Diario della caduta di un regime.

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Re: Diario della caduta di un regime.

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:oops: :oops: :oops: :oops: :oops: NOTA BANDA CRIMINALE HA TOLTO IL COLLEGAMENTO

Nelle stesse ore in cui la casa editrice "Editori Laterza" distribuiva nelle librerie italiane una raccolta di saggi di Stefano Rodotà, dal titolo "Vivere la democazia",
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UncleTom ha scritto: :oops: :oops: :oops: :oops: :oops: NOTA BANDA CRIMINALE HA TOLTO IL COLLEGAMENTO

Nelle stesse ore in cui la casa editrice "Editori Laterza" distribuiva nelle librerie italiane una raccolta di saggi di Stefano Rodotà, dal titolo "Vivere la democazia",

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QUESTO E' QUANTO STAVO POSTANDO, QUANDO LA((LO <<<<<< :oops: :oops: :oops: :oops: ))BANDA CRIMINALE RENZIANA HA TOLTO PER 3 VOLTE IL COLLEGAMENTO, AL FINE DI SABOTARE IL POST

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Re: Diario della caduta di un regime.

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.....LA DECOMPOSIZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA IN DIRETTA





1) OVVIO, CHE PER AFFERMARE CERTE COSE DEVONO ESSERE PROFONDAMENTE CONVINTI CHE GLI ITALIANI SIANO UNA MANDRIA DI SCEMI.


Scriveva ieri il giornale diretto da Littorio Feltri, il vice Bufaliere:

Non è una festa ma una liturgia bolsa


Liberateci dalla Liberazione


La gente non sa più il motivo per cui si santifica il 25 aprile. Le divisioni storiche sono superate, inuti
La resistenza ora è semmai contro lo squadrismo dell'ignoranza, di matrice grillina, per cui tutto è da buttare

Per i giudici (ilviolenti<<<< :cry: :cry: :cry: :cry: ) i violenti antifascisti che hanno picchiato i poliziotti sono fascisti<<<< :cry: :cry: :cry:




QUESTA E' LA PROPAGANDA DEL FASCISMO 2.0, COME DEFINISCE PAOLO BERIZZI DI REPUBBLICA NEL SUO LIBRO APPENA USCITO:


NAZI
.....ITALIA



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MENTRE IL BUFALIERE IN CAMICIA NERA SCRIVEVA:


......PERICOLO SCAMPATO

IL NOSTRO 25 APRILE:
LIBERI DA DI MAIO
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Di Bernardo: basta democrazia, serve un tiranno illuminato

