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Re: Economia

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GIORNI BOLLENTI



Il governo non convince l'Ue
E rischia il commissariamento


Padoan promette alla Ue altre tasse. Ma la ricetta non convince gli euroburocrati. Adesso l'Italia rischia grosso

di Sergio Rame

poco fa
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Draghi invoca l'unione dei capitali: a rischio pensioni e imprese

5/33

Il Giornale
Michele Crudelini

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La BCE invoca maggiore integrazione finanziaria. Nonostante la crisi del 2007/2008 abbia dimostrato al mondo come una maggiore interconnessione finanziaria possa creare effetti a catena devastanti, l’Europa ripete il mantra dell’integrazione.



Il Presidente della BCE Mario Draghi è infatti impaziente di poter creare “finalmente” l’unione del mercato dei capitali europei. “L’integrazione finanziaria è imprescindibile per la moneta unica”, così ha dichiarato il capoccia della banca con sede a Francoforte. Secondo Draghi le prime basi per quest’unione finanziaria sono già state gettate con la creazione, ancora embrionale, dell’unione bancaria europea.

Su questo progetto ci sta lavorando la Commissione europea, che nel settembre 2015 aveva pubblicato un primo piano d’azione. Le dichiarazioni di Mario Draghi non arrivano in un momento casuale. Il Presidente della BCE si sente infatti circondato su più lati da minacce alla sua moneta unica. Trump, Marine Le Pen e l’ultimo studio condotto da Mediobanca sembrano dimostrare il fallimento del progetto euro. Draghi e il suo team di eurocrati vogliono spingere sull’acceleratore di una più ampia unione finanziaria così da rendere un’eventuale eurexit ancor più difficoltosa. Ci sono però alcuni indizi, nemmeno troppo velati, che rivelano come sia l’unione bancaria che quella dei capitali sia un fallimento per l’Europa.

La decantata Banking Union, che ha iniziato i lavori nel dicembre 2014, pare aver fallito su tutti i fronti. Il sistema bancario europeo ha infatti sofferto enormemente della presenza di una Vigilanza unica esterna. La stessa infatti ha il compito di far rispettare uno standard unico per tutte le banche dell’Unione, diversissime ovviamente le une dalle altre. L’effetto della Vigilanza per le banche è lo stesso che ha avuto il Fiscal Compact sugli Stati. Le continue richieste di ricapitalizzazione, dovute al mancato rispetto degli standard di bilancio europei, hanno infatti allontanato azionisti e investitori dalle banche. L’indice Euro Stoxx Banks, che indica la salute finanziaria delle banche, è crollato da 156 punti nel maggio 2015 a poco più dei 100 punti attuali. Nel maggio 2007 l’indice arrivava a oltre 400 punti. Nella sola Italia la capitalizzazione bancaria ha perso più di 50 miliardi di euro dopo la nascita della Banking Union.

Non migliore effetto dovrebbe avere l’unione del mercato dei capitali, invocata oggi da Draghi. Nel documento di presentazione a firma della Commissione si poteva leggere che “l’Unione dei mercati dei capitali, uno dei pilastri del piano di investimenti, mira ad affrontare con determinazione la carenza di investimenti, ampliando e diversificando le fonti di finanziamento per imprese e progetti a lungo termine in Europa”. Una diversificazione che viene spiegata meglio all’interno dell’action plan. Nel documento ufficiale viene infatti calcolato l’impatto che potranno avere i fondi di pensioni private e i fondi di riserva delle pensioni pubbliche sul mercato dei capitali. Sembrerebbe dunque che questa Capital Market Union voglia attingere a questa quantità ingente di risorse economiche per far funzionare il sistema finanziario. Sono 10 i trilioni di euro disponibili da questi fondi. Ecco dunque il trucco di Mario Draghi e della sua squadra di eurocrati. I risparmi di milioni di lavoratori europei per dare ossigeno al sistema finanziario, in vista chissà di una nuova bolla.

