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UncleTom
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Re: Economia

Messaggio da UncleTom »

UncleTom ha scritto:
cielo 70 ha scritto:Una volta tanto sto con la Germania. I soldi pubblici vanno per risolvere i problemi più gravi, non a coprire le speculazioni. E pare che nei derivati abbiano investito più che altro quelli delle classi alte, e sapevano quello che stavano facendo.


E ancora:




Chi ha affossato i conti


Da De Benedetti alla
Marcegaglia: Mps prestava i
soldi ai ricchi,
loro non li ridavano



Fra i debitori che non hanno onorato i debiti verso il Montepaschi c’è anche Giuseppe Garibaldi. Incidenti che capitano alla banca più antica del mondo. Evidentemente anche in tempi non sospetti, a Siena sentivano il fascino della camicia rossa. Ma soprattutto rivelavano una certa reverenza nei confronti dei poteri forti. Preferibilmente in odore di massoneria.

Nell'archivio della banca c'è questa lettera dell'Eroe dei Due Mondi: «Signor Esattore mi trovo nell'impossibilità di pagare le tasse. Lo farò appena possibile». Correva l'anno 1863 e non sapremo mai il destino di quel debito.

C'è anche da dire che a Siena avevano una certa dimestichezza con i protagonisti del Risorgimento. Fra il 1928 e il 1932, infatti, la banca era entrata in possesso della tenuta di Fontanafredda che Vittorio Emanuele II aveva regalato alla Bella Rosina. Gli eredi se l'erano fatta espropriare per un debito non pagato. Un npl (non performing loans) in versione reale.
Giuseppe Garibaldi e i nipoti della moglie del Re che non poteva diventare Regina. A Siena sono sempre stati molto trasversali nella scelta dei loro clienti. E anche le sofferenze rifiutano il monocolore. Così fra i clienti che non hanno rimborsato figurano la Sorgenia della famiglia De Benedetti e Don Verzè che, grazie anche all'amicizia con Silvio Berlusconi aveva fondato l'ospedale San Raffaele portandolo anche al dissesto con un buco di duecento milioni.
Dagli archivi risultava anche, almeno fino all'anno scorso, una fidejussione di 8,3 milioni che il Cavaliere aveva rilasciato a favore di Antonella Costanza, la prima moglie del fratello Paolo. La signora aveva acquistato, per nove milioni, una villa da sogno in Costa Azzurra e poi aveva dimenticato di pagarla. A Siena, però, conoscevano bene la famiglia Berlusconi e si fidavano. Erano stati i primi a credere nella capacità imprenditoriali di Silvio e non se n'erano certo pentiti.

Non altrettanto bene però, sono andate le cose con il gruppo che fa capo a Carlo De Benedetti, l'eterno rivale del Cavaliere. Sorgenia, il gruppo elettrico guidato da Rodolfo, primogenito dell'Ingegnere, ha lasciato un buco da 600 milioni. Le banche hanno trasformato i debiti in azioni. Ora sperano di trovare un compratore. Il cuore di Sorgenia è rappresentato da Tirrenia Power le cui centrali sono localizzate in gran parte fra la Liguria e l'Italia centrale. Naturale che Mps fosse in prima linea nel sostenere l'investimento e oggi a dover contabilizzare le perdite.

Ma i problemi di Mps non si fermano alla Toscana e zone circostanti. La forte presenza in Lombardia attraverso la Banca Agricola Mantovana ovviamente l'ha portata in stretti rapporti d'affari con il gruppo Marcegaglia che ha sede da quelle parti. Fra l'altro Steno, fondatore dell'azienda siderurgica, era stato uno dei soci della Bam che aveva favorito l'ingresso di Siena. Tutto bene fino a quando al timone è rimasto il vecchio. Poi è toccato ai figli Antonio ed Emma. Complice la crisi economica, hanno accumulato un'esposizione di 1,6 miliardi che le banche hanno dovuto ristrutturare aggiungendo altri 500 milioni.

