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Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 21/03/2017, 19:05
da UncleTom
Emiliano Brancaccio




20 mar

Tassare i robot è un pannicello

Estratto da l'Espresso n. 12 - 19/26 marzo 2017

aaa

In un sistema guidato dalle sole forze del mercato le innovazioni tecnologiche che risparmiano lavoro possono generare disoccupazione e si tramutano pressoché esclusivamente in profitti e rendite. Ma tassare le innovazioni frena il progresso e non ha molto senso. Occorrono altri tipi di politiche pubbliche per distribuire sull’intera collettività gli enormi benefici potenziali di tali cambiamenti tecnici. C'è chi propone un reddito di cittadinanza, ma esistono anche soluzioni più avanzate.


di Emiliano Brancaccio

Robot che sostituiscono baristi, infermieri, operatori di call center, ingegneri, persino giornalisti. La quarta rivoluzione industriale è anche questo: le macchine non si limitano più a rimpiazzare gli operai tra le mura della tradizionale fabbrica novecentesca ma arrivano ormai a concorrere con gli umani nella esecuzione di mansioni sempre più complesse e diversificate. Stando a una ricerca dell’Università di Oxford, nell’arco dei prossimi dieci anni gli sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale potrebbero favorire la sostituzione di lavoratori con macchine in quasi la metà dei settori dell’economia. Per l’OCSE il fenomeno non dovrebbe preoccuparci troppo dato che, in media, solo il nove percento dei lavori in ciascun settore sarebbe effettivamente automatizzabile. Ciò nonostante, sembra ormai diffuso il timore che un esercito di robot si stia apprestando a rubare il posto a un numero crescente di lavoratori. Nell’opinione pubblica si rafforza il convincimento che occorra far qualcosa per cercare di governare il processo.

Una proposta l’ha avanzata Bill Gates, che in una recente intervista si è dichiarato favorevole all’introduzione di una tassa sull’impiego dei robot. Per il fondatore di Microsoft, l’istituzione di una “robotax” potrebbe rallentare l’adozione di quelle tecnologie che rendono superfluo il lavoro umano, e aiuterebbe pure a finanziare un fondo di tutela per i lavoratori licenziati a causa dell’automazione.

I grandi media economico-finanziari hanno bollato l’idea di Gates come una tipica, retriva manifestazione di “luddismo” [...]

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[...] Continua su l'Espresso in edicola (n. 12 - 19-26 marzo 2017) oppure su l'Espresso plus

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 11/04/2017, 23:50
da erding
“Nuove tecnolgie legate all’utilizzo di computer e della robotica cambieranno le figure professionali oggi presenti.
Come al solito, starà all’Essere Umano dare un’impronta a tale cambiamento “per seguir virtute e canoscenza”
e non per “viver come bruti”. (Pierantonio Bottaro)


L'automazione, la robotizzazione, l'informatizzazione, tutte cose meravigliose!
Lo sono nella misura in cui esse vanno a vantaggio di tutti e non solo di pochi. Non sono una maledizione, tutt'altro!
Possono contribuire a migliorare la vita lavorativa di tutti, risparmiandoci molta fatica. Queste conquiste sono il frutto
di una ricerca, di un sapere collettivo, di un processo che si perde nella notte dei tempi, cominciato con i primi uomini
fin dalla remota invenzione della ruota, quindi è patrimonio comune e universale. Oggi il lavoro robotizzato ed
informatizzato abbatte enormemente i tempi lavorativi quindi si imporrà inevitabilmente una radicale riduzione
delle ore lavorative. Le resistenze, al cambiamento di orari e ritmi lavorativi, da parte di coloro che monopolizzano,
sfruttano e lucrano su questi mezzi saranno destinati a cadere, forse stanno già cadendo, non certo per loro filantropia
ma bensì perché si sono resi conto, e se ne renderanno conto sempre di più che i robot creano senza consumare,
sono semplici produttori di merci che solo i pochi occupati possono comprare con il conseguente blocco dei consumi.
Lavorando tutti di meno, invece, ci sarebbe una maggiore occupazione e conseguente ridistribuzione del reddito,
aumenterebbe il tempo libero da dedicare a se stessi e agli altri, alla famiglia, allo sport, ai viaggi, agli incontri,
una maggiore conoscenza, una crescita intellettuale e la creazione di nuove professionalità.