La Capital Market Union non è poi nemmeno favorevole alle piccole e medie imprese, come le fonti ufficiali europee vorrebbero farci credere. Le PMI infatti, non avendo più praticamente accesso al credito bancario, diventerebbero dipendenti di investitori esterni al Paese. L’accesso al credito sarebbe dunque caratterizzato da un’alta volatilità e incertezza, considerato l’andamento incostante del mercato finanziario europeo. Inoltre l’attuale crisi occupazionale europea non è attrattiva per gli investitori che, come primo dato, guardano sempre al tasso di occupazione. La richiesta di Draghi non è dunque altro che un ultimo rigurgito di integrazione in vista di un ormai verosimile collasso del sistema euro.

http://www.msn.com/it-it/money/retireme ... spartandhp
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Conti pubblici, davanti al malcontento Ue Padoan tenta la marcia indietro: “Interventi al più tardi entro aprile”

Economia

Il ministro sa bene che una procedura di infrazione "comporterebbe una riduzione di sovranità sulle scelte di politica economica e costi ben superiori per la finanza pubblica" rispetto ai 3,4 miliardi di correzione richiesta. Così, il giorno dopo aver inviato a Bruxelles una lettera vaga e ambigua, cambia verso: l'aggiustamento "è indispensabile" e "alcune misure saranno prese anche prima della scadenza”

di F. Q. | 2 febbraio 2017

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Più informazioni su: Commissione Europea, Conti Pubblici, Pier Carlo Padoan, Unione Europea


Nemmeno venti ore dopo aver inviato a Bruxelles una lettera di risposta che rinvia la correzione dei conti pubblici e non specifica a quanto ammonterà, il ministro Pier Carlo Padoan ingrana la marcia indietro. E, parlando davanti a un’aula del Senato quasi vuota, spiega che “l’aggiustamento della dinamica del saldo di finanza pubblica è indispensabile” – aggettivo identico a quelle utilizzato poco dopo dal commissario agli affari economici Pierre Moscovici – e assicura che gli interventi verranno adottati “al più tardi entro fine aprile”, ma “è molto probabile che alcune misure saranno prese anche prima della scadenza”.

Il motivo della giravolta è presto detto: fonti della Commissione non hanno nascosto l’insoddisfazione per i contenuti ambigui della missiva ricevuta mercoledì, in cui il governo italiano non spiega se intende ridurre l’indebitamento dei 3,4 miliardi chiesti dalla Ue e anzi anticipa che i nuovi eventi sismici richiederanno un esborso “molto probabilmente superiore a 1 miliardo di euro già nel 2017”. Lasciando intendere che quella cifra andrebbe scorporata dallo sforzo strutturale chiesto alla Penisola. Ora il titolare di via XX Settembre teme che il malcontento per quella risposta – scritta evidentemente tenendo conto dei desiderata dell’ex premier Matteo Renzi – possa sfociare in una procedura di infrazione, anche se Moscovici ha detto che “il suo obiettivo è evitare procedure”, non aprirle.

Se il commissariamento scattasse, il risultato sarebbe catastrofico per l’Italia e Padoan lo sa bene: “Comporterebbe una riduzione di sovranità sulle scelte di politica economica e, soprattutto, comporterebbe costi ben superiori per la finanza pubblica del paese” rispetto ai 3,4 miliardi di correzione richiesta. Di conseguenza ci sarebbe “una sottrazione di risorse per il pubblico, la crescita e l’occupazione, a seguito del probabile aumento dei tassi d’interesse” sul debito. Insomma, “l’ipotesi di una possibile procedura di infrazione è estremamente allarmante“.

