi prendete per un delinquente? - ribatto - se volete entrare in questo aereo dovrete farlo con la forza. Non resisterò a un'operazione militare o poliziesca: non ne ho i mezzi».
Avendo certamente avuto paura, l'ambasciatore esclude l'uso della forza, non prima di aver precisato che, in tal caso, non potrà autorizzare il nostro piano di volo: «Alle 9 del mattino, vi faremo sapere se potete partire o no. Intanto, discuteremo con i nostri amici», mi spiega. «Amici? Ma chi sono dunque questi amici della Spagna a cui vi riferite? La Francia e l'Italia, forse?» Rifiuta di rispondermi e se ne va...
Approfitto per discutere con la presidente argentina Cristina Fernández, un'eccellente avvocata che mi guida nelle questioni giuridiche, e con i presidenti venezuelano e ecuadoregno Nicolás Maduro e Rafael Correa, entrambi molto preoccupati per noi.
Correa mi richiamerà diverse volte nella giornata per avere notizie.
Questa solidarietà mi dà forza: «Evo, non hanno alcun diritto di ispezionare il tuo aereo!», mi ripetono. Sapevo che un aereo presidenziale usufruisce dello stesso status di un'ambasciata. Ma quei consigli e l'arrivo degli ambasciatori dell'Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) moltiplicano la mia determinazione.
L'ambasciatore di Spagna riappare. Preoccupato, inquieto e nervoso, mi indica che dispone finalmente di tutte le autorizzazioni e che posso andarmene. Finalmente, decolliamo...
Questo divieto di sorvolo, decretato in modo simultaneo da quattro paesi e coordinato dalla Central Intelligence Agency (Cia) contro un paese sovrano con il solo pretesto che potessimo trasportare forse Snowden, mette in luce il peso politico della principale potenza imperiale: gli Stati uniti.
Fino al 2 luglio (data del nostro sequestro), tutti capivano che gli Stati si dotano di agenzie per la sicurezza per proteggere il proprio territorio e la propria popolazione.
Ma Washington ha superato i limiti del concepibile. Violando le convenzioni internazionali, ha trasformato una parte del continente europeo in un territorio colonizzato. Un insulto ai diritti dell'uomo, una delle conquiste della Rivoluzione francese. Lo spirito coloniale che ha portato a sottomettere in questo modo diversi paesi dimostra una volta di più che l'impero non tollera alcun limite - né legale, né morale, né territoriale.
La potenza degli Stati uniti è sicuramente costituita dalle Forze armate, implicate in diverse guerre d'invasione e sostenute da un complesso militar-industriale fuori dal comune. Le tappe dei loro interventi sono ben note: dopo le conquiste militari, l'imposizione del libero scambio, quella di una singolare concezione della democrazia e, infine, la sottomissione delle popolazioni alla voracità delle multinazionali.
Il marchio indelebile dell'imperialismo - militare o economico - ha sfigurato l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia, la Siria. Alcuni di questi paesi sono stati invasi perché li si sospettava di detenere armi di distruzione di massa o di ospitare organizzazioni terroriste. Paesi nei quali migliaia di esseri umani sono stati uccisi, senza che la Corte penale internazionale abbia intentato il minimo processo.
È la politica della «punizione esemplare», nel più puro stile coloniale: si pensi ai colpi di Stato contro Hugo Chávez in Venezuela nel 2002, contro il presidente honduregno Manuel Zelaya nel 2009, contro Rafael Correa nel 2010, contro il presidente paraguaiano Fernando Lugo nel 2012 e, naturalmente, contro il nostro governo nel 2008, per mezzo dell'ambasciatore nordamericano in Bolivia, Philip Goldberg.
L'«esempio», affinché gli indigeni, gli operai, i contadini, i movimenti sociali non osino risollevare la testa contro le classi dominanti.
L'«esempio», per far piegare quelli che resistono e terrorizzare gli altri. Ma un «esempio» che porta ormai gli umili del continente e del mondo intero a raddoppiare i loro sforzi di unità per rafforzare le loro lotte. L'attentato che abbiamo subìto rivela i due volti di una stessa oppressione, contro la quale i popoli hanno deciso di ribellarsi: l'imperialismo e il suo gemello politico e ideologico, il colonialismo.