È auspicabile che questi processi non vengano subiti ma governati per avere una vera liberazione sociale vantaggiosa per tutti.

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 18/04/2017, 12:12
da UncleTom
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Goldman Sachs: salvare i lavoratori, il futuro sarà dei robot


Scritto il 18/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Di certo le immense innovazioni tecnologiche beneficeranno l’umanità nel futuro distante, ma nel breve-medio termine esse pongono problemi di occupazione molto gravi.

E’ ovvio che per i disoccupati da New Technology non v’è nessuna consolazione se pensano a un futuro spaziale.

Il problema è che non sarà colpa dei politici se l’innovazione, l’automazione e l’outsourcing colpiranno schiere d’impiegati e operai.

E’ un fatto immutabile che i ruoli d’impiego rimasti (pochi) saranno tutti concentrati nel coordinamento, organizzazione e supervisione dei software, dei robots e dei Cobots che faranno il lavoro reale.

Non v’è dubbio che gli investimenti odierni nelle nuove tecnologia distruggeranno milioni di posti di lavoro.

Possiamo marginalmente consolarci immaginando di ridirigere masse di lavoratori in quelle mansioni dove ancora fra 50 o 100 anni i software non saranno arrivati.

Tuttavia questo è assai insufficiente.

Il problema, per milioni di umani, sarà – chiaro e tondo – che i lavori di consolazione che gli saranno offerti non saranno graditi, né appetibili, né possibili.

Allora, l’unica scappatoia in questo futuro totalmente inevitabile sarà un nuovo approccio alla “condivisione del rischio”, là dove dovrà essere chiesto al Capitale di condividere, di assorbire parte delle perdite necessarie a mantenere gli umani al lavoro.

Intendiamo sacrifici del Capitale per la ri-formazione del personale affinché imparino capacità sociali mai conosciute, ma non per questo indigeribili; ci vorranno incentivi statali per la formazione nei lavori dedicati ai servizi umani delle corporations; dovranno essere richieste strutture finanziarie innovative che sappiano vedere una remunerazione nell’investimento sulle risorse umane piuttosto che robotiche; dovranno essere abbassate le barriere per accedere a certe professioni non sostituibili dall’automazione; ma soprattutto finanze e crediti ampiamente disponibili nella creazione di piccole aziende, che per forza necessitano di impiegati umani e non di incredibilmente dispendiose automazioni di Ai (intelligenza artificiale) o robots; infine incentivi alla nascita dell’azienda individuale nel settore dei servizi umani.

(Goldman Sachs, recente report della più famigerata banca d’affari del mondo, ripreso in estratto da Paolo Barnard nel suo blog il 10 aprile 2017, sotto il titolo, sarcastico, “Finalmente un sindacato che sa vedere nel futuro e proteggere tuo figlio”. Il “sindacato” sarebbe la Goldman, chiamata anche “Vampire Squid”, il calamaro-vampiro, avendo ideato titoli tossici e gestito manipolazioni dei governi di mezzo mondo. Eppure oggi sembrano «gente seria, dalla parte dei lavoratori», se paragonati a Cgil, Cisl e Uil, sempre più inutili.

A differenza dei sindacati, secondo Barnard, proprio Goldman Sachs «sa come affrontare il terzo millennio della fine della metalmeccanica, della fine delle braccia lavoranti in fabbriche, nei campi, e persino dei cervelli ai piani più alti delle aziende: tutti rimpiazzati fra poco da Artificial Intelligence, Drones, Robots e Cobots».

La Camusso e soci?

Lasciamo perdere: «Il dialogo occupazionale del futuro», sostiene Barnard, «è coi cervelli pensanti del Vero Potere, nel comune interesse che oggi anche loro stanno gradualmente capendo»).

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 26/04/2017, 14:43
da UncleTom
.....QUATTRO PASSI ALL'INFERNO.....