Ma a parte questi nomi eccellenti chi sono gli altri debitori che hanno mandato in crisi la banca più antica del mondo? La ricerca non è facile. Il gruppo dei piccoli azionisti del Monte guidato da Maria Alberta Cambi (Associazione del Buongoverno) ha cercato l'identità delle insolvenze. I dirigenti della banca si sono rifiutati di rispondere schermandosi con le regole della privacy. Qualcosa, però, hanno detto. Non i nomi ma almeno la composizione.

Viene fuori che il 70% delle insolvenze è concentrato tra i clienti che hanno ottenuto finanziamenti per più di 500mila euro. In totale si tratta di 9.300 posizioni e il tasso di insolvenza cresce all'aumentare del finanziamento. La percentuale maggiore dei cattivi pagatori (32,4%) si trova fra quanti hanno ottenuto più di tre milioni di euro. Ovviamente un tasso di mortalità così elevato sulle posizioni più importanti apre molti interrogativi sulla gestione. Anche perché la gran parte dei problemi nasce dopo l'acquisizione di Antonveneta. Prestiti concessi nel 2008 che finiscono a sofferenza nel 2014. Certo sono gli anni della grande crisi. Ma non solo. La scansione dei tempi dice anche un'altra cosa: Mussari e Vigni hanno concesso i crediti. Profumo e Viola hanno dovuto prendere atto che erano diventati fuffa.

di Nino Sunseri
cielo 70
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Re: Economia

Messaggio da cielo 70 »

Io se non restituisco i prestiti i soldi non me li danno, o fanno causa, o elevano il protesto. Questi come fanno a farla sempre franca?
UncleTom
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Re: Economia

Messaggio da UncleTom »

MA IN QUALE UNIVERSITA' HANNO STUDIATO GLI SCIENZIATI DEL MEF??????

FORSE IN QUELLA DELL'ECONOMIA DAVANTI E IL COMMERCIO DI DIETRO????


14 minuti fa

Per salvare Mps alzeranno l'Iva
Rischiamo l'ennesima stangata


Gian Maria De Francesco


Questo provvedimento porta diritto ad una diminuizione dei consumi.

L'esatto contrario di cui abbiamo bisogno in questo momento
Maucat
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Re: Economia

Messaggio da Maucat »

UncleTom ha scritto:MA IN QUALE UNIVERSITA' HANNO STUDIATO GLI SCIENZIATI DEL MEF??????

FORSE IN QUELLA DELL'ECONOMIA DAVANTI E IL COMMERCIO DI DIETRO????


14 minuti fa

Per salvare Mps alzeranno l'Iva
Rischiamo l'ennesima stangata


Gian Maria De Francesco


Questo provvedimento porta diritto ad una diminuizione dei consumi.

L'esatto contrario di cui abbiamo bisogno in questo momento
Siamo arrivati alla fine, ormai solo la rivolta popolare può fermare questo scempio.... :cry:
UncleTom
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Re: Economia

Messaggio da UncleTom »

Euro, 15 anni fa l’entrata in vigore. Come sono cambiati i prezzi: caffè da 900 lire a 90 centesimi, pizza aumentata del 123%

Numeri & News


Dal primo gennaio 2002 l'addio alla lira. Dai dati della Fondazione Nens, ecco com'è diminuito il nostro potere d'acquisto. Raddoppiato il costo dei quotidiani e del Big Mac, anche se l'aumento record spetta alla Margherita: da 6.500 lire a 7,5 euro. Cresciute ben più dell'inflazione, in generale, tutte le spese vive delle famiglie: dall'elettricità al gas alla benzina

di F. Q. | 1 gennaio 2017

commenti ()

Più informazioni su: Aumento Prezzi, Euro, Lira


Il caffè al banco da 900 lire a 90 centesimi, il Big Mac da 4.900 lire a 4,20 euro, la pizza margherita da 6.500 lire (3,36 a euro) agli attuali 7,5 euro. Andando a cercare i prezzi di fine 2001, si scopre quanto sia cambiato il costo di beni e servizi negli ultimi 15 anni. Da quando cioè, il primo gennaio 2002, gli italiani abbandonavano la lira e nel nostro Paese entrava in vigore l’euro (quotato al cambio fisso di 1936,27 lire). Non solo cibo e bibite: dalle bollette alla benzina, è lunga la lista dei rialzi, in certi casi molto elevati. Certo ben più dell’inflazione. Ci sono anche casi inversi, soprattutto nel comparto elettronico dove è aumentata la concorrenza e sono diminuiti i prezzi, ma in questo caso più del passaggio dalla lira all’euro hanno contato i passi da gigante della tecnologia. Qualcosa è rimasto immobile nel tempo, come la giocata minima del Lotto, passata dalle 1.500 lire del 31 dicembre 2001 all’euro del primo gennaio 2002 e da lì mai più cambiata.