Il sequestro di un aereo presidenziale e del suo equipaggio - impensabile nel XXI secolo - illustra il persistere di una forma di razzismo in seno a certi governi europei. Per loro, gli indigeni e i processi democratici o rivoluzionari nei quali sono impegnati rappresentano ostacoli sulla via della civiltà. Questo razzismo si rifugia ormai nell'arroganza e le spiegazioni «tecniche» più ridicole per mascherare una decisione politica nata in un ufficio di Washington. Ecco dunque dei governi che hanno perso persino la capacità di riconoscersi come colonizzati, e che tentano di proteggere la reputazione del loro padrone...
* L'autore è il presidente della Bolivia, traduzione di Ermanno Gallo, copyright le monde diplomatique / il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/9710/
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Se i ns. obiettivi sono queste democrazie a sovranità limitata che me ne faccio di queste?
Avete sentito qualche giornale che si definisce riformista e/o democratico parlarne seriamente di questo caso grave ? o vogliamo lasciarlo sempre fare a questi 4 comunisti nostalgici del Manifesto?
Qualche interpellanza in parlamento?
Se si allora siamo in "buone mani"
Se no, cosa ci stanno a fare in questo governo gli ex comunisti ora diventatidemocratici e riformisti?
Vaffa......
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Evo Morales: Io, presidente sequestrato
Berlusconi, Mastella e il triplo salto mortale alla Strapagnàn - di Franca Rame
Introduzione di Dario Fo: "In questi giorni sto rileggendo, in prospettiva della sua pubblicazione, le bozze di "In fuga dal Senato", il testo scritto da Franca sulla sua esperienza al Senato, dove è rimasta esattamente due anni, dal 2006 al 2008, soffrendo di quella società che lei ha chiamato: “Il frigorifero dei sentimenti”. Mi sono trovato con sorpresa dinnanzi a momenti di cui non avevo nemmeno intuito la drammaticità e, spesso, il grottesco più smaccato, messo in scena da senatori e deputati che, salvo eccezioni, facevano di questo loro impegno una triste palestra degli interessi privati. Giunto a pagina 146 mi imbatto nel resoconto della votazione di un provvedimento proposto da Clemente Mastella, un figuro che allora faceva parte del governo nel ruolo di Ministro della giustizia, ruolo ottenuto con bassi ricatti di cui Franca narra la spietatezza mafiosa proprio all’inizio di questa sua testimonianza. Ad un certo punto ho sussultato vistosamente davanti a un passo che aveva del magico. Proprio l’altro ieri, 1 agosto 2013, avevamo goduto della buona, anzi, ottima novella dell’epilogo del processo per frode fiscale a carico del nostro eterno presidente Berlusca. E oggi, come per incanto, ecco svolgersi davanti a me la scena storica in cui si decide, con lo solita spudorataggine, di favorire i soliti associati della casta. Eccovi la sequenza in questione: apriamo il sipario. È Franca che racconta"
"29 luglio 2006. Aula. Ore 9.30. Accade qualcosa a cui non posso fare a meno di presenziare. Si vota il provvedimento sostenuto del ministro Clemente Mastella. «Clemente» però solo con i potenti. Proprio lui, il figuro che determinerà fra non molto, con altri della società dei magnaccioni, la caduta del governo Prodi. Stiamo parlando dell’indulto per antonomasia.
L’indulto è un provvedimento che prevede uno sconto di pena per chi ha commesso reati fino al 2 maggio dell’anno 2006. Lo «sconto» riguarda la detrazione di tre anni dalle condanne definitive. In poche parole viene concessa la libertà ai detenuti che hanno subito una condanna fino a tre anni, mentre uno sconto di pena per quelli con condanne superiori. Bisogna aggiungere che in Italia si scontano in carcere solo le pene superiori ai tre anni, per quelle di durata inferiore vi è invece l’affidamento al servizio sociale. Perciò, chi è condannato a sei anni di reclusione, grazie a questa trovata avrà una detrazione di tre anni e non farà un giorno di carcere.
Fatto è che l’indulto – che ha portato alla scarcerazione di circa 15.000 detenuti – si applica a reati gravissimi come corruzione, concussione, frode a carico dello Stato, bancarotta, truffa nelle gare d’appalto, falso in bilancio e reati connessi al non rispetto delle misure di sicurezza sul lavoro.