26 apr 2017 13:16
SENZA SE E SENZA 'MA'

- ENTRO 30 ANNI 'TIME' ELEGGERA' UN ROBOT COME MIGLIOR PRESIDENTE AZIENDALE, LE MACCHINE CI SOSTITUIRANNO E LAVOREREMO MENO DI 4 ORE AL GIORNO: PAROLA DI JACK MA, PRESIDENTE MILIARDARIO DI 'ALIBABA'


Sherisse Pham per “CNN”



Jack Ma, presidente del colosso dell’e-commerce Alibaba, eletto da ‘Fortune Magazine’ uno dei più grandi leader del mondo, prevede che fra non molto tempo la tecnologia renderà irrilevanti anche gli amministratori delegati.

“Entro 30 anni un robot campeggerà sulla copertina di “Time” come migliore CEO. Il mondo proverà molto più dolore che gioia” ha dichiarato nella conferenza cinese di Zhengzhou, tenutasi lo scorso weekend, aggiungendo che ci aspettano tempi bui, a causa dell’automazione che causerà perdita di lavoro e conflitti sociali: «Fra 10 o 20 anni lavoreremo meno di 4 ore al giorno, forse tre giorni a settimana, e ci domanderemo come fare a sopravvivere».

Ha consigliato ai governi di adeguare i sistemi di istruzione per preparare i più piccoli alla tecnologia, perché comunque a lungo andare le cose miglioreranno: «I robot sono più veloci e più razionali, non si fanno prendere dalle emozioni. Devono fare ciò che gli uomini non sanno fare, non diventare nostri nemici. Dobbiamo usare le macchine per cooperare».

Anni fa Jack Ma aveva detto che l’e-commerce avrebbe danneggiato le vendite dei negozi tradizionali, prima ancora profetizzava che internet avrebbe stravolto ogni settore.

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 08/05/2017, 16:38
da UncleTom
…….PER ADESSO……


E’ in arrivo il farmacista robot
Tutto pronto per 'farmacista aumentato'

23/33
ANSA5 ore fa
(ANSA) - BOLOGNA, 5 MAG - Una figura professionale potenziata, nella quale si integrano capacità relazionale umana e intelligenza artificiale. E' il 'farmacista aumentato', concetto usato per spiegare quello che le nuove frontiere dell'informatica potrebbero portare a breve anche nel mondo delle farmacie. Di questo si è discusso in un incontro promosso da QuintilesIMS Italia all'interno di Cosmofarma, fino al 7 maggio alla Fiera di Bologna.
"Il 2017 è l'anno del'Intelligenza artificiale - ha detto Carlo Salvioni director, sales & marketing QuintilesIMS Italia, tra i relatori dell'incontro insieme a Andrea Agnello, direttore di Watson Health CoE Italia di Ibm e Leonardo Soldati di Cgm - Un mutamento che progressivamente, cambierà anche il modo di svolgere le professioni liberali. E' quello che già sta succedendo con il generative design nell'ingegneria o con i robot advisor che danno consulenze finanziarie". Il tutto, spiega Agnello "Senza sostituirsi all'essere umano ma creando una partnership tra computer e persone".

http://www.msn.com/it-it/notizie/tecnol ... spartandhp

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 11/05/2017, 14:05
da lucfig
Intanto in Francia ...

Operai rischiano di perdere il lavoro, minano fabbrica con bombole a gas.
Lo stabilimento della Gm & S nella Creuse prende subappalti da Psa e Renault

Siamo ritornati al 800 con le lotte transalpine di classe

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 17/05/2017, 10:03
da UncleTom
STEFANO FELTRI FA BENE A LANCIARE L’ALLARME, PERCHE’ IL PERICOLO E’ GRANDE, MA IN UNA SOCIETA’ NARCOTIZZATA COME QUESTA CHE HA PER VERTICE “ER MOVIOLA”, LA PINOTTI, E POLETTI, E’ COME UN GRIDO NELL’IMMENSITA’ DELL’UNIVERSO. NON LO SENTE NESSUNO.