Sono i dati del Nens (Nuova Economia Nuova Società, la fondazione che fa capo a Pierluigi Bersani e Vincenzo Visco) a fornire un termine di paragone fra i prezzi attuali e quelli di 15 anni fa. Tra i grandi classici, quella che ha subito l’aumento maggiore è la pizza margherita: pur con le dovute distinzione territoriali, si passa dai 3,36 euro della media Nens del 2001 agli attuali 7,5 euro, con un rialzo pari al 123%. Sono vicini al raddoppio invece sia il caffè al banco (da 900 lire a 90 centesimi) che il Big Mac (da 4.900 lire a 4,20 euro), come anche i quotidiani in edicola: nel 2001 leggere il giornale costava 1.500 lire, oggi 1,50 euro. Sono i simboli della perdita di potere d’acquisto degli italiani, peggiorata ulteriormente dopo la crisi economica.

La lista è lunga: nel 2002 per l’elettricità, spiegava il Nens, si spendevano 647mila lire (circa 334 euro), mentre i dati pubblicati il 31 dicembre dall’Autorità dell’Energia parlano di una spesa fissata a 498 euro (+50% circa). Andamento più contenuto per il gas, con la spesa annua passata da 1 milione e 700mila lire a 1.022 euro (+16%). È salita anche la benzina, per la verità con un percorso decisamente altalenante che l’ha portata a toccare il massimo storico con punte oltre i 2 euro nel 2012. Per un litro di carburante si è passati da circa 2mila lire agli 1,5 euro attuali (+45%).

L’unico comparto in controtendenza è quello dell’elettronica, complice lo sviluppo tecnologico e il boom delle vendite online che hanno ulteriormente alzato la concorrenza e abbassato i prezzi. Fare paragoni tra i prodotti di allora e quelli odierni diventa difficile. Ma basti pensare che all’inizio del nuovo millennio una Tv 46 pollici, la migliore sul mercato, costava circa 6,5 milioni di lire, mentre oggi una Tv smart Full Hd 49 pollici costa meno di 500 euro. Nel 2001 per comprare una fotocamera digitale da 1,9 megapixel di risoluzione ci volevano 890mila lire mentre oggi con circa 100 euro si trovano macchine da 20 megapixel. Infine, il Motorola Startac 130, vanto per l’epoca, costava oltre 2 milioni di lire, ben più di qualsiasi ultimo modello di smartphone.
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Re: Economia

Messaggio da UncleTom »

Economia & Lobby

Senza certezza del diritto l’economia non cresce

di Fabio Scacciavillani | 2 gennaio 2017

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Fabio Scacciavillani

Chief Economist Fondo d'investimenti dell'Oman

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“Ma quando finirà questa crisi?” è la fatidica domanda che un economista si sente rivolgere da quasi nove anni. Nella domanda stessa è insita un’aspettativa completamente distorta. In sostanza si ritiene che questa crisi per quanto lunga e virulenta sia pur sempre un fenomeno ciclico come sui libri di testo del secolo scorso. E quindi una volta che, schumpeterianamente, i danni conseguenti agli investimenti sbagliati saranno stati assorbiti e i fattori di produzione si saranno adattati alle nuove condizioni, il motore della crescita ruggirà più bello e maestoso che pria.

Ma dopo ogni anno che il Godot della ripresa rifiuta di palesarsi, l’ipotesi che siamo in presenza di un fenomeno molto più grave e molto più profondo acquista credibilità. E’ l’ipotesi della stagnazione secolare di cui ho scritto sul Fatto Economico del 26 aprile scorso. In sintesi, il progresso tecnologico che ha spinto lo sviluppo dalla prima rivoluzione industriale si è inaridito. Invenzioni che hanno sconvolto in positivo la vita quotidiana come l’elettricità, le autovetture, il cemento armato, gli aerei, la televisione, gli antibiotici, i computer sono sempre più rare e apportano miglioramenti sempre meno dirompenti.