Scritto il 26/4/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

Democrazia? No, grazie. Non serve più, per governare questa turbolenta società mondializzata. Parola del massone Giuliano Di Bernardo, filosofo e sociologo, a capo del Grande Oriente d’Italia dal ‘90 al ‘93. Successivamente fondatore della Gran Loggia Regolare d’Italia, Di Bernardo ha poi creato l’Accademia degli Illuminati, oggi Dignity Order. Intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights”, fornisce un quadro dolente della massoneria italiana, insidiata dalla mafia al Sud e in piena crisi di identità. «Si ripetono ritualità simboliche di cui non si conosce più il significato: questo si chiama contro-iniziazione ed è persino peggio della contiguità con la mafia, premesso che – se accetta mafiosi al suo interno – la massoneria cessa di essere tale». Una lunga intervista, quella di Di Bernardo, che offre una lettura critica del sistema massonico italiano, sempre meno influente a livello politico dopo la tragica parentesi della P2 di Gelli, un uomo “al servizio degli Usa”. Pesano le ultime devastanti polemiche innescate dalla commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi, che denuncia la presenza di oltre mille affiliati-fantasma, nel Meridione: iscritti di cui non si conoscerebbe ufficialmente l’identità. Di Bernardo auspica una massoneria trasparente, ma avverte: la democrazia, purtroppo, non basta più. Serve un «tiranno illuminato», per uscire dal caos del mondo globalizzato.
Affermazione decisamente sorprendente, se si considera che proprio la massoneria – attraverso l’Illuminismo – è stata la vera “levatrice” della società moderna, capace di superare i privilegi anacronistici dell’Ancien Régime, instaurando il parlamentarismo democratico di repubbliche e monarchie costituzionali. «Lo Stato democratico non l’ha portato la cicogna», sottolinea Gioele Magaldi, già gran maestro della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia e ora leader del Grande Oriente Democratico, nonché fondatore del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni”, stampato nel 2014 da Chiarelettere. «Suffragio universale, diritto di voto e pari dignità per tutti: oggi la diamo per scontata, ma la democrazia è il fondamento della modernità. E’ il risultato storico di un enorme impegno profuso dalla massoneria contro l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo teocratico». Magaldi è stato il primo a parlare di massoni “contro-iniziati”, alludendo a personaggi del calibro di Draghi e Monti, esponenti della nuova oligarchia sovranazionale incarnata dalle 36 Ur-Lodges che sovrintendono alle grandi decisioni sul futuro del pianeta. Gianfranco Carpeoro, a sua volta massone (già a capo del Rito Scozzese italiano) nonché autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, stenta a riconoscere l’identità massonica degli oligarchi neo-aristocratici delle superlogge: «La massoneria è democratica e progressista per definizione; se smette di esserlo, cessa anche di essere massoneria».
Nel suo libro, edito nel 2016 da “Revoluzione”, Carpeoro spiega come – proprio in seno alla massoneria – siano comunque nate precise pulsioni antidemocratiche. L’antesignano di questa corrente di pensiero è il marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, medico parigino vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 e teorico della “sinarchia”, forma aristocratica di “governo dei migliori”, convinti che il popolo non abbia la capacità di autogovernarsi. Atteggiamento che affiora con grande evidenza nei tratti dell’élite attuale, spesso guidata da esponenti del potere statunitense, “eredi” del filone arbitrariamente ispiratosi agli Illuminati di Baviera, per maneggiare a proprio uso (“nuovo ordine mondiale”) l’internazionalismo settecentesco professato dal tedesco Johann Adam Weishaupt. Corsi e ricorsi storici: di troppa democrazia si muore, scrisse un altro massone – Samuel Huntington – nel celebre saggio “The crisis of democracy” commissionato dalla Trilaterale alla vigilia dell’era della globalizzazione. “Curare” la democrazia riducendo gli spazi democratici? Sono in tanti a pensarla così, a Bruxelles e dintorni. La notizia è che di questo parere è lo stesso Di Bernardo.
«Nella mia visione – dice, l’ex gran maestro del Goi – la società globale non può essere governata con la democrazia». E spiega: il ricorso alla sola democrazia, in un mondo globalizzato, «creerebbe tanti di quei conflitti che, alla fin fine, si verrebbe a realizzare lo “stato di guerra di tutti contro tutti” di cui ha parlato Locke». L’alternativa alla democrazia? Il governo degli “ottimati”: «Io ritengo che il futuro dell’umanità, che vede la realizzazione della società globale – scandisce Di Bernardo – debba essere governato da una comunità di saggi che esprimono “l’Uno”, il tiranno illuminato». Un pensiero non lontano, probabilmente, da quello degli stessi architetti della globalizzazione, il sistema-mondo ridisegnato dai vari Rockefeller e Rothschild, Kissinger e Brzezinski. L’Occidente vive una crisi profondissima, osserva giustamente Di Bernardo. Ma, secondo vari altri esponenti del mondo culturale massonico – inclusi Magaldi e Carpeoro – la crisi attuale è dovuta proprio alla mancanza di democrazia, non certo al suo eccesso. L’impegno della massoneria progressista, anche internazionale? Ingaggiare una battaglia, a livello mondiale, per il ritorno della democrazia – a cominciare dall’Europa, sottomessa al potere “totalitario” di organismi come l’Ue e la Bce, che di democratico non hanno più niente.
UncleTom
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.....LA DECOMPOSIZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA IN DIRETTA


.....DAI PADRI FONDATORI,......AI PADRI DISTRUTTORI




DALLA PRIMA PAGINA DEL CORRIERE DELLA SERA:


Il Pd si divide:
intesa più difficile
con i 5 stelle


Berlusconi attacca il M5S, Salvini: Ora basta

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PINOCCHIO MUSSOLONI E' SEMPRE LO STESSO. IL PD E' GIA' SPARITO.....E CON IL PD E' SPARITA ANCHE L'ITALIA.
QUESTA SITUAZIONE DI STALLO PRODOTTO INDIRETTAMENTE DAGLI ELETTORI, DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DALLA SUA PRESIDENZA FALLIMENTARE DAL 2012.

:roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll: :roll:
:roll: :roll: :roll: :roll: :roll:

LA BANDA (CRIMININALE <<<<<<:cry: :cry: :cry: :cry:CRIMINALE RENZIANA NON SI SMENTISCE MAI

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Pagina 2:

Le nuove consultazioni di Fico
Duello nel Pd. Martina : rischio urne


Calenda minaccia l'addio se c'è l'asse con il M5S. Giacomelli: Renzi ritiri le dimissioni. il rreggente frena



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iL PD NON ESISTE PIU' DA ANNI. E' DIVENTATO LA TERRA DEI MORTI VIVENTI



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DAL CORRIERE DELLA SERA, PAGINA 3:

<<Niente intesa o spariremo>>
Renzi torna e sente la piazza
per dare messaggi al partito

Show a Firenze dopo un lungo silenzio: vedete, la gente è con me



PINOCCHIO MUSSOLONI E' SEMPRE LO STESSO. IL PD E' GIA' SPARITO.....E CON IL PD E' SPARITA ANCHE L'ITALIA.
QUESTA SITUAZIONE DI STALLO PRODOTTO INDIRETTAMENTE DAGLI ELETTORI, DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DALLA SUA PRESIDENZA FALLIMENTARE DAL 2012.





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PAGINA 8

Berlusconi: la gente dice
che con il M5S si sente
come con gli ebrei con Hitler


il leader a Porzus : c'è un pericolo. Polemica sulle frasi
I suoi ha citato una persona, non è un suo pensiero.



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PAGINA 9

L'ira di Salvini. <<Eviterò di incontrarlo>>

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LA SOLITA BANDA CRIMINALE HA PROVOCATO L'INTERRUZIONE PER (ACANCELLARE <<<< :oops: :oops: :oops: :oops: ) CANCELLARE QUANTO SCRITTO

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BERLUSCONI SI E' ACCCORTO DI ESSERE NELLA FASE DI DECLINO, E PERTANTO E' COSTRETTO A SPARARLE PIU' GROSSE CHE IN PASSATO


DIMOSTRANDO CHE DEGLI ITALIANI NON GLIENE E' MAI FREGATO UN caXXo.

MUOIA SANSONE E TUTTI I FILISTEI.

QUESTA E' LA SUA CONCEZIONE DEGLI ITALIANI, COMPRESI QUELLI CHE SEMPRE LO HANNO SOSTENUTO



TANTO CHE HA INDOTTO IL SUO QUOTIDIANO DELLA PROPAGANDA, IL BUFALIERE, DI SCRIVERE:



..........ALLEANZA IN SALITA

RENZI SCARICA I GRILLINI:
SONO UNA BABY GANG



^^^^^^^


NON SI RASSEGNA AD ESSERE FUORI DAI GIOCHI, E IN QUESTO CASO USA PINOCCHIO MUSSOLONI.


AFFONDERANNO TUTTI E DUE ASSIEME
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Re: Diario della caduta di un regime.

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.....LA DECOMPOSIZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA IN DIRETTA


.....DAI PADRI FONDATORI,......AI PADRI DISTRUTTORI




Oggi, il Bufaliere mette in prima pagina la motivazione per cui per la prima volta nella storia della Repubblica italiana un capo partito ultraottantenne è ancora in pista nello scannatoio tricolore.



DI MAIO VUOLE SPEGNERE
...MEDIASET, RAI (E NOI)


Delirio del leader 5 stelle : mettere le mani sulle tv pubbliche e private
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Folli: governo “istituzionale” con Pd e M5S o nuove elezioni