“I robot distruggeranno il lavoro, quindi serve il reddito minimo garantito. Siate creativi o una macchina vi sostituirà”


Tecno
Martin Ford, scrittore e imprenditore della Silicon Valley, nel suo libro "Il futuro senza lavoro" (Il Saggiatore) analizza come l'automazione generi disoccupazione. "Lavorare meno e lavorare tutti? Non basta senza garantire un salario adeguato e funziona soltanto per i dipendenti"
di Stefano Feltri | 17 maggio 2017
• 12


Più informazioni su: Reddito Cittadinanza, Robot, Tecnologia
Solo il reddito minimo, garantito e universale, può proteggerci dalla distruzione dei posti di lavoro causata dalla tecnologia. Martin Ford ne è convinto: imprenditore della Silicon Valley, scrittore, speaker, editorialista, nel 2015 il suo libro Rise of the Robots è stato premiato come libro economico dell’anno da Financial Times e McKinsey. Arriva ora in Italia con il titolo Il futuro senza lavoro per Il Saggiatore. Da quando è uscito il libro negli Usa, Martin Ford ha girato il mondo per presentarlo e ha osservato la tecnologia seguire la traiettoria che lui aveva previsto, mettendo a rischio milioni di posti di lavoro in tempi ancora più rapidi di quanto si aspettava: “Ci sono ormai sistemi che possono tradurre il linguaggio parlato in tempo reale e le auto senza conducente diventeranno una realtà prima di quanto pensiate, distruggendo centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Tutta colpa dei robot, che minano ormai i meccanismi alla base del capitalismo come lo abbiamo conosciuto.

Martin Ford, cos’è un robot?
Io uso il termine in senso molto lato: qualunque cosa determina automazione.
La tecnologia ha sempre distrutto posti di lavoro creandone però di nuovi. Cosa c’è di diverso ora con i robot?
Le macchine stanno cominciando a pensare, sostituiscono il lavoro del cervello, non più solo quello dei muscoli. A Londra la divisione di Google DeepMind che si occupa di intelligenza artificiale, ha creato un software campione di Go, un gioco di strategia molto più complesso degli scacchi, non basta avere un computer potente per vincere. La tecnologia finora ha distrutto meno lavori di quelli che creava perché noi siamo stati capaci di usarla in modo creativo. Ma che succede se la tecnologia stessa diventa creativa?
Che genere di lavori sono a rischio nei prossimi 10 anni?
Non è questione di basso salario o basso valore aggiunto, ma ripetitività. Se in teoria qualcuno può capire come funziona il tuo lavoro sulla base di dati e resoconti, allora il tuo lavoro può essere distrutto dall’automazione. E’ il caso per esempio dei medici radiologi: serve un grande investimento di tempo ed energie per sviluppare una capacità diagnostica che già ora è inferiore a quella di alcuni sistemi automatizzati.

