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paolo11
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NTERVISTA
di Gabriella Colarusso
Trentacinque arresti e quasi 100 indagati. Un'opera pubblica costata già più di 4 miliardi di euro, circa il doppio dell'investimento previsto inizialmente, che ora rischia lo stop. E una città, Venezia, che si ritrova con il suo primo cittadino agli arresti domiciliari a pochi giorni dall'inaugurazione della biennale dell'Architettura.
BERLATO: «UNO SCANDALO ANNUNCIATO». La maxi-inchiesta della magistratura veneziana sugli appalti per la realizzazione del Mose è un altro duro colpo all'immagine internazionale dell'Italia, dopo il clamore suscitato dall'indagine lombarda sui lavori per la realizzazione dell'Expo. Eppure quello della Serenissima, dice a Lettera43.it Sergio Berlato, ex consigliere e assessore regionale del Veneto, europarlamentare del Pdl per due legislature, non ricandidato alle ultime elezioni per Strasburgo, è «uno scandalo annunciato».
LA DENUNCIA DI IRREGOLARITÀ. Un anno fa, nel febbraio 2013, Berlato si era rivolto alle procure di Vicenza e Venezia per denunciare una serie di irregolarità nell'assegnazione degli appalti pubblici in regione. Irregolarità che gli erano state segnalate «da alcuni imprenditori», spiega. «È un sistema di malaffare trasversale ai partiti e che riguarda non solo il Mose ma gli appalti per la sanità, per la ristorazione, il project financing».
Sergio Berlato.
DOMANDA. Cosa aveva denunciato ai magistrati?
RISPOSTA. Ho portato in Procura tutta la documentazione che mi era stata consegnata da alcuni imprenditori veneti e lombardi, di cui non faccio i nomi perché sulle indagini c'è il segreto istruttorio, che erano stanchi di subire un sistema in cui gli appalti vengono affidati sempre alle stesse imprese, un paio, le solite. Lavora solo chi paga.
D. Accuse pesanti. Aveva prove di avvenute corruzioni?
R. Non faccio il carabiniere. Ho consegnato tutto agli inquirenti perché accertassero i fatti e facessero luce sul sistema del malaffare veneto.
D. Che tipo di documentazione era?
R. Ripeto, c'è il segreto istruttorio, ma posso dire che c'erano anche documenti riguardanti trasferimenti di denaro estero su estero attraverso finanziarie.
D. Perché parla di sistema?
R. Perché è un meccanismo trasversale ai partiti: soggetti appartenenti a forze politiche sia di centrodestra sia di centrosinistra usano la pubblica amministrazione per i loro affari. Un tema su cui bisognerebbe riflettere è quello del project financing, che consente a pochi affaristi di arricchirsi con denaro pubblico.
D. Non è un po' presto e un po' forte, parlare come fa lei di nuova Tangentopoli? Si è innocenti fino a sentenza passata in giudicato.
R. Ho la sensazione che siamo dinanzi a qualcosa di ben più grande di Tangentopoli. Il sistema del malaffare in Veneto non riguarda solo il Mose, ma anche il settore della sanità, dei servizi, della ristorazione, le opere post alluvioni. Spero di sbagliarmi, ma i 35 arresti sono solo la punta dell'iceberg.
D. Cosa intende?
R. Bisognerà ora capire se in 15 anni, imprenditori, politici e corruttori vari hanno avuto coperture anche tra gli inquirenti e nei palazzi della giustizia.
D. Perché gli imprenditori si sono rivolti a lei e non direttamente alla magistratura?
R. Hanno avuto coraggio, e il mio compito era denunciare le cose che mi erano state segnalate. Lo rifarei, anche se questo mi è costato la cancellazione dalle liste elettorali di Forza Italia alle ultime elezioni europee.
D. Veramente i suoi contrasti con il partito riguardavano anche altri temi, a cominciare dalle sue posizioni sulla caccia.
R. È vero, ma credo che anche le mie posizioni su questo tema abbiano influito. In ogni caso non è un problema, torno a casa mia, in quella che era Alleanza nazionale. Torno a fare il semplice militante, in Fratelli d'Italia.
Mercoledì, 04 Giugno 2014 © RIPRODUZIONE RISERVATA
TAG: INCHIESTA MOSE - MOSE - TANGENTI MOSE - SERGIO BERLATO
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Contrasto violento tra il vomito melenoso di Carlo Coppola e l'eleganza, lo stile, la cultura e la signorilità di Carlo Nordio della Procura di Venezia.
Canoi 04/giu/2014 | 14:34
x Carlo Coppola. Ma il suo livore dipende dal fatto che non ha mai partecipato? Troppo buzzurro nessuno l'ha mai inserito, anche per il malaffare ci vuole un po' di stile. Insomma tutta invidia?
Canoi 04/giu/2014 | 14:03
Avete presente le calli a Venezia? la calle va diritta poi d'improvviso scantona. Tu cammini e senti parlare molto chiaro, è qualcuno che, sull'altro lato, parla e tu non sai chi sia. Ecco cosa vuol dire: i muri parlano. A Venezia da anni i muri dicevano quello che questa mattina è successo. I nomi sono sempre quelli, unico stupore Orsoni (gli hanno pagato la campagna elettorale?)..
http://www.lettera43.it/cronaca/inchies ... 131193.htm
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Il Mose è costato gia il doppio di quello preventivato all'inizio.Ora per completarlo ci vuole 1 miliardo.
Cominciamo a recuperarlo da questi ladri.
Gli 80 euro anche per famiglie mono reddito con piu figli non ci sono.
Scomettiamo che il miliardo per il Mose esce fuori! sempre dalle nostre tasche.Aveva ragione Grillo. Controllare i soldi quando uno entra in politica il suo capitale.Vedere ora cosa hanno.
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: Venezia Il Mose

Messaggio da camillobenso »

Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scaricato così Orsoni: "Contrariamente a quello che ho letto stamani non è iscritto al Pd. Non ha tessera.


Si vede che "Orsi grandi" è stato eletto nel partito di mia nonna, e non per il PdC.





Laura Puppato: "Per il Pd è arrivato
il momento del mea maxima culpa"

Renzi: "Regole? Il problema sono i ladri. Via per sempre i politici che rubano". Ma non cita Orsoni
La senatrice dem, sul Fatto.it, chiede l'autocritica. Il Mattinale di Brunetta, intanto, difende Galan
Laura Puppato: "Per il Pd è arrivato il momento del mea maxima culpa"
A oltre 24 ore dalla raffica di arresti "bipartisan" per mazzette a Venezia il premier Renzi parla. Ma non cita il sindaco sostenuto dal Pd arrestato e gli altri dirigenti del partito coinvolti. Prima di lui Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scaricato così Orsoni: "Contrariamente a quello che ho letto stamani non è iscritto al Pd. Non ha tessera. Avrà modo di difendersi nelle sedi opportune". Cantone: "Più grave di Expo". Grillo: "Noi #vinciamopoi, ma intanto #arrestanovoi" (leggi)

http://www.ilfattoquotidiano.it/
camillobenso
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Re: Venezia Il Mose

Messaggio da camillobenso »

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5 GIU 2014 10:05
1. IMPRENDITORI, MAGISTRATI CONTABILI, GENERALI DELLA FINANZA, POLIZIOTTI, FUNZIONARI DEI SERVIZI, POLITICI DI OGNI RAZZA: NEL SISTEMA-MOSE NON MANCA NESSUNO! -


2. TI CREDO: UN APPALTO DA 5 MILIARDI, SENZA GARA E CON UN UNICO CONSORZIO. GIRAVANO TALMENTE TANTI SOLDI CHE SI ERANO FATTI PURE IL “CONTROSPIONAGGIO” -


3. CI PENSAVA IL GENERALE SPAZIANTE, NUMERO DUE DELLA FINANZA ED EX SPIA, A RIFERIRE DELLE INDAGINI SUL “DOGE” MAZZACURATI, PIERGIORGIO BAITA E IL RESTO DELLA CRICCA -


4. IL PESCE POLITICO PIÙ GROSSO ERA GALAN, CHE SECONDO IMPRENDITORI E LA SUA SEGRETARIA PRENDEVA UNO STIPENDIO DA UN MILIONE L’ANNO. PURE QUANDO HA MOLLATO LA POLTRONA DI GOVERNATORE: SI CHIAMA “RENDITA DI POSIZIONE”, UN “CONGUAGLIO” -


5. LA BANDA DEL MOSE GLI AVREBBE ANCHE PAGATO I LAVORI IN VILLA. LUI NEGA TUTTO: “ACCUSE INVEROSIMILI DI PERSONE CHE IN CAMBIO HANNO AVUTO MITI TRATTAMENTI GIUDIZIARI” -

1. MOSE, LE MAZZETTE-VITALIZIO: “PAGA FISSA, VIAGGI E HOTEL”

Paolo Berizzi per “la Repubblica”


Mose ha aperto le acque, sotto c’è il baratro di Venezia. Un fondale melmoso dove hanno strisciato per dieci anni politici squali affamati di tangenti «anche dopo il pensionamento», tipo vitalizio, «pacchetti e pacchettini» per «ristrutturare la villa» come è riuscito a Giancarlo Galan al quale, bontà sua, non bastassero i muratori pagati dalla Mantovani spa, casualmente nella torta Mose, era assicurato «uno stipendio annuo di 900mila euro».

Più morigerato, ma forse è solo questione di ruoli e di tempi, il sindaco Giorgio Orsoni: 560 mila. Una tantum anzi no, a rate. «In tre mesi ho portato i soldi a casa sua», confessa Giovanni Mazzacurati. Il «capo supremo», il «re», il «monarca», l’«imperatore», il «doge».

Lo chiamano così i sottoposti, le iperboli che si addicono a chi presiede il consorzio a cui è stata affidata un’opera da 5miliardi, «il progetto più grande del mondo». «Il capo supremo era scoglionato... ma poi è diventato tutto arzillo dopo la cena con il mio amico di Padova » (il sindaco di Padova Zanonato, ndr), dice del suo dominus uno dei più fidati collaboratori. Avevano addosso gli occhi dei sindacati: «C’è uno che al Tg3 ha detto: “È ora di finirla, questi qua fanno soldi con il Mose, poi vengono qua e si comprano la sanità pubblica”».


Questi qua sono loro, il branco di piranha che s’addensava intorno agli squali. I «loro» imprenditori. Quelli che «prima li paghiamo — i politici — e poi andiamo a batter cassa». Dice ancora l’ingegnere Mazzacurati: «Adesso con i tagli grossi vengono pacchetti piccoli... ».

Glieli portava direttamente lui i soldi al consigliere regionale Pd Giampiero Marchese, invero non il più ingordo giacché il «meccanismo », come lo chiamano i magistrati nelle 710 pagine di ordinanza del gip Alberto Sacaramuzza, si accontentava di piccole tranches «da 15 mila euro a volta». Più che un’idrovora una cerniera, Marchese. «Era il collettore di soldi del Consorzio Venezia Nuova (Cvn) per la sinistra. Galan e Chisso (Renato Chisso, assessore regionale forzista alle Infrastrutture, ndr) lo erano per la destra».

C’è un codice più o meno sofisticato che i mazzettari della Laguna osservavano per tessere la loro rete. È fatto di «dazioni obbligate», «rendite di posizione», «fondi neri»che qui, splendido anagramma della corruzione, diventano «fondo Neri» (dal nome di Luciano Neri, il “cassiere” di Mazzacurati” del Cvn). Bisogna leggere attentamente le parole del gip. «Il meccanismo — annota — arrivava al punto di integrare in un’unica società corrotti e corruttori». Un abisso «talmente profondo che non sempre è stato possibile individuare il singolo atto specifico contrario ai doveri d’ufficio».

Eccoli gli ingranaggi del meccanismo. C’è un sindaco che nella sua bella casa di San Silvestro, due passi dal ponte di Rialto, riceve il corruttore: il «grande amico» Mazzacurati. Un caffè veloce? «Ho saturato la cifra richiesta», ammette il costruttore. «Anche tranches da 150 mila euro». Non è uno che va per il sottile il «doge».

«Tutti i nostri amici gonfiano», ammonisce al telefono. Fatturazioni off shore, «esterovestizione» per dirla con l’economichese della polizia tributaria. Ma anche di carta igienica si parla. Racconto di Pio Savioli, responsabile del Consorzio per i rapporti con le cooperative: «Il magistrato alle Acque era in subordine al Consorzio Venezia Nuova... cioè Venezia Nuova li comprava... sudditanza psicologica e anche operativa... Cioè gli comprava anche la carta igienica, è vero, non è una battuta».

Tutto nello stesso contenitore che tiene dentro squali, piranha e pesci piccoli. «Le nomine del Magistrato delle Acque da sempre le ha fatte l’ingegnere Mazzacurati — dice Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan e imprenditrice del cemento — Cioè faceva in modo che venisse nominata una persona a lui gradita, gradita al Consorzio».

Non manca nessuno nel canovaccio di questa commedia dell’arte (di rubare). Il sindaco (Orsoni). L’assessore (Chisso). Il “governatore” (Galan). Gli altri politici da oliare (Marchese, Lia Sartori eurodeputata Pdl non rieletta). Poteva mancare il generale della Guardia di Finanza in pensione? No, infatti è spuntato lui, Emilo Speziante.

«Con Mazzacurati si incontrano nella residenza romana dell’imprenditore ». Residence Ripetta, via di Ripetta. Il doge gli chiede un occhio di favore. E qualche soffiata. Speziale è richiesto di «influire in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Cvn». Tutto bene oliato con «la promessa di 2,5 milioni di euro». Il sistema Mose sapeva essere riconoscente. Anche quando uno lasciava il suo incarico. Anche dopo la pensione.

LA RENDITA DOPO LA PENSIONE

«A volte la mazzetta viene pagata anche quando il pubblico ufficiale corrotto ha cessato l’incarico o quando il politico ha cessato il suo ruolo a livello locale», recita l’ordinanza del gip. Si chiama «rendita di posizione». Un «conguaglio», o «stipendio fisso» che «prescinde dal singolo atto illecito commesso».

Così ingrossava il conto Vittorio Giuseppone, ex magistrato della Corte dei conti. Così Orsoni e Chisso e Lia Sartori potevano farsi le campagne elettorali ma non solo. «Orsoni prima ha fatto una cifra e poi l’ha aumentata», dice Mazzacurati

che del primo cittadino veneziano ricorda, in alcune occasioni, la prudenza. «Chiedeva di consegnare denaro a qualcuno che lo copriva».

I «pacchettini» sono scivolati di mano in mano dal 2003 a oggi.

Ognuno riceveva in base a quanto era in grado di dare. Ecco, se esiste un asso pigliatutto quello potrebbe rispondere al nome di Giancarlo Galan. «Era a libro paga dei costruttori del Mose», scrive il gip. Tra 2005 e 2008 l’ex governatore e fedelissimo berlusconiano si è messo in tasca emolumenti per 900 mila euro l’anno.

Un affarista il Galan che esce dalle carte. Tra conti a San Marino e pacchetti azionari nelle società coinvolte negli affari della Regione, con il suo fidato assessore Chisso faceva lavorare «imprese con le quali era in debito». «Galan ha continuato a chiedermi denaro anche dopo la scadenza del suo mandato in Regione», dice l’ad della Mantovani spa Piergiorgio Baita.

Questo era il Consorzio Venezia Nuova. «Un gruppo di pressione per ottenere le modifiche normative d’interesse», scrive il gip. «Buste bianche» e «bigliettoni». E poi viaggi. Viaggi per agganciare i big della politica. Come Tremonti, allora superministro, a cui Mazzacurati prova a arrivare attraverso il suo braccio destro Marco Milanese oliato con 500mila euro. «Prenotami una stanza al Grand Hotel», chiede il “Doge” alla sua segretaria. «Sì, che in quei due giorni c’è Matteoli che parla».

Non gli è andata giù, a Mazzacurati, che il governo abbia nominato Ciriaco D’Alessio presidente del Magistrato alle Acque. «Oggi vedo il Dottore», promette sior Giovanni. Il Dottore è Gianni Letta. Lo riceva a Roma il 23 settembre 2011. Ma forse Letta non basta. «Lì ci vuole un atto di imperio di Berlusconi». Così parlo l’uomo del Mose prima che le acque si aprissero.



2. IL MANAGER REO CONFESSO “AL GENERALE SPAZIANTE TRECENTOMILA EURO” - MAGISTRATI E 007 A LIBRO PAGA PER SPIARE LE INDAGINI

Paolo Colonnello per “La Stampa”

«Questo incontro che Mazzacurati aveva fatto con Meneguzzo avrebbe comportato il pagamento di due milioni e mezzo alla Guardia di Finanza, di cui 300 mila subito e il conferimento a Meneguzzo (ad di Palladio Holding, ndr) di 300 mila euro all’anno, più 400 mila euro di fee… Seppi poi che la Guardia di Finanza a cui si riferiva era il generale Emilio Spaziante e, oltre ai 300 mila euro, ne furono richiesti altri 200 mila…».

Parola di Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni, grande reo confesso di questa vicenda. Per esempio: «Se il presidente della Regione mi dice: “Mi dai una mano?”, lei gliela dà, non si chiede perché». Chiede il pm: quindi lui chiedeva e voi davate? «Per forza, come fai a dire di no?… Sì ma, voglio dire, Galan non era più governatore, era ministro, eh!…». Non c’è scampo: un milione all’anno «di stipendio», più lavori in villa pagati.

Ricatti, intrighi, spionaggio, tangenti: c’è di tutto in questa marea di schifezze che sta sommergendo Venezia. Confronto alla cricca maneggiona e un po’ millantatrice che ruotava intorno all’Expo, questi del Mose sono un’organizzazione di geometrica potenza il cui fine «era quello di una sistematica e continuativa condotta corruttiva di pubblici ufficiali, sia in qualità di funzionari che di politici… essendo la corruzione finalizzata all’ottenimento di finanziamenti e di lavori da parte delle società consorziate rientranti nel gruppo Mantovani».

Un gruppo che, a partire dall’ingegner Baita, finito nel mirino anche nelle inchieste milanesi di Expo, per arrivare al «Grande Vecchio» del Consorzio Venezia Nuova, l’ingegner Giovanni Mazzacurati, (liquidato l’anno scorso dalla società pubblica con 7 milioni di euro) si era strutturato perfino con un servizio di «controspionaggio» per intercettare le inchieste che li riguardavano. Ed è questo, forse, il dato più inquietante che emerge dall’indagine e che si riassume nel nome del generale di corpo d’armata Emilio Spaziante, un passato nei Servizi Segreti, fino a due mesi fa numero due della Guardia di Finanza, che ieri gli ha messo le manette.

Al generale, per «influire in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Consorzio Venezia Nuova», vengono promessi da Mazzacurati 2 milioni e mezzo di euro, di cui 500 mila versati e spartiti con Marco Milanese, altro personaggio plurinquisito (è indagato nell’inchiesta Bpm), ex braccio destro del ministro delle Finanze Giulio Tremonti, e con Roberto Meneguzzo, Ad di Palladio Holding, gruppo finanziario vicentino molto noto.

D’altronde la torta da spartire era quasi illimitata: 5 miliardi di euro per salvare Venezia dalle sue acque ma non dagli squali, e avere in concessione la quasi totalità degli appalti senza gara, senza concorrenza, senza alcun confronto tra costi e progetti alternativi.

Nelle carte è documentato un incontro tra il generale e Meneguzzo nella sede di Palladio a Milano l’8 settembre 2010 per ricevere una parte dei soldi.

Scrivono i giudici: «Ecco che proprio nel momento in cui riceve i soldi, Spaziante chiama per 4 volte il comandante del Nucleo della Gdf di Venezia che stava svolgendo attività di verifica, per dimostrare… di essere in grado di acquisire notizie riservate sulle indagini».

Del resto, i benefici effetti del rapporto tra il presidente del Consorzio Mazzacurati e Spaziante, mediato da Meneguzzo, si vedono in fretta: «Sei mesi di registrazioni… il mio telefonino, mi hanno detto è ancora sotto controllo fino alla fine dell’anno», spiega Mazzacurati all’ex diplomatico Antonio Armellini.

«Mi hanno detto, che mi hanno registrato una telefonata con Matteoli (l’ex ministro di An finito sotto inchiesta, ndr) e col dottor Letta… pensi che la telefonata che mi hanno raccontato io me la ricordavo benissimo…».

Secondo i magistrati la rete di spionaggio comprendeva di tutto: da magistrati contabili, a poliziotti, a funzionari dei Servizi. L’acqua marcia di Venezia.