Resta il fatto che il governo, per ragioni squisitamente politiche vista l’ipotesi di elezioni anticipate, ha deciso di intervenire non attraverso una manovra estemporanea “ma attraverso misure bilanciate di aggiustamento e sostegno” della crescita. E non subito, ma in primavera. Scelta a cui la Commissione risponderà con una decisione inevitabilmente altrettanto politica, tenendo conto del fatto che se l’Italia andrà alle urne prima della fine della legislatura gli impegni di Gentiloni e Padoan risulteranno di fatto azzerati e il balletto ripartirà con un nuovo esecutivo. In questo quadro, le precisazioni del giorno dopo lasciano il tempo che trovano.
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Re: Economia

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Esclusivo
Derivati, ecco i contratti segreti che hanno svenduto l’Italia alle banche
Pubblichiamo per la prima volta i contratti con la banca americana Morgan Stanley che nel 2013 ci sono costati più di tre miliardi di euro. Sull'Espresso in edicola domenica 12 l'inchiesta integrale
di Luca Piana
10 febbraio 2017
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Cade il segreto che le istituzioni hanno cercato di porre per impedire la divulgazione dei contratti derivati fatti dal Tesoro con le banche d'affari, e che stanno costando miliardi di euro alle casse pubbliche. Nel numero in edicola domenica 12 febbraio, L'Espresso pubblica infatti per la prima volta i contratti che nei primi giorni del 2012 hanno costretto il governo di Mario Monti a versare 3,1 miliardi di euro alla banca americana Morgan Stanley, per effetto di strumenti finanziari ad alto rischio che erano stati sottoscritti negli anni precedenti.

Si tratta di quattro famiglie di derivati molto complessi, che l'istituto ebbe la facoltà di terminare in largo anticipo rispetto alla data di scadenza prevista, per effetto di una discussa clausola di chiusura anticipata prevista in un vecchio accordo del 1994, mai esercitata in precedenza.


Derivati segreti, ecco le carte

• Il frontespizio dell'accordo quadro (Isda Master Agreement) firmato il 10 gennaio 1994, che definiva le regole comuni per tutti i derivati sottoscritti in seguito fra Morgan Stanley e il Tesoro. In un allegato è presente la discussa clausola che permette alla banca di pretendere la chiusura anticipata di tutti i contratti in essere fra le due parti, se il valore di mercato complessivo (detto anche “mark to market”) supera i 50 milioni di dollari. Anche se questa soglia era stata superata da anni, Morgan Stanley la esercita soltanto alla fine del 2011, costringendo il Tesoro a sborsare a inizio 2012 oltre 3,1 miliardi di euro.
Vedi:
http://espresso.repubblica.it/affari/20 ... =HEF_RULLO

Nei dettagli i contratti chiusi erano due “Interest rate swap” e due “swaption”, che vengono descritti nell'articolo dell'Espresso assieme ad altri documenti relativi ai rapporti fra il Tesoro e Morgan Stanley. Ci sono i memorandum con i quali, proprio in concomitanza con l'avvicendamento a Palazzo Chigi tra il premier uscente Silvio Berlusconi e Monti, la banca americana comunicava al governo la decisione di rientrare di una cifra di 3,5 miliardi di dollari.

L'Espresso in edicola da domenica 12 febbraio E ci sono i contenuti di una perizia richiesta dalla procura di Roma nel corso di un'indagine giudiziaria avviato nel 2015 e poi archiviato. Il professor Ugo Pomante, l'esperto interpellato dai magistrati romani, nella sua ricostruzione sostiene che per effetto di quella clausola del 1994 i vertici del Tesoro avrebbero dovuto astenersi dal fare nuovi contratti con Morgan Stanley. Al contrario negli anni che vanno dal 2004 al 2008 vennero rinegoziati derivati precedenti o ne vennero fatti di nuovi, come dimostrano i documenti rilevati da L'Espresso, perché i vertici del Tesoro non erano a conoscenza o sottovalutarono gli effetti della clausola in mano alla banca americana.


Sull'Espresso in edicola domenica 12 l'inchiesta integrale di Luca Piana
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Re: Economia

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• Deriva di Stato, i contratti segreti...
ESCLUSIVO

Deriva di Stato, i contratti segreti che hanno svenduto l'Italia alle banche
Pubblichiamo per la prima volta i contratti con la banca americana Morgan Stanley che nel 2013 ci sono costati più di tre miliardi di euro. Il governo li ha sempre nascosti. L’Espresso 
ora li rivela

DI LUCA PIANA
13 febbraio 2017
Il linguaggio è l’inglese standard delle banche d’affari. I termini utilizzati sono spesso tecnici, com’è naturale quando si tratta di strumenti finanziari complessi. Le cifre in gioco appaiono astronomiche, un miliardo di dollari, un miliardo e mezzo di sterline: tre miliardi di euro. Soprattutto, però, ci sono tutti gli elementi per ricostruire un suicidio finanziario a cui l’Italia si è sottoposta, accettando di incassare alcune decine di milioni di euro come contropartita di contratti che, nel giro di pochi anni, l’hanno poi costretta a sborsare trenta volte tanto.