Tuttavia accanto alla letteratura che si focalizza sull’inaridirsi del progresso scientifico, fenomeno a cui è arduo rimediare, sta emergendo un altro filone di analisi che attribuisce la caduta del tasso di crescita a un fenomeno causato dalla umana inettitudine mista a un viscido neo-autoritarismo: la proliferazione incontrollata di regolamentazioni sempre più astruse, pervasive, invadenti e in definitiva liberticide.

Il progresso e la crescita economica sono il frutto dell’ingegno e degli sforzi di chi aspira a migliorare ma anche di un sistema legale che protegge la proprietà privata dalle spoliazioni e dall’arbitrio dello Stato o dalla prevaricazione di gruppi violenti. Invece l’indottrinamento delle menti labili prone a interiorizzare lo slogan “Lo Stato siamo noi” (individui apparentemente sani di mente vengono spinti a identificare i propri interessi con quelli dei vari Renzi, Berlusconi, Bersani, Alfano, Poletti, Tremonti, Bossi o magari Di Maio), ha azzerato secoli di conquiste democratiche tese a difendere i singoli dalle ubbie del potere sovrano. Ricorrendo alle orwelliane lusinghe dell’egualitarismo e della redistribuzione si è spianata la strada a un sistema legale demenziale dove il confine tra lecito e illecito lo stabilisce ormai il capriccio di chi ha occupato le istituzioni attraverso elezioni farsa, peraltro in Italia regolate da una legge dichiarata incostituzionale.

Le leggi sono diventate un guazzabuglio inestricabile e incomprensibile scritte da burocrati autoreferenziali. Nessuno sa con esattezza cosa prescrivano perché il linguaggio è artatamente vago e fallace. Rimandano a commi e articoli di altre leggi anch’esse cervellotiche (la riforma di Boschi e Verdini aveva tentato di introdurre questo scempio del diritto negli articoli della Costituzione). E come se non bastasse le leggi votate da parlamentari che non hanno alcuna idea di cosa approvano, vengono integrate dai famigerati decreti attuativi, redatti anch’essi dall’alta burocrazia (che in Italia costituisce la vera casta, e non a caso gode di stipendi indecentemente più alti che nel resto del mondo).

Si prenda il caso più evidente: le norme fiscali. Chiunque presenti una denuncia dei redditi sa che adempiere a tutti gli obblighi è praticamente impossibile. Né il commercialista né tantomeno un funzionario dell’Agenzia delle Entrate sono in grado di garantire che tutto sia a posto. Così si conferisce un potere incontrollato a impiegati pagati con bonus principeschi per “scoprire” inadempimenti veri o inventati che siano. Tanto chi infligge sanzioni illegittime gode di assoluta impunità.

L’immensa platea dei telelobotomizzati ignora che nel solo 2016 (fino al 7 novembre) il governo Renzi ha prodotto una pletora di decreti attuativi la cui lista riempie 13 pagine (la si trova qui). Prendete un testo a caso e verificate cosa prescrive. Per godersi l’effetto tragicomico raccomando il decreto sulle Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi. Oppure godetevi il primo articolo (lungo due pagine) del cosiddetto “decreto Taglialeggi“ sempre in materia di semplificazione.

Sicuramente non si tratta nemmeno dei casi più eclatanti di norme in cui si è fatto strame del concetto di certezza del diritto. Ad ogni passo, a ogni azione, a ogni stormir di foglia si incappa in qualche inghippo burocratico, che solo il parere di un qualche ufficio può dirimere ovviamente dopo qualche anno di attesa e laute parcelle ad avvocati che sguazzano nel sistema e “aggiustano” i “meccanismi”.

In questo tripudio kafkiano i burocrati concentrano nelle proprie mani il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. E dalla melma burocratica nasce la corruzione endemica ed inestricabile (specialmente tra i burocrati di cui i politici si prestano a fare i Dudù, come è accaduto alla povera Raggi in Campidoglio).

