Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

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pancho
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Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da pancho »

Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione,
Il problema e' che ne il mercato ne chi sta' sopra a questo riesce a dare risposte a questa domanda.
Certo, finche' ci saranno paesi poveri se la caveranno con la delocalizzazione, ma poi?
Si continuera' ad impoverire popoli, in un moto perpetuo, come unica risposta alla domanda o esiste un'altra alternativa?

Scriveva l'anno scorso su FB Raffale Piu un bel "trafiletto" che mi son permesso di inserire qui:


Energia umana e energia meccanica.

Dopo l’industrializzazione del lavoro nel secolo passato, oggi assistiamo alla robotizzazione delle industrie dove i ritmi di lavoro sono dettati dalle macchine.

L’uomo è sempre più un’appendice del robot ed è esso che determina, dopo essere stato programmato, e richiede la collaborazione che l’uomo deve fornire.

Gli industriali continuano ad inserire nelle loro fabbriche macchine sempre più robotizzate che si sostituiscono all’operaio, e questo porta sempre più ad aggravare le condizioni di lavoro degli operaio che restano, la prima condizione: imponendo ritmi disumani, la seconda creando sempre più disoccupazione.

L’automazione delle fabbriche non porterà benessere per la popolazione, ma porterà ricchezza solo ai capitalisti che hanno investito in queste strutture.

Antonio Gramsci nei quaderni dal carcere spiega molto bene questo concetto, (americanismo e fordismo), anche se riconosce il valore e l’utilità delle macchine, rifiuta la logica dell’automazione in quanto l’operaio sarà solo massa inerme in balia delle macchine, la paura di Gramsci e che gli operai diventino dei gorilla per far andare le macchine, senza avere una qualifica e imparare un mestiere.

Oggi assistiamo a questa automazione selvaggia, dove l’energia umana viene sempre più sostituita da quella meccanica.

L’elettronica ha fatto si che la robotica crei macchine sempre più complesse e sempre più in condizione di sostituire l’operaio, oggi un’auto viene saldata senza che l’uomo la veda, viene verniciata nello stesso modo.

Esistono caseifici che lavorano un milione di litri di latte al giorno e sono talmente robotizzati che richiedono la presenza di tre tecnici per turno, e sono a ciclo continuo.

Se nel futuro le industrie sono queste non riesco a vedere cosa ci guadagna la popolazione del lavoro,e con essi la società, ma non riesco neanche a vedere un futuro per queste industrie: se non ci sono acquirenti per i suoi prodotti che ragione hanno ad esistere?.

La globalizzazione ha fatto si che queste industrie vengano costruite in quei paesi dove le regolo sono talmente inutili se non inesistenti, questo porta sempre di più a creare nel mondo, tanta povertà nelle famiglie ed in seguito le famiglie saranno ridotte in miseria.

Cosa comporta tutto questo? Una situazione dove avremo, stime al positivo, appena il trenta per cento della forza lavoro occupata mentre il restante settanta sarà in attesa di occupazione.

È una situazione allarmante,ma è quanto le multinazionali stanno portando avanti. La politica portata avanti dal fondo monetario internazionale è questa, a loro non interessa quanto un Paese si indebita o soffre: al FMI interessa solo il profitto.

Ecco il profitto, è questo il filo di Arianna che traina e sposta enormi capitali da una parte all’altra del mondo, quei capitali che non sono usati per creare ricchezza e benessere nella popolazione ma bensì sfruttamento e miseria per i lavoratori ma in compenso enormi profitti per il capitalismo.

Il nostro Don Andrea Gallo comunista e grande uomo ha dimostrato al modo intero quanto danno porta alla società il dominio delle multinazionali sullo Stato, le lezioni che uomini come Don Gallo hanno dato, troppo spesso vengono messe nel dimenticatoio della storia. Pensiamo a Marx, Gramsci, Berlinguer , tutti comunisti , ma pensiamo anche a Gandhi , Martin Luther King , Nelson Mandela e tantissimi altri che si sono sacrificati combattendo contro le ingiustizie e i privilegi molto graditi al capitalismo.

Le nuove società non possono fare a meno della tecnologia, e su questo nessuno può dimostrare il contrario, ma quello che le nuove società devono fare è un nuovo sistema che consente di creare un diverso rapporto tra industria e società.

Questo nuovo sistema deve considerare una nuova forma di industrializzazione: le industrie devono essere al servizio della società e non il contrario e cioè la società al servizio delle industrie, devono funzionare nel rispetto dell’ambiente, e soprattutto non produrre il superfluo.

Per fare questo è necessario acquisire una diversa mentalità, sia civile che industriale.

Oggi siamo in piena era competitiva e del profitto, i Governi troppe volte cincischiano o sono assenti quando si tratta di controllare le multinazionali e con esse il capitale.
La banca europea continua a ripetere che è necessario privatizzare le risorse del Paese, compresi i servizi sociali, che bisogna essere competitivi, che bisogna tagliare la spesa pubblica e via di questo passo.

L’Islanda era sulla bancarotta dovuta agli interessi sul debito pubblico, le industrie erano allo stremo torchiate dalle banche internazionali e cosi la popolazione.

I falchi del FMI erano pronti a spartirsi la torta, incastrando l’Islanda con un prestito che voleva dire morte sicura.
Loro hanno fatto un referendum e hanno deciso di non accettare il prestito, hanno azzerato il debito pubblico( si sono rifiutati di pagare i bot) , hanno azzerato i debiti delle industrie e quelli della popolazione e infine hanno nazionalizzato le banche.

L’Islanda oggi è la Stato che sta meglio in Europa, non ha nessun debito e uno dei migliori salari d’Europa.

La Grecia ha accettato il prestito e tutti vediamo come sono ridotti, non può uno Stato accettare di imporre ai cittadini un programma di risanamento imposto dal capitalismo internazionale.

Concludo: nessuno Stato al mondo si è salvato dal fallimento quando hanno accettato il piano imposta dal capitalismo internazionale( FMI ). L’Italia è una prossima candidata.

https://www.facebook.com/partitodemocra ... 7346081896
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Maucat
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da Maucat »

E' purtroppo tutto vero e la grande sfida dell'Umanità oggi è uscire da questa spirale del profitto a ogni costo. Sembra che con le buone non ci si riesca e quindi prima o poi ci si arriverà o con le cattive o più probabilmente perché il sistema si annienta da solo... 8-)
paolo11
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da paolo11 »

http://www.youtube.com/watch?v=Bd2mVBwp ... ploademail
Abbiamo firmato in molti su firmiamo .it.Le navi da crociera non devono passare per San Marco.Al momento pareva che ci avessero ascoltato.
Invece.........Una città fondata su palafitte non nata per questi mostri del mare.Vogliamo rovinare anche questo gioiello che abbiamo
Ciao
Paolo11
aaaa42
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da aaaa42 »

questo interessante intervento della prof. Pennacchi sposta l' obiettivo dal JOB ACT al WORK ACT.

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Il consiglio dei ministri, dopo tanti annunci sulla terapia shock da somministrare al paese, ha soltanto approvato la relazione del premier Renzi.



Che il consiglio abbia preso atto della sua informativa, o che le coperture del previsto aumento delle detrazioni Irpef per i lavoratori dipendenti rimangano indefinite e dubbie, sono le cose su cui in queste ore si ha la tentazione di concentrarsi maggiormente. Ma è bene andare oltre queste pur importanti questioni e vedere un elemento più di fondo. Mentre l`Europa e l`Italia debbono fronteggiare enormi problemi strutturali - con perfino l`Ocse che getta l`allarme sui livelli senza precedenti raggiunti dalla disoccupazione e segnala per l`eurozona rischi di deflazione suggerendo un allentamento dell`austerità - dal carniere di Renzi non è uscito molto di veramente innovativo.


Oltre all`enfasi sulla ristrutturazione e la manutenzione dell`edilizia scolastica e a un intervento aggiuntivo sull`Irap da finanziarsi con un incremento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%, troviamo la riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti (mediante contrazione dell`Irpef) per 10 miliardi a regime già programmati dalla Legge di stabilità di Letta per il 2015, l`accelerazione del pagamento dei debiti pregressi della PA mediante un ruolo più incisivo della Cassa depositi e prestiti in gestazione da tempo, la semplificazione normativa e burocratica di cui si parla da decenni, il Piano Casa già preparato dal ministro Lupi con il governo Letta. Per parte sua il Jobs Act è affidato, insieme a provvedimenti mirati su contratti a termine e apprendistato, a una legge delega (il che rassicura i sindacati, ma quella fiscale ci ha messo tre anni per essere approvata e chissà quanto tempo ci metteranno ora ad essere emanati i decreti delegati che ne derivano) e contiene proposte su cui si lavora da tempo, tra cui l`universalizzazione degli ammortizzatori sociali, il riordino delle tipologie contrattuali, il potenziamento dei servizi all`impiego.


Ma la continuità con il passato è forte anche sul piano culturale. Siamo lontani, infatti, dal rovesciamento di paradigma che sarebbe necessario e siamo vicini alla riproposizione delle note (e fallimentari) ricette della supply sfide economia, secondo cui in questione è sempre la spesa pubblica (specie sociale), ridurre la quale, perché spiazzerebbe l`investimento privato, sarebbe il prerequisito primario per liberare l`offerta, sollecitare la concorrenza e la competizione, stimolare l`investimento privato e così alla fine attivare - magari dopo una ventina d`anni - la crescita. E con «l`economia dal lato dell`offerta» torna il rischio che risorga il famigerato starvingthe beast di bushiana memoria: «affama la bestia», e la bestia sono i governi e le istituzioni pubbliche da «affamare» con tagli di spesa e di tasse che sottraggono loro le risorse necessarie a finanziare prestazioni e servizi, inseguendo il mito dell`«arretramento» del perimetro pubblico (ma è Minsky a ricordare che l`enfasi sul taglio delle tasse equivale a spostare il potere di comando dalle mani pubbliche a quelle private).


Non ha forse questo sapore un taglio delle tasse finanziato in deficit (quando il principio è che lo sforamento fino al 3% sia consentito solo per investimenti produttivi) o con tagli di spesa (quando le riduzioni di spesa già contabilizzate ammontano a 30 miliardi di Euro nella Legge di stabilità per il 2014 e le disponibilità delle strutture pubbliche erogatrici di prestazioni e servizi centrali e decentrate - sono ridotte all`osso)? Come non interrogarsi sull`allargamento che già si annunzia della spending review - da cui il commissario Cottarelli aveva prudentemente ipotizzato di ricavare 3 miliardi di risparmi -, dalla sacrosanta lotta alla spesa inefficiente e improduttiva, alle pensioni medio-alte (2500 euro mensili, spera- bilmente netti, perché se fossero lordi la musica cambia drasticamente) e alla sanità per cui si torna ad ipotizzare un optingout di fatto dal settore pubblico dei benestanti? Non si vede che, mentre spariscono le pur generiche velleità di politica industriale presenti nelle prime bozze del Jobs Act, è minacciato l`impianto stesso del welfare e l`impalcatura istituzionale complessiva dello stato, essenziale per la crescita e lo sviluppo di una società moderna?


Proprio qui sta il punto cruciale: è sconcertante che la scelta della riduzione della pressione fiscale sia sembrata l`unica possibile e non si sia nemmeno affacciata l`opzione di operare con un intervento pubblico diretto di spesa volto a rilanciare gli investimenti e per questa via l`occupazione, posto che anche il FMI segnala la forza maggiormente espansiva, a parità di risorse impiegate, di programmi di spesa rispetto a programmi di semplice riduzione delle imposte. Interrogarsi su usi alternativi di pari, o addirittura minori, ammontari di risorse, però con assai superiore efficacia espansiva e occupazionale, è essenziale. Ad esempio, nel Libro bianco Tra crisi e grande trasformazione edito da Ediesse, abbiamo calcolato che con 5 miliardi di euro l`operatore pubblico - in tutte le sue articolazioni centrali e territoriali e con progetti seri e ben costruiti orientati a un nuovo modello di sviluppo può creare direttamente 400.000 posti di lavoro in un anno, Luciano Gallino ha calcolato che con 15 miliardi i posti di lavoro creati possono diventare addirittura 1 milione.


Sono chiare le logiche alternative che sottostanno ai due tipi di intervento, l`uno agente solo per incentivi indiretti e prescrizioni standard volto a sollecitare così gli animai spirits del mercato, l`altro invocante una diretta responsabilità pubblica e collettiva, straordinaria quanto è straordinaria la situazione occupazionale odierna, specie dei giovani e delle donne.


Squinzi ha ragione a dire: «Meglio un lavoro in più che pochi spiccioli in busta paga in più». Ha torto, però, a concentrarsi quasi esclusivamente sull`Irap e a non mettere drasticamente in campo la questione degli investimenti, pubblici e privati, quegli investimenti caduti tra il 2009 e il 2012 nell`area euro di quasi il 19% e addirittura del 24,4 in Italia. Il crollo degli investimenti e la debolezza della domanda privata di lavoro sono alla base tanto del declino della produttività quanto dell`esplosione della disoccupazione e dell`inattività, tanto grave che Romano Prodi ci ammonisce trattarsi non più solo di joblessrecovery (ripresa senza lavoro) ma dijoblesssociety: «società senza lavoro». È per tutto questo che abbiamo bisogno, oltre che di un Jobs Act, di un Work Plan, di un «Piano del lavoro» fatto di grandi progetti di sviluppo, trainati da uno Stato che sappia proporsi sia come bigpush per gli operatori privati e gli attori sociali, sia come «occupatore di ultima istanza».


L`ingrediente di cui sempre di più si sente la mancanza, infatti, è un impegno esplicito e vero alla «piena e buona occupazione», per il quale è essenziale l`azione pubblica diretta, da tradursi in un grande Piano per il lavoro - incorporante anche una iniziativa per il servizio civile come era nella proposta di Esercito del lavoro di Ernesto Rossi - e in politiche industriali per la reindustrializzazione e la terziarizzazione qualificata dell`Italia. È qui che si gioca la partita decisiva ed è qui che è richiesto il rovesciamento di paradigma, dalla visione culturale neoliberista - ancora dominante nelle classi dirigenti italiane, anche di centrosinistra, spesso affascinate da un anacronistico tardoblairismo e succubi dei «cattivi maestri» sostenenti che «il neoliberismo è di sinistra» - alla visione dello «sviluppo umano» rivolta alla «fioritura» degli esseri viventi, la quale si estrinseca in una pluralità e in una intersezione di progetti, di lavori, di attivazione di capacità.


• • • La riduzione della pressione fiscale considerata unica chance, non c`è un intervento diretto di spesa pubblica.
camillobenso
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da camillobenso »

Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione - 1

Prima di addentrarci nel tema della robotizzazione, occorre riflettere sulla dittatura esercitata a livello planetario dalla pubblicità. In modo particolare da quella televisiva.

La pubblicità televisiva in Italia da mezzo secolo ha sciacquato con grande successo il cervello di milioni di persone.

Questo ha consentito al potere politico, di usare le metodologie del marketing applicate alla politica.

Dobbiamo a questa metodologia il mantenimento di un cospicuo elettorato per un ventennio da parte di SB.

Sciacquando i cervelli, il potere si assicura permanentemente il consenso con tutti i suoi derivati. Di conseguenza, il potere politico evita con cura di trattare quegli argomenti che si possono ritorcere contro di lui.

Per questo motivo, negli ultimi 50 anni si è evitato accuratamente di discutere pubblicamente della robotizzazione e delle conseguenze obbligate sulla società umana.

La terza rivoluzione industriale parte sostanzialmente negli anni ’70. Quarant’anni dopo possiamo considerarci immersi completamente nella terza rivoluzione industriale.

In Giappone, già 10 anni fa disponevano di tecnologie avanzate di almeno due generazioni. Non venivano messe sul mercato per il semplice motivo che le aziende dovevano recuperare i costi della ricerca e i relativi utili della tecnologia immessa nel mercato in quell’epoca.

Se dal punto di vista dell’accessibilità a determinati prodotti da parte delle classi più basse della società (intese come disponibilità economica) l’alto tasso di automazione concorre ad ottenere questo dato positivo, da un altro punto di vista l’alto tasso di automazione comporta la disoccupazione di massa.

Ecco perché era necessario almeno 30 anni fa “sedersi intorno ad un tavolo” per discutere dei destini della società umana.

Al punto in cui ci troviamo ora, equivale a stare su di un treno lanciato a tutta velocità dove abbiamo perso il controllo sapendo che prima o poi dovremo andare a sbattere.
aaaa42
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da aaaa42 »

dopo la rivoluzione informatica avremmo la rivoluzione energia elettrica e poi la rivoluzione idrogeno

la rivoluzione energia elettrica anche con fonti alternative dovrebbe garantire un nuovo sviluppo per i prossimi 10 anni.
il problema italia è la debolezza del sistema economico fiaccato dalla propaganda neoliberista e dal pensiero unico.

la vocazione industriale e manifatturiera dovrebbe favorire l' Italia.

al di la delle polemiche si euro no euro la moneta forte ed uguale alla germania insieme alla mancanza di politiche industriali è un grande handicap.

non credo che i robot tolgono lavoro perchè qualcuno li deve costruire.

e non credo alla scuola tedesca che il reddito minimo garantito è dovuto alla sviluppo della tecnologia.

il modello sociale europeo si sviluppo partendo dallo stato , noi siamo senza stato anarchici senza gli anarchici.
Maucat
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da Maucat »

I robot sono in gran parte progettati e costruiti da altri robot l'apporto dell'uomo è sempre più marginale. La Terza rivoluzione industriale è stata abilmente mascherata dai MainStreamMedia alle masse e i suoi effetti uniti alla forte crescita demografica mondiale degli ultimi 50 anni ha portato la società umana sull'attuale baratro. Si doveva intervenire prima oggi si può solo sperare che l'urto finale non sia troppo catastrofico e intanto rallentare.
La formazione di un nuovo equilibrio richiederà molto tempo e nel frattempo sarebbe opprotuno non spingersi oltre nellos viluppo sfrenato della robotizzazione che sarebbe positiva solo se potessimo poi permettere ai miliardi di individui di vivere pur lavorando poco o nulla... e quì si entra nel territorio minato della distribuzione della ricchezza che in futuro più o meno lontano dovrà per forza essere distribuita equamente e non accumulata in poche rapaci mani.
paolo11
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da paolo11 »

aaaa42 ha scritto:dopo la rivoluzione informatica avremmo la rivoluzione energia elettrica e poi la rivoluzione idrogeno

la rivoluzione energia elettrica anche con fonti alternative dovrebbe garantire un nuovo sviluppo per i prossimi 10 anni.
il problema italia è la debolezza del sistema economico fiaccato dalla propaganda neoliberista e dal pensiero unico.

la vocazione industriale e manifatturiera dovrebbe favorire l' Italia.

al di la delle polemiche si euro no euro la moneta forte ed uguale alla germania insieme alla mancanza di politiche industriali è un grande handicap.

non credo che i robot tolgono lavoro perchè qualcuno li deve costruire.

e non credo alla scuola tedesca che il reddito minimo garantito è dovuto alla sviluppo della tecnologia.

il modello sociale europeo si sviluppo partendo dallo stato , noi siamo senza stato anarchici senza gli anarchici.
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Ciao aaa42.Mi ricordo quando è avvenuto l'avvento del computer in tutte le aziende Banche ecc......poi è arrivata la cassa continua 24 ore su 24 prelievi.Dunque tutte le banche in seguito hanno ridotto il personale, la grandezza delle sedi.
Ora ti ritrovi delle banche che sono dei buchi con pochissime persone.Visto che pagamenti ecc... si fanno via internet.
Ma all'inizio di tutto questo ci dicevano lavorerete meno ore, avrete piu tempo da dedicare alla famiglia.Invece è avvenuto il contrario.Conosco aziende metalmeccaniche che lavorano anche il sabato mattina per sbrigare gli ordini.Non assumono per paura poi di dover licenziare, quindi fruttano il personale che hanno.O due nipoti che lavorano nella stessa azienda, da Gennaio che vanno tutti i sabato mattina a lavorare.Questo sistema sta distruggendo il clima famigliare cominciamo dai grossi centri commerciali che sono aperti anche la domenica.Uno dei miei nipoti la moglie lavora in uno di questi centri commerciali.Quindi marito e moglie si vedono quelle poche ore alla sera.Mio cognato rimasto vedovo da poco fa il baby sitter per la nipotina.E fa da mangiare anche per i due figli che tornano a pranzo.
Questa è la situazione.E devono ringraziare che hanno un lavoro.
A proposito di energia.io sono con questa.Ora ti vendono pure il climatizzatore http://www.enelenergia.it/mercato/liber ... atizzatori
Ciao
Paolo11
pancho
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da pancho »

Disoccupazione operaia
Tra decadenza del capitalismo e illusioni conservatrici del riformismo

Sembrerà paradossale, ma a lanciare il grido di allarme è la stessa borghesia: troppi disoccupati, troppi espulsi dai processi produttivi, troppo poche le occasioni di nuovi posti di lavoro anche in presenza di una ripresa forte e duratura. Certamente a tempi lunghi, almeno quattro anni, e con una intensità di rilancio della attività produttiva che non sia inferiore ad un incremento del Pil del 3% annuo, si ridurrà l'attuale tasso di disoccupazione, ma non di molto, di qualche unità percentuale. Il fenomeno verrà ridotto ma non risolto, la disoccupazione è destinata, nel futuro della società capitalistica a rimanere una costante con il rischio di aggravarsi ad ogni futura recessione…..

omissis….Chi pensasse che lo slogan “Lavorare tutti lavorare meno a parità di salario” abbia una minima possibilità di attuazione, fermi restando i modelli economici capitalistici, è un idealista che non conosce i meccanismi di valorizzazione del capitale e ingenuamente crede che attraverso il riformismo economico si possano pesantemente intaccare i rapporti con la forza lavoro, sino al punto da mettere in dubbio i meccanismi di creazione del plus valore, o di realizzare conquiste che solo nella fase socialista è possibile attuare.

omissis…..Ma è la stessa società capitalistica che si incarica di dare a ogni cosa il suo posto e il suo significato. All’attuale disoccupazione le sue cause tecnologiche, al superamento di queste la prassi rivoluzionaria e non il velleitarismo radical riformista.

Un esempio su tutti quello della Fiat. In quattro anni dal 1990 al 1993, il gruppo è passato dai 303.238 dipendenti a 260.951. Nel 1994 nel solo settore auto, grazie alla robotizzazione di alcuni reparti o di alcune linee di produzione (la Punto) si sono persi migliaia di posti di lavoro: Dagli anni ottanta ad oggi si è passati dai 175 mila a 80 mila. A Melfi con un organico di 7000 unità si producono 450.000 auto all’anno, quando a Mirafiori, prima di essere dismessa, per produrre 500.000 autovetture occorrevano 30.000 operai, con una produttività per addetto che è passata da 45 auto a quasi 80, con una proporzionale perdita di posti di lavoro.

La beffa nella beffa è che a Melfi, oltre ad un aumento “giapponese” della produttività si sono decurtati i salari del 30%, ovvero si è assistito al massimo della ristrutturazione capitalistica dove, alla diminuzione del tempo di lavoro necessario si è aggiunta una consistente diminuzione dei posti di lavoro senza la decurtazione della settimana lavorativa e con salari ridotti del 30% e con l’obbligo di due Sabati lavorativi al mese.

Nella “grande” Germania, alla Volkswagen la settimana lavorativa per 100.000 dipendenti, a partire dall’aprile del 1994, è sì scesa a 29 ore settimanali ma con una decurtazione dei salari del 15%.

In più i sindacati Dgb che raccolgono circa 10 milioni di lavoratori si sono dichiarati disponibili ad allargare l’esperimento della settimana corta con l’aggiunta della decurtazione dei salari e dei sabati lavorativi per vedere di salvaguardare l’occupazione nel rispetto della produttività e della efficienza degli impianti, quando sino a pochi giorni prima sembravano irremovibili sulla rivendicazione del lavorare tutti, lavorare meno a parità di salario.
Anche in una situazione di ripresa economica nel settore industriale, nel breve periodo, l’occupazione continua ad essere una chimera difficilmente raggiungibile. Gli stessi analisti borghesi, quelli più accorti, ritengono che solo in presenza di una ripresa che duri almeno tre o quattro anni, con un tasso di crescita non inferiore al 3%, la disoccupazione riguadagnerà soltanto qualche punto percentuale lasciando pressoché inalterato il problema di fondo.

omissis…..Grazie alla ristrutturazione che ha accompagnato la ripresa economica in alcuni settori trainanti dell’economia italiana, si è riusciti a raggiungere il PIL di cinque anni prima con il “risparmio” di ben 1.500.000 unità lavorative. In questo caso l’equazione : maggiore produttività uguale a maggiore disoccupazione sembrerebbe verificata appieno.

Stessa cosa per l’altro esempio, quello verificato direttamente sul campo: la FIAT di Melfi.
Con l’introduzione della robotizzazione, e nemmeno in tutte le fasi della lavorazione, da due anni a questa parte, al decentrato insediamento FIAT, sette mila operai producono 450.000 autovetture, con una produttività di 69 autovetture per addetto, quando negli stabilimenti di Mirafiori, negli anni ottanta, pre ristrutturazione robottizzata, trenta mila operai non superavano le 500.000 autovetture, con una produttività per addetto di circa 18 autovetture all’anno. Senza dimenticare il “dettaglio” di salari inferiori del 30% e con l’obbligo di due Sabati lavorativi al mese.



Poi Fabio Derman finisce con questo:

Con una rapidità mai vista si è completamente sganciato il salario da qualsiasi meccanismo di recupero. Il potere d’acquisto dei salari è stato riportato a quello degli anni settanta.

In nome della flessibilità si sono prodotti milioni di disoccupati e si è reso precario ogni posto di lavoro
.

I nuovi contratti e i nuovi rapporti tra capitale e lavoro, dai contratti d’ingresso al lavoro interinale, stanno mettendo la classe lavoratrice in condizioni di inusitata sudditanza nei confronti di un capitale sempre più assetato di plus lavoro e di profitti.

Il dramma che si consuma nella decadenza della società capitalistica è che alla barbarie prodotta dalle contraddizioni del capitale, sempre meno gestibili e sempre più vaste e profonde, solo il proletariato può opporsi a condizione che si riproponga come classe antagonista, che ritrovi la forza di ridarsi una struttura partitica e che abbia la lucidità politica di uscire dal pantano della sinistra istituzionale, quinta colonna della conservazione borghese.

Oppure, se tardassero a presentarsi i segni di una ripresa della lotta di classe, la decadenza del capitalismo produrrebbe solo barbarie che finirebbe per colpirlo in ogni sua manifestazione di vita, dalla fabbrica al sociale e con lui le stratificazioni più deboli della società in una sorta di girone infernale per sfruttati e diseredati.


http://www.leftcom.org/it/articles/1995 ... ne-operaia
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Si puo' essere non daccordo con questa analisi dura e cruda fatta da Fabio Derman ma una cosa e' sicura, almeno secondo la mia visione delle circostanze: Mi e' difficile trovare dei punti sui quali non concordare e quindi controbatterli con altre analisi.

un salutone da Juan

ps: Sarebbe interessante che tutto quanto inserito sul link fosse letto sapendo che il tutto e' un po' corposo e richiede pazienza ed attenszione.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
camillobenso
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Messaggio da camillobenso »

Impresa & Territori Industria
Per i robot italiani segnali di ripresa vera. Gli ordini interni su dell'80%

di Luca Orlando23 aprile 2014




«Guardi, se queste offerte vanno in porto parliamo di milioni di euro: a giudicare da quello che vedo nelle ultime settimane l'Italia sta tornando ad investire».
Filippo Gasparini è di buon umore. Per la sua impresa, che produce macchine per profilatura in Veneto, il 2014 inizia bene, con richieste di "quotazioni" raddoppiate rispetto allo scorso anno.