Scritto il 28/4/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

«Avremo la solita merda, perché votiamo con odio: contro qualcuno, anziché per qualcosa». A due mesi dalla tornata elettorale del 4 marzo, sembra stia avverandosi la ruvida “profezia” di Gianfranco Carpeoro, massone e saggista, osservatore particolare della scena italiana. «Non scegliamo un progetto, una prospettiva, un’ipotesi di futuro: alle urne, ci basta punire il “cattivo” di turno», si chiami Craxi o Berlusconi, o magari Matteo Renzi. Risultato: nessun vero progetto è sul tappeto, nemmeno stavolta, dopo settimane di inutili consultazioni. Fallito l’aggancio tra Di Maio e Salvini per via del veto sul Cavaliere, non resta che l’increscioso “inciucio” tra ex acerrimi nemici, peraltro annunciato dallo stesso Carpeoro: «La massoneria, italiana e internazionale, sta facendo enormi pressioni sul Pd perché archivi Renzi e si allei coi 5 Stelle». Magari per dare vita a un “governo istituzionale”, come unica alternativa alle elezioni anticipate (quasi inutili, restando invariata la legge elettorale). Lo afferma anche Stefano Folli, editorialista di “Repubblica”, sondato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario” dopo la chiusura del mandato esplorativo di Roberto Fico. Ora tocca al Pd pronunciarsi. Ma quella del governo “istituzionale”, secondo Folli, è l’unica soluzione sulla quale il Pd renziano potrebbe trovare un punto di incontro con i grillini. «Mattarella attende fiducioso nuovi sviluppi, ma le possibilità di formare una maggioranza politica sono pressoché esaurite».
Di Maio si è rivolto agli elettori del Pd, ha difeso la necessità di un “contratto di governo al rialzo”. Ha detto che serve una legge sul conflitto di interessi e ha perfino “difeso” Salvini dal possibile attacco mediatico di Berlusconi. «Il conflitto di interessi non è una novità per Di Maio, ma stavolta è stata una minaccia: Berlusconi badi a non mettersi troppo di traverso». Secondo Folli, «le blandizie a Salvini sono poca cosa, se l’obiettivo è cercare di riaprire il fronte leghista, con l’idea che Salvini possa mollare Berlusconi dopo il voto in Friuli», alle regionali. Di Maio continua a parlare da premier in pectore, ma lo sarà mai? «No, né lui né Salvini», risponde Folli. «Di Maio parla al suo elettorato, che comincia ad essere assai deluso di quanto sta accadendo». Attenzione: «Se al malumore crescente per l’ipotesi di un’alleanza con il Pd si aggiunge la rinuncia esplicita a Palazzo Chigi, non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere nei 5 Stelle». Sul fronte opposto, i “governisti” del Pd sono ancora in minoranza, ma non è detto che il 3 maggio la direzione nazionale del partito sancisca per forza il “no” all’ipotesi di un governo col Movimento 5 Stelle: «La politica è strana», ammette Folli. «Stiamo vivendo una stagione piena di imprevisti».
Difficile pensare a un accordo diretto tra Pd e 5 Stelle, «però un governo di garanzia o istituzionale sarebbe certamente visto in modo diverso nel Pd, anche da parte di coloro che oggi dicono “no” e basta». Sarebbe l’unica soluzione alternativa alle elezioni anticipate, sostiene Folli. Ma che governo dovrebbe essere, per essere votato anche da Salvini e Di Maio? «Un governo senza un’impronta politica, senza rappresentanti dei partiti nella squadra di governo e senza una maggioranza politica intesa come tale a sostenerlo». In altre parole: un esecutivo che non contenga nessuna delle istanze emerse alle elezioni (“la solita merda”, per dirla con Carpeoro). Cambiare almeno la legge elettorale? Solo strada facendo, dato che «ci vuole un accordo trasversale molto ampio, una maggioranza politica», mentre oggi «si comincerebbe da una semplice convergenza parlamentare su un governo di transizione». Un governo, ricorda Ferraù, che dovrebbe innanzitutto farsi carico del Def: cioè la “lista del rigore” che l’Ue pretende, come se gli italiani non avessero votato – in larga maggioranza – per archiviare l’austerity, tagliando le tasse e finanziando il reddito di cittadinanza. Il Def che incombe sul paese, ricorda Stefano Folli, prevede invece il taglio della spesa per scongiurare l’aumento dell’Iva: «Un’eventualità micidiale per l’economia italiana. E’ davvero singolare che non se ne parli».
In mancanza di un’alternativa politica, osserva Folli, questo tipo di governo sarebbe la prima opzione del Colle. «L’altro giorno Di Maio ha scartato questa soluzione, a parole; nei fatti, potrebbe andare diversamente». E se anche questa soluzione dovesse fallire? «Resterebbero solo le elezioni anticipate, insieme al problema del governo con cui arrivarci», sottolinea l’editorialista di “Repubblica”. «Sarebbe un fallimento politico tremendo: altri Stati europei hanno rivotato in breve tempo senza terremoti, ma nella situazione italiana bisognerebbe pensarci bene prima di precipitarsi di nuovo alle urne, magari solo per calcoli e ripicche». Eppure, questa è la situazione: l’unica svolta politica – l’alleanza tra Di Maio e Salvini – è bloccata da Berlusconi, con cui Salvini non romperebbe mai, dato che punta a ereditare l’elettorato del Cavaliere: «Non gli conviene fare il partner di minoranza di un governo Di Maio, nemmeno in cambio di qualche ministro di peso». E se Berlusconi teme le urne, a scommettere sulle elezioni anticipate sarebbe proprio Renzi. Un calcolo spericolato, motivato solo dalla voglia di «regolare ancora una volta i conti con i suoi nemici interni, Franceschini per primo, e ottenere il controllo assoluto di un partito che ritiene non possa scendere sotto la percentuale del 4 marzo», un umiliante 18,7%. Un tracollo inflittogli dall’elettorato leghista e grillino, che il Pd pro-Bruxelles non ancora trovato il coraggio di discutere. Sul fronte opposto, chi ha vinto le elezioni (alzando il tono contro il rigore Ue) sembra destinato, ancora una volta, a “perdere” il governo.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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PRO MEMORIA : CHI VOTA IL PD RENZIANO SI SCAVA LA FOSSA E LA SCAVA ANCHE AGLI ITALIANI





