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Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto • Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione. - Pagina 4
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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 04/08/2014, 18:38
da camillobenso
paolo11 ha scritto:https://www.youtube.com/watch?v=n6Kx7tFWQuQ
Piero Angela spiega le auto del fututo senza guidatori,in fututo anche i mezzi pesanti potrebbero viaggiare senza guidatore,
Pure trattori per l'agricoltura.Quindi la macchina sostituisce L'uomo anche in questi campi.
http://www.alvolante.it/news/gran-breta ... ore-336775
Ciao
Paolo11

Grazie Paolo per aver pubblicato questo articolo che mi era stato caldamente segnalato la scorsa settimana da un amico che ha visto la puntata di Piero Angela, all'interno di un confronto sulla futura occupazione.

Questo assieme alla tabella 1 de The Economist della scorsa settimana, pubblicata in questo 3D da pancho, ci dovrebbe svegliare su quello che è i futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Mentre i politici, tutti quanti, e i giornalisti al seguito, parlano solo di cazzate, cazzate, cazzate.

Una società che dispone di alta tecnologia non sa cosa farsene dell'esubero di personale umano.

E allora diventa credibile l'intervento di Giulietto Chiesa, in altro 3D, in cui siamo all'interno della Terza Guerra Mondiale.

Riaprire oggi i campi di sterminio per il personale non impiegabile nel circuito produttivo, suona un po retrò. Un po nazista. Allora per eliminare questo esubero umano che non può gravare sui conti dello Stato, si mette in pista una bella guerra così si passa all'eliminazione ""naturale"" che fa meno effetto del riavvio dei campi di sterminio per personale in esubero.

Siamo in troppi e le eccedenze vanno eliminate così il sistema può tranquillamente continuare.

Ovviamente chi è ricco si potrà permettere la fabbrica automatica che produce utili. Oppure gioca in borsa speculando.

E tutti gli altri????

Sono completamente inutili!!!!!

Devono scomparire dalla faccia della terra.. Raus.

Ein, zwei, drei, vier, fünf,.......Ein, zwei, drei, vier, fünf.......,Ein, zwei, drei, vier, fünf.......Ein, zwei, drei, vier, fünf.......Ein, zwei, drei, vier, fünf.......Ein, zwei, drei, vier, fünf.......

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 05/08/2014, 9:18
da Maucat
A questo punto una volta scatenato l'inferno della guerra sarebbe opportuno che le masse, in possesso delle armi gentilmente fornite dai padroni, le rivolgessero contro di loro e non per eliminarsi vicendevolmente come sperano i dominatori del mondo... Una nuova Rivoluzione stile 1789 o 1917 non farebbe male al mondo anzi...:)

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 14/08/2014, 14:10
da pancho
LA DISOCCUPAZIONE: DA DOVE VIENE E COME COMBATTERLA
2 marzo 2014 · di mugandu · in Lavoro, Politica. ·
di Franco Turigliatto*

Le comunicazioni dell’Istat sulla situazione occupazionale nel nostro paese sono come dei bollettini di guerra, una guerra sanguinosissima che lascia a terra centinaia di migliaia di persone, anzi milioni.

Nel 2013 sono stati persi 478 mila posti di lavoro, un milione dall’inizio della crisi nel 2008. Il tasso di disoccupazione raggiunge un nuovo record, il 12,9%, cioè circa 3,3 milioni di donne e uomini che cercano lavoro senza trovarlo; ad essi devono essere aggiunti gli altri tre milioni di persone che, completamente scoraggiate, neppure provano più a bussare ad ogni porta alla ricerca di un impiego.

I dati per le giovani generazioni, la fascia tra il 15 e 24 anni, sono ancora più drammatici, 42,4% di disoccupati, cioè poco meno di 700 mila persone. E naturalmente tutti queste cifre sono quelle medie del paese, al Sud la situazione è ben peggiore.

La reazione delle forze politiche e sociali che contano e dei media è la solita, come ci si trovasse di fronte a una catastrofe naturale, a un terremoto distruttivo, e non fosse invece il risultato di determinate politiche economiche e di una rapporto sociale tra le classi della società. Tra i falsi sorpresi spicca l’ineffabile Presidente del consiglio che reagisce col suo solito twitter, come non sapesse che i dati sulla disoccupazione giovanile sono da tempo “allucinanti”.

Le cause della disoccupazione

La disoccupazione è il prodotto di almeno tre elementi tra loro correlati.

1. Siamo di fronte a una fase caotica del capitalismo che ha prodotto l’attuale devastante crisi in cui si congiungono tendenze storiche più profonde con un ciclo congiunturale fortemente recessivo comparabile solo a quello degli anni trenta senza che siano emersi finora segnali di fuoriuscita da questo ciclo lungo negativo.