In un mondo dove chi vorrebbe investire e creare occupazione diventa ostaggio dell’arbitrio e della incompetenza la crescita è del tutto impossibile. Al contrario è razionale chiudere le imprese e investire in attività finanziarie fuori dall’Italia. Ma guai a farlo notare ai ministri che pomposamente si dedicano alla cosiddetta “politica economica”. La loro risposta potrebbe essere un altro profluvio di leggi accompagnate dal solito tsunami di decreti attuativi. Mentre logica elementare detterebbe di abrogarne almeno qualche decina di migliaia.
UncleTom
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Re: Economia

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Deflazione, Istat: “Nel 2016 prezzi in calo dello 0,1%, non accadeva dal 1959”. Consumatori: “Effetti recessivi”

Economia

Unione nazionale consumatori: "Paese ancora in piena crisi, la domanda non riparte". A dicembre i prezzi sono però risultati in crescita dello 0,5% anno su anno, soprattutto per effetto di trasporti e prodotti energetici. Il Codacons: "I distributori di carburanti hanno fortemente rincarato i listini". Federconsumatori e Adusbef: "Aumenti importanti anche per pedaggi autostradali, energia elettrica e gas"

di F. Q. | 4 gennaio 2017

commenti (41)


Nel 2016 i prezzi al consumo hanno registrato in media un calo dello 0,1%. Lo comunica l’Istat, segnalando che non accadeva dal 1959, quando la flessione fu pari a -0,4%. Allora, però, l’economia italiana era in forte crescita, non in debole ripresa come ai giorni nostri. L’inflazione di fondo, calcolata al netto degli alimentari freschi e dei prodotti energetici, rimane comunque in territorio positivo (+0,5%), pur rallentando la crescita rispetto al +0,7% del 2015. A dicembre però c’è stato un segnale di svolta: il tasso di inflazione ha registrato un balzo, con i prezzi che stando ai dati provvisori sono cresciuti dello 0,5% rispetto a dicembre 2015, l’aumento maggiore da due anni e mezzo. Rispetto a novembre 2016 l’indice dei prezzi è cresciuto invece dello 0,4%. La ripresa è dovuta principalmente alle accelerazioni della crescita dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+2,6%, da +0,9% di novembre), degli energetici non regolamentati (+2,4%, da +0,3% di novembre) e degli alimentari non lavorati (+1,8%, era +0,2% il mese precedente).

Le associazioni dei consumatori non esultano per il calo dei prezzi, anzi segnalano come questa tendenza dimostri che il Paese è ancora in crisi. In più sottolineano la fiammata di dicembre è stata determinata soprattutto dal rialzo di benzina e gasolio e non dalla ripartenza dei consumi. Il Codacons da un lato sottolinea che la deflazione “porta l’Italia indietro di 60 anni, determinando effetti recessivi per l’intera economia del paese” ed “è il frutto del crollo record dei consumi” che “negli ultimi 8 anni sono calati di ben 80 miliardi di euro”, dall’altro punta il dito contro i rincari di dicembre. “Il balzo dei prezzi nell’ultimo mese dell’anno è da attribuire unicamente al caro-benzina, con i distributori di carburanti che hanno fortemente rincarato i listini determinando aumenti in tutti i settori”, scrive in una nota il presidente Carlo Rienzi. Federconsumatori e Adusbef in una nota congiunta si dicono a loro volta “preoccupati per i primi segnali che ci giungono in merito ad aumenti importanti dei prezzi di carburanti, autostrade, energia elettrica e gas“. Secondo le due associazioni, “è necessario che il governo metta in atto capillari controlli per evitare che si inneschino intollerabili meccanismi speculativi a spese dei cittadini”.


Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “il fatto che l’Italia è in deflazione e che questo non accadeva da oltre mezzo secolo, ossia dal 1959, dimostra che, nonostante la recessione sia tecnicamente finita, il Paese è ancora in piena crisi e la domanda stenta a ripartire”. “Ci preoccupa, in prospettiva – continua Dona – il rialzo mensile dei beni energetici non regolamentati (+1,1%), dovuto non certo ad una ripresa della domanda interna. In un solo mese si sono avuti aumenti dei prezzi di tutti i carburanti, dal gasolio per mezzi di trasporto (+1,5%) alla benzina (+1,0%). Anche il gasolio per riscaldamento è salito dell’1,8%. Se a questo si aggiunge che l’Istat non ha ancora incorporato la stangata di gennaio, +0,9% per la bolletta della luce e +4,7% per quella del gas, con un aggravio di spesa annua, per la famiglia tipo, di 52,50 euro, 4,5 euro per la luce e 48 euro per il gas, ecco che il quadro diventa allarmante”. “Per questo, il governo Gentiloni dovrebbe intervenire almeno sulle imposte sul gas, pari al 38,18% e mettere mano agli oneri di sistema sull’elettricità, pari al 20,36%”, auspica il presidente dell’Unc.


La Coldiretti dal canto suo lamenta “effetti devastanti nelle campagne dove i prezzi riconosciuti agli agricoltori crollano mediamente di circa il 6% nel 2016 ed in alcuni casi, come per il grano, non coprono neanche i costi di produzione”. “Gli agricoltori nel 2016 – lamenta Coldiretti – hanno dovuto vendere più di tre litri di latte per bersi un caffè o quindici chili di grano per comprarsene uno di pane, ma la situazione non è migliore per le uova, la carne o per alcuni prodotti orticoli. Nonostante il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli in campagna sugli scaffali i prezzi dei beni alimentari sono aumentati dello 0% nel 2016 anche per effetto delle speculazioni e delle distorsioni di filiera nel passaggio dal campo alla tavola. Ad incidere – sottolinea l’organizzazione agricola – è anche il flusso delle importazioni selvagge che fanno concorrenza sleale per la mancanza di indicazione chiara sull’origine in etichetta”.
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Re: Economia

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“Nei patronati all’estero falsificazioni e truffe
Il ministero del Lavoro sa ma non interviene”


Sul tavolo di Poletti l’esposto a pm di Roma e Corte dei Conti di un gruppo di pensionati svizzeri, truffati
dal direttore di uno sportello Inca-Cgil. “Business di 35-40 milioni l’anno. Irregolarità senza controllo”


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Carte false. Certificazioni fasulle. Firme mancanti. Ispezioni-farsa. Emigranti derubati per comprare orologi di lusso o mantenere le amanti. E poi ipotesi di “condotte penalmente o contabilmente rilevanti” per chi non ha controllato e represso i possibili illeciti, cioè il ministero del Lavoro. C’è di tutto nel dossier che Giuliano Poletti si ritroverà sulla scrivania al ritorno delle vacanze: un esposto alla procura di Roma e alla Corte dei Conti contro il suo dicastero e contro il sistema estero dei patronati. Un business milionario per le 476 sedi in giro per il mondo. Che i contribuenti pagano per ottenere un servizio. Ma che spesso si muove senza regole e senza controlli
di Anna Morgantini
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Re: Economia

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VENDETTA, ..TREMENDA VENDETTA,.....PER LESA MAESTA'


Lodo Mondadori, risarcimento Berlusconi a De Benedetti ...
http://www.ilfattoquotidiano.it › Giustizia & Impunità
17/09/2013 · La corruzione del giudice Metta per il Lodo Mondadori costerà a Silvio Berlusconi 494 milioni di euro, al netto degli interessi su quanto aveva già ...





De Benedetti primo debitore Una voragine da 600 milioni

Caso Mps, politica in rivolta: "Soldi pagati da noi". Minzolini (Fi): "Sono inaccettabili le sue false morali"



Fabrizio De Feo - Gio, 12/01/2017 - 13:05
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La notizia è di quelle che non può passare inosservata dalle parti della politica, nel momento in cui il Parlamento mette mano al decreto salvabanche.

La Sorgenia, società elettrica della famiglia De Benedetti (fino al riassetto dell'enorme debito che l'ha trasferita sotto il controllo delle banche), figura come primo debitore insolvente del Monte dei Paschi di Siena, per complessivi 600 milioni di euro, come rivela IlSole24Ore. Un fardello che fa notizia, visto che ora lo Stato si appresta a intervenire con la ricapitalizzazione precauzionale di Mps.