Si presenta così, in un fascicolo di quasi 300 pagine, la soluzione a uno dei misteri meglio custoditi d’Italia: gli strumenti derivati sottoscritti dal Tesoro con alcune banche internazionali che, anno dopo anno, stanno costando alle casse pubbliche un flusso ininterrotto di perdite miliardarie. Per la prima volta, infatti, l’Espresso è in grado di pubblicare i contenuti di un pacchetto di contratti che nei primi giorni del 2012 misero il governo di Mario Monti con le spalle al muro, costringendolo a versare 3,1 miliardi di euro nelle casse della banca americana Morgan Stanley.
Derivati segreti, ecco le carte

Quando la notizia trapelò, a dispetto dei tentativi del Tesoro di far passare l’operazione sotto silenzio, la questione dei derivati esplose con virulenza, determinando indagini parlamentari, inchieste da parte della magistratura e dando il via a un accertamento da parte della Corte dei Conti, che sta valutando una richiesta danni miliardaria.


Restante articolo + tabelle, vedi:

http://espresso.repubblica.it/plus/arti ... o-1.295103
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Re: Economia

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Per il settore del commercio al dettaglio il 2016 è un anno da dimenticare.

PERCHE' NEL 2017, L'ANNO DELLA SFIGA, CON QUESTA CLASSE DIGERENTE, POTRA' ANDARE MEGLIO?????????????????????





Commercio al dettaglio, calano le vendite: meno 7,7 miliardi dal 2010
Sorprendentemente crolla anche l'acquisto per farmaci e prodotti terapeutici: negli ultimi sei anni ha registrato una flessione del 7,4 per cento
Marta Proietti - Sab, 25/02/2017 - 15:32

Per il settore del commercio al dettaglio il 2016 è un anno da dimenticare. Un'analisi dell'ufficio economico Confesercenti, basata sull'elaborazione dei dati sulle vendite del commercio al dettaglio Istat, fotografa una perdita di circa 7,7 miliardi dal 2010 ad oggi, il che equivale a oltre 300 euro di spesa in meno per famiglia.
I dati degli ultimi cinque anni mostrano una profonda crisi soprattutto per le imprese del commercio tradizionale. Il comparto cumula, tra il 2011 e il 2016, una riduzione di quasi 10 punti percentuali del valore, con perdite rilevanti sia sul fronte dei beni alimentari (-11 per cento, circa 2,4 miliardi di euro in meno) che su quello del no food ( -9,3 per centp, pari a una riduzione di circa 4,5 miliardi di euro). Di conseguenza si è ridotta ulteriormente la quota di mercato degli esercizi di minori dimensioni, ormai pari a circa il 27 per cento sul totale e al 16/17 per cento nel comparto grocery.
Leggermente migliore la situzione della grande distribuzione, che limita il calo delle vendite complessive al -1,2 per cento. Ma a tenere in piedi la situazione sono le vendite alimentari nei discount: spostando l'analisi sui due macrocomparti merceologici food e no food, infatti, emerge anche per la Gdo una contrazione rilevante (-6,5 per cento per circa 3,1 miliardi in meno) delle vendite di prodotti non alimentari. Tuttavia, indagando la tipologia distributiva, è chiaro che siano stati i soli discount ad incrementare le vendite, mentre gli altri esercizi a prevalenza alimentare registrano variazioni negative. Segno evidente di uno spostamento del consumatore verso il risparmio.
I consumatori italiani, effettivamente, sembrano aver tagliato tutti i possibili acquisti nei negozi. A sorpresa subiscono una contrazione anche le vendite di farmaci e prodotti terapeutici: in questi sei anni ha registrato una flessione del 7,4 per cento. Ma a perdere più di tutti sono le vendite di libri, giornali, riviste e prodotti di cartoleria, che registrano una contrazione del 15,6 per cento. Picchi negativi anche per gli elettrodomestici, in discesa del 10,4 per cento, e dei prodotti moda: abbigliamento e pellicceria scendono del 7,9 per cento, mentre le vendite di calzature e articoli in cuoio lasciano sul campo il 7,5 per cento. E pure le nuove tecnologie sono al palo: l'informatica e la telefonia mostrano una flessione del -12,6 per cento.
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Re: Economia

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......GEOGRAFIA ECONOMICA DEL 2017......

GERMANIA...............IN PROVINCIA DI NAPOLI..............







Deutsche Bank ai suoi clienti:
'Salvate voi le banche italiane'


La filiale tricolore carica sui correntisti una tassa di 25 euro per recuperare gli 11,7 milioni versati al Fondo bancario

di Marcello Zacché

29 minuti fa
19
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Re: Economia

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Piovono Rane

di Alessandro Gilioli





09 mar

Nella direzione esattamente opposta


Nello stesso giorno in cui il governo introduce le agevolazioni fiscali ai super ricchi, l'economista del governo Tommaso Nannicini spiega alla Stampa che «bisogna far pagare più tasse ai Bill Gates», il che forse rappresenta una contraddizione.

Di sicuro rappresenta uno scontro tra ciò che è evidentemente giusto per tutti (compreso Nannicini) cioè far pagare più tasse al famoso un per cento, e ciò che sembra conveniente al momento, cioè attirare capitali stranieri nel nostro Paese.

Non è la prima volta che si pone questo dilemma, anzi è uno dei problemi più grossi nell'era dei capitali mobili e delle esternalizzazioni: ci sono cose palesemente giuste che però non sembrano convenire. La Tobin Tax è uno degli esempi più evidenti. Ma anche l'imposta sull'attracco dei superyacht, qualche anno fa.

Il motivo per cui si crea questo dilemma è semplice: da un lato ci sono gli Stati nazionali, con le loro regole territoriali; dall'altro i capitali che si muovono come pare a loro. È il motivo per cui non funzionano più le socialdemocrazie di tipo scandinavo, che pure restano il modello storicamente migliore di governo mai realizzato: oggi, se si impongono quelle tasse e quelle regole, i capitali se ne vanno da un'altra parte e ciao.

A questa logica, gli Stati pensano di rispondere con una specie di dumping fiscale: vieni qui a investire che le tasse sono più basse, no vieni qui che io ho messo un punto in meno, ma no vieni qui che è un paradiso fiscale. E così via all'infinito, in una corsa a chi tassa meno i super ricchi. Cioè a fare una cosa sempre più ingiusta.

Allo stesso modo, il dumping diventa anche salariale: ogni Paese cerca di pagare sempre meno i suoi lavoratori, perché così attira capitali. Un'altra corsa verso il basso, un'altra corsa a fare cose sempre più ingiuste.

Non so quanti soldi entreranno in Italia, con queste agevolazioni fiscali ai miliardari stranieri. Soprattutto non so se e quale impatto positivo avranno su tutti gli altri, su quelli che super ricchi non sono, cioè il 99 per cento: non mancano, in questo senso, economisti secondo i quali la riduzione delle tasse per i super ricchi non crea alcun "effetto cascata" per gli altri (Stiglitz, Krugmann etc); e qualche dubbio è lecito anche sul possibile effetto collaterale della gentrificazione, quindi dell'espulsione dei ceti medi e bassi dai centri storici.

So invece per certo che in un pianeta appena più decente la politica degli Stati andrebbe nella direzione esattamente opposta: quella di stabilire regole comuni e accordi internazionali perché i super ricchi abbiano sempre meno scappatoie.

Quella di perseguire i paradisi fiscali, non di imitarli.

Insomma, abbiamo messo una brutta causa nel mondo. Adeguandoci al dumping. Prendendo la strada opposta a quella giusta. E pensando che ci convenga.

Ma, come sanno i buddisti, alla fine mettere brutte cause nel mondo non conviene mai.
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Re: Economia

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Confcommercio, consumi ancora in calo
Consumi in picchiata. La ripresa che millanta il governo continua a latitare e gli indicatori economici fotagrafano ancora una situazione di profonda crisi per il Paese
Franco Grilli - Lun, 20/03/2017 - 12:22

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Consumi in picchiata. La ripresa che millanta il governo continua a latitare e gli indicatori economici fotagrafano ancora una situazione di profonda crisi per il Paese.

Dopo il calo dei dati sulle costruzioni, precipitano ancora i consumi. Secondo l’indicatore di Confcommercio, si è verificata una diminuzione dello 0,1% rispetto a gennaio. Su base annua, c’è stato invece un rialzo nell’ordine dello 0,1%. Il contesto, sostiene Confcommercio, è sempre quello di un prfilo di crescita "modesto" con un’evoluzione che, "seppure in contenuto miglioramento dall’estate del 2016, appare molto debole e inadeguata a produrre stimoli significativi alla ripresa".

Gli esperti di Confcommercio spiegano che "questa situazione ha portato, anche a febbraio, ad un deterioramento della fiducia delle famiglie. I giudizi e le aspettative dei consumatori hanno registrato un peggioramento di tutte le componenti: dalla situazione economica del paese, a quella personale, alle prospettive future. La perdita di fiducia da parte delle famiglie riflette anche il progressivo aumento dell’indice macroeconomico di disagio sociale, (MIC - Misery Index Confcommercio), che si è infatti attestato, a gennaio 2017, sul valore più elevato dell’ultimo anno e mezzo. Leggermente più positiva appare la situazione sul versante delle imprese. A febbraio il miglioramento del sentiment ha riportato l’indice di fiducia poco al di sotto dei valori di fine 2015. L’ottimismo è più accentuato tra gli operatori del commercio al dettaglio e gli imprenditori del manifatturiero, mentre è risultata stabile la fiducia degli imprenditori delle costruzioni e dei servizi di mercato".
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Re: Economia

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Zonaeuro
Crisi economica, la peggiore mai vista è in arrivo: come può difendersi l’Europa?

di Roberto Marchesi | 8 aprile 2017
150
• 3,1 mila


Più informazioni su: Bolla Immobiliare, Brexit, Crisi Economica, Donald Trump, Euro, Ripresa Economica, Unione Europea