In Italia la crisi è ancora più violenta per alcune debolezze strutturali del nostro paese ed è stata portata all’estremo dalle misure di austerità che hanno alimentato a dismisura i processi recessivi.

2. L’aumento della produttività permette di produrre le stesse merci con un minor numero di lavoratori e lavoratrici; nella storia del movimento sindacale la risposta è stata la rivendicazione della riduzione degli orari perché l’aumento della produttività andasse anche a vantaggio delle lavoratrici e dei lavoratori e la giornata di lavoro fosse meno pesante.

Nel nostro paese l’ultima consistente riduzione degli orari è avvenuta agli inizi degli anni ’70 come frutto dell’autunno caldo, con la riduzione a 40 ore settimanali nell’industria, in certe produzioni anche a 36 ore, e nel settore pubblico mediamente a 38 ore.

E’ curioso notare, ma non è casuale, che il maggior aumento di produttività in Italia è avvenuto negli anni settanta, quando più consistenti sono state le conquiste dei lavoratori; la dinamica della produttività ha avuto poi conosciuto fasi alterne, (bassa nel primo decennio del nuovo secolo), ma consistente nell’arco degli anni e, in mancanza di nuove riduzione dell’orario, ha determinato una costante riduzione dei posti di lavoro.

Le delocalizzazioni, le ristrutturazioni industriali e l’aumento delle ore lavorate hanno amplificato questo fenomeno negativo. Le controriforme sulle pensioni che tengono al lavoro lavoratrici e lavoratori vecchi e logori, chiudendo la porta all’assunzione dei giovani, sono una delle cause principali dei quel “terrificante” 42,% della disoccupazione giovanile.

In realtà una riduzione dell’orario di lavoro è avvenuta, ma in forma penalizzante sia per i lavoratori occupati che per i disoccupati: attraverso la cassa integrazione e l’ampliamento del numero dei disoccupati. In questo modo le ore di lavoro complessive si riducono. Nello stesso tempo alcuni settori lavorano di nuovo 48 ore od oltre, altri lavorano due o tre giorni la settimana con orari impossibili, i diritti conquistati nel secondo dopoguerra cadono uno dopo l’altro: il risultato di tutto questo è che la produttività media stagna, ma lo sfruttamento del lavoro conosce vertici che rimandano ad epoche passate.

La contrazione dell’occupazione è stata contenuta negli anni ottanta e novanta attraverso lo sviluppo del terziario, quello cosiddetto avanzato, ma ancor più quello assai meno avanzato del normale commercio; in questo settore la totale liberalizzazione ha determinato un proliferare a dismisura del piccolo commercio che va di pari passo con lo sviluppo dei grandi centri commerciali. Il risultato è stato una concorrenza senza pari del piccolo commercio con cicli di mortalità rapidissimi per chi si è impegnato nel settore.

La fase di sviluppo di posti di lavoro nel terziario è oggi finita; produce invece esuberi oltre che essere uno dei punti più alti della deregulation dei contratti e degli orari.

Per una certa fase anche il lavoro nel settore pubblico ha sopperito alla riduzione dell’occupazione nel settore industriale, ma oggi è proprio qui, per effetto della riduzione della spesa pubblica e della campagna ideologica scatenata contro lavoro pubblico che risulta la maggiore riduzione occupazionale; sono centinaia di migliaia di posti perduti, veri e propri licenziamenti di massa nel settore della scuola, ma anche nella sanità. Non si può certo stare tranquilli con l’annunciata chiusura delle province per non parlare della spending review che ha questo come scopo: ridurre il personale pubblico ancora di 200-300 mila unità dopo che i dipendenti pubblici si sono già ridotti da 3.300.000 a poco più di 3 milioni. Dentro questo processo di svilimento del lavoro e dell’occupazione ha funzionato il meccanismo delle esternalizzazione dei servizi pubblici attraverso la privatizzazione, ma anche attraverso l’appalto alle cooperative, che prima sono servite a ridurre i costi del lavoro, cioè pagare meno le lavoratrici e i lavoratori per un medesimo servizio, e poi a ridurre il numero del personale.

3. La terza causa della disoccupazione è politica e strategica, è la scelta dei padroni, delle classi dominanti, che dopo aver sconfitto in molti paesi la forza del movimento sindacale ed operaio, stanno operando per distruggere la legislazione sul lavoro del secondo dopoguerra; essi hanno potuto utilizzare i nuovi rapporti di forza per creare un esercito industriale di riserva, cioè milioni di disoccupati, che permettono loro di “vincere facile” coi ricatti, la mancanza di lavoro e di reddito di milioni di persone. Siamo di fronte a una volontà politica della classe padronale italiana ed europea di perpetrare questa situazione così vantaggiosa per loro e che ritengono indispensabile per reggere la concorrenza con gli altri paesi capitalistici.