Quindi cosa consiglia ai giovani che devono scegliere un percorso?
Evitare una carriera che sia routinaria e prevedibile. Meglio essere creativi, non solo artisti, ma anche come ingegneri o scienziati capaci però di pensare out of the box, come si dice in inglese, cioè in modo originale. Sono relativamente al riparo anche i lavori che richiedono molta interazione umana, come i servizi della o quelli che richiedono relazioni complesse e mutevoli con i clienti.
Se la troppa innovazione finisce per avere più costi che benefici, distruggendo posti di lavoro e dunque consumatori, il mercato non dovrebbe correggersi da solo rallentando il ritmo del cambiamento?
Molti lavori saranno distrutti e molte persone avranno meno soldi da spendere, ma ci sarà un’incredibile opportunità di produrre cose e servizi in modo più economico e disponibile per tutti, con incredibili innovazioni per esempio in campo medico. Non penso sia utile e salutare dire ai nostri figli “non avrete più progresso”. Dobbiamo preoccuparci che ne benefici il maggior numero di persone possibile.
In Italia c’è un dibattito intorno allo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”. È possibile?
E’ un’idea utile, se combinata con un reddito di cittadinanza. Ma dipende dal Paese: negli Stati Uniti certi lavori sono pagati così poco che non puoi sopravvivere riducendo il salario in cambio di più tempo libero. Ed è un approccio praticabile per i lavoratori dipendenti ma non per i professionisti.
Perché serve anche il reddito di cittadinanza?
Se molti posti di lavoro andranno distrutti per colpa dei robot, dobbiamo assicurarci che le persone abbiano comunque soldi da spendere o l’effetto perverso dell’innovazione sarà di paralizzare tutta l’economia. Costa molto, certo: negli Usa 1000 miliardi all’anno se vogliamo darlo a tutti quelli che hanno tra i 21 e i 65 anni. Molti dicono che è socialismo, ma in realtà è un approccio molto market oriented: l’alternativa è una massiccia ingerenza dello Stato nella vita delle persone con case sociali, sussidi, ammortizzatori ecc.
E come si finanzia?
Intanto rivedendo gli attuali schemi di welfare state. E poi con con alcune tassi, per esempio sulla anidride carbonica.
Chi lo deve ricevere?
Tutti, anche chi ha già un reddito, deve essere universale per evitare che si trasformi in un incentivo a non lavorare. Molti Paesi soprattutto del Nord Europa hanno benefici generosi per i disoccupati ma producono un esito paradossale: chi non lavora riceve più soldi di chi accetta un posto di lavoro poco attraente, per esempio in un fast food. Le resistenze maggiori alla mia proposta le ho trovate proprio nei Paesi che hanno una solida tradizione di welfare state. Comprensibilmente, sono molto restii a metterla in discussione.
Finora l’istruzione è stata la migliore assicurazione contro il rischio di perdere il lavoro. E’ ancora così?
La ragione principale perché le persone studiano è per avere una carriera migliore. Per colpa della tecnologia, ci sono molti più college graduates che non riescono a trovare i lavori che cercavano e finiscono a lavorare da Starbucks. Se il rendimento dello studio è più basso, bisogna trattare l’istruzione come un bene pubblico: alla società servono comunque persone istruite, perché sono cittadini migliori. E quindi bisogna incentivare l’istruzione a prescindere dalla carriera che garantisce.
I robot stanno cambiando anche la politica?
Senza reddito minimo garantito e universale avremo più Donald Trump. Le persone chiedono due cose loro lavoro: i soldi e la sensazione di fare qualcosa di importante. C sono molte persone che fanno un sacco di cose gratis, come i software open source senza essere pagati.Il reddito minimo incentiva queste collaborazioni gratuite ma anche l’imprenditorialità: se hai un paracadute, puoi permetterti di rischiare un po’ di più. L’alternativa è avere persone sempre più arrabbiate e frustrate che votano chi predica rabbia. Magari un robot ti ruba il lavoro e te la prendi con gli immigrati.
Bill Gates ha proposto di tassare i robot per generare risorse per la collettività.
Il problema è che è difficile definire cosa è un robot. Se hai un robot in una fabbrica è facile tassarlo, ma se una grande azienda usa un software la tassiamo comunque? E’ pur sempre automazione. E se negli Usa tassi i robot ma la Cina non lo fa, si regala a un Paese concorrente un vantaggio competitivo. Tassare i robot è soltanto un modo di rallentare un progresso, e il progresso porta anche molte cose cui non siamo disposti a rinunciare.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... a/3590386/

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 29/05/2017, 13:31
da UncleTom
Robot, la minaccia alla manodopera arriva tra le vacche. Nella stalla che si controlla dalla app: “Si perdono i mestieri, non il lavoro”

di Barbara Righini | 29 maggio 2017

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Più informazioni su: Allevamenti, Allevatori, Latte, Lavoro, Robot, Treviso


La giornata di Fabio Curto, allevatore veneto della provincia di Treviso, inizia con uno sguardo ai dati della sua mandria sullo schermo del pc: calori rilevati, tempi di ruminazione, allarmi per eventuali mastiti in arrivo, qualità del latte munto. Alle 7.30 del mattino è già tutto sotto controllo. Le vacche, 130 quelle da latte, sono già state munte: ci ha pensato il robot.

La robotizzazione che tanto sta facendo discutere per le temute ricadute sulla manodopera, non riguarda solo le fabbriche. In stalla, ormai da qualche anno, hanno fatto la loro comparsa mungitrici, allattatrici, macchine per il razionamento del cibo e per la pulizia dei pavimenti. Così, nell’azienda agricola Ponte Vecchio, a Vidor (Treviso), 300 capi di bestiame in totale, all’uomo resta ben poco da fare. Addio al mestiere del mungitore e a diverse altre figure? “Prima la stalla era gestita da tre unità, ora ne bastano una e mezza”.



Il professor Aldo Calcante, ricercatore in Scienze Agrarie all’UniMi, che si sta occupando del fenomeno, spiega: “Quello che sto notando è un cambio di mansioni, non una riduzione di manodopera in azienda. Anzi, direi che si aprono finestre importanti per ragazzi preparati. Va gestita una macchina estremamente sofisticata e vanno interpretati i dati”. E a Vidor confermano: “Abbiamo dovuto dotarci di diversi collaboratori specializzati per controllare i robot. E la manodopera che non serve più nella stalla non è stata licenziata, ma è passata al caseificio visto l’aumento della produzione”. Proprio così, i robot hanno fatto crescere l’azienda. “Da quando siamo passati alla gestione robotizzata – racconta Curto – ogni mucca produce 3 litri di latte in più al giorno”. L’investimento, partito due anni fa, è stato di 500mila euro. L’ammortamento è previsto in cinque anni, ma il volume dell’azienda è già cresciuto del 25%. E anche se con la quotazione del latte a 0.37 euro al litro (dato CLAL del 22 maggio) i margini sono strettissimi, Curto conta di recuperare l’investimento prima del previsto.

La sua stalla è una delle pochissime in Italia (appena 5) ad avvalersi di robot in comunicazione fra loro, interconnessi attraverso un software: due mungitrici, un’allattatrice di vitelli e un robot per il razionamento del foraggio che assomiglia a un enorme frigorifero e si muove autonomamente tra le mucche. Che lo riconoscono e lo aspettano. Distribuisce il cibo e recupera ciò che è avanzato dalla razione precedente. Intanto, ai box di mungitura c’è sempre la coda. Sì, perché sono le mucche stesse a decidere se è ora di farsi mungere. E il robot, dopo un’analisi dei dati relativi al capo in questione, decreta se è il momento di prelevare altro latte o di lasciare che l’animale si ripresenti più tardi. Poco distante, in una sezione separata della stalla, ci sono i vitellini: anche loro hanno a disposizione un robot che prepara il latte e lo distribuisce alla giusta temperatura, con la corretta miscela. “Sembra un paradosso – dice soddisfatto Curto – ma l’impiego di mezzi artificiali rende i ritmi del bestiame molto più naturali, garantisce elevati standard in termini di igiene e salute, oltre al risparmio notevole sulla gestione”. In Italia le stalle con vacche da latte sono circa 31mila (dato Anagrafe Bovini 7/2014). Ad oggi, quelle con almeno un robot sono circa 400. Il dato non ha valenza statistica, ma è quanto riportano i principali produttori di automazione attivi sul mercato italiano (Lely, Tdm, Gea – Bellucci e DeLaval). Il fenomeno è quindi ancora contenuto, “ma – assicurano le azienda – in netta espansione”. Il fatturato Lely, leader di mercato in Italia, è in continua crescita negli ultimi tre anni. Fra il 2015 e il 2016 è più che raddoppiato e per il 2017 si stima che crescerà di un altro 15%

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 23/06/2017, 14:37
da UncleTom
SBATTI, SBATTI LE PALLINE CHE STASERA VIEN PAPA’……..
(Originale: Batti, batti le manine che stasera vien papà----vecchia filastrocca per bambini piccoli)


Per gli adulti, negli ultimi cinquant’anni invece funziona molto bene la prima.

Ce ne sbattiamo di tutto, salvo poi prodigarci nel lamento della rana bollita quando dobbiamo affrontare la dura realtà delle conseguenze del nostro incallito menefreghismo.





23 giu 2017 10:56
HOMO ROBOT

- “LA RIVOLUZIONE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE RISCHIA DI PROVOCARE LA TERZA GUERRA MONDIALE"

- MENTRE I BIG DELLA SILICON VALLEY FANNO UTILI SOSTITUENDO I LAVORATORI CON I ROBOT, JACK MA DI “ALIBABA” SUONA L'ALLARME: "L’AUTOMAZIONE CI PORTERÀ PIÙ DISEGUAGLIANZE"





P. Mas per “la Stampa”


La rivoluzione dell' intelligenza artificiale rischia di provocare la Terza guerra mondiale.

A lanciare questo allarme è stato Jack Ma, il fondatore di Alibaba, parlando con la televisione «Cnbc» durante la conferenza Gateway 17 a Detroit.

L' automazione, secondo l' imprenditore cinese, è in generale una grande opportunità: «Io penso - ha detto - che nei prossimi trent' anni la gente lavorerà solo per quattro ore al giorno, forse quattro giorni la settimana».

I trasporti diventeranno ancora più rapidi e facili, e se oggi in media le persone visitano una trentina di luoghi nella loro vita, presto diventeranno almeno trecento.

Questa trasformazione epocale, però, porterà con sé un prezzo: «Dobbiamo prepararci ora, perché i prossimi trenta anni saranno dolorosi».

Jack Ma ha spiegato così il suo ragionamento: «La prima rivoluzione tecnologica causò la Prima guerra mondiale.

La seconda creò le condizioni per la Seconda guerra mondiale.

Ora stiamo vivendo la terza rivoluzione tecnologica, con le macchine basate sull' intelligenza artificiale che eliminano posti di lavoro, e ciò rischia di provocare tensioni capaci di portarci verso la Terza guerra mondiale».

Il fondatore del più grande mercato digitale cinese ha avvertito che «bisogna riparare il tetto prima che si rompa, e quando vedi un problema in arrivo devi prepararti.

Questa è la ragione per cui viaggio in tutto il mondo: cerco di spronare i governi ad agire, perché devono farlo subito, se vogliono evitare questa catastrofe».

L' elemento centrale della sua analisi è il lavoro, che richiede due tipi di interventi: primo, l'istruzione, che deve mettere i cittadini del futuro in grado di fare i mestieri del futuro, e quindi avere la flessibilità necessaria per adeguarsi ai cambiamenti nel mercato; secondo, il commercio, che deve essere aiutato a facilitato il più possibile, proprio per dare a tutti i mezzi per partecipare: «Quando il commercio si ferma, cominciano le guerre».

Così Jack Ma prende una posizione netta a favore della globalizzazione, che lo mette in linea con le posizioni prese da Pechino, ma potenzialmente in contrasto con il nazionalismo economico e l'antiglobalismo portato alla Casa Bianca da Trump e dal suo consigliere Steve Bannon.

Il fondatore di Alibaba ha incontrato il presidente a gennaio e si è impegnato a creare un milione di posti di lavoro negli Usa entro 5 anni. Come?

Offrendo una piattaforma digitale che consenta anche alle piccole imprese di vendere i loro prodotti ovunque, e quindi allargando a tutti i vantaggi della globalizzazione.

Quanto all'intelligenza artificiale «non dobbiamo creare macchine che si comportano come gli umani, ma che fanno ciò che gli umani non possono o non vogliono fare.

Le macchine non potranno mai sostituire la nostra saggezza, gli umani vinceranno».




NB.

Jack Ma, ha avvertito le conseguenze della proliferazione dell’automazione.

Impegnato a fare soldi, non si è accorto che siamo alla Quarta rivoluzione industriale e non alla Terza.


Evidentemente nella cultura cinese le rivoluzioni industriali sono la causa delle guerre mondiali.

Non avevo letto mai questa interpretazione nel mondo Occidentale.

Re: Robotizzazione, industrializzazione e....disoccupazione.

Inviato: 04/08/2017, 7:11
da UncleTom
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi

Scritto il 04/8/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.

«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».

Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».

In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».

Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».

Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».

Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».

In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».

Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».

Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».

Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?

Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».

Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».

Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».

La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».

Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».

Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».

Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».

Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».

I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».

E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».

Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.

«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».

E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.

Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».

«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.

«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».

Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».

Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.

«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che Bomarzo, parco dei Mostricombatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».

Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora Lincolndi recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».

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