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Foa: casa e risparmi, entro 5 anni ci porteranno via tutto

Scritto il 30/4/18 • nella Categoria: idee Condividi
Oggi credo che nelle nostre società ci sia questa percezione molto netta: o le cose cambiano nei prossimi cinque anni, oppure andremo a compromettere le conquiste economiche, sociali e anche private che noi – italiani ed europei in generale – abbiamo costruito negli ultimi 60-70 anni. Nel suo blog, Panagiotis Grigoriou descrive per filo e per segno le operazioni di ingegneria sociale che stanno applicando alla Grecia. In Grecia, i giornalisti della Tv pubblica erano i più accaniti sostenitori delle riforme che Bruxelles proponeva. Che fine hanno fatto? Hanno chiuso la Tv pubblica, sono tutti disoccupati. Andate a chiedere alla classe media greca: si illudeva, per il fatto di avere qualche centinaio di migliaia di euro in tasca, l’alloggio ad Atene che valeva 700.000 euro, la casetta sull’isola. “Che cosa può accadermi?”, pesava: “Ho abbastanza grasso”. Andate a chiedere a loro: è rimasto ben poco. Il punto è che le logiche della gestione del potere indicano che la rotta scelta da un certo establishment europeo sta portando verso una società neo-feudale, purtroppo, in cui c’è una piccola, vera casta, molto privilegiata, e gli altri diventano servi della gleba.
Puoi essere di destra o di sinistra, ma questo ti colpirà in ogni caso. Puoi essere liberista o meno, liberale o socialdemocratico: ti colpisce. Il Fondo Monetario Internazionale ha appena detto: attenzione, per rilanciare l’Italia bisogna andare a tassare le proprietà immobiliari e le ricchezze. Ed è molto significativo, il fatto che l’abbia detto in questo momento. Indica una rotta: significa che queste élite non hanno capito qual è il cuore del problema, vogliono continuare a perseguire il loro programma – che è aberrante, perché ci renderà tutti molto più poveri, e ci toglierà quella libertà che abbiamo conquistato. A questo non bisogna arrendersi, e per questo noi combattiamo. Per questo è molto importante capire i meccanismi dell’informazione e del condizionamento sociale e psicologico, perché è la cosa che più di ogni altra “loro” temono. Le “fake news” sono semplicemente un pretesto per imporre la censura, tenetelo a mente: e questo messaggio non deve passare, perché – se passa – non ci saremo neppure più noi a cercare di spiegarvi come vanno le cose. Questo è quello che vogliono.
La polemica su Facebook e Cambridge Analytica? E’ un puro pretesto: sapevamo tutti che Facebook usa e manipola i dati che noi gentilmente gli diamo. Quando li manipolava Obama andava benissimo, se invece li usa Trump allora scoppia il casino, perché si sono resi conto che il meccanismo che avevano creato era uscito dal loro controllo e quindi stanno cercando di riportarlo sotto quel controllo. Tutto questo bisogna denunciarlo con forza. Implica una lotta continua di informazione, anche una lotta politica, bisogna mantenere gli occhi aperti e la voglia di non arrendersi. Io continuo a credere che sia possibile che ci sia tutto sommato anche un “karma” che ci può aiutare, perché alla fine il “karma” è assolutamente dalla nostra parte. E questa è una ragione molto valida, per continuare ad andare avanti.
(Marcello Foa, dichiarazioni conclusive della conferenza “Gli stregoni della notizia” promossa a Roma il 21 aprile 2018 da “L’Intellettuale Dissidente” a dall’associazione “A/Simmetrie”, ripresa da “ByoBlu” nel video “Verso una censura violenta e drammatica”. Protagonisti dell’incontro, insieme a Foa, due economisti: il marxista Vladimiro Giacché e il keynesiano Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Foa è autore del saggio “Gli stregoni della notizia, atto secondo”, ovvero “Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”, editore Guerini e Associati, 293 pagine, euro 21,50).
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Democrazia sovrana, il fantasma che spaventa questi partiti