Renzi continua l’opera di Berlusconi, Monti e Letta

Le istituzioni europee e i vari governi che si sono succeduti in Italia lavorano dentro questo progetto reazionario. E questo vale anche per il nuovo arrivato, Renzi, l’uomo creato ad arte dai media, che ha la funzione di far apparire che tutto cambia, mentre in realtà nulla cambia.

Secondo l’ideologia liberista nuovi posti di lavoro li possono produrre solo i capitalisti; per spingerli a farlo occorre dunque favorirli, riducendo loro il costo del lavoro, diminuendo le tasse e dando loro maggior libertà di licenziamento perché così “assumeranno più facilmente”. La logica è discutibile e perversa ed infatti da anni sono state introdotte misure di questo genere con risultati del tutto opposti e negativi.

Qual è il problema? Nessun ulteriore regalo ai padroni rilancerà mai l’economia in questa fase di accumulazione del capitalismo, nessun padrone investirà di più e soprattutto assumerà avendo di fronte prospettive difficili, un mercato in contrazione e bassi consumi indotti proprio dai meccanismi delle politiche di austerità; l’unica cosa che si è ottenuta è che il padrone ha oggi un’ampia scelta sulle modalità e sui tempi con cui assumere qualcuno quando ne ha bisogno; soprattutto può sempre più sostituire il lavoro protetto da regole e garanzie, con un lavoro con meno regole e meno garanzie. Il risultato è la disoccupazione al 13%.

Qual’é la mirabolante proposta di Renzi che traspare dalle sue contradditorie e generiche affermazioni sul jobs act: una riduzione stratosferica del cuneo fiscale cioè dell’IRAP per le imprese, la scomparsa definitiva dell’articolo 18 e della cig e della mobilità, istituti che mantengono ancora il lavoratore legato all’azienda di origine, il loro passaggio nella terra di nessuno cioè del licenziamento in “cambio” di una indennità di disoccupazione per tutti, che, come in altri paesi diminuirà di valore col passare dei mesi fino ad esaurirsi. Poi, c’è da supporre, potrà intervenire la Chiesa, che com’é noto ha la funzione ufficiale millenaria di praticare l’elemosina e benedire il sistema economico vigente. Una vergognosa truffa che per di più sarà finanziata con la riduzione delle spese pubblica, cioè con la perdita di altri posti di lavoro e la distruzione di altri servizi per i cittadini e lavoratori.

Costruire un’alternativa per difendere e creare occupazione

La strada per creare posti di lavoro e difendere quelli esistenti è un’altra, quella intrapresa in altri periodi storici dalla classe operaia.

In primo luogo per difendere l’occupazione di fronte alle ristrutturazioni e dagli elementi negativi dell’aumento della produttività non esiste altra soluzione se non la distribuzione del lavoro esistente tra quelli che ne hanno bisogno: si tratta di rivendicare e di battersi per una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario almeno fino a 35 ore, ma in realtà oggi in Europa sono possibili e soprattutto necessarie le 32 ore. Qualche sindacato l’ha scritto nel suo programma, ma molte volte non agisce perché non ci crede più, mentre altri sindacati fanno esattamente il contrario, firmando accordi coi padroni in senso del tutto inverso come è accaduto in Italia con l’accordo sulla produttività del 2012.

In secondo luogo lo Stato deve intervenire in tutti i casi in cui un’azienda delocalizza, chiude gli stabilimenti, sposta altrove le produzioni. Se una fabbrica si ferma l’intervento pubblico deve garantire la ripresa della produzione, o, come può essere necessario in alcuni casi, la sua riconversione produttiva, garantendo sia i posti di lavoro, sia le attività utili al paese. E’ in questo quadro anche possono debbono manifestarsi forme dirette di autogestione delle lavoratrici e dei lavoratori interessate/i.

Esistevano in passato delle istituzioni economiche pubbliche che intervenivano più o meno bene di fronte alla chiusura di aziende; serve oggi un istituto centrale dello stato di questo genere, adeguatamente finanziato da un sistema bancario pubblico, che svolga questa funzione, democraticamente controllato dai lavoratori interessati e dai cittadini.

In terzo luogo serve un intervento pubblico complessivo e diretto per creare lavoro.

Nei progetti liberisti lo stato serve solo a:

garantire all’interno l’ordine pubblico e all’estero gli interessi della borghesia;

imporre i sacrifici ai cittadini;

pompare risorse e denaro dalla società verso le imprese e le banche.

No grazie.

In questa fase proprio solo l’azione pubblica può creare i posti di lavoro che non ci sono. Occorre battersi per un nuovo grande piano pubblico che abbia almeno 4 assi di intervento principali.

riconversioni industriali individuando le produzioni necessarie per il paese e per i cittadini;

un vasto piano dei trasporti, rinunciando alle opere inutili e dannose come il Tav, dando prevalenza ai trasporti collettivi, che garantisca a tutti la mobilità a prezzi accessibili e di qualità a partire in primo luogo dai pendolari;

un vasto piano pubblico per la messa in sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico e ambientale;

la ricostruzione di una sanità e di una scuola pubblica che sappia dare a tutte/i le cittadine e i cittadini servizi gratuiti e più in generale un incremento dei servizi pubblici per renderli accessibili a tutte le fasce della popolazione.

Questi vasti interventi possono creare alcuni milioni di nuovi posti di lavoro.

Dove prendere i soldi? Risposta lapidaria e scontata per chi non sta dalla parte sbagliata: là dove ci sono, là dove è concentrata la ricchezza e il potere, in quel 10% della popolazione che detiene ingiustamente il 50% della ricchezza prodotta nel paese.

E’ ragionevole, anche se in tanti pensano che non sia possibile. Di certo non basta chiederlo per averlo. No, ci vuole una nuova fase di mobilitazione, di lotta, di unità delle lavoratrici e dei lavoratori. Ci vorrà tempo e anche dure battaglie, ma nulla è impossibile. L’alternativa sarebbe accettare un ulteriore degrado della condizione di vita delle masse popolari e questo non possiamo né dobbiamo accettarlo.

http://anticapitalista.org/2014/03/02/l ... mbatterla/
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nb:
*Vi ricordate Turigliatto???
Si e' proprio lui che scrive ma detto questo mi e' impossibile non condividere parte di quanto analizzato.

Quindi, ora siamo difronte alle stesse domande che a suo tempo formulava lo stesso autore: E' possibile modificare questo sistema partendo dall'alto e quindi cambiar rotta o invece l'unica strada e' quella indicata adsuo tempo da vari filosofi Marx, Engel passando da Nietzsche e finendo poi su Bakunin?

Mi sembra, visto gli eventi passati e odierni che siamo ad un bivio nel quale potremmo perdere quell'attimo fuggente che spesso ci capita.

La risposta mi rendo conto, e' alquanto difficile e potrebbe essere anche insidiosa ma purtroppo non possiamo eluderla.

Che fare?
Mi ripeto:E' possibile modificare questo sistema o siamo costretti ad accettarlo in toto magari continuando a lamentarci quotidianemente per dare sfogo alle nostre arrabbiature giustificate?


un salutone da Juan il compagno

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 10/11/2014, 22:13
da camillobenso
Un altro passo verso la disoccupazione forzata.


10 novembre, 21:08
CURIOSITA'
A Milano il primo maggiordomo drone
E' in grado di servire e coccolare gli ospiti in ogni loro capriccio


http://www.ansa.it/sito/photogallery/cu ... 05c9f.html

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 11/11/2014, 7:28
da camillobenso
Nestlé, in Giappone le macchine Nescafé le venderanno i ...
http://www.corriere.it/.../nestle-giapp ... o-robot-5f...
31/ott/2014 - Nestlé, in Giappone le macchine Nescafé le venderanno i robot ... una ventina di grandi negozi di elettrodomestici: sostituiranno i commessi ... per Nestlé perché per la prima volta la multinazionale svizzera utilizzerà androidi ...


In Giappone arrivano i commessi-robot - Video - Rai News
http://www.rainews.it/.../In-Giappone-a ... a88879a-ee...
29/ott/2014 - Un'importante marca di bevande sta per introdurre in Giappone 1000 robot umanoidi nei propri negozi, come addetti alla vendita delle nuove ...
Nestlè in Giappone lancia i robot al posto dei commessi ...


http://www.italiaoggi.it/.../dettaglio_ ... Giappone%2...
30/ott/2014 - In Primo Piano ... Nestlè in Giappone lancia i robot al posto dei commessi. Nestlè in Giappone lancia i robot al posto dei commessi. A partire dal prossimo dicembre la filiale giapponese di Nestlé utilizzerà i robot Pepper in ...
Il caffè venduto dai robot: ecco il primo commesso umanoide


http://www.affaritaliani.it/marketing/r ... 31114.html
03/nov/2014 - Il caffè è servito (dai robot). Da dicembre, in Giappone le macchine per caffé di Nestlé saranno vendute da umanoidi. E' il futuro dei punti ...
Dal Giappone arriva “Pepper”, il robot commesso


http://www.teconetwork.com/.../dal-giap ... -commesso/
5 giorni fa - Nestlè lancia Pepper, il robot che da dicembre venderà macchine del caffè in venti negozi di elettrodomestici del Giappone.
Rivoluzione Nestlè, i commessi sostituiti con dei robot ... - TV


tv.liberoquotidiano.it/.../Rivoluzione-Nestle--i-commessi-sostituiti.html
31/ott/2014 - Il robot è stato sviluppato con il gigante delle tlc giapponese SoftBank mobile ... Sarà la prima volta che la società svizzera userà androidi come ...
Rivoluzione Nestlè, i commessi sostituiti con dei robot ...


247.libero.it/focus/.../rivoluzione-nestl-i-commessi-sostituiti-con-dei-rob...
31/ott/2014 - Nestlé, in Giappone le macchine Nescafé le venderanno i robot ... robot franco-giapponese da 1500 euro sembra essere il primo su Gizmodo ...

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 11/11/2014, 14:43
da paolo11
Se si vuole il lavoro c'è.Lo fa vedere quasi ogni la natura cosa succede con la pioggia.Il clima ormai è cambiato e la natura si riprende quello che gli è stato tolto.Quindi in certi lavori la robotizzazione serve fino ad un certo punto.Alluvioni eccc succedono ormai ovunque in europa.Noi ne abbiamo avute tantissime esperienze, qundi ci sarebbe monto da fare.
Sempre avendo persone competenti nel rifare argini ecc......Il livello del mare è salito e comincia a mangiare pezzi di spiagge ecc........Insomma questo è il momento di difendersi al meglio contro la natura.L'organizzazione mondiale per il clima, deve farsi sentire con piu forza.La Cina abitanti un miliardo e trecento milioni di abitanti non tanto meno India e altre nazioni che si sviluppano in fretta.Fidel Castro in una intervista di qualche anno addietro aveva previsto che questi paesi arriveranno a comprarsi le auto pure loro usate o nuove.Quindi basta fare un piccolo calcolo per capire cosa mandiamo nell'atmosfera.La Cina poi usa ancora montissimo carbone inquinante.Non è piu sostenibile avere miliardi di auto in giro che inquinano.Quindi altre forme alternative si devono fare ed in fretta.Poi ci mancano pure le guerre in giro per il mondo che inquinano pure quelle.Siamo arrivati a costruire case con sabbia del mare.
http://www.repubblica.it/2009/04/sezion ... abbia.html
Ciao
Paolo11

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 15/11/2014, 20:55
da pancho
La fine del lavoro
La fine del lavoro e’ un bel libro scritto da Jeremy Rikklin cica 10 anni orsono e sembra quasi una profezia visto la situazione attuale.
Il sottotitolo era :Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post mercato.


Avviso per i lettori:E' un po' pesantino ma ne vale la pena leggerlo.

Pagina 231
.
La fine del lavoro
Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici agli agricoltori del Neolitico, all'artigiano medievale, all'addetto alla catena di montaggio dell'età contemporanea, il lavoro è stato una parte integrante della vita quotidiana.
Oggi, per la prima volta, il lavoro umano viene sistematicamente eliminato dal processo di produzione; entro il prossimo secolo, il lavoro «di massa» nell'economìa di mercato verrà probabilmente cancellato in quasi tutte le nazioni industrializzate del mondo. Una nuova generazione di sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene introdotta in un'ampia gamma di attività lavorative: macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati a fare la coda negli uffici di collocamento o, peggio ancora, in quelli della pubblica assistenza.
I dirigenti delle grandi imprese e gli economisti ortodossi ci assicurano che l'aumento del tasso di disoccupazione rappresenta un «aggiustamento» di breve termine alle potenti forze create dal mercato che stanno spingendo l'economia mondiale verso la Terza rivoluzione industriale, con le sue promesse di un nuovo, eccitante mondo di produzioni automatizzate ad alta tecnologia, di intensi scambi internazionali e di abbondanza senza precedenti di beni materiali.

Pagina 36
Un mondo senza lavoratori
Quando la prima ondata di automazione colpì il settore industriale, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i leader sindacali, gli attivisti dei diritti civili e molti sociologi furono rapidi nel suonare l'allarme. Le loro preoccupazioni, comunque, non erano molto condivise dagli uomini d'impresa dell'epoca, che continuavano a credere che l'aumento della produttività generato dalle nuove tecnologie di automazione avrebbe stimolato la crescita economica e favorito l'occupazione e la crescita del potere d'acquisto. Oggi, al contrario, un numero ridotto ma crescente di manager inizia a preoccuparsi di dove ci porterà la rivoluzione tecnologica.

Percy Barnevik è il chief executive officer della Asea Brown Boveri, un colosso svizzero-svedese da 40.000 miliardi che produce generatori elettrici e sistemi di trasporto, oltre che una delle maggiori società di engineering del mondo.

Come altre imprese globali, ABB ha recentemente re-engineerizzato le proprie attività, tagliando 50.000 posti di lavoro, pur riuscendo ad aumentare il fatturato del 60% nello stesso periodo di tempo.

Barnevik si domanda: «Dove andrà a finire tutta questa gente?» Secondo le sue previsioni, la quota di forza lavoro impegnata nell'industria in Europa è destinata a diminuire dall'attuale 35 al 25% entro i prossimi dieci anni, con un'ulteriore discesa al 15% nei vent'anni seguenti. Barnevik è profondamente pessimista sul futuro dell'Europa: «Se qualcuno mi dice: "Aspetta due o tre anni e vedrai esplodere la domanda di lavoro", gli domando: "Dimmi dove? Quali lavori? In quali città? In quali aziende?" Se mi metto a tirare le somme, scopro che esiste il rischio che l'attuale 10% di disoccupati e sottoccupati diventi il 20 o 25%».

Pagina 41
2. L'«effetto a cascata» della tecnologia e le realtà del mercato
Per più di un secolo, gli economisti hanno convenzionalmente accettato come un dato di fatto la teoria che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i costi di produzione e fanno aumentare l'offerta di beni a buon mercato; questo, in conseguenza, migliora il potere d'acquisto, espande i mercati e genera più occupazione. Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate. Questa logica sta oggi conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione tecnologica, a un declino apparentemente inarrestabile del potere d'acquisto e allo spettro di una recessione globale di incalcolabile grandezza e durata.
Il concetto che gli incommensurabili benefici indotti dall'avanzamento della tecnologia e dall'aumento della produttività riescano a diffondersi fino alla massa dei lavoratori in forma di prezzi inferiori, maggior potere d'acquisto e più occupazione costituisce essenzialmente una teoria dell'«effetto a cascata» della tecnologia. Mentre i tecnologi, gli economisti e gli uomini d'impresa usano raramente il termine «cascata» per descrivere l'impatto dell'innovazione sui mercati e sull'occupazione, i loro presupposti filosofici sono un chiaro segnale dell'implicita accettazione di questo principio.

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L'idea che l'innovazione tecnologica inneschi una spirale perpetua di crescita e occupazione ha incontrato, nel corso della sua storia, alcuni oppositori determinati. Nel primo volume del Capitale, pubblicato nel 1867, Karl Marx argomentava che i produttori tentano continuamente di ridurre il costo del lavoro e di guadagnare un maggior controllo sui mezzi di produzione attraverso la sostituzione dei lavoratori con le macchine in ogni situazione che lo consenta. Il capitalista trae profitto non solo dalla maggiore produttività, dal contenimento dei costi e dal maggior controllo sull'ambiente di lavoro, ma anche in via indiretta - dalla creazione di una numerosa armata di riserva di disoccupati, la cui forza lavoro sia immediatamente sfruttabile in altri compatti dell'economia.
Marx prevedeva che i progressi dell'automazione della produzione avrebbero potuto giungere alla completa eliminazione del lavoro come fattore di produzione. Il filosofo tedesco si riferiva a ciò che definiva eufemisticamente «la metamorfosi finale del lavoro», con la quale «un sistema automatizzato di macchinari» avrebbe alla fine sostituito gli esseri umani nel processo produttivo. Marx prevedeva una costante progressione della sofisticazione di macchine capaci di sostituire il lavoro umano e sosteneva che ogni innovazione tecnologica «scompone progressivamente l'attività del lavoratore in una sequenza di operazioni elementari, in modo che a un certo punto una macchina possa prenderne il posto.

Pagina 48
L'enfasi sulla produzione, che aveva occupato gli economisti fino ai primi anni del secolo, venne improvvisamente sostituita dal neonato interesse per il consumo. Negli anni Venti emerse un nuovo campo di analisi della teoria economica, l'«economia del consumo», e un numero crescente di economisti dedicò i propri sforzi intellettuale al comportamento del consumatore. Il marketing, che fino a quel momento aveva occupato un ruolo periferico nelle attività aziendali, assunse una nuova importanza. Nello spazio di una notte, la cultura della produzione venne sostituita dalla cultura del consumatore.

Pagina 54
(...), la Commissione presidenziale sui recenti cambiamenti economici, voluta da Herbert Hoover, pubblicò un rapporto rivelatore del profondo cambiamento nella psicologia umana intervenuto in meno di un decennio. Il rapporto terminava con una rosea previsione di ciò che attendeva l'America:
"Questa ricerca ha dimostrato, in maniera conclusiva, ciò che un tempo veniva considerato teoreticamente vero: i desideri sono insaziabili; ogni desiderio soddisfatto apre la strada a un nuovo desiderio. La conclusione è che, di fronte a noi, si aprono panorami economici sterminati, e che la soddisfazione di nuovi desideri creerà immediatamente desideri sempre nuovi da soddisfare... Attraverso la pubblicità e altre tecniche di promozione si è data una sensibile spinta alla produzione... Parrebbe che si possa procedere con un crescente attivismo... La nostra situazione è fortunata e il momento di inerzia notevole."
Solo pochi mesi dopo il mercato azionario crollò, gettando la nazione e il mondo in una delle più profonde depressioni dell'era moderna.
La Commissione Hoover, come molti politici e uomini d'impresa, era talmente fissata sull'idea che l'offerta creasse la propria domanda da essere incapace di prevedere la dinamica negativa che stava spingendo il sistema economico in una depressione di enormi proporzioni. Per compensare la crescente disoccupazione tecnologica generata dall'introduzione delle nuove tecnologie laborsaving, le imprese americane investirono milioni di dollari in campagne pubblicitarie, sperando di convincere chi aveva ancora un lavoro e un reddito a lasciarsi coinvolgere nell'orgia della spesa. Sfortunatamente, il reddito dei lavoratori dipendenti non cresceva abbastanza in fretta da tenere il passo con gli incrementi della produttività e della produzione. La maggior parte degli imprenditori preferiva intascare l'extraprofitto realizzato con la crescita della produttività, invece di trasferirne una parte ai lavoratori in forma di salari più alti. Henry Ford - bisogna dargliene merito - sosteneva che i lavoratori dovessero essere pagati abbastanza per riuscire ad acquistare i prodotti delle aziende per cui lavoravano; in caso contrario, si chiedeva, «chi comprerebbe le mie automobili?» I suoi colleghi decisero di ignorare il monito.
Il mondo delle imprese perseverava nella convinzione di potersi appropriare dei maggiori profitti, di poter deprimere i salari e continuare a pompare i consumatori per assorbire la sovrapproduzione. La pompa, invero, cominciava a lavorare a secco. Le nuove metodologie di marketing e pubblicità erano riuscite a stimolare il consumo di massa; comunque, non disponendo di un reddito sufficiente ad acquistare tutti i nuovi prodotti che sommergevano il mercato, il lavoratore americano continuava a ricorrere al credito. Qualcuno levò una voce di allarme, dicendo che «gli acquisti vengono finanziati più velocemente di quanto i beni vengano prodotti». Anche questo monito cadde inascoltato finché fu troppo tardi.

Pagina 57
Il movimento di condivisione del lavoro
Nell'ottobre 1929, meno di un milione di persone erano disoccupate. Nel dicembre 1931 il loro numero aveva superato i 10 milioni; sei mesi dopo, nel giugno 1932, il numero dei disoccupati era salito a 13 milioni. Al culmine delle depressione, nel marzo 1933, il numero degli americani senza lavoro raggiunse i 15 milioni.
Sempre più economisti attribuivano la responsabilità della depressione alla rivoluzione tecnologica degli anni Venti, che aveva fatto crescere la produttività e i volumi
Penso a questo punto che di riflessioni se ne possano fare a josa ma una cosa deve essere certa. Da questa situazione dobbiamo uscire e potremo e i ns. figli e nipoti continueranno a vivere altrimenti saremo costretti ad incontrare tempi che noi umani nemmeno avremo mai potuto pensare.
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La riduzione DRASTICA dell'orario di lavoro non e' un'utopia ma l'alternativa del futuro.

Su questo tema pure Domenico de Masi si e’ cimentato col suo: Futuro del Lavoro!. Entranbi cmq da leggere e costano poco.


un salutone da Juan

Per IOSPERO

Diglielo ai tuoi amici del termometro politico https://forum.termometropolitico.it/640 ... zione.html che su questop tema se ne stanno preoccupando chi potrebbe anche farne a meno.
Loro invece che dovrebbero essere i primi a preoccuparli se la ridono con risposte quantomeno ignoranti.

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 16/11/2014, 8:32
da erding
“La riduzione DRASTICA dell'orario di lavoro non e' un'utopia ma l'alternativa del futuro.”

Di questo ne sono stato sempre convinto.

A meno che qualcuno si prenda la responsabilità morale di eliminare i disoccupati,
ma... eliminandoli... diminuirebbe il numero dei consumatori
con la conseguente diminuizione della domanda
che produrrebbe nuovi esuberi ecc... ....

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 16/11/2014, 16:45
da iospero
E il Signore disse: "Donna, tu partorirai con gran dolore. Uomo, tu lavorerai con gran sudore.

Ora la donna può partorire senza dolore e l'uomo può lavorare senza sudore.

Dal Vangelo di San Matteo : E quando questo Vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine.

Per chi crede : Ecco i segni dei tempi che prefigurano la fine del mondo

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 20/11/2014, 10:17
da paolo11
http://www.confapimatera.it/wp-content/ ... C-limu.pdf
La lunga crisi
Così l'Imu pesa su capannoni e macchinari
L'industria chiede lo stop alla patrimoniale sui beni d'impresa: deducibilità ampia
dell'imposta
Marco Mobili
ROMA
Stop alla "patrimoniale sui macchinari" e via libera a una deducibilità piena dell'Imu
dalle imposte dirette e dall'Irap pagata sui capannoni. Sono i due nodi su cui il mondo
delle imprese da tempo chiede un intervento chiaro e risolutivo del Governo per evitare
che i beni utilizzati per l'attività produttiva finiscano per essere considerati un
patrimonio immobiliare e non più strumentali all'attività di impresa. Con una tassazione
che negli ultimi anni - con il passaggio dall'Ici all'Imu, accompagnata dalla rivalutazione
delle rendite catastali - ha finito per penalizzare in misura trasversale tutti i settori, sia
chi investe in impiantistica sia chi svolge attività d'impresa.
I due nodi denunciati a più riprese dal mondo delle imprese sono legati a doppio filo. La
determinazione ritenuta impropria della rendita catastale dei cosiddetti "macchinari
imbullonati" non fa che aumentare il prelievo applicato dai Comuni con l'imposta sugli
immobili. E la deduzione limitata al 20% dell'Imu dalle sole imposte dirette e non
dall'Irap resta da sempre una forte penalizzazione.
I macchinari imbullonati
Nella determinazione della base imponibile del fabbricato industriale oggi vengono
inclusi anche macchinari e impianti come presse, forni, magazzini automatici ecc.,
ancorati al suolo ma che allo stesso tempo possono essere smontati, trasferiti da un sito
all'altro, oppure ceduti per esser sostituiti. Si tratta, come detto, di "macchinari
imbullonati" e non di veri e propri immobili che però, sulla base dell'attuale
interpretazione di un regio decreto del 1939, entrano nella determinazione della rendita
catastale. In questo modo le imprese finiscono per subire un con
nsistente incremento delle
rendite catastali e conseguentemente un aumento della base imponibile su cui oggi è
dovuta l'Imu e in un prossimo futuro la nuova "local tax". Il tutto peraltro con effetti di
determinazione retroattivi e con pesanti ripercussioni anche in termini sanzionatori nei
casi di mancati adeguamenti. Non solo.
Le norme di accatastamento dei fabbricati industriali spesso sono interpretate e applicate
in maniera disomogenea sul territorio, con l'effetto - ad esempio - che in provincia di
Brescia si paga l'Imu "sulle presse", mentre in altre province questo non avviene. Il che
si traduce di fatto sia in una distorsione della concorrenza sia in un'ennesima assenza
della certezza della norma. Per superare l'interpretazione del Regio decreto del '39 sia il
Pd che Ncd hanno presentato più emendamenti alla legge di stabilità. Emendamenti che,
sebbene non abbiano superato la tagliola dell'ammissibilità per carenza di coperture,
potrebbero essere riproposti dal Governo in modo tale da superare i rilievi mossi. Le
imprese in sostanza chiedono che che la norma del '39 sia interpreta nel senso che «i
fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso
strutturalmente connesse allo scopo di realizzare un unico bene complesso». In questo
modo non si considerano strutturalmente connessi al suolo allo scopo di realizzare un
unico bene complesso e non concorrono pertanto alla determinazione della rendita
catastale «gli impianti e i macchinari che, indipendentemente dal mezzo di unione
con il
quale siano connessi al suolo, sono suscettibili di essere separati dal suolo, smontati e
ricollocati in luogo diverso conservando la propria funzione economica».
La deducibilità Imu
La tassazione locale degli immobili strumentali ha subito un fortissimo aggravio con il
passaggio dall'Ici all'Imu, con l'aumento dei moltiplicatori catastali e con le duplicazioni
e le distorsioni del prelievo Tari/Tasi sulle aree produttive. Con un'aggravante non di
poco conto: il costo Imu pagato dalle imprese è il solo che oggi sembra restare ai
margini del principio generale della capacità contributiva, secondo cui tutti i costi -
compresi quelli fiscali - che gravano sull'impiego dei fattori produttivi e che sono
necessari per la produzione del reddito o del valore aggiunto, devono essere considerati
rilevanti in sede di determinazione dell'effettiva ricchezza o valore aggiunto prodotti
dall'impresa. Solo dallo scorso anno il Governo (allora targato Letta) ha previsto per il
2014 una deducibilità al 20% dell'Imu pagata dalle imprese ma solo ai fini del reddito
d'impresa e non del valore della produzione e dunque dell'Irap. Per ridurre la
penalizzazione e superare anche possibili rischi di incostituzionalità della misura, le
imprese chiedono con la legge di stabilità un'estensione integrale, anche spalmata fino al
2018, della deducibilità dell'Imu sia dall'Irees sia dall'Irap.
© RIPRODUZIONE RISERVATA.
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Ho riportato questo avendo visto un servizio di una imprenditrice.Che oltre a pagare IMU del capannone deve pagare anche una quota dell'altoforno che ha.
Questo io non lo sapevo.
Ciao
Paolo11