Il primo a puntare il dito è Augusto Minzolini: «Sole24Ore: De Benedetti ha succhiato a Mps 600 milioni per Sorgenia. Ora pagati da noi. Adesso inaccettabili morali da lui e dal suo giornale», twitta il senatore in mattinata. Sullo stesso social network interviene anche Danilo Toninelli del Movimento 5 Stelle a polemizzare: «Poi dicono che MPS non è la banca del Pd e del giglio toscano di Renzi».

Decisamente tranchant l'approccio di Maurizio Gasparri: «É uno scandalo, segnato anche emendamenti sospetti da parte del Pd». Duro anche l'azzurro Alessandro Cattaneo: «Dietro al fallimento Mps c'è un pezzo di sistema di potere della sinistra italiana. Responsabilità che hanno nomi e cognomi di persone che dovranno essere chiamate a rispondere personalmente di questo disastro». Sempre dentro Forza Italia c'è chi, come Fabrizio Di Stefano, si prepara a presentare un emendamento per subordinare l'intervento pubblico alla pubblicazione dell'elenco dei debitori. «Il decreto non prevede come far ripagare i danni a chi è stato artefice del debito. Bisogna intervenire». Per il senatore Lucio Malan «Sorgenia evidentemente ha trovato collaborazione dentro la banca, magari da parte di qualche funzionario inflessibile con un piccolo imprenditore o un artigiano insolvente per poche migliaia di euro».

Parole dure arrivano anche da Fratelli d'Italia. Per Giorgia Meloni «la banca di riferimento del Pd presta alla tessera numero uno del Pd centinaia di milioni per salvare una delle sue aziende fallite. Poi il governo Pd salva la banca fallita coi soldi degli italiani. Un classico del capitalismo caro alla sinistra: privatizzare gli utili e socializzare le perdite (degli amici)». Giovanni Donzelli parla di «vicenda indecente». «La verità è che sono sempre pronti a fare i maestrini e i moralisti, ma quando si tratta del proprio portafoglio non esibiscono la medesima sensibilità e il medesimo pudore». E ora anche nella Commissione Finanze del Senato si apre uno spiraglio affinché la «blacklist» venga resa nota.

In realtà i nomi dei grandi debitori continuano a filtrare. Oltre alla Sorgenia c'è la società senese New Colle Srl o il gruppo Fenice della famiglia Fusi o l'Atac di Roma. E poi ancora le partecipate riconducibili nella stragrande maggioranza alla Toscana. Libero cita il gruppo Marcegaglia che sarebbe esposto con la Banca agricola mantovana, controllata da Mps. Repubblica fa i nomi del Gruppo Merloni e di Alitalia mentre Il Corriere della Sera la famiglia Mezzaroma per poi passare al Comune di Colle Val d'Elsa, nel senese, per il fallimento di una costosa operazione immobiliare. Infine il Sole24ore cita Gianni Punzo con la sua Cisfi Spa che avrebbe titoli in pegno con la banca senese per un ammontare complessivo di 11 milioni di euro.
UncleTom
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Re: Economia

Messaggio da UncleTom »

Ecco i furbetti del mattone che hanno spolpato le banche
Da Coppola a Statuto, passando per Zunino e Casale. Tutti i nomi di chi ha incantato gli amici banchieri

Camilla Conti - Ven, 13/01/2017 - 08:24

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Le banche hanno sempre avuto un'attrazione fatale per costruttori e immobiliaristi. La memoria corre ai protagonisti della calda estate 2005 dei «furbetti del quartierino», copyright di un immobiliarista con le ambizioni di banchiere, Stefano Ricucci.