Scritto il 29/4/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Si fa presto a dire destra, così come a dire sinistra. Dopo cotanta campagna elettorale, l’Italia rischia di avere l’ennesimo governicchio incolore, magari “istituzionale”? Rischia di ritrovarsi a Palazzo Chigi qualcuno che non sia scelto né da Salvini né da Berlusconi, cioè i due alfieri della coalizione che ha vinto le elezioni? In molti, dopo il 4 marzo, hanno tifato per l’alleanza “impossibile” tra i due giovani portavoce del rinnovamento invocato dal 55% degli elettori. In tanti hanno incoraggiato il leader della Lega e il candidato dei 5 Stelle, come se davvero Salvini e Di Maio volessero (o potessero) cambiare qualcosa, nella “palude” italiana gestita sottobanco da un’oligarchia anfibia che lavora per conto terzi. E’ una casta fantasma, vassalla dell’élite privatistica internazionale – industriale, bancaria – che cura i propri affari fingendo di amministrare l’Europa tramite i suoi uomini, piazzati alla Bce e alla Commissione Europea. Una “spectre” efficientissima, che dispone di terminali in tutti i ministeri che contano, nelle banche centrali, nei think-tanks che dettano le regole del grande business oligopolistico, poi regolarmente tradotte in direttive europee. Dogmi inviolabili e nuove teologie come quella neoliberista: rigore per tutti, tranne che per l’élite finanziaria globalista e mercantilista.
La piramide tecnocratica chiamata Unione Europea è solo l’interfaccia del sommo potere economico, che non ha altra bandiera che quella del denaro. Operazione ormai messa in chiaro: “Lotta di classe dei ricchi contro i poveri”, la chiamava il sociologo Luciano Gallino. Immenso trasferimento di ricchezza, dal basso verso l’alto, mai visto dall’avvento della modernità industriale. Neo-feudalesimo, al posto della democrazia ormai svuotata: lo Stato non ha più sovranità, è costretto a eseguire ordini. Per cosa votare, allora? Punti di vista. Nel famoso referendum del 4 dicembre si votò contro Renzi in modo ipocrita, dichiarando ufficialmente di voler difendere la Costituzione così com’era, cioè già irrimediabilmente lesionata dall’inserimento di un obbligo aberrante, quello del pareggio di bilancio. Una norma-killer, che equivale alla morte clinica dello Stato come comunità politica sovrana: se non posso più decidere come investire sulla società e sull’economia, dove finisce la mia teorica democrazia? Si riduce, come avviene oggi, allo spettacolo di estenuanti trattative attorno al nulla: alleanze “impossibili”, oppure l’ennesimo governo sottomesso “all’Europa”. All’orizzonte resta il mesto ritorno alle urne, con partiti che (tranne la Lega e Fratelli d’Italia) hanno tutti accuratamente evitato – prima, durante e dopo – di affrontare il vero, grande problema da cui discende la crisi italiana: cioