La Terza Guerra Mondiale

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lucfig
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Follia o ignoranza il nostro caro alleato Trump ne fa un'altra
L'apertura della ambasciata USA a Gerusalemme vuol dire riconoscere la città appartenente ad Israele riaprendo vecchie e sanguinose ferite


da www.lastampa.it
Nel Medio Oriente degli scontri fratricidi riesplode la battaglia per la Città Santa
La dichiarazione Usa può innescare nuovi conflitti nella regione. Erdogan e il re di Giordania furiosi, l’Arabia Saudita cerca di mediare


Pubblicato il 06/12/2017
GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

C’è ancora un refolo di speranza nelle cancellerie dei Paesi arabi filo-occidentali. Non è legato al «quando» dell’annuncio, che sarà oggi, ma al «dove». Donald Trump potrebbe tirare fuori dal cilindro il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, sì, ma solo a «Ovest». E dare qualche minima garanzia ai palestinesi sulla loro capitale, magari in un pezzo dei sobborghi orientali della Città Santa. Un «riequilibrio» che potrebbe evitare «la catastrofe». Altrimenti, per le nazioni che hanno firmato la pace con Israele, sfidato opinioni pubbliche riottose e le minacce del terrorismo islamista, il rischio è di fare un salto indietro di 20 o 40 anni, e di finire risucchiate nel «fronte della resistenza» guidato dall’Iran, al quale si è aggiunta, con tutto il suo peso, la Turchia.

Il fronte oltranzista si prepara già alla «battaglia di Gerusalemme». I palestinesi annunciano tre «giorni della rabbia» a partire da oggi, mentre le forze di sicurezza israeliane sono in massima allerta, pronte a inviare rinforzi in Cisgiordania e attorno agli obiettivi sensibili statunitensi, e le autorità americane ordinano ai loro cittadini di «evitare la Città Vecchia».

Sono attesi scontri duri e prolungati. La crisi ha ricompattato le fazioni palestinesi. Domani a Gaza Hamas porterà in piazza decine di migliaia di sostenitori, nel trentesimo anniversario della sua fondazione; a Ramallah tutte le fazioni politiche marceranno unite contro Trump.

In un clima incandescente, ad Amman, al Cairo, a Riad non si capisce il senso della scelta americana. Toccare il tasto Gerusalemme, considerata sua capitale «unica e indivisibile» dallo Stato ebraico, è visto come un regalo agli estremisti. Il più preoccupato, e che fonti diplomatiche descrivono «infuriato», è Re Abdullah di Giordania, che già vive momenti burrascosi nelle relazioni con Israele, con l’ambasciata israeliana chiusa da mesi dopo la sparatoria del 23 luglio finita con la morte di due giordani. La Giordania è stata il secondo Stato arabo a riconoscere lo Stato ebraico, dopo l’Egitto. Metà della popolazione è di origine palestinese. Una bomba pronta a esplodere in un Paese provato dall’afflusso di 700 mila profughi siriani, infiltrata da cellule dormienti dell’Isis e di Al-Qaeda.

L’altro Stato arabo in imbarazzo è l’Arabia Saudita. Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha rotto tutti i tabù. Ha visitato lo Stato ebraico «in incognito», ha aperto in modo chiaro e netto alla possibilità di un suo riconoscimento ufficiale. Ha messo con le spalle al muro il presidente palestinese Abu Mazen e gli ha «ingiunto» di accettare il piano di pace, sulla falsariga della proposta saudita del 2002. Gli serve un’alleanza d’acciaio con Israele e con l’America per organizzare la controffensiva nella regione nei confronti dell’Iran. Ma nessun leader saudita, custode delle «Sante Moschee» alla Mecca e Medina, può avallare la «cessione» della sede della Moschea di Al-Aqsa. Così Re Salman ha chiamato Trump e gli ha sconsigliato una «flagrante provocazione» che «irriterebbe i sentimenti dei musulmani nel mondo».

Un linguaggio netto ma ancora amichevole. Le parole del presidente turco Recep Tayyip Erdogan lasciano intravedere altri programmi. Sembra l’Erdogan del dopo incidente della Mar Marmara. Ha chiesto una riunione d’emergenza dell’Organizzazione della cooperazione islamica, evocato la «rottura delle relazioni diplomatiche» con Israele. E definito Gerusalemme «la linea rossa» per i musulmani. Il leader turco torna su un terreno che gli è consono, da «difensore dell’islam», alla guida delle nazioni musulmane arabe e no. E’ un terreno che lo porta ad avvicinarsi ancora di più all’Iran, pure un rivale sciita. Il presidente Hassan Rohani gli ha fatto eco, ha invitato «tutti i Paesi islamici» a rompere i rapporti con la Stato ebraico.

Per la Repubblica islamica fondata da Khomeini l’occasione è irripetibile. E’ rientrata nei giochi mediorientali con le guerre in Siria e in Iraq, dove le sue milizie sono state decisive per battere i gruppi jihadisti. Ora ha necessità di riallacciare con le potenze sunnite. C’è riuscita in parte con la Turchia. La «battaglia di Gerusalemme» potrebbe spingere nelle sue braccia altri Stati arabi. Alla riunione della Lega araba al Cairo si è visto un Abu Mazen coccolato come non accadeva da anni. Il segretario generale Ahmed Aboul Gheit ha riassunto una posizione univoca, inedita fra i rissosi Paesi arabi: la mossa di Trump «minaccia la stabilità del Medio Oriente». Il presidente palestinese ha chiesto a Papa Francesco di intervenire sulla Casa Bianca. Poi ha ricevuto la telefonata del leader russo Vladimir Putin: lo status della città potrà essere deciso «solo nelle trattative fra Israele e i palestinesi».Lo Zar, che si è già erto a difensore dei cristiani in Siria, ha davanti a sé un’altra «opportunità strategica». Difficile immaginare che non proverà a sfruttarla.
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UncleTom
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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27 minuti fa
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'Errore umano in Nord Corea
provocherà catastrofe nucleare'

Andrea Riva



Il Papa: "Un errore umano in Corea può provocare una catastrofe nucleare"
Il Santo Padre: "Sostenere ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana, al fine di trovare nuove strade per superare le attuali contrapposizioni"

Andrea Riva - Lun, 08/01/2018 - 11:24





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Come ogni inizio anno, papa Francesco ha incontrato i rappresentanti del Corpo Diplomatico accreditato in Vaticano.


È l'incontro più politico dell'anno, in cui il Pontefice esprime la propria visione su ciò che sta accadendo nel mondo. E il Santo Padre ha aperto il suo discorso toccando uno dei temi che gli sta più a cuore, quello della pace: "Vincere non significa mai umiliare l'avversario sconfitto. La pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore sul vinto. Non è la legge del timore che dissuade da future aggressioni, bensì la forza della ragionevolezza mite che sprona al dialogo e alla reciproca comprensione per sanare le differenze. Da ciò deriva il secondo monito: la pace si consolida quando le Nazioni possono confrontarsi in un clima di parità".
La Corea del Nord
Il Santo Padre ha parlato anche della situazione in Corea del Nord che, almeno in questi ultimi giorni, sembra migliorare. "Anche se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l'apparato bellico". La Santa Sede - ha spiegato Francesco - ribadisce dunque la ferma "persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato". Per questo motivo "è di primaria importanza che si possa sostenere ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana, al fine di trovare nuove strade per superare le attuali contrapposizioni, accrescere la fiducia reciproca e assicurare un futuro di pace al popolo coreano e al mondo intero".
Gerusalemme capitale
Ma è sulla decisione da parte dell'amministrazione americana di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele che il Papa usa le parole più dure: "La Santa Sede, nell'esprimere dolore per quanti hanno perso la vita nei recenti scontri, rinnova il suo pressante appello a ponderare ogni iniziativa affinché si eviti di esacerbare le contrapposizioni, e invita ad un comune impegno a rispettare, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite, lo status quo di Gerusalemme, città sacra a cristiani, ebrei e musulmani. Settant'anni di scontri rendono quanto mai urgente trovare una soluzione politica che consenta la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti. Pur tra le difficoltà, la volontà di dialogare e di riprendere i negoziati rimane la strada maestra per giungere finalmente ad una coesistenza pacifica dei due popoli".
La guerra in Siria
Papa Francesco ha sempre seguito la guerra in Siria con grande apprensione, tanto che nel 2013 organizzò una veglia di preghiera in San Pietro per scongiurare un attacco statunitense contro Damasco. A sette anni dall'inizio del conflitto, il Santo Padre ha invitato a nuovi sforzi diplomatici per arrivare alla pace: "È importante che possano proseguire, in un clima propositivo di accresciuta fiducia tra le parti, le varie iniziative di pace in corso in favore della Siria, perché si possa finalmente mettere fine al lungo conflitto che ha coinvolto il Paese e causato immani sofferenze. Il comune auspicio è che, dopo tanta distruzione, sia giunto il tempo di ricostruire. Ma più ancora che costruire edifici, è necessario ricostruire i cuori, ritessere la tela della fiducia reciproca, premessa imprescindibile per il fiorire di qualunque società". Il Santo Padre ha poi detto: "Occorre dunque adoperarsi per favorire le condizioni giuridiche, politiche e di sicurezza, per una ripresa della vita sociale, dove ciascun cittadino, indipendentemente dall'appartenenza etnica e religiosa, possa partecipare allo sviluppo del Paese. In tal senso è vitale che siano tutelate le minoranze religiose, tra le quali vi sono i cristiani, che da secoli contribuiscono attivamente alla storia della Siria".

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pap ... 80649.html
UncleTom
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,BUFALITALIA


Questo Paese è totalmente dominato dalla cultura delle bufale. Non che gli altri Paesi del pianeta chiamato convenzionalmente "TERRA" non pratichino diffusamente questo tipo di cultura, ma non lo praticano nella misura degli abitanti dello Stivalone.

Non è un caso che un certo Collodi, osservando il comportamento dei suoi compaesani si è sentito in obbligo di scrivere il libro, noto in tutto il mondo dal titolo : "LE AVVENTURE DI PINOCCHIO".

Ma il Collodi non poteve immaginare che gli italiani del '900 e quelli dell'inizio del nuovo millennio, praticassero in modo diffuso bufale e menzogne, che farebbero arrossire di vergogna il suo burattino dal naso lungo.


Pubblica "Libero" sulla prima pagina di oggi, 9/1/2018, in belle evidenza:

Elezioni avvelenate da bugie


Mentono sapendo di mentire

I partiti per arraffare voti, si affannano a fare promesse che non potranno mai mantenere. Anche stavolta
vogliono usare soldi che non hanno. Lo Stato continua a peggiorare i conti pubblici: siamo vicini al fallimento.

di PAOLA TOMMASI





Mentre Il Giornale.it, pubblica:



Berlusconi punta al 45% "Avremo super candidato"


Il Cav guarda al voto: "Convinto della vittoria. Maroni? Non avrà un ruolo". E in Lombardia valuta l'ipotesi Gelmini
Luca Romano
- Mar, 09/01/2018 - 10:02
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Silvio Berlusconi guarda con fiducia al 4 marzo. La coalizione di centrodestra con la formazione a 4 è pronta per la sfida delle politiche e delle regionali.

Il Cav guarda i sondaggi e sente vicina la strada per la vittoria: "Il centrodestra trainato da FI è in crescita continua e per alcuni ha raggiunto la quota del 40%. Ma io punto più in alto, mancano due mesi alle elezioni". Ma il Cav punta ancora più in alto: "Punto almeno a un 45% globale della coalizione". Poi torna sul caso Maroni in Lombardia e di fatto parla della candidatura di Attilio Fontana: "Per la Lombardia stiamo valutando la proposta della Lega dell'avvocato Attilio Fontana - aggiunge - Da Sindaco di Varese si è dimostrato un amministratore valido e apprezzato. Stiamo attendendo i sondaggi sul confronto tra Gori/Fontana o Gelmini/Gori". "Quella di Maroni è una scelta personale che rispetto. Lo dobbiamo ringraziare per il lavoro fatto alla guida della Lombardia e guardare con serenità e fiducia al futuro - prosegue Berlusconi - I cittadini conoscono i buoni risultati conseguiti dal governo di Centrodestra in Lombardia. Confermeranno il loro voto alla coalizione e noi ci assumeremo la responsabilità di guidare nuovamente una regione così importante per l'economia italiana", afferma a Circo Massimo a Radio Capital. E sempre sul fronte delle Regionali, Berlusconi guarda anche al Lazio: "No, anche qui si è andati troppo avanti. Gasparri penso possa essere un ottimo candidato, ma siamo distanti da una decisione definitiva".
"Fermeremo i grillini"


Poi una stoccata per i Cinque Stelle: "I grillini assegnerebbero responsabilità di governo a magistrati che sono i portabandiera del peggiore giustizialismo e dell'uso politico della giustizia. Insomma, c'è da aver davvero paura. Ma noi li fermeremo". C'è anche spazio per un commento sulla proposta dem di abolire il canone Rai: "Renzi fa una proposta incomprensibile: abolire il canone RAI e trasferirne il costo sulla fiscalità generale. Cioè continuerebbero a pagarlo gli italiani".


Il Pd e il canone Rai

Punge anche il Pd e sottoliena la crisi dei dem: "Non ricordo di aver mai definito Renzi il mio erede. Renzi ha avuto il merito di rompere davvero con la storia post-comunista, ma non è riuscito a sostituirla con un'altra anima e un'altra identità: il Pd è ridotto a un semplice gruppo di potere, senza valori e senza prospettive. La crisi del PD, non è responsabilità solo di Renzi, è la crisi della sinistra che non è in grado di rispondere alle nuove esigenze del 21° secolo - spiega Berlusconi - In tutta Europa è come in Italia: l'alternativa è fra moderati, liberali, cristiani che si riconoscono nel PPE, e i movimenti ribellisti, pauperisti, giustizialisti".


La legge Fornero

Il Cavaliere parla anche della legge Fornero, uno dei punti discussi nel vertice di domenica scorsa ad Arcore con Salvini e Meloni: "Con la Lega abbiamo parlato di come superare quegli aspetti della legge Fornero che, tra l'altro, sono già stati rivisti. Faremo un esame preciso ed elimineremo quegli aspettiche ci sembrano ingiusti. Non la aboliremo, interverremo dove è giusto intervenire".

La scelta di "Berlusconi presidente"


Poi il Cavaliere spiega la scelta di far comparire sul simbolo di Forza Italia per il voto la scritta "Berlusconi presidente": "Io sono il presidente di Forza Italia. Non l'ho voluto io il nome nel simbolo, ho accettato la decisione dei dirigenti di Forza Italia. Diciamo che questo simbolo ha il valore di un auspicio, di una speranza. Indica che Berlusconi è il leader carismatico e incontrastato di Fi". Infine parla del candidato premier: "Il mio candidato premier non lo posso dire adesso ma assicuro che è un super candidato".
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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LA STORIA Incubo bomba L'appello del pontefice: Ho davvero paura. Adoperarsi per il disarmo
Papa apocalittico: a un passo da guerra atomica
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Dal vice Bufaliere:

Strade dell'Est


Anche in Russia
sentono puzza
di guerra imminente


di GIANLUCA SAVOINI
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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21 feb 2018 13:22

LA SITUAZIONE E’ GRAVE MA NON SIRIA! L’OFFENSIVA TURCA PUO’ SCATENARE L’ARMAGEDDON IN MEDIO ORIENTE E COINVOLGERE ANCHE ISRAELE E IRAN - SOLO PUTIN PUÒ MEDIARE CON ERDOGAN

- L’INQUIETUDINE DEGLI AMERICANI E LE MOSSE DI TEHERAN ALLEATO DI MOSCA E DAMASCO



Marco Ventura per il Messaggero



putin erdogan
putin erdogan

In Siria la guerra civile rischia di trasformarsi in vera e propria guerra fra Stati. Con le potenze regionali diversamente affiancate da Russia, Stati Uniti ed europei. Raramente si è stati così vicini a un conflitto generale in Medio Oriente, che potrebbe coinvolgere Israele e Iran.



Questo lo scenario che emerge, lungamente annunciato, nelle ultime ore di battaglia sulla strada di Afrin, caposaldo curdo-siriano a ridosso della frontiera con la Turchia. Sia le milizie curde Ypg, sia i rinforzi da Damasco sono sotto attacco dei turchi che martellano valichi e strade nel tentativo di spezzare la resistenza curda e circondare Afrin, eliminare le Ypg e bonificare la fascia frontaliera rompendo il cordone con i curdi turchi del Pkk, il partito di Ocalan fuorilegge dal 1984.

AFRIN
AFRIN



LE POSIZIONIL'offensiva turca Ramo d'ulivo, scattata il 20 gennaio, è considerata da Damasco e dalla Russia un attentato ai confini della Siria. Le parole più pesanti quelle pronunciate dal ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, ieri all'Assemblea di Parigi prima di partire «nei prossimi giorni» per Teheran e Mosca, alleate sul fronte siriano: «Il peggio in Siria è davanti a noi, andiamo verso una catastrofe umanitaria». Monito nel quale riecheggiano le battaglie nelle aree contese. Le forze leali a Damasco e Assad, militarmente appoggiate dai russi a terra e dal cielo, bombardano l'enclave ribelle di Goutha, a est di Damasco, mietendo vittime fra i civili. Ma la situazione più esplosiva, miccia potenziale di un conflitto non più da guerra civile ma fra nazioni, è quella di Afrin e Manbij, nord della Siria. Qui si scontrano plasticamente gli interessi di Usa, Russia e Turchia, mentre sul terreno si combattono turchi, curdi, lealisti e ribelli siriani, jihadisti, sotto gli occhi dei consiglieri militari russi e americani.



STOP ERDOGAN
STOP ERDOGAN

L'attacco, ordinato dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, mira a tutelare quello che Ankara considera un interesse vitale e strategico di difesa nazionale, stroncare la minaccia curda. Ma russi e americani sostengono i curdi, non foss'altro perché decisivi nella vittoriosa guerra al Califfato. A riprova della gravità della situazione, il presidente russo Putin ha fatto sapere tramite il suo portavoce, Dmitrij Peskov, di avere affrontato la crisi di Afrin presiedendo il Consiglio di sicurezza nazionale. Addirittura come primo argomento all'ordine del giorno rispetto all'Ucraina. E fra Putin e Erdogan sono in corso colloqui telefonici per tenere sotto controllo la situazione.

LE BOMBE TURCHE SU AFRIN
LE BOMBE TURCHE SU AFRIN



IL MESSAGGIOIl leader turco ha voluto comunicare a Putin di non accettare, ha poi detto in pubblico, «altri passi sbagliati» come l'invio ieri da Damasco di colonne militari di rinforzo alle Ypg curde, pena «un prezzo alto». Afrin - dice Erdogan - sarà assediata dall'esercito turco «per non permettere ai curdi di negoziare alcuna alleanza».



A sua volta il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, avverte che lo scontro «dev'essere risolto nel quadro dell'integrità territoriale dello Stato, in questo caso la Repubblica araba di Siria». Si può comprendere, per Mosca, la preoccupazione dei turchi, ma vanno anche riconosciute le «legittime aspettative dei curdi», evitando che qualcuno soffi sul fuoco per «estendere il caos nella regione». Per Lavrov l'unica via resta quella politica: «dialogo diretto con il governo siriano». No alla soluzione militare.

ERDOGAN ASSAD
ERDOGAN ASSAD



L'ALLEATOSullo sfondo, l'ansia degli americani e degli europei per i quali la Turchia è prima di tutto un pilastro della Nato (di qui il braccio di ferro perché Ankara si armi con sistemi europei e non russi) e l'attrito sul terreno con gli americani pro-curdi a Manbij non è solo fonte d'imbarazzo ma di inquietudine. Sullo sfondo, ancora, l'azione costante, capillare dell'Iran alleato in questa fase di Mosca e Damasco, e sempre più considerato una minaccia da Israele. Infine, la stonatura della resiliente rete di Al Qaeda il cui portavoce, Ayman al-Zawahiri, fa appello all'unità dei combattenti jihadisti e ai musulmani perché si preparino a una guerra «lunga decenni».
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Mondo | Di F. Q.
Ex spia del Cremlino avvelenata, Usa
e Ue espellono cento diplomatici russi
Mosca: ‘Misure speculari di rappresaglia’
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Tutti i quotidiani stamani accennano in prima pagina alla notizia dell'espulsione da parte italiana di due diplomatici russi.


Mentre il vice Bufaliere ritiene che la notizia non sia tale, il Bufaliere è il quotidiano che si spinge all'estremo.

ESPULSI DUE DIPLOMATICI


L'Italia senza governo
dichiara guerra alla Russia


Roma si accoda a Europa e Usa. Salvini: <<Un errore>>
Ecco cosa rischiano le nostre aziende
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Fake-war, dopo l’annuncio di Trump sul ritiro dalla Siria


Scritto il 12/4/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet

«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».
Alla Casa Bianca, avverte Foa, ora c’è John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale: è l’architetto delle inesistenti super-armi di Saddam. «Trump riuscirà anche questa volta a resistere ai ricatti o dovrà mettersi a bombardare la Siria?». Se lo domanda lo scrittore Paolo Mosca, sul blog “Mosquicide”, che offre un’insolita analisi sul profilo psico-politico di Trump: «In questo momento storico Jeremy Corbyn è forse il mio politico preferito – premette – e lui non si sognerebbe mai di dire cose diverse da quelle che fa. E questo forse è un suo punto debole». Al contrario, “The Donald” «dissocia parola, tweet e atto». E così facendo «mette totalmente in crisi il Deep State che cerca costantemente di manovrarlo dietro le quinte». Infatti: «Trump abbaia contro il dittatore nord coreano, ma poi fa in modo che si distendano le relazioni tra le due Coree», quindi espelle i diplomatici russi «ma poi invita Putin a New York». Ancora: «Apre verso Israele, ma poi cerca di tirarsi fuori dalla guerra siriana». E non appena lo fa, sottolinea Mosca, accadono due cose: «La notizia di un nuovo attacco chimico in Siria (smentito dalla Russia che invoca l’intervento di ispettori) e la visita dell’Fbi al suo avvocato personale, Michael Cohen, a cui vengono sequestrati documenti riguardanti il presidente».
E’ sempre il Deep State, secondo Paolo Mosca, a premere per i missili sulla Siria, in una pericolosissima sfida con la Russia: «Se il modo di parlare di Trump è da cattivo uomo di destra, il suo modo di agire è da presidente moderato che cerca di barcamenarsi tra le forze vischiose del potere che lo circonda». Aggiunge Mosca: «Credo che per molti aspetti queste elezioni avrebbe preferito perderle», magari per poi contrattare maxi-appalti da posizioni di forza, come leader dell’opposizione. Meno possibilista Foa, spaventato dagli sviluppi: annunci di attacchi imminenti, navi da guerra in avvicinamento, aerei d’attacco pronti al decollo. Il tweet dell’altro giorno in cui Trump ha accusato Putin di proteggere “un animale” come Assad è di una violenza incredibile, «volto chiaramente ad aprire il terreno a un attacco missilistico». Per Foa, «il Trump di queste ore non ha più nulla a che vedere con quello che è stato eletto 18 mesi fa». La nomina di un supefalco come Bolton (cioè «l’uomo, pericolosissimo, che sussurra all’orecchio del capo della Casa Bianca) secondo Foa «segna la conversione del presidente americano sulle posizioni che egli stesso e i suoi consiglieri della prima ora dichiaravano di aborrire».
Il Trump di una volta, agiunge Foa, desiderava che il suo paese non fosse trascinato in nuovi inutili conflitti, mentre «il Trump di oggi è irriconoscibile: è diventato un neoconservatore, ovvero ha fatto proprio lo spirito aberrante che ha guidato la mano di Bush, in buona parte quella di Obama, e che eccitava quella di Hillary Clinton». Il copione della guerra “umanitaria” è invariato, nella sua monotonia: il presunto attacco chimico sulla popolazione civile «ha tutta l’aria di essere una fake news istituzionale creata ad arte per creare un casus belli». Gli spin doctor dimostrano scarsa fantasia: usano sempre il solito schema, ricorda Foa. «Nel 2013 l’attacco con le armi chimiche che provocò la morte di 1300 persone e per il quale Obama era sul punto di scatenare l’inferno, risultò essere, in seguito, un caso di “false flag”, ovvero un attacco lanciato dai ribelli affinché la colpa ricadesse su Assad al fine di giustificare un intervento della Nato. L’anno scorso, la dammatica notizia dei forni crematori in cui venivano inceneriti i prigionieri politici alle porte di Damasco, lanciata da Amnesty ed enafatizzata dal Dipartimento di Stato Usa, è risultata essere una bufala per sorprendente ammissione dello stesso governo Usa».
Nei giorni scorsi, aggiunge Foa, abbiamo assistito al caso Skripal – che ricorda, nello “spin”, quello di Douma: «Una furia accusatoria implacabile e urgente nasconde quasi sempre un bluff». Ricordate? «Mosca ha 24 ore di tempo per discolparsi, ma non ci sono dubbi, sono stati i russi», tuonavano il premier May e il ministro degli esteri Johnson, rilanciati da una stampa occidentale come sempre straordinariamente priva di senso critico e analitico. A ruota, Washington e i paesi europei decisero l’espulsione dei diplomatici, e il governo americano adottò nuove sanzioni. «Ma la prova che l’attentato sia stato compiuto dal Cremlino non è mai arrivata. Gli esperti hanno dovuto ammettere che è impossibile stabilire chi abbia davvero prodotto il gas, che peraltro non è risultato nemmeno letale». Ora ci risiamo, sottolinea Foa: l’attacco al cloro è molto dubbio.«Dovrebbe essere verificato da una commissione indipendente, a cui però gli Usa non sono interessati. Bastano le immagini, commoventi, di bambini intubati per trascinare l’opinione pubblica. Molto probabilmente un giorno scopriremo la verità, ma la verità non interessa agli spin doctor». Concorda Gaiani, su “Analsi Difesa”: notizie e immagini di presunti attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei “ribelli”, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.
«Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi segreti anglo-americani», scrive Gaiani, certo non sospettabile di posizioni filo-siriane o filo-russe. «Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità». Ma peggio: Jaysh al-Islam, la formazione colpita a Douma, «è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016». Il cloro? «Non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico. I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa a Damasco, puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il regime di Assad».
Quanto al “cui prodest”, Gaiani non ha dubbi: «Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti, non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali». Assad sta “ripulendo” le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché mai – si domanda “Analisi Difesa” – dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma? «Perché dovrebbe colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?». Israele ha intanto bombardato la base siriana T-4 vicina a Palmira, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese, mentre Trump ora accusa anche Russia e Iran «in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare». Tutto questo, scrive Gaiani, «induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche».
La situazione sembra stia precipitando: Washington parla apertamente di azioni militari contro Damasco, caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid punitivi) mentre la Russia mette in guardia gli Usa contro un «intervento militare sulla base di pretesti inventati» in Siria, che potrebbe «portare a conseguenze più pesanti». Letteralmente, i russi avvertono: intercetteranno i missili americani e colpiranno anche le loro basi di lancio. Uno scenario teoricamente esplosivo, “perfetto” per chi sogna lo scatenarsi dell’apocalisse. Per Gaiaini, la cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, «specie dopo la figuraccia rimediata dal ministro degli esteri britannico Boris Johnson che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore dei laboratori militari di Sua Maestà». Ed ecco il punto: «La denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani»
Il ritiro dei duemila soldato americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del paese e a quelle di Damasco nell’est, «per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump», che ora sembra “costretto” a cambiare idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della “comunità internazionale” per i bambini “uccisi dal cloro di Assad”, cioè “l’animale” alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare. E’ la tesi di Paolo Mosca: l’ennesima strage (forse addirittura inventata – secondo i russi, non ci sono neppure vittime) si è verificata con puntualità cronometrica, a orologeria, non appena Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria. Legge dietro l’ufficialità è difficile. A frenare è il ministro della difesa, l’ex generale dei marines James Mattis: «Niente è ancora stato deciso», fa sapere. «Prima bisogna verificare cos’è successo davvero, in Siria».
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Siria, il generale Camporini: molto rumore, ma solo teatro

Scritto il 12/4/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet

Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».
Intervistato da Gian Micalessin, Camporini non prevede un intervento di grande portata contro la Siria. E soprattutto, non vede alcuna rischio di coinvolgimento del nostro paese: «Non siamo di fronte a un’operazione concordata in sede Nato», sottolinea l’alto ufficiale: «Siamo di fronte ad una azione unilaterale decisa dalla presidenza degli Stati Uniti». In queste ore si parla di aerei Poseidon P8 decollati dalla base di Sigonella. «I Poseidon sono aerei antisommergibile – spiega Camporini – e di certo non parteciperanno a questo tipo di attacchi». Non solo: «Per usare le basi di Aviano o Sigonella, gli americani dovrebbero chiedere l’autorizzazione del nostro governo. E un esecutivo dimissionario come quello del premier Paolo Gentiloni, chiamato soltanto a sbrigare gli affari correnti, non potrebbe concederla». Inoltre, ipotizzare una partecipazione italiana «significherebbe prefigurare un intervento molto più ampio di quello previsto dalla Casa Bianca». Dunque sarebbe un atto solo dimostrativo? «Sì, assolutamente», risponde Camporini. «Non siamo di fronte ad un raid in grado di cambiare la situazione sul terreno. Trump quasi sicuramente si limiterà a dimostrare di aver punito una nazione colpevole di esser andata oltre i limiti».
Si parla, però, di un possibile intervento concordato con l’Inghilterra e la Francia: pronte a partecipare all’azione. «La natura dell’operazione dal punto di vista militare non cambierebbe», chiarisce il generale. «Gli inglesi potrebbero utilizzare le basi di Cipro e i francesi degli aerei decollati da una loro portaerei nel Mediterraneo. Potrebbero venir utilizzati dei missili Storm Shadow con un raggio di 560 chilometri utilizzati a suo tempo anche dall’Italia per colpire le installazioni militari di Gheddafi in Libia». Diretti contro quali obbiettivi? «Gli americani preferiranno basi militari per evitare perdite civili collaterali», dice Camporini. «Poi bisogna vedere quanti missili Tomahawk riusciranno a superare le difese dell’antiaerea». Dunque i russi parteciperanno alle operazioni di difesa del territorio siriano? «Su questo ho pochi dubbi», afferma il generale. «I radar e i missili russi garantiranno la copertura delle installazioni militari siriane». C’è il rischio che vengano colpite basi in cui sono presenti militari russi o iraniani? «Non penso siano previsti attacchi rivolti a colpire direttamente personale non siriano». E la reazione russa? «Ritengo che Putin, per quanto abbia minacciato di reagire, preferisca lasciar sfogare gli americani nella consapevolezza che la loro azione non cambierà gli scenari», sostiene Camporini. «Quindi non vedo il rischio di un allargamento dello scontro e tantomeno il rischio di un conflitto mondiale».
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