Roberto Marchesi
Politologo, studioso di macroeconomia
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Si sentono e vedono spesso ormai nei notiziari tv fantasiosi annunci di “ripresa”. Lo scopo della “buona novella” non è però quello di confortare almeno un po’ un popolo già estenuato da sei anni di durissima crisi, ma solo quello di dare, per osmosi partitocratica, una spintarella a chi è ansioso di tornare in sella al suo giocattolo politico.
Se i nostri sempre distratti politici smettessero almeno per qualche minuto di girare con occhiali sempre più oscurati dalla loro stessa propaganda mediatica, potrebbero vedere anche loro con chiarezza la gigantesca bolla economico-finanziaria molto vicina ormai al punto di rottura. Una pericolosissima bolla i cui segnali di stress sono già da tempo visibili, ma che ora, con i “terremoti” scatenati da Brexit, Trump e dalle prossime elezioni europee, rischia di innescare la peggiore crisi economica che il mondo moderno abbia mai conosciuto.
Lo sconquasso sulle democrazie occidentali creato dalla globalizzazione selvaggia, alimentata da un capitalismo ottuso e autoreferenziale sul quale nessuno finora è riuscito a mettere freno (e tantomeno ci potrà riuscire Trump con il suo decisionismo estremo, di stampo autoritario che crea tensioni ovunque, non solo di tipo economico-finanziario).
Contemporaneamente si assiste però a una straordinaria ripresa economica americana che ha raggiunto nell’ultimo semestre una fase di vero “boom” economico. Tutti i principali indicatori economici americani hanno infatti raggiunto livelli di grande positività. La Borsa viaggia su livelli record, ben sopra a quelli che hanno preceduto la crisi del 2007-2008. (l’indice Standard & Poor’s viaggia al 70% sopra il suo valore medio storico). I valori immobiliari hanno compiuto negli ultimi 12 mesi un ulteriore rialzo di 5 punti percentuali, superando abbondantemente i livelli pre-crisi 2008. L’indice della “confidenza” dei consumatori ha raggiunto il massimo livello da 15 anni a questa parte. La disoccupazione è scesa fino al minimo storico del 4% a livello nazionale. Il dollaro guadagna poco o tanto su quasi tutte le altre valute e l’inflazione è ripartita finalmente raggiungendo (e superando di poco) la fatidica quota del 2% considerata livello ottimale per un regolare cammino dell’economia nazionale.
Ma non è tutto oro quello che luccica. I valori immobiliari hanno raggiunto il top anche grazie al ritorno dei mutui “subprime”. Le operazioni finanziarie continuano a crescere quasi senza freni. Le grandi banche continuano a fare ottimi guadagni riempiendosi la “pancia” di titoli ad alto rischio che, sicuramente, non riusciranno tutte a smaltire per tempo in caso di scoppio della “bolla”.
Ma perché dovrebbe scoppiare quella bolla? La risposta è banale: perché tutte le bolle, se si continua a farle crescere, sono destinate a scoppiare. Chris Taylor sul quindicinale Fortune di inizio marzo cita addirittura dati statistici sull’andamento e l’alternanza “bull”-“bear” dei mercati per avvisare che i dati statistici fissano in 54 mesi la durata media (finora) del “bull market”. Ma attualmente siamo già nel 95esimo mese di crescita, quindi statisticamente nel 2017 siamo già in piena area di alta probabilità che la bolla possa scoppiare e che una nuova pesantissima crisi possa partire.
Se poi consideriamo che tra le grandi potenze economiche solo gli Usa stanno attualmente attraversando una fase di robusta crescita economica mentre nel resto del mondo, incluso la Cina, o c’è rallentamento o c’è già grave crisi, come attesta il curioso, ma sincero “Misery Index” curato da Bloomberg, il pensiero che tra non molto l’Europa (e l’Italia in particolare, a causa del suo elevato debito e della sua classe politica fortemente screditata) dovrà di nuovo affrontare un’altra pesantissima crisi, tutto questo potrebbe far gelare il sangue nelle vene a qualunque primo ministro o ministro di vertice di qualunque nazione.
Eppure nei nostri leader, o candidati tali, non si vede traccia alcuna di preoccupazione. Attualmente sono tutti impegnati a sgomitare per essere in prima fila quando (tra circa un anno!) potrebbero essere chiamati dal presidente Mattarella per formare il nuovo governo della nuova legislatura. Tra i nostri politici abbonda solo il narcisismo. Non sorprende quindi che l’Italia, più per motivi politici che economici, sia messa peggio dei nostri principali concorrenti europei e globali. Come riuscirà pertanto a sopportare la nuova grande crisi che (è solo questione di tempo!) arriverà presto a colpire di nuovo sicuramente e ancor più pesantemente il nostro paese?
L’ipotesi di uscire oggi dall’euro, da soli, è troppo azzardata. Chi aiuterebbe la povera Italietta a camminare da sola? Putin? Trump? Non scherziamo. Il primo pensa solo a far grande la Russia, l’altro a far grande se stesso.
L’unica concreta via d’uscita per noi e per l’Europa da questa angosciante situazione sarebbe la creazione (subito!) di una Europa Unita con le medesime normative per tutti ma inizialmente con due monete: un euro forte e un euro debole. Le due monete tenderebbero naturalmente da una parte a rivalutarsi e dall’altra a svalutarsi. Si otterrebbe così un efficace riallineamento in grado di ricreare abbastanza velocemente le condizioni per fare una vera Unione europea senza primi della classe.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... a/3508477/
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