Ad altri suoi colleghi è andata persino meglio e il risultato è visibile nel balzo degli ordini di macchine utensili in Italia: una crescita del 79,3% sul mercato interno tra gennaio e marzo che in termini percentuali rappresenta la miglior performance da due anni e mezzo.
La cautela nel maneggiare il dato è d'obbligo, sia perché il mercato domestico per i robot rappresenta storicamente la parte "residuale", con tre quarti della produzione destinata ai mercati internazionali, sia perché in termini

, con tre quarti della produzione destinata ai mercati internazionali, sia perché in termini statistici il confronto è con il terribile avvio del 2013, quando le commesse piazzate dai costruttori di macchinari italiani sul nostro territorio si erano ridotte del 36%. Pur con le dovute riserve si tratta però di una inversione di rotta evidente, primo robusto segno positivo dopo due trimestri consecutivi di stabilità. Il livello assoluto degli ordini (127, con la media del 2010 posta a base 100) rappresenta il miglior dato del periodo gennaio-marzo dal 2008 e per una volta è ampiamente al di sopra della performance realizzata sul fronte dell'export. Per le commesse oltreconfine infatti, frenate dalle turbolenze nei Brics e dalle conseguenti svalutazioni di molte monete locali (Turchia, Russia, India, Indonesia sono solo alcuni esempi) la crescita del primo

del primo trimestre si ferma al 5,7%. Il che si traduce in una crescita globale delle commesse per i robot italiani che supera i 15 punti percentuali, il top in termini di crescita dal terzo trimestre del 2010.
«Il dato italiano in termini percentuali non va eccessivamente enfatizzato – spiega il presidente di Ucimu Luigi Galdabini – ed è opportuno ricordare che questo mercato parte da livelli bassissimi, non essendosi mai ripreso dopo lo shock del 2009. Il rimbalzo è in parte fisiologico perché arriva dopo cinque anni di stop, il che rappresenta quasi un'era tecnologica. E tuttavia l'inversione di rotta c'è, mi pare che il clima per gli investimenti sia migliorato, siamo contenti di questo segnale perché in sintesi ci dice che le cose almeno un poco stanno migliorando».

Il dato di Ucimu è del resto in linea con la ritrovata stabilizzazione per la manifattura nazionale, reduce da due mesi positivi sul fronte della produzione industriale e del fatturato sia a livello globale che nella categoria specifica: nel primo bimestre l'Istat registra in particolare per i beni strumentali un aumento dei ricavi del 6% e una crescita degli ordini settoriali superiore ai tre punti. La possibile inversione di rotta negli investimenti delle aziende è visibile anche negli ultimi numeri Istat sulle importazioni, dove proprio la categoria dei beni strumentali risulta essere tra le più toniche a febbraio con una crescita su base annua del 6,1 per cento.
La domanda interna per le macchine utensili dovrebbe inoltre trovare nei prossimi mesi un ulteriore sostegno dall'entrata in vigore della nuova Legge Sabatini che garantisce agevolazioni nei che garantisce agevolazioni nei finanziamenti per gli acquirenti di beni strumentali. Normativa pienamente operativa dalla fine di marzo e che ha già raccolto oltre 2mila domande di finanziamento per un valore di investimento in macchinari di 655 milioni di euro.
«Questo intervento – aggiunge Galdabini – va nella direzione giusta e stimolerà certamente gli investimenti in beni strumentali ma da solo non basta per assicurare il rilancio del mercato italiano. In questo senso auspichiamo sia finalmente introdotto il sistema di liberalizzazione degli ammortamenti o almeno la revisione dei coefficienti oggi fermi al 1988, provvedimento che potrebbe accelerare le decisioni di acquisto da parte dei clienti».

In attesa di vedere gli effetti concreti di questi incentivi i primi numeri dell'anno sembrano comunque confermare le stime di Ucimu-Sistemi per produrre che nel 2014 prevede per i robot italiani una crescita della produzione del 4,6% a 5 miliardi di euro. Sviluppo che dopo tre anni consecutivi in rosso per la domanda italiana vede proprio nella crescita interna la vera novità per il comparto.


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