Il provvedimento del ministro Mastella ha quindi favorito nomi illustri della mala politica del nostro paese, come nel caso dell’avvocato Cesare Previti, la cui condanna per corruzione giudiziaria scenderà da cinque a due anni, consentendogli così di rimettere piede in parlamento dopo aver lasciato gli arresti domiciliari. Che pacchia!
Altri, che probabilmente beneficeranno del provvedimento: Silvio Berlusconi (per il caso Mills) assieme ai figli Marina e Pier Silvio (indagati per riciclaggio), oltre al Fido-Fedele Confalonieri (indagato a sua volta per falso in bilancio e successivamente ritenuto estraneo ai fatti).
Non ho potuto trattenermi e ho esclamato ad alta voce: «Venghino signori, venghino, questo è il paese di Bengodi; chi ha sentenze e condanne s’accomodi, abbiamo una lavanderia che sbianca ogni mascalzonata, a partire dal furto con scasso». All’istante, ecco la senatrice Menapace dell’Ulivo che si rivolge a me con indignazione: «Ma come? Proprio tu, Franca, che hai lottato per anni, dentro e fuori le carceri per concedere un atto di grazia ai condannati».
«E no, Lidia, io ho sempre inteso di essere clemente con i disperati, non con gli intoccabili che, con la corruzione e il trucco scantonano da ogni sacrosanta condanna.”
E per finire, l’indulto è approvato con la maggioranza dei due terzi. Presenti 308 senatori, votanti 307. Favorevoli sono stati 245, contrari 56 (tra cui io), astenuti 6.
Questa legge sull’indulto, voluta e votata da tutta la destra e da gran parte della sinistra al governo, è la legge dell’«ingiustizia», una legge di cui un popolo dovrebbe provare vergogna totale. Il Senato chiude, si riprende a settembre... buone vacanze, e io non so se tornerò!
Ma prima di chiudere il capitolo voglio ricordarvi qualcuna delle discussioni, a volte a dir poco accese, che mi capitava di affrontare con miei colleghi senatori e deputati, compreso qualche ministro e un gran numero di giornalisti. I temi toccavano quasi sempre l’ambiente e il clima in cui galleggiavamo, spesso come uccelli fluviali di transito pronti a buttarsi sott’acqua per acchiappare la preda, oppure sbattere le ali e prendere quota sopra la laguna in cerca di un po’ d’aria più respirabile. Gli argomenti del dibattito riguardavano il conflitto di interessi, che da anni, con un inciucio veramente sgradevole, veniva accantonato e dimenticato da ogni governo, lo scandalo dei videopoker, le truffe, il falso in bilancio, la corruzione e soprattutto la mostruosa evasione fiscale e, in particolare, il gran numero di avvocati, spesso a doppio servizio, che transitavano vicino a noi ogni giorno con la carica e lo stipendio di senatori, deputati e perfino ministri, stipendio interamente pagato i cittadini. Su questi argomenti Dario ha dipinto una serie di opere di grande dimensione che ha esposto all’ultima mostra di Palazzo Reale a Milano. Il tema di una di queste pitture satiriche è proprio quello degli avvocati, personaggi posti in fila nelle vesti di antichi senatori ma con maschere di cuoio sulla faccia, e le facce sono ben riconoscibili. Si indovinano le sembianze dell’avvocato Ghedini, Pecorella, Longo ecc. ecc. Tutti i volti in grottesco dei vari legali a servizio del Cavaliere puntano verso l’alto e dall’alto scende, precipitando, il Cavaliere stesso. Qualcuno accenna solo al gesto di venirgli in aiuto, altri voltano lo sguardo indifferente altrove. Spesso, quando mi trovavo a discutere coi miei colleghi, io chiedevo loro (e fra quei loro c’era anche qualche avvocato suo di lui): "Ma possibile che nessuno gli vada a dare un consiglio in tono sincero e preoccupato sul suo autolesionismo? Berlusconi sembra faccia tutto per trovare alla fine un inciampo disastroso che lo conduca alla rovina. Lui continua a raccontarci che tutti i guai giudiziari gli sono capitati addosso solo al momento in cui aveva deciso di darsi alla politica, non per sé, ma per salvare l’Italia. Bugiardo! Io so bene la battuta che lo smentisce, l’ho sentita quasi dire dalla viva voce di Confalonieri, che perentorio esclama: “Qui, se tu Silvio non ti decidi ad entrare a piedi giunti nella politica ci troveremo sotto un ponte come un gruppo di barboni disperati che cercano le cicche e gli avanzi in mezzo alla monnezza”."
Soltanto che quando Silvio Bingo si è trovato nel vaso di Pandora del governo a sguazzare in mezzo a tante occasioni di truffalderia e sgarrate con raggiro e scaltrezza non si è più tenuto. Silvio, guardami bene in faccia, sei tu che ti tiri addosso la rogna dei processi. Nessun politico al mondo ne ha tanti, uno dietro l’altro, e sempre più difficili da scansare. Sei ormai diventato un acrobata che fa gli esercizi della morte senza badare di stendere sotto la rete, senza il filo che ti regge nel caso di sballottamento in verticale. AHHHHHHH! PLUF. Questo rischi ogni volta.
A proposito di acrobati, io ne ho conosciuti parecchi perché, ormai lo sapete, la mia era una famiglia di girovaghi parenti stretti dei circensi, che rischiano a ripetizione la vita, e mi ricordo di Strapagnàn, un fenomeno del triplo salto mortale. Io l’avevo visto volare sotto lo chapiteau un sacco di volte e un giorno mi sono permessa di provocarlo: “Ma non pensi che azzardi un po’ troppo approfittando della fortuna che sta sempre dalla tua?” E lui di ribatto mi dice: “Hai ragione, ma ormai per me è diventato un modo di vivere quello di rischiare sempre di più. Lo so, sono come un ladro che ruba la vita ogni volta, sempre buttandomi oltre il limite, e sono conscio soprattutto del fatto che quando comincerò a precipitare non mi fermerò ritirandomi, ma tornerò a tentare buttando all’aria ogni logica e ogni senso della ragione.”
È quello che succederà a Berlusconi. Quanti processi ha avuto, quanti ne ha in ballo? Certo, ha fatto leggi per salvarsi ad ogni capovolta. Ma non gli basta. Non lo fa tanto per accumular quattrini, ma perché è il rischio che gli piace e davanti al piacere del rischio non bada nemmeno più alla sua pelle. Si fa parrucche che incolla sul cranio, si mette il cerone sulla faccia come un clown, i rialzi alle scarpe come un’entreneuse, tutto per apparire meglio, senza età. Ahimè, senza età sono solo gli angeli, ma attento che anche loro spesso cascano.” Franca Rame
http://www.beppegrillo.it/2013/08/berlu ... 2013-08-03
Ciao
Paolo11
Introduzione di Dario Fo: "In questi giorni sto rileggendo, in prospettiva della sua pubblicazione, le bozze di "In fuga dal Senato", il testo scritto da Franca sulla sua esperienza al Senato, dove è rimasta esattamente due anni, dal 2006 al 2008, soffrendo di quella società che lei ha chiamato: “Il frigorifero dei sentimenti”. Mi sono trovato con sorpresa dinnanzi a momenti di cui non avevo nemmeno intuito la drammaticità e, spesso, il grottesco più smaccato, messo in scena da senatori e deputati che, salvo eccezioni, facevano di questo loro impegno una triste palestra degli interessi privati. Giunto a pagina 146 mi imbatto nel resoconto della votazione di un provvedimento proposto da Clemente Mastella, un figuro che allora faceva parte del governo nel ruolo di Ministro della giustizia, ruolo ottenuto con bassi ricatti di cui Franca narra la spietatezza mafiosa proprio all’inizio di questa sua testimonianza. Ad un certo punto ho sussultato vistosamente davanti a un passo che aveva del magico. Proprio l’altro ieri, 1 agosto 2013, avevamo goduto della buona, anzi, ottima novella dell’epilogo del processo per frode fiscale a carico del nostro eterno presidente Berlusca. E oggi, come per incanto, ecco svolgersi davanti a me la scena storica in cui si decide, con lo solita spudorataggine, di favorire i soliti associati della casta. Eccovi la sequenza in questione: apriamo il sipario. È Franca che racconta"
"29 luglio 2006. Aula. Ore 9.30. Accade qualcosa a cui non posso fare a meno di presenziare. Si vota il provvedimento sostenuto del ministro Clemente Mastella. «Clemente» però solo con i potenti. Proprio lui, il figuro che determinerà fra non molto, con altri della società dei magnaccioni, la caduta del governo Prodi. Stiamo parlando dell’indulto per antonomasia.
L’indulto è un provvedimento che prevede uno sconto di pena per chi ha commesso reati fino al 2 maggio dell’anno 2006. Lo «sconto» riguarda la detrazione di tre anni dalle condanne definitive. In poche parole viene concessa la libertà ai detenuti che hanno subito una condanna fino a tre anni, mentre uno sconto di pena per quelli con condanne superiori. Bisogna aggiungere che in Italia si scontano in carcere solo le pene superiori ai tre anni, per quelle di durata inferiore vi è invece l’affidamento al servizio sociale. Perciò, chi è condannato a sei anni di reclusione, grazie a questa trovata avrà una detrazione di tre anni e non farà un giorno di carcere.
Fatto è che l’indulto – che ha portato alla scarcerazione di circa 15.000 detenuti – si applica a reati gravissimi come corruzione, concussione, frode a carico dello Stato, bancarotta, truffa nelle gare d’appalto, falso in bilancio e reati connessi al non rispetto delle misure di sicurezza sul lavoro.
Il provvedimento del ministro Mastella ha quindi favorito nomi illustri della mala politica del nostro paese, come nel caso dell’avvocato Cesare Previti, la cui condanna per corruzione giudiziaria scenderà da cinque a due anni, consentendogli così di rimettere piede in parlamento dopo aver lasciato gli arresti domiciliari. Che pacchia!
Altri, che probabilmente beneficeranno del provvedimento: Silvio Berlusconi (per il caso Mills) assieme ai figli Marina e Pier Silvio (indagati per riciclaggio), oltre al Fido-Fedele Confalonieri (indagato a sua volta per falso in bilancio e successivamente ritenuto estraneo ai fatti).
Non ho potuto trattenermi e ho esclamato ad alta voce: «Venghino signori, venghino, questo è il paese di Bengodi; chi ha sentenze e condanne s’accomodi, abbiamo una lavanderia che sbianca ogni mascalzonata, a partire dal furto con scasso». All’istante, ecco la senatrice Menapace dell’Ulivo che si rivolge a me con indignazione: «Ma come? Proprio tu, Franca, che hai lottato per anni, dentro e fuori le carceri per concedere un atto di grazia ai condannati».
«E no, Lidia, io ho sempre inteso di essere clemente con i disperati, non con gli intoccabili che, con la corruzione e il trucco scantonano da ogni sacrosanta condanna.”
E per finire, l’indulto è approvato con la maggioranza dei due terzi. Presenti 308 senatori, votanti 307. Favorevoli sono stati 245, contrari 56 (tra cui io), astenuti 6.
Questa legge sull’indulto, voluta e votata da tutta la destra e da gran parte della sinistra al governo, è la legge dell’«ingiustizia», una legge di cui un popolo dovrebbe provare vergogna totale. Il Senato chiude, si riprende a settembre... buone vacanze, e io non so se tornerò!
Ma prima di chiudere il capitolo voglio ricordarvi qualcuna delle discussioni, a volte a dir poco accese, che mi capitava di affrontare con miei colleghi senatori e deputati, compreso qualche ministro e un gran numero di giornalisti. I temi toccavano quasi sempre l’ambiente e il clima in cui galleggiavamo, spesso come uccelli fluviali di transito pronti a buttarsi sott’acqua per acchiappare la preda, oppure sbattere le ali e prendere quota sopra la laguna in cerca di un po’ d’aria più respirabile. Gli argomenti del dibattito riguardavano il conflitto di interessi, che da anni, con un inciucio veramente sgradevole, veniva accantonato e dimenticato da ogni governo, lo scandalo dei videopoker, le truffe, il falso in bilancio, la corruzione e soprattutto la mostruosa evasione fiscale e, in particolare, il gran numero di avvocati, spesso a doppio servizio, che transitavano vicino a noi ogni giorno con la carica e lo stipendio di senatori, deputati e perfino ministri, stipendio interamente pagato i cittadini. Su questi argomenti Dario ha dipinto una serie di opere di grande dimensione che ha esposto all’ultima mostra di Palazzo Reale a Milano. Il tema di una di queste pitture satiriche è proprio quello degli avvocati, personaggi posti in fila nelle vesti di antichi senatori ma con maschere di cuoio sulla faccia, e le facce sono ben riconoscibili. Si indovinano le sembianze dell’avvocato Ghedini, Pecorella, Longo ecc. ecc. Tutti i volti in grottesco dei vari legali a servizio del Cavaliere puntano verso l’alto e dall’alto scende, precipitando, il Cavaliere stesso. Qualcuno accenna solo al gesto di venirgli in aiuto, altri voltano lo sguardo indifferente altrove. Spesso, quando mi trovavo a discutere coi miei colleghi, io chiedevo loro (e fra quei loro c’era anche qualche avvocato suo di lui): "Ma possibile che nessuno gli vada a dare un consiglio in tono sincero e preoccupato sul suo autolesionismo? Berlusconi sembra faccia tutto per trovare alla fine un inciampo disastroso che lo conduca alla rovina. Lui continua a raccontarci che tutti i guai giudiziari gli sono capitati addosso solo al momento in cui aveva deciso di darsi alla politica, non per sé, ma per salvare l’Italia. Bugiardo! Io so bene la battuta che lo smentisce, l’ho sentita quasi dire dalla viva voce di Confalonieri, che perentorio esclama: “Qui, se tu Silvio non ti decidi ad entrare a piedi giunti nella politica ci troveremo sotto un ponte come un gruppo di barboni disperati che cercano le cicche e gli avanzi in mezzo alla monnezza”."
Soltanto che quando Silvio Bingo si è trovato nel vaso di Pandora del governo a sguazzare in mezzo a tante occasioni di truffalderia e sgarrate con raggiro e scaltrezza non si è più tenuto. Silvio, guardami bene in faccia, sei tu che ti tiri addosso la rogna dei processi. Nessun politico al mondo ne ha tanti, uno dietro l’altro, e sempre più difficili da scansare. Sei ormai diventato un acrobata che fa gli esercizi della morte senza badare di stendere sotto la rete, senza il filo che ti regge nel caso di sballottamento in verticale. AHHHHHHH! PLUF. Questo rischi ogni volta.
A proposito di acrobati, io ne ho conosciuti parecchi perché, ormai lo sapete, la mia era una famiglia di girovaghi parenti stretti dei circensi, che rischiano a ripetizione la vita, e mi ricordo di Strapagnàn, un fenomeno del triplo salto mortale. Io l’avevo visto volare sotto lo chapiteau un sacco di volte e un giorno mi sono permessa di provocarlo: “Ma non pensi che azzardi un po’ troppo approfittando della fortuna che sta sempre dalla tua?” E lui di ribatto mi dice: “Hai ragione, ma ormai per me è diventato un modo di vivere quello di rischiare sempre di più. Lo so, sono come un ladro che ruba la vita ogni volta, sempre buttandomi oltre il limite, e sono conscio soprattutto del fatto che quando comincerò a precipitare non mi fermerò ritirandomi, ma tornerò a tentare buttando all’aria ogni logica e ogni senso della ragione.”
È quello che succederà a Berlusconi. Quanti processi ha avuto, quanti ne ha in ballo? Certo, ha fatto leggi per salvarsi ad ogni capovolta. Ma non gli basta. Non lo fa tanto per accumular quattrini, ma perché è il rischio che gli piace e davanti al piacere del rischio non bada nemmeno più alla sua pelle. Si fa parrucche che incolla sul cranio, si mette il cerone sulla faccia come un clown, i rialzi alle scarpe come un’entreneuse, tutto per apparire meglio, senza età. Ahimè, senza età sono solo gli angeli, ma attento che anche loro spesso cascano.” Franca Rame
http://www.beppegrillo.it/2013/08/berlu ... 2013-08-03
Ciao
Paolo11
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