Con lui anche Danilo Coppola che nel 2009, dopo dunque i processi per le scalate bancarie, ha acquistato a Milano l'area di Porta Vittoria pagandola 134 milioni grazie a un finanziamento di 180 milioni ricevuto da un pool di banche, guidate dal Banco Popolare. E Giuseppe Statuto: alla fine del 2001 l'immobiliare di famiglia era una piccola società che fatturava 79 milioni di euro. Nel giro di pochi anni ha messo insieme un forziere solidissimo fra azioni, palazzi e alberghi, tra cui il Mandarin Oriental a Milano e il San Domenico a Taormina. Ora però sta dando grattacapi al Monte (in pool con Popolare Emilia e Aareal Bank) che dopo diverse rate del mutuo da 160 milioni non pagate gli ha pignorato l'Hotel Danieli di Venezia.

Non è un caso se molti istituti oggi in difficoltà hanno finanziato mega-progetti immobiliari. Il mattone «tira sempre», anche se gli appartamenti restano invenduti e gli uffici vuoti. Prestare denaro ai «fenomeni» del real estate significava avere nuovi potenziali azionisti della banca ma anche investire ovvero creare rendite attese molto più convenienti rispetto a concedere un mutuo per l'acquisto di una casa. Lo sapeva bene Luigi Zunino che è stato in grado di farsi prestare, e non restituire, da Mps e altre banche, la bellezza di 3 miliardi per il progetto di Milano Santa Giulia firmato dall'archistar Norman Foster. All'elenco si aggiungono altri nomi meno noti come quello di Gianni Punzo che con la sua Cisfi Spa, la finanziaria in cima al reticolo di società che ha realizzato l'interporto di Nola, avrebbe titoli in pegno con il Montepaschi e per un ammontare complessivo di 11 milioni di euro. A Siena si deve fare i conti anche con i crediti concessi alla famiglia di costruttori Mezzaroma noti anche per le vicissitudini sportive che hanno portato al fallimento del Siena Calcio. Ma la più grossa grana immobiliare per il Monte si chiama Casalboccone. Partecipata dalla controllata Sansedoni, gestisce un progetto di sviluppo alla periferia nord di Roma. La società operativa si chiama Eurocity Sviluppo Edilizio (fu comprata dai Ligresti nel 2007) e risulta a sua volta controllata dalla Casalboccone Roma partecipata dalla Fondazione Mps (al 67%) e da Mps (con il 22%). Nel 2013 l'assemblea dei soci di Casalboccone spa ha approvato la messa in liquidazione della società. Colpa del bilancio 2012 chiuso con 28,5 milioni di perdite a fronte di un capitale versato di soli 120mila euro. E soprattutto della mancata di disponibilità dei tre soci (Fondazione, Mps e la cooperativa Unieco di Reggio Emilia con l'11,2%) a mettere mano al portafoglio per ricapitalizzare. Il problema è che a fine 2011 l'azionista Mps ha concesso a Casalboccone un prestito di 30 milioni garantito anche da una fidejussione fino a 32 milioni rilasciata dalla Sansedoni Siena spa. Il prestito però non è stato rimborsato: a maggio del 2013 il Monte ha escusso la fidejussione e la Sansedoni ha versato i 32 milioni alla banca, diventando creditrice della Casalboccone.

Anche i maggiori crediti inesigibili di Banca Etruria erano nel settore immobiliare, con nomi di spicco come Francesco Bellavista Caltagirone, la coop Castelnuovese del presidente Lorenzo Rosi, l'altra coop rossa del mattone Consorzio Etruria. Esemplare anche il caso di Banca Marche: a minare le fondamenta di questo istituto è proprio la concentrazione degli impieghi sull'immobiliare, con progetti faraonici basati su valori di mercato stratosferici, in cui gli imprenditori non si assumevano alcun rischio, che cadeva invece interamente sulla banca. L'allora direttore generale Massimo Bianconi finisce nel mirino di Bankitalia per alcune operazioni poco chiare. Come l'acquisto per 7 milioni, fatto dalla moglie, di una palazzina ai Parioli dall'immobiliarista Vittorio Casale, un ottimo cliente dell'istituto e finito poi in dissesto con il suo gruppo Operae. Chi è Casale? Legato al potentissimo Pci bolognese degli anni Sessanta, nel 2006 il suo nome finisce nelle indagini sulla scalata Antonveneta quando lo cita il braccio destro di Gianpiero Fiorani, Giancarlo Boni, definendolo l'immobiliarista di fiducia di Giovanni Consorte.
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