3. MOSE, LA SEGRETARIA DI GALAN AI PM: “PER LUI UNO STIPENDIO DALLE AZIENDE”

Mario Portanova per www.ilfattoquotidiano.it

“La cosa era molto variabile, si può considerare un milione l’anno”. Così, agli atti dell’inchiesta della Procura di Venezia sul Mose, che ha portato all’arresto di 25 persone, tra le quali il sindaco Giorgio Orsoni, è descritta la retribuzione di Giancarlo Galan, già presidente della Regione Veneto e attuale deputato di Forza Italia, da parte delle aziende che si sono aggiudicati i lavori del sistema di dighe mobili destinato a proteggere la città lagunare dall’acqua alta.

Un affare da oltre 5 miliardi di euro. A raccontarlo ai pm, nell’interrogatorio del 31 luglio 2013, è Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, che raccoglie appunto quelle imprese. Una conferma arriva ai magistrati da Claudia Minutillo, segretaria di Galan all’epoca dei fatti, poi passata alla Mantovani costruzioni, grande protagonista dei lavori del Mose: ”Era un sistema, cioè ogni tot quando loro potevano gli davano dei soldi”.

Dall’ordine di custodia – che per quanto riguarda l’onorevole Galan dovrà essere esaminato dalla Camera – emergono tanti altri pagamenti. Un milione e 100mila euro per ristrutturare la villa sui Colli Euganei; 200mila euro consegnati nel 2005 all’Hotel Santa Chiara di Venezia da Piergiorgio Baita, allora presidente della Mantovani Costruzioni, diventato la gola profonda dell’inchiesta con ampie confessioni, per finanziare la sua campagna elettorale.

GIORGIO ORSONI
GIORGIO ORSONI

E ancora: 50mila euro, nello stesso anno, versati in un conto corrente presso S.M. International Bank Spa di San Marino. Più altri finanziamenti per altre campagne elettorali consegnati sempre da Baita alla Minutillo. Ed è ancora la segretaria a raccontare ai pm che un’ulteriore ricompensa consisteva nell’”intestare quote di società che avrebbero poi guiadagnato ingenti somme dal project financing a prestanome dei politici di riferimento”, Galan in primis.

Qual era, secondo l’indagine, la contropartita di retribuzioni così sostanziose? Dalla Regione, per procedere con i lavori, il Consorzio Venezia Nuova doveva ottenere essenzialmente la Valutazione d’impatto ambientale e la salvaguardia per la realizzazione delle dighe in sasso. Da qui, secondo l’accusa, la necessità di ungere abbondamente le ruote. In interrogatorio, a proposito dei soldi versati a Galan e all’assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso (Forza Italia), Baita parla di “fabbisogno sistemico” e afferma: “Credo che noi abbiamo pagato tra Adria e Mantovani 12 milioni di euro. Penso che ne siano stati retrocessi sei”.

Galan ha un ruolo fondamentale: è lui ad accompagnare Mazzacurati, presidente del Consorzio, al cospetto di Gianni Letta, quando quest’ultimo è sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo di Silvio Berlusconi.

Nel 2006, ricostruisce il gip Alberto Scaramuzza, “la giunta regionale - presidente Giancarlo Galan, relatore Renato Chisso – individuava nel segretario alle Infrastrutture Silvano Vernizzi il ruolo del presidente della Commissione di valutazione di’impatto ambientale. In violazione della legge regionale 10/1999″, che assegna il compito “al segretario regionale competente in materia ambientale”.

Passo successivo, “l’estromissione” di un ente di controllo terzo, l’Ispra, emanazione del ministero dell’Ambiente, sostituito dalla Regione medesima per iniziativa, ancora, di Chisso. Dice Baita nell’interrogatorio del 28 maggio 2013: per “l’approvazione da parte della Commissione Via della regione Veneto delle dighe in sasso, Mazzacurati mi disse che gli era stato richiesto dall’assessore Chisso a nome di Galan il riconoscimento di 900mila euro.

Altro episodio specifico è stata l’approvazione in Commissione di salvaguardia del progetto definitivo del sistema Mose per il quale, sempre attraverso l’assessore Chisso, ma a nome del presidente Galan, fu richiesta la somma di ulteriori 900mila euro”. Era Chisso a farsi portavoce delle richieste, “perché Galan lo pressava”. E ancora Baita, il 27 settembre 2013, a precisare ai pm che le somme non erano per il partito, ma “per il singolo lucro del singolo destinatario”. Da qui l’accusa di corruzione, e non di finanziamento illecito. Il comportamento del presidente della Regione, scrive il gip, ha “particolannente danneggiato l’interesse pubblico alla tutela ambientale“.

Secondo Baita, i versamenti a Galan sono continuati anche quando il politico padovano non era già più presidente del Veneto. Lo conferma in interrogatorio, il 19 marzo 2013, l’ex segretaria dello stesso Galan, Claudia Minutillo, secondo la quale i pagamenti non erano finalizzati a ricompensare i singoli passaggi amministrativi del Mose. “Le procedure andavano avanti (…), ma era un sistema, cioè ogni tot quando loro potevano gli davano dei soldi”.

“Come fosse uno stipendio“, chiede il pm? “Sì, di fatto”. Tanto che “Baita a volte si lamentava di quanto veniva a costare Galan”. Soldi comunque ben spesi, a quanto spiega ancora Minutillo: “A fronte dei pagamenti, il governatore e l’assessore Chisso agevolavano il Gruppo Mantovani nella presentazione e nell’iter burocratico ralativi al project financing che le società del gruppo Serenissima Holding presentavano in Regione. Quasi sempre era la Mantovani a presentare il progetto, ma i tempi di presentazione, i lavori in relazione ai quali presentarli erano concordati con il Galan e il Chisso da parte del Baita”.

Tale era poi il controllo di Galan su “commissioni e assessorati”, che qualunque progetto passava senza “alcun tipo di intoppo o di obiezione”. E’ Mazzacurati a ricordare, per esempio, quella volta che Galan tornò precipitosamente in sede per far approvare un’opera in laguna, funzionale al cantiere Mose, “contrastata dai Verdi”.

Fra le contestazioni a Galan c’è quella di aver ottenuto il pagamento della ristrutturazione della propria villa di Cinto Euganeo, nel padovano. Nel 2007/2008 venne ristrutturato il corpo principale del casale e nel 2011 la “barchessa”. Per portarli a termine, la Tecnostudio Srl “sovrafatturava alla Mantovani alcune prestazioni effettuate presso la sede e per il Mercato Ortofrutticolo di Mestre”. La ristrutturazione della villa quindi a Galan non costò nulla: con le fatture false a pagare era la Mantovani Costruzioni.

Il politico di Forza Italia, più volte ministro e attuale parlamentare, si dichiara estraneo a tutta la vicenda. “Dalle prime informazioni che ho assunto e da quanto leggo sui mezzi d’informazione, mi dichiaro totalmente estraneo alle accuse che mi sono mosse, accuse che si appalesano del tutto generiche e inverosimili, per di più, provenienti da persone che hanno già goduto di miti trattamenti giudiziari e che hanno chiaramente evitato una nuova custodia cautelare”.
paolo11
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Re: Venezia Il Mose

Messaggio da paolo11 »

#arrestanovoi La rete si scatena
L'hashtag lanciato da Beppe Grillo fa scatenare la rete
Pubblicato il 05/06/2014 da Redazione La Fucina
#arrestanovoi

Ieri la notizia dell’arresto del sindaco di Venezia e altri big del capoluogo veneto: “L’ondata che travolge Venezia questa volta non è di marea, ma di arresti. Manette eccellenti a politici di primo piano e funzionari pubblici, fatte scattare dai magistrati che da tre anni seguono il sistema di fondi neri, tangenti e false fatture con cui, sostengono, si teneva in piedi il sistema di appalti collegati al Mose, l’opera colossal – 5 miliardi di euro – che entro il 2017 proteggerà la città dalle acque alte.”
Oggi Beppe Grillo ha scritto un post dal titolo “Noi vinciamo poi, intanto #arrestanovoi” e ha elencato tutti gli arrestati eccellenti del Pd:
“- Arrestato sindaco PD di Modugno per concussione
- Arrestato sindaco PD di Melito Porto Salvo per associazione mafiosa
- Arrestato sindaco appoggiato dal PD di Valmadrera per associazione mafiosa
- Arrestato sindaco PD di Pioltello per tangenti.
- Arrestato sindaco PD di Carlatino per concussione
- Primo Greganti del PD arrestato per lo scandalo Expo
- Francantonio Genovese deputato PD arrestato per associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa
- Arrestato sindaco PD di Venezia per le tangenti Mose
- [continua...]“
E ha lanciato l’hashtag #arrestanovoi, che su Twitter è subito diventata tendenza.
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#mazzettastaiserenissima, questo il titolo dell'editoriale scritto da Marco Travaglio su Fatto Quotidiano di oggi, 5 giugno. Il giornalista approfondisce il tema del giorno: il caso delle presunte tangenti pagate per gli appalti del Mose a Venezia. Travaglio comincia così il suo editoriale:

Se esistesse ancora un minimo di decenza, milioni di persone perbene - elettori, giornalisti, intellettuali, eventuali politici e imprenditori - dovrebbero leggersi l'ordinanza dei giudici di Venezia sul caso Mose e poi chiedere umilmente scusa a Beppe Grillo e ai suoi ragazzi. Anni e anni sprecati ad analizzare il suo linguaggio, a spaccare in quattro ogni sua battuta, a deplorare il suo populismo, autoritarismo, giustizialismo, a domandarsi se fosse di destra o di centro o di sinistra, a indignarsi per le sue parolacce, a scandalizzarsi per le sue espulsioni, ad argomentare sui boccoli di Casaleggio e sul colore del suo trench, a irridere le gaffes dei suoi parlamentari, a denunciare l'alleanza con l'improbabile Farage (l'abbiamo fatto anche noi, ed era giusto farlo, ma in un paese normale: dunque non in Italia). Intanto destra, sinistra e centro - quelli che parlano forbito e non hanno i boccoli - rubavano. Rubavano e rubano tutti, e insieme, sempre, regolarmente, scientificamente, indefessamente, su ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico.
La "Grande Razzia" è sopravvissuta a Mani Pulite, prosegue il giornalista, mettendo in evidenza il fatto che rubare è una prerogativa della classe politica-imprenditoriale italiana. Leggiamo:
Anzi, ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico servono soltanto a far girare soldi per poterli rubare. Tutti i più vieti luoghi comuni del qualunquismo bar - sono tutti d'accordo, è tutto un magnamagna - diventano esercizi di minimalismo davanti alla Cloaca Massima che si spalanca non appena si intercetta un telefono, si pedina un vip, si interroga un imprenditore. Basta sollevare un sasso a caso per veder fuggire sorci, pantegane, blatte e bacherozzi maleodoranti con i nostri soldi in bocca, o in pancia (il Mose doveva costare 2 miliardi, ne costerà 6 e ora sappiamo perché). La Grande Razzia che ha divorato l'Italia e continua a ingoiarsene le ultime spoglie superstiti è sopravvissuta a Mani Pulite, agli scandali degli ultimi vent'anni e alla crisi finanziaria, nutrendosi dell'impunità legalizzata, dell'illegalità sdoganata e dell'ipocrisia politichese di chi vorrebbe ancora convincerci che esistono i partiti, le idee, i valori della destra, del centro e della sinistra.
Travaglio prosegue nella sua accusa citando anche l'articolo 27 della Costituzione che disciplina la presunzione di colpevolezza. Secondo il giornalista, questo articolo ha perso il suo significato.
Invece esiste soltanto una gigantesca, trasversale, post-ideologica associazione per delinquere che si avventa famelica su ogni occasione per rubare, grassare e ingrassare a spese di quei pochi fessi che ancora si ostinano a pagare le tasse. A ogni scandalo ci raccontano la favola delle mele marce, la frottola della lotta alla corruzione, l'annuncio di regole più severe, la promessa del rinnovamento, della rottamazione. E intanto continuano a rubare, secondo un sistema oliato e collaudato di larghe intese del furto che precede e spiega le larghe intese di governo. E la totale mancanza di opposizione a sinistra negli anni del berlusconismo rampante e rubante. Anche l'art.27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini su Expo e sul Mose, dove i protagonisti delinquono in diretta telefonica, o a favore di telecamera: non c'è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero. Politici, imprenditori, funzionari, generali della Finanza, giudici amministrativi e contabili. Il solito presepe di sempre, che avvera un'altra celebre battuta da bar: a certi livelli "non esistono innocenti, solo colpevoli non ancora presi". Renzi non ruba, e i suoi fedelissimi sono lì da troppo poco tempo.
In conclusione, ecco la stoccata a Piero Fassino:
Ma rischia di diventare il belletto per mascherare un partito marcio con cui - per prenderne il controllo - ha accettato troppi compromessi. Marcio nella testa prim'ancora che nelle tasche. Ieri, senz'aver letto un rigo dell'ordinanza, l'ineffabile Piero Fassino già giurava sulla leggendaria probità del sindaco Orsoni appena arrestato ("chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza"), invitando i giudici ad appurarne al più presto l'innocenza per "consentirgli di tornare alla funzione di sindaco". Perché, se ne appurassero la colpevolezza cosa cambierebbe? Fassino lo promuoverebbe a suo braccio destro, come ha fatto con Quagliotti pregiudicato per tangenti?
http://www.tzetze.it/redazione/2014/06/ ... index.html
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: Venezia Il Mose

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Chissà cosa ha votato Severgnini in questi anni.



LA CITTÀ-IMMAGINE E IL MONDO

Uno sfregio da cancellare
Abbiamo tre città, in Italia, che lasciano il mondo a bocca aperta: Venezia, Firenze e Roma. La bocca del mondo, oggi, s’è chiusa in una smorfia.
di Beppe Severgnini



Quello che è accaduto intorno al Mose — nome biblico, un’offesa nell’offesa — non è solo grave: è irresponsabile. Se una nazione potesse citare i suoi cittadini per danno d’immagine, i responsabili del saccheggio lagunare dovrebbero vivere nell’angoscia. Ma non lo faranno, perché non capiscono. L’angoscia è un sentimento, non una percentuale. Venezia è la città irrepetibile, quella che convince ogni turista d’essere un poeta. Credo che molti stranieri, dopo una settimana di visita, partano convinti d’essersi aggirati dentro una ricostruzione. Troppa delicatezza in così poco spazio. Un’immensa reputazione e una città fragile: il posto più sbagliato dove tollerare gli ingordi. I professionisti del cinismo sono già all’opera, nei media e in politica: non esageriamo, così fan tutti, la corruzione è antica come il mondo! Vero: ma quand’è metodica e sfacciata diventa un’umiliazione. Quando avviene a spese di un luogo tanto speciale e indifeso appare più grave e volgare. La bellezza è una responsabilità. L’Italia, in queste ore, appare al mondo come un Paese d’irresponsabili. Venezia è il nostro vestito più bello, Expo-Milano il nostro vestito nuovo, Siena il nostro vestito più ricco. Sfregiati, tutti, da persone senza scrupoli. In Veneto lo conoscono bene lo sguardo di chi esce dalla stazione di Santa Lucia e scivola nella città d’acqua: è lo sguardo dei bambini, e lo abbiamo scoperto negli occhi delle star di Hollywood, degli oligarchi russi, delle carovane cinesi, dei viaggiatori inglesi che pensano di aver visto tutto. No, non avevano visto Venezia. In queste ore tutti costoro stanno seguendo, avidi, i resoconti della nostra vergogna. Non perché ci odiano. Al contrario: perché ci ammirano e ci invidiano. Perché l’Italia è la grande evocatrice: tutto quello che ci riguarda fa sognare chi legge, guarda, ascolta, cerca, beve, assaggia. L’Italia è sede ufficiosa del congresso perpetuo delle tentazioni. Noi siamo quello che tutti vorrebbero essere, almeno talvolta: e non osano. Intuitivi, emotivi, immediati, sorprendentemente generosi. Non ladri.
Non esiste un’aggravante specifica, nel codice penale: ma chi ha macchiato il nostro vestito più bello dev’essere punito. Non è giustizialismo: è giustizia.
Vedrete: qualcuno, con meno amore, ripeterà quello che Indro Montanelli scrisse sul Corriere della Sera negli anni Sessanta e ripetè in un polemicissimo documentario Rai del 1969: occorreva togliere Venezia all’Amministrazione comunale per affidarla ad un organismo internazionale, come l’Onu, in grado di avere mezzi economici e la sensibilità culturale per salvarla. Seguì una querela da parte degli amministratori veneziani, e Montanelli confessò ai lettori: «Fu allora che feci atto di rinunzia a Venezia e giurai a me stesso di non occuparmene mai più, convinto com’ero, e come sono, che una città si può salvare solo a condizione che i suoi abitanti vogliano salvarla. I veneziani di oggi vogliono salvare solo la propria bottega. Quando la decadenza di una città, che fu potenza mondiale, entra anche nella spina dorsale degli uomini non c’è più nulla da fare». Diciamo che non è vero. Diciamo che qualcosa, ancora, possiamo fare per salvare la città ferita e la reputazione macchiata. Ma dobbiamo fare in fretta. Il mondo vuole sapere (cosa, quando, quanto, come). E ha ragione. Venezia è dei galantuomini, non di Galan e dei suoi uomini.
6 giugno 2014 | 08:37
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Uno sfregio da cancellare
Abbiamo tre città, in Italia, che lasciano il mondo a bocca aperta: Venezia, Firenze e Roma. La bocca del mondo, oggi, s’è chiusa in una smorfia.
di Beppe Severgnini
6 INCHIESTA MOSE
shadow
Quello che è accaduto intorno al Mose — nome biblico, un’offesa nell’offesa — non è solo grave: è irresponsabile. Se una nazione potesse citare i suoi cittadini per danno d’immagine, i responsabili del saccheggio lagunare dovrebbero vivere nell’angoscia. Ma non lo faranno, perché non capiscono. L’angoscia è un sentimento, non una percentuale. Venezia è la città irrepetibile, quella che convince ogni turista d’essere un poeta. Credo che molti stranieri, dopo una settimana di visita, partano convinti d’essersi aggirati dentro una ricostruzione. Troppa delicatezza in così poco spazio. Un’immensa reputazione e una città fragile: il posto più sbagliato dove tollerare gli ingordi. I professionisti del cinismo sono già all’opera, nei media e in politica: non esageriamo, così fan tutti, la corruzione è antica come il mondo! Vero: ma quand’è metodica e sfacciata diventa un’umiliazione. Quando avviene a spese di un luogo tanto speciale e indifeso appare più grave e volgare. La bellezza è una responsabilità. L’Italia, in queste ore, appare al mondo come un Paese d’irresponsabili. Venezia è il nostro vestito più bello, Expo-Milano il nostro vestito nuovo, Siena il nostro vestito più ricco. Sfregiati, tutti, da persone senza scrupoli. In Veneto lo conoscono bene lo sguardo di chi esce dalla stazione di Santa Lucia e scivola nella città d’acqua: è lo sguardo dei bambini, e lo abbiamo scoperto negli occhi delle star di Hollywood, degli oligarchi russi, delle carovane cinesi, dei viaggiatori inglesi che pensano di aver visto tutto. No, non avevano visto Venezia. In queste ore tutti costoro stanno seguendo, avidi, i resoconti della nostra vergogna. Non perché ci odiano. Al contrario: perché ci ammirano e ci invidiano. Perché l’Italia è la grande evocatrice: tutto quello che ci riguarda fa sognare chi legge, guarda, ascolta, cerca, beve, assaggia. L’Italia è sede ufficiosa del congresso perpetuo delle tentazioni. Noi siamo quello che tutti vorrebbero essere, almeno talvolta: e non osano. Intuitivi, emotivi, immediati, sorprendentemente generosi. Non ladri.
Non esiste un’aggravante specifica, nel codice penale: ma chi ha macchiato il nostro vestito più bello dev’essere punito. Non è giustizialismo: è giustizia.
Vedrete: qualcuno, con meno amore, ripeterà quello che Indro Montanelli scrisse sul Corriere della Sera negli anni Sessanta e ripetè in un polemicissimo documentario Rai del 1969: occorreva togliere Venezia all’Amministrazione comunale per affidarla ad un organismo internazionale, come l’Onu, in grado di avere mezzi economici e la sensibilità culturale per salvarla. Seguì una querela da parte degli amministratori veneziani, e Montanelli confessò ai lettori: «Fu allora che feci atto di rinunzia a Venezia e giurai a me stesso di non occuparmene mai più, convinto com’ero, e come sono, che una città si può salvare solo a condizione che i suoi abitanti vogliano salvarla. I veneziani di oggi vogliono salvare solo la propria bottega. Quando la decadenza di una città, che fu potenza mondiale, entra anche nella spina dorsale degli uomini non c’è più nulla da fare». Diciamo che non è vero. Diciamo che qualcosa, ancora, possiamo fare per salvare la città ferita e la reputazione macchiata. Ma dobbiamo fare in fretta. Il mondo vuole sapere (cosa, quando, quanto, come). E ha ragione. Venezia è dei galantuomini, non di Galan e dei suoi uomini.
6 giugno 2014 | 08:37
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Re: Venezia Il Mose

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Orsoni chi?

(Marco Travaglio).

06/06/2014 di triskel182


Dunque, secondo Luca Lotti, sottosegretario a Palazzo Chigi e fedelissimo di Renzi, Giorgio Orsoni “non è iscritto al Pd, non ha tessera, è un sindaco indipendente e il Pd, che lo sostiene in consiglio comunale a Venezia, non significa che rubi. L’accostamento tra il Pd e un capo d’accusa personale lo trovo alquanto forzato”.

Fantastico.

Dunque, siccome Greganti arrestato per le tangenti Expo era iscritto al Pd dal 2011, ciò significa che il Pd rubava su Expo. Siccome poi, fra i 35 arrestati a Venezia, c’è anche Giampietro Marchese, iscritto al Pd ed ex vicepresidente del consiglio regionale, accusato di aver intascato mazzette per mezzo milione in otto anni fino al 2013, vuol dire che il Pd rubava anche sul Mose.

Resta da capire che differenza ci sia fra il Pd e Forza Italia, anche perché, all’arresto di Scajola per la latitanza di Matacena, Berlusconi fece sapere che “questo Matacena non me lo ricordo proprio” e “Scajola si era allontanato da tempo dal partito”, che dunque non c’entrava.

E anche questo Galan era solo deputato dal ‘94, poi governatore del Veneto e infine due volte ministro, dunque chi lo conosce? Ma sì, dai, i partiti non c’entrano e gli arrestati sono tutti figli di madre ignota.


Matteo Renzi si chiama fuori, e con ragione, perché almeno lui con la stagione degli Orsoni, come con quella dei Greganti, non c’entra. Poi però dice “fuori i ladri dalla politica”, e lì è impossibile seguirlo: per lui i ladri sono solo i condannati in Cassazione, il che significa che per cacciarli dalla politica bisogna attendere una decina d’anni da quando rubano, anzi da quando vengono beccati a rubare. Troppo tardi, Matteo. Anche Sandro Gozi se la cava con la favoletta del vecchio che resiste al nuovo: “Le inchieste vedono sempre coinvolti personaggi di un’altra fase politica”. Sì, buonanotte: Orsoni fu eletto sindaco di Venezia nel 2010, quando Gozi era già parlamentare da 4 anni (allora in quota Prodi, non ancora convertito a Renzi), dopo aver lavorato al ministero degli Esteri dal 1995 e alla commissione europea dal 2000 e alla giunta pugliese di Vendola (come “consigliere diplomatico”, mica bruscolini) dal 2005. Quindi l’“altra fase politica” di cui Gozi ciancia è anche la sua. Toti, poveretto, tiene a precisare che le vicende di Galan sono “personali”, ma soprattutto che questi arresti rischiano di influenzare “la vigilia dei ballottaggi”. Insomma è la solita giustizia a orologeria, a differenza della corruzione, che è quotidiana, h 24, dunque non guarda mai l’orologio. Anche Alfano, ancora incredulo per non avere nemmeno un Ncd arrestato su 35, non trova di meglio che commentare la tempistica della retata, fra l’altro in un italiano malfermo: “Sono arresti che per i partiti che li hanno subìti hanno avuto il privilegio di arrivare dopo le elezioni. Ad altre formazioni politiche a qualche giorno dal voto non è stato riservato lo stesso privilegio”. Cioè: a noi avete arrestato Paolo Romano prima che riuscissimo a mandarlo a Strasburgo e a scudarlo con l’immunità, per gli altri invece avete aspettato che passassero le elezioni, non è giusto. Poi c’è Fassino, che va un po’ oltre gli stessi avvocati di Orsoni. Questi, prudenzialmente, non si sa mai, si limitano a osservare che al loro assistito “si attribuiscono condotte non compatibili con il suo ruolo e il suo stile di vita”. Il che fa un po’ sorridere: quanto al ruolo, Orsoni non sarebbe certo il primo sindaco che prende mazzette; quanto allo stile di vita, visto che Orsoni vive in una casa da favola con vista sul ponte di Rialto, un maggiordomo in livrea e una barca con le insegne della Compagnia della Vela, non si capisce se sia troppo povero o troppo ricco per rubare. Ma, come ben sappiamo, entrambe le condizioni sociali sono tutt’altro che incompatibili con le mazzette. E poi che dovevano fare i giudici, dinanzi alla confessione di almeno tre corruttori e alle intercettazioni che provano le mazzette a rate e le continue visite del tangentaro Mazza-curati a casa del sindaco prima durante e dopo le elezioni del 2010?

Assolverlo preventivamente per lo stile di vita, o magari per il ruolo? Fassino, comunque, fa di più e di meglio. Prima invita i giudici ad assolvere Orsoni alla svelta perché “chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza”, quindi la prossima volta i magistrati, prima di arrestare qualcuno, chiamino lui: “Scusi, Fassino, vorremmo arrestare Tizio: lei per caso ne conosce l’onestà e correttezza? No perché, nel caso, noi lasceremmo perdere”. Sulla parola di Fassino però è lecito qualche dubbio, visto il lombrosario di pregiudicati che lo circonda al Comune di Torino (Quagliotti, La Ganga, Gallo), tutta gente che chi la conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza, ci mancherebbe. L’altro giorno l’imprenditore Maltauro, arrestato per Expo, ha detto a verbale che “Greganti si consultava con Bersani e Fassino”. Bersani ha smentito, correttamente, di aver “mai in vita mia incontrato o parlato con Greganti” . Fassino invece ha smentito ciò che Maltauro non ha mai detto (“in vita mia non mi sono mai occupato di appalti”), mentre non ha smentito ciò che Maltauro ha detto sui presunti referenti del Compagno G. Ora, può darsi che Fassino non si sia mai occupato di appalti in vita sua. Di affari, però, sì. Nel 1993 il presidente di Euromercato Carlo Orlandini disse ai pm di Torino, di aver incontrato nel 1989 Fassino, allora segretario provinciale del Pci, per parlare del progetto dell’ipermercato Le Gru di Grugliasco (poi finito in uno scandalo di tangenti rosse); e, subito dopo l’interrogatorio, inviò un fax a Fassino per rivelargli quel che aveva dichiarato ai magistrati. Che bisogno aveva di fare quel fax violando il segreto investigativo? E che c’entrava Fassino con un centro commerciale? Nel 2005 l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio raccontò al pm milanese Francesco Greco: “A fine 2004-inizio 2005 sono venuti da me Fassino e Bersani a chiedere se si poteva fare una grande fusione Unipol-Bnl-Montepaschi. Io li ho ascoltati”. Pochi mesi dopo, nell’estate del 2005, il segretario Ds Fassino veniva intercettato al telefono col patron di Unipol, Giovanni Consorte, impegnato nelle scalateillegali dei furbetti del quartierino, mentre riceveva notizie riservate sull’affare Unipol-Bnl: “Allora, siamo padroni della banca?… Portiamo a casa tutto”. A che titolo Fassino sponsorizzava fusioni bancario-assicurative? Oggi – senz’aver mai risposto a queste domande, anche perché nessuno gliele ha fatte, forse perché tutti ne conoscono la risposta – Fassino è uno degli alleati più influenti di Renzi. Il problema, in soldoni, è tutto qui.

Da Il Fatto Quotidiano del 06/06/2014.
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Re: Venezia Il Mose

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Dante Alighieri - Rime (XIII secolo)
XXII - Tanto gentile e tanto onesta pare


Rime della Vita Nuova

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.



Anche queste rime sono servite a deviare il pensiero sulle donne.

La realtà è che il potere e la corruzione piace anche a loro...


******





6 GIU 2014 15:07
LA “DARK LADY” DEL GALAN GRANDE - PRIMA SEGRETARIA, POI IMPRENDITRICE PRESTANOME, INFINE GRANDE ACCUSATRICE DEL GOVERNATORE: LE TRE VITE DELLA “MINU”, CHE COMANDAVA A BACCHETTA GLI ASSESSORI: “ALZA IL CULO E VIENI QUI”
Sempre in guerra, la Minutillo. In guerra per arrivare più in alto, per avere più potere, più soldi, più appalti. Per avvicinarsi il più possibile a Galan, fino al “tradimento” - Ai giudici la Dark Lady ha detto che non si trattava di bustarelle sporadiche a Galan e Chisso ma di “un sistema”…

Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
«Alza il culo e vieni qua!». Non avete mai immaginato una segretaria dare ordini così a un assessore regionale? Dovete leggere le carte dell’inchiesta sul Mose. Dove Claudia Minutillo tutto pare, tranne che la dattilografa di Giancarlo Galan. Non per altro, prima di confessare tutto assumendo il ruolo di «gola profonda», era chiamata la «Dama Nera».

Nera, era nera senz’altro. Neri gli occhi, neri i capelli, neri i tailleur a tubino che indossava sempre come una divisa, neri i gioielli e nere talvolta le unghie laccate. Che fosse una «Dama» in senso stretto, piuttosto, è tutto da dimostrare. Anzi, per i modi spicci e la brutalità del linguaggio emerso dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, linguaggio che potrebbe far arrossire un camallo sboccato, la protagonista della nostra storia potrebbe intonare l’inno della Berté: «Non sono una signora / ma una per cui la guerra / non è mai finita…».

Sempre in guerra, la Minutillo. In guerra per arrivare più in alto, per avere più potere, più soldi, più appalti… Ma soprattutto in guerra prima per avvicinarsi il più possibile a Giancarlo Galan ai tempi in cui era non solo «el Governador» ma il Re Sole del Veneto azzurro e poi per allontanarsene più in fretta possibile nei giorni del precipizio. Da fedelissima tra i fedelissimi a «infedelissima» tra gli infedeli, decisa a cavarsela scaricando tutto sugli altri. Primo fra tutti, si capisce, l’uomo che l’aveva issata ai vertici del potere (quello vero, non quello formale) della Regione.

Come fosse nella sua prima vita, dedicata al lustro del «Colosso di Godi», nomignolo guadagnato dall’ex presidente per l’amore godereccio per la vita, lo racconta Renzo Mazzaro nel libro «I padroni del Veneto», che anticipò molto di quanto è venuto a galla in questi giorni: «Galan riceveva gli ospiti stravaccato sul divano e si vedeva subito che non era uno stakanovista. Claudia Minutillo era sempre nel raggio di due metri, la sua ombra. La chiamavano la Dark Lady e non solo perché vestiva di nero: fisico asciuttissimo, elegante, di rado sorridente, teneva le chiavi di tutti gli accessi al presidente. Fino a diventare troppo ingombrante».

Spiegherà ai magistrati Piergiorgio Baita, l’uomo forte dell’impresa di costruzioni «Mantovani» e del Consiglio Direttivo del Consorzio Venezia Nuova nonché generoso «bancomat» dei politici coinvolti, che la «Minu», come la chiamavano gli amici, «era l’assistente del Presidente Galan. Ma il mercato ovviamente la chiamava la vice Presidente, nel senso che era noto che qualunque richiesta, appuntamento, atto richiesto al Presidente Galan veniva veicolato attraverso la dottoressa Minutillo». Rileggiamo? «Il mercato»: questo era ciò che ruotava intorno ai vertici della Regione. Un mercato. Dove tutto o quasi tutto appariva in vendita. Con le regole della sana concorrenza sfalsate da pressioni, interferenze, «regali di Natale», bustarelle.

Giancarlo Galan, che il collega calabrese Chiaravalloti definì un giorno «un simpaticissimo e valente pescatore d’altura che talora si dedica con pari successo alla politica», era il Dominus. L’uomo di fiducia del Cavaliere e in quanto tale il capo indiscusso del partito, della Regione e del Veneto. Ma la bricola cui dovevano tutti ormeggiare la barca, negli anni d’oro, era lei. La «Minu», che i nemici avevano ribattezzato per quella passione per il nero col soprannome di «Morticia». La padrona di casa della famiglia Addams. Rideva allora il governatore, ammiccando agli amici: «Sono un liberale, libertario e libertino, nel senso settecentesco del termine». Certo è che la sua futura moglie ebbe a un certo punto il dubbio che il «libertinaggio» potesse essere equivocato.

E così un bel giorno, racconta ancora Mazzaro, decise di liberarsi di quella donna troppo attaccata al marito: «Sandra Persegato pone il classico ultimatum: o lei o me. Giancarlo non ha scelta. Claudia Minutillo ci resta malissimo, ma nel cambio guadagnerà: comincia con la già ricordata Bmc Broker di San Marino, poi ingrana la quarta con Adria Infrastrutture, società lanciata oggi negli appalti stradali». Le chiederanno i magistrati: «Insomma, da quel momento lei passa dall’altra parte, nel senso che passa a lavorare per il Baita». «Esatto».

La storia sarà ricostruita passo passo dall’Espresso sotto un titolo indimenticabile, «Claudia, la segretaria ne ha fatta di super strada». Trampolino di lancio, ovvio, quel ruolo di segretaria: «La signora sfoggiava modi spicci e un’aria vagamente manageriale, ma certo nessuno si aspettava di ritrovarla, a quattro anni di distanza, addirittura a capo di un piccolo gruppo finanziario-industriale. Costruzioni, immobili, editoria: un network di società, tutte targate Minutillo, nate e cresciute dopo che la collaboratrice di Galan ha lasciato il suo incarico in Regione». Certo è che, fosse o meno ancora la segretaria di Galan, la Minutillo è rimasta per «il mercato» la «vicepresidente».
Basti leggere negli atti processuali il modo in cui trattava l’assessore alla Mobilità e alle Infrastrutture, Renato Chisso, il cui potere era destinato a crescere dopo lo stizzito addio del «Galan Grande» alla presidenza della Regione. Le serve che l’assessore metta una firma su un’autorizzazione? Prende il cellulare e gli intima: «Scusa, vai sempre a mangiar da Ugo, alza il culo e vieni qua». E il succubo Renato, «che era a mangiare in ristorante», scrivono i magistrati, si affrettò a passare dove gli era stato chiesto «rassicurando che non vi sarebbero stati problemi». Insomma, annotano gli inquirenti, «le modalità perentorie con cui la Minutillo dice a Chisso di venire subito sono più proprie del modus di riferirsi ad un dipendente subordinato che a un assessore regionale».

E non è un caso isolato. Un’altra volta, la donna «chiama a rapporto» l’assessore nel proprio ufficio di «Adria Infrastrutture», lo fa aspettare fuori dalla porta finché non finisce una telefonata e dopo averlo fatto accomodare gli «impartisce una serie di disposizioni» delle quali l’uomo forte di Forza Italia per le infrastrutture venete prende diligentemente nota dimostrando la sua «subordinazione totale» alla società Mantovani e a «Morticia». La quale un’altra volta ancora, impaziente per certe pratiche non ancora sbloccate, sbotta con la consueta signorilità: «caXXo, cerca di lavorare! Sono tutti incazzati neri».

Finché la sua seconda vita di imprenditrice e, come confesserà, prestanome di altri, non si conclude il 28 febbraio 2013, lo stesso giorno dell’arresto di Piergiorgio Baita, con le manette. Accompagnate da una serie di rivelazioni contenute nell’ordinanza di custodia. Come quella che all’indomani della visita dei finanzieri negli uffici del presidente della Mantovani, il riciclatore sanmarinese William Colombelli registra una telefonata in cui scandisce a Claudia: «Vi siete portati a casa la bellezza di 8 milioni di euro in sei anni, che io ti ho consegnato personalmente e che tu hai messo da qualche parte!». Ed è lì che la «Minu», cercando di togliersi dagli impicci, avvia la sua terza vita.
Vuotando il sacco. Fino a raccontare ai giudici che non si trattava di bustarelle sporadiche a Galan e Chisso ma di «un sistema, cioè ogni tot quando loro potevano gli davano dei soldi». Insomma, «pagamenti regolari». «Come uno stipendio?», chiede il magistrato. «Sì, di fatto». Quanti soldi? Tantissimi. Eppure, pareva non bastassero mai: «Baita a volte si lamentava di quanto veniva a costare Galan».
Come nel caso, rivela «Morticia», dei lavori di ristrutturazione della villa sui colli Euganei: «Non so se avete mai visto la casa, ma i lavori di ristrutturazione di quella casa lì credo che abbiano comportato spese elevate, intorno a qualche milione intendo…». Giancarlo Galan nega, nega, nega. Disperatamente. Quando mai se lo sarebbe aspettato, di dover ballare il «cha-cha-cha della segretaria»?
paolo11
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Re: Venezia Il Mose

Messaggio da paolo11 »

Basterebbe fare una cosa come la fanno i comuni cittadini.Quando mi faccio fare un preventivo di qualsiasi cosa.Sia dal destista, meccanico idraulico o altro.Io pago quello concordato nel preventivo.
Se il Mose ci volevano due miliardi di euro,normalmente calcolano anche gli imprevisti nel contratto.Quindi non è possibile che qualsiasi lavoro che lo stato appalta alla fine viene a costare se va bene il triplo.(galera e buttare via le CHIAVI)
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: Venezia Il Mose

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Effetti collaterali - 1

6 GIU 2014-IL NUOVO SBARCO IN NORMANDIA
Immagine



6 GIU 2014 13:51
1. LE TANGENTI DEL MOSE PORTANO IL PD ALLA RESA DEI CONTI: I RENZIANI SCARICANO LE COLPE SULLA “DITTA” BERSANIANA, E LOTTI AFFONDA ORSONI: “NON AVEVA LA TESSERA PD” -


2. NELL’INCHIESTA VENEZIANA CI SONO I 55MILA EURO PER IL FEDELISSIMO BERSANIANO ZOGGIA, LE INSINUAZIONI SU ZANONATO, E MARTINA “AMICO DI GREGANTI” (LUI NEGA E QUERELA) -


3. ZOGGIA: “HO FATTO CONSULENZA VARIA, DA COMMERCIALISTA. NON AVEVO RUOLI NEL PD” -


4. BELPIETRO: “IL GRUPPO DIRIGENTE DEL PD è ANDATO A SCUOLA DA SCAJOLA: AVEVANO IL SINDACO DI VENEZIA E CONSIGLIERI REGIONALI (ARRESTATI) MA NON LO SAPEVANO” -


5. LO SCONFITTO GRILLO GODE SU TWITTER: “NOI #VINCIAMOPOI INTANTO #ARRESTANOVOI”


1. MOSE, SCONTRO NEL PD

Giovanna Casadio per ‘La Repubblica’

La “vecchia guardia” dem non ci sta a fare da capro espiatorio della nuova Tangentopoli. La “ditta” ha avuto una bella botta con lo scandalo del Mose. Un pezzo di Pd compare un’altra volta compromesso in loschi affari e corruzione.

E al Nazareno il vice segretario Lorenzo Guerini, a cui Renzi ha affidato il partito, parla di «rabbia». Rabbia, sconcerto, fastidio. «Dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto... chi ha sbagliato deve essere politicamente isolato. Ora noi voltiamo pagina».

Ma i veterani democratici, accusati di un modo di condurre la politica troppo vicino, se non «colluso» con gli affari, reagiscono. Cosa c’entra la frattura vecchio/nuovo, giovane/vecchio sulla corruzione? Crescono tensioni e polemiche.

Pierluigi Bersani dopo aver smentito seccamente di avere mai incontrato Greganti, twitta rivendicando l’eredità berlingueriana: «Sarò a Cagliari e lunedì a Genova su Berlinguer per sognare una politica bella, pulita e coraggiosa». Proprio la prossima settimana il Pd ricorderà Enrico Berlinguer e il suo insegnamento etico in Parlamento. Non poteva cadere in un momento più opportuno.


Ma il 14 giugno l’Assemblea nazionale del Pd sarà una resa dei conti.

Rosy Bindi, la presidente della commissione Antimafia, che ripulì la Dc proprio in Veneto quando scoppiò Tangentopoli, non ci sta: «Far entrare la corruzione nella distinzione tra vecchia e nuova guardia è fuorviante. La distinzione è tra chi ha combattuto il malaffare e chi ne è stato attore o complice».

Attacca Laura Puppato: «Con la sua nascita il Pd doveva dare una cesura netta al modello di politica e affari: invece così non è stato».

E ricorda le tante interrogazioni, denunce e richieste da lei presentate quand’era capogruppo in consiglio regionale veneto e a cui non è stata data risposta: «Il Pd ha visto molti Gattopardi, e ora tutto questo getta un’ombra sulla nostra credibilità».

I Dem sono una polveriera.

C’è Luca Lotti, il sottosegretario all’Editoria e braccio destro di Renzi che, dopo la lettura mattutina dei giornali, prende le distanze dal sindaco di Venezia: «Non è per scaricarlo, ma Giorgio Orsoni non è del Pd, non ha mai avuto la tessera...».

E c’è Flavio Zanonato, ex sindaco di Padova, e amico di Orsoni: «Che di questa cosa si sapesse, che se ne sentisse parlare è vero. Ma il coinvolgimento di Orsoni con il quale ho avuto un rapporto di amicizia, non me l’aspettavo... spero si possa discolpare».

Qualche autocritica da fare? Norme, regole che sono mancate? «L’onestà non arriva per legge - risponde Zanonato - La corruzione è un cancro che minaccia la democrazia».

Se ne discuterà di tutto questo nel Pd, e non ci saranno sconti. Lo garantisce la ministra Maria Elena Boschi, ricordando come i Dem si sono comportati con Francantonio Genovese, ex segretario del partito messinese e parlamentare, per il quale è stata votata dai deputati l’autorizzazione all’arresto.

Il “doge” Orsoni non avrà più alcun appoggio dal Pd. Pesa però il sarcasmo di Grillo: «Noi #vinciamopoi intanto #arrestanovoi ». «Grillo strumentalizza tutto - replica Danilo Leva - I ladri sono ladri e la responsabilità è individuale».



2. INCREDIBILE DIFESA DEL PD: GLI ARRESTATI NON SONO DEL PD

Maurizio Belpietro per “Libero”


Scusate, ci siamo sbagliati. Il Pd non c’entra nulla con il malaffare di Venezia. Hanno arrestato 35 persone, tra cui il sindaco della città, e un altro centinaio di signori è stato indagato con le peggiori accuse,ma il Partito democratico ha le mani pulite. Così almeno informa un comunicato della segreteria regionale del suddetto gruppo.


In una nota diffusa dalle agenzie di stampa nella mattinata di ieri, dunque a botta ancora calda per i provvedimenti della magistratura, i vertici del partito di Renzi non recitano il mea culpa per non aver vigilato sulle tangenti che hanno preso il largo insieme al Mose, ma ci informano che, pur essendo stato eletto con i voti del Pd e pur guidando un giunta a forte impronta Pd, il primo cittadino Giorgio Orsoni non è del Pd, perché non ha mai chiesto la tessera.

Bella scoperta: chi l’avrebbe mai detto che Venezia non era nelle mani del Partito democratico?

Orsoni quattro anni fa si candidò alla guida della coalizione di sinistra contro il candidato di centrodestra e fino a ieri il Pd si faceva vanto di questo riservato amministratore, cattolico e progressista nonostante la bella casa sul Canal grande.Ma ora che il sindaco è finito in manette con l’accusa di aver intascato 560mila euro da un imprenditore per vincere le elezioni passate, il partito prende le distanze.

«Per una corretta informazione a seguito dei recenti fatti accaduti» (così recita il comunicato) la segreteria regionale ci tiene a far sapere all’opinione pubblica che anche Giampietro Marchese, consigliere regionale arrestato durante la retata veneta, non è iscritto al partito. Lo era fino a due anni fa,ma poi guarda caso si è dimenticato di pagare le quote e ritirare la tessera, e dunque il Partito democratico se ne può lavare le mani, dimostrando di averle pulite. Poco importa che Marchese si sia presentato sotto le bandiere democratiche e che sui manifesti della campagna elettorale campeggiasse il simbolo tricolore del Pd, ramoscello d’ulivo compreso: ciò che conta è che da due anni il consigliere non fosse ufficialmente iscritto.

Il gruppo dirigente veneto del partito di Renzi deve essere andato a scuola da Claudio Scajola, il quale quando si scoprì che un imprenditore gli aveva pagato metà della casa di fronte al Colosseo dichiarò che tutto ciò era avvenuto a sua insaputa e che se davvero si fosse accertato che qualcuno gli aveva regalato dei soldi avrebbe preso seri provvedimenti a sua tutela. Ecco, la segreteria del Pd in Veneto reagisce come Scajola: avevano il sindaco di Venezia e anche dei consiglieri regionali ma non lo sapevano.

A dar retta alla magistratura, questi andavano in giro a intascare pacchi di soldi,ma, come assicurano i vertici del partito, lo facevano a loro insaputa. Intendiamoci: niente di nuovo. È dai tempi di Tangentopoli che la sinistra rinnega i propri figli. Il primo fu il compagno G., quello finito recentemente in manette per l’Expo. Girava fra feste dell’Unità e Botteghe Oscure con valigette piene di milioni, trattava come se fosse l’emissario del partito, ma quando è stato arrestato tutti hanno fatto finta di conoscerlo appena.

Stessa scena accaduta vent’anni dopo, quando la guardia di finanza ha scoperto che Greganti si recava regolarmente a Roma e altrettanto regolarmente accedeva a Palazzo Madama. Da quale senatore andava? Mistero. A quanto pare il compagno G. intascava e entrava al Senato all’insaputa del partito. Del resto questo è il meccanismo che per vent’anni ha consentito alla sinistra di farla franca e di sostenere una superiorità morale che non c’è.

I compagni che sbagliano non c’entrano con il partito, così al massimo finiscono condannati i manovali delle tangenti, non gli architetti. Carlo Nordio, lo stesso magistrato che ha firmato i provvedimenti di custodia cautelare per Orsoni e compagni, negli anni Novanta provò a scoperchiare la cupola delle cooperative e delle Feste dell’Unità, ma dopo mesi e mesi di indagine fu costretto a fermarsi ai pesci piccoli, così quelli grandi continuarono a sguazzare nella laguna e non solo.

Finirà così anche questa volta, cioè con Orsoni buttato a mare e il disconoscimento di tutti quelli che sono rimasti incastrati nella tagliola dei pm? Non sappiamo. Certo, anche questa volta proveranno a proclamarsi vittime dei loro stessi compagni, sostenendo di essere stati traditi e assicurando che, nonostante le accuse verso i singoli, il corpo del partito rimane sano. Anche se una tesi tanto ardita sarà difficile darla a bere agli italiani.

Dalle carte della Procura, a quanto pare, emergono infatti accuse e coinvolgimenti di altri esponenti del partito. Passi per il consigliere regionale che si dimentica di pagare le quote di iscrizione. Passi anche per il sindaco, spacciato per indipendente quando la sua giunta dipende dal Pd, ma del capogruppo del partito che vogliamo fare? Facciamo finta che anche lui fosse capogruppo,ma all’insaputa dei vertici del Pd? È vero che i comunisti sono capaci di tutto, oltre che di mangiare i bambini anche di mentire, ma stavolta le bugie hanno le gambe corte e con l’acqua alta rischiano di affogare.



3. IL PIZZINO CON I SOLDI A ZOGGIA E LIA SARTORI

Marco Lillo per “Il Fatto Quotidiano”



Il foglio che pubblichiamo qui accanto è considerato dai pubblici ministeri veneziani una prova contro l’ex europarlamentare di Forza Italia Lia Sartori, in carica dal 1999 al 2014. Il foglio infatti indica il pagamento al politico del centrodestra di una somma pari a 25 mila euro da parte del Coveco, società cooperativa impegnata nella costruzione del Mose e parte del CVN, il Consorzio Venezia Nuova.

La cosa interessante non è tanto il fatto che una coop rossa finanzi un politico berlusconiano, siamo ormai abituati anche a di peggio e comunque in questo caso era Giovanni Mazzacurati del CVN, secondo i pm, a usare il Coveco come un ufficiale pagatore, ma il fatto che oltre alla Sartori nell’elenco figurano anche due politici del Pd: il consigliere regionale Sergio Reolon, allora in corsa per essere rieletto presidente della Provincia di Belluno.

Accanto al nome di Reolon sono segnati 10 mila euro come ‘ contributo volontario candidato’. Soprattutto nell’elenco spicca un politico di livello nazionale: Davide Zoggia, già presidente della Provincia di Venezia, ma poi nominato nel 2009 (fino all’avvento di Renzi) responsabile enti locali del Pd, infine eletto deputato e divenuto celebre come uno dei fedelissimi di Pierluigi Bersani. Sul foglio sono riportati tre pagamenti nei suoi confronti: “40. 000 euro contributo volontario candidato Zoggia” e poi due fatture da 7. 428, 72 euro ciascuna e pagate a Davide Zoggia che dovrebbero esser e state pagate il 28 luglio 2009.

È stato trovato a casa dei genitori di Elena Scacco, una dipendente del Consorzio Nuova Venezia, che lo aveva scritto su richiesta di Pio Savioli, l’uomo che si occupava dei pagamenti per conto della cooperativa rossa che fa parte del CVN, il Coveco. Secondo le testimonianze raccolte quelle somme provenivano dalle sovrafatturazioni per operazioni inesistenti fatte da Coveco al CVN. I manager avevano dato disposizione che fosse scritto tutto su “carta mangiabile” però gli investigatori l’hanno trovato.

foto aerea mose venezia
FOTO AEREA MOSE VENEZIA

I pm contestano solo i 25 mila euro alla Sartori anche se nell’elenco ci sono versamenti più ampi (ma probabilmente esclusi dagli accertamenti penali perché registrati e legali) come per esempio i 100 mila euro dati alla Fondazione Studium Marcianum creata dall’allora Patriarca di Venezia Angelo Scola. A prescindere dalla loro qualificazione da parte dei pm i versamenti ai politici del Pd sono politicamente sensibili. Reolon al Fatto dice: “Non ricordo quel versamento di 10 mila euro e non mi risulta tra quelli registrati.

Anche i contributi per le provinciali devono essere registrati. Quindi sarà stata un’intenzione del Coveco poi non attuata. Comunque il Mose non c’entra perché non potevo fare nulla per loro. Io ho lavorato alla Lega delle Cooperative e Coveco fa parte della Lega”. Così Zoggia risponde al Fatto: “I contributi delle provinciali non vanno denunciati a differenza di quelli per l’elezioni della Camera. I 40 mila euro mi sono stati dati con delibera del CoVeCo. per la campagna elettorale delle provinciali del 2009. Sono stati registrati ovviamente anche nel conto corrente della campagna.


Quanto alle due fatture io dal giugno 2009 al dicembre 2009 ho continuato a svolgere l’attività di commercialista perché non ero più presidente della Provincia ma solo consigliere provinciale. Divento responsabile enti locali del Pd nel dicembre 2009. La prestazione risale al periodo in cui non ero né presidente della Provincia né responsabile enti locali”.

Non riscontra nessun conflitto di interessi? “No. Mi pare non ci sia nessuna contestazione penale, Co. Ve. Co. non faceva mica solo il Mose”. Se poi gli si chiede qualche dettaglio sulle prestazioni fatte in cambio dei 15 mila euro, Zoggia si innervosisce: “Ritengo di averle dato la risposta. Ho fatto consulenza varia, sono un commercialista: controllo di contabilità, cose varie dal punto di vista fiscale”. Chi le ha dato il mandato? “Non ricordo”
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Re: Venezia Il Mose

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Mose, lo scontro nel Pd: “Arrestati non sono iscritti”, “No, bisogna fare pulizia”
Dopo l'apparente "scaricabarile" di Lotti, risponde la Geloni: "Quando si fa parte del partito e quando non?". E il confronto si ripete anche in Veneto, dove il segretario regionale ha voluto precisare che il consigliere Marchese (arrestato) "non era più iscritto da due anni". Ma il leader provinciale di Venezia: "Ci dobbiamo interrogare". Baretta: "Non so se aveva la tessera o no, ma era il nostro primo cittadino"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 6 giugno 2014Commenti (728)



Matteo Renzi ha detto che servirebbe il reato di alto tradimento, che introdurrebbe il daspo per i politici corrotti, che il problema non sono le regole ma i ladri. Ha messo davanti a tutto la presunzione di innocenza garantita dalla Costituzione, ma altri nel Pd come Piero Fassino si sono affrettati o a mettere la mano sul fuoco per il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, arrestato due giorni fa, o addirittura a togliergli in fretta e furia l’etichetta di democratico. Tra questi il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria Luca Lotti, coordinatore della segreteria del Pd e ex responsabile Enti locali durante la reggenza di Guglielmo Epifani. E ora il rischio è che il Partito democratico, appena riemerso da un trionfale bagno elettorale, si divida su quale atteggiamento tenere per quelli che una volta furono definiti “compagni che sbagliano”: severità, equilibrio, indulgenza? D’altra parte giusto ieri, in un blog sul fattoquotidiano.it, la stessa senatrice Laura Puppato sosteneva la necessità di un “mea maxima culpa”. Dopo l’uscita di Lotti, infatti, oggi a parlare è Chiara Geloni, giornalista che di mestiere faceva il direttore di Youdem e che al congresso si è schierata contro la corrente maggioritaria di Renzi. Nel suo blog sull’Huffington Post la Geloni entra dritto nella questione: “Caro Luca Lotti, scusami tanto. Ma come fai a dire che Giorgio Orsoni non è del Pd? Orsoni, il sindaco di Venezia. Quello che ha vinto le primarie, sostenuto dal Pd. E poi le elezioni, al primo turno, sostenuto e festeggiato da tutto il Pd. Uno dei mitici sindaci del Pd, hai presente? Quelli che volete fare senatori, per il cambiamento. Ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci”.

Il senso del ragionamento è una domanda, forse più di una: “Ecco, volevo chiederti: chi è del Pd allora scusa? – scriva la giornalista – Solo chi ha la tessera è del Pd adesso? E come mai allora anche chi non ce l’ha, la tessera, partecipa alle primarie per eleggere il segretario del Pd, dove uno vale uno, e il voto di Orsoni conta come il mio, e come il tuo? Orsoni, ricorderai, ha partecipato da sindaco di Venezia alle primarie per il segretario del Pd, schierandosi apertamente per Matteo Renzi, ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci. È che mi domando, e non capisco, se ora improvvisamente per essere del Pd si debba essere iscritti, e allora perché mai chi non è iscritto decide chi dev’essere il nostro segretario, se non è del Pd. Hai detto che non è del Pd perché “non è mai venuto alla direzione”, ma ti ricorderai che anche Matteo, quando era sindaco di Firenze, alla direzione non ci veniva, pur avendone diritto. Alla ‘seduta di autocoscienza‘ anzi. Non ci veniva. Eppure Matteo era un sindaco del Pd, no?”.

Ma quella della Geloni è una sfida, che raccoglie anche una sensazione diffusa in queste ore e cioè che Renzi non abbia detto “abbastanza”: “Vedi, lui (Renzi, ndr) ‘faremo pulizia’ in questi giorni non l’ha detto, anche se in tanti gli chiedono di dirlo. E io sospetto di sapere perché non l’ha detto: perché non può. Nessun segretario può ‘fare pulizia’ in questo Pd. Nemmeno lui. E vedi Luca, purtroppo (per me, eh) alla luce dei fatti i numeri per cambiare lo statuto non ce li hanno avuti né Bersani né Epifani. Voi sì invece, ce li avete. Per cui la mia domanda è: che pensate di fare? Perché alla fine, o ‘le primarie sono aperte’, oppure ‘Orsoni non è del Pd’. Tutt’e due le cose no, è impossibile”.

Lo scontro anche in Veneto: “Marchese non è più iscritto”, “No, è stata la storia”
D’altra parte la posizione di Lotti non è apparsa casuale. E’ la stessa sostenuta da Roger De Menech, segretario regionale del Pd in Veneto, eletto grazie a un patto delle correnti locali che a livello nazionale facevano capo a Matteo Renzi e Enrico Letta. “Si precisa, per una corretta informazione a seguito dei recenti fatti accaduti, che Giampietro Marchese da due anni non è più iscritto al Pd e non riveste incarichi di partito e che Giorgio Orsoni non è mai stato iscritto al Pd e non ha mai rivestito incarichi interni al partito” ha scritto in una breve nota la segreteria regionale democratica dopo gli scandali veneziani. Marchese è ritenuto una specie di collettore del denaro, secondo le indagini ha incassato soldi perfino negli uffici della Regione. E per il Pd “non è più iscritto al Pd”. Senza però dire che Marchese è stato iscritto prima al Pci, poi ai Ds, al Pds e infine al Pd, in rappresentanza del quale è stato anche vicepresidente del consiglio regionale.

Ma, appunto, non tutti sono d’accordo con questa posizione a dir poco prudente. Nello stesso Veneto, a Venezia, il segretario provinciale Marco Stradiotto, spiega al Gazzettino che “Marchese fa parte della storia del partito comunista prima e del Pd adesso. Non voglio nascondermi dietro un dito. Voglio che ci si distingua per correttezza, sempre, anche quando è scomodo e può far male. Perché c’è poco da fare, ma l’arresto di un politico è la prova provata del fallimento della politica e semmai su questo deve interrogarsi il partito e non perdere tempo a fare distinguo che non hanno senso. Certo che Marchese tecnicamente si era autosospeso dal Partito, certo che con questa mossa voleva togliere il partito dall’imbarazzo, ma proprio per questo dobbiamo rispettare lui e i cittadini e dire le cose come stanno”. Ma per ora vige la regola del quasi-silenzio.

M5s: “Basiti davanti ai comportamenti Pd”. Crosetto: “Vergognoso tirarsi indietro”
Non può non accadere che alcuni partiti avversari del Pd “giochino” su queste contraddizioni. “Siamo basiti – dice il deputato dei Cinque Stelle Marco Da Villa - di fronte al gioco del tirarsi indietro da parte del Pd, che ha sottolineato come Orsoni non abbia la tessera del partito”. Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia, aggiunge: “L’atteggiamento del Pd lo trovo vergognoso e ridicolo: Orsoni era un’icona fino a 15 giorni fa, adesso è diventato un paria”. “Occorre una pulizia totale – prosegue l’ex sottosegretario – La vicenda del Mose evidenzia che c’è del marcio non solo nella politica, ma ovunque, e va ricostruita l’integrità del paese. Io penso che se una persona sbaglia vada condannata e se fosse della mia parte politica andrebbe condannata due volte”, commenta Crosetto per il quale “qualunque servitore dello Stato, burocrate o militare che sia, se sbaglia va condannato il doppio rispetto a un privato cittadino”.

Civati: “E’ come quando Ds e Margherita si rinfacciavano Penati e Lusi”
E infatti insiste sul punto anche Pippo Civati. “Leggere cose tristi tipo: ‘Orsoni non era del Pd’ oppure ‘La corruzione riguarda i vecchi, non i giovani’. Inizio a pensare che non ce la faremo mai. Come si fa a trasformare in una polemica interna al Pd, e nel solito derby vecchio e nuovo (intanto vecchi e nuovi continuano a governare con le larghe intese, per dirne una), una cosa del genere?”. Per il deputato democratico serve fare qualcosa, insomma. “Se vogliamo fare qualcosa, facciamolo – continua Civati – sugli appalti, sul maledettissimo massimo ribasso, sulle fondazioni oscure dei politici e della politica da smantellare, sulla selezione dei gruppi dirigenti da cui tenere fuori gli uomini di potere (al congresso, solo sei mesi fa, non è accaduto: Genovese ne è stato protagonista assoluto in una regione strategica), sulla scelta degli interlocutori e sulla dichiarazione di tutti i rapporti tra i politici e gli imprenditori e le lobby così sappiamo chi votiamo”. Nella parte finale del post si legge: “Tutto il resto è noia, come quando gli ex-esponenti della Margherita rinfacciavano agli ex-Ds il caso Penati, e quelli dei Ds rinfacciavano ai dirigenti della Margherita il caso Lusi. Uno spettacolo devastante. Ma tanto Orsoni non aveva la tessera di nessuno dei due partiti. E nemmeno del Pd. Che problema c’è?”.

Baretta: “Orsoni iscritto o no? Non lo so, ma era il nostro sindaco”
La sintesi forse è quella di Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, veneziano, nel Pd dal 2008 dopo una lunga militanza nella Cisl: “Non mi sono mai preoccupato di stabilire se Giorgio Orsoni era iscritto al Pd; ho sempre pensato che era il nostro sindaco, che abbiamo convintamente scelto – con le primarie – e sostenuto. Sono addolorato per l’imputazione che gli viene rivolta, dalla quale si sta difendendo, e amareggiato per l’accostamento che sta subendo a reati gravi che l’inchiesta, peraltro, non gli imputa. In questo momento, così difficile per la città, con senso di responsabilità e al di là di ogni speculazione politica, va dato tutto il sostegno al sindaco reggente, Sandro Simionato, e a tutta la giunta per il delicato e gravoso compito cui sono chiamati e che sono perfettamente in grado di assolvere, assicurando la continuità amministrativa”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... a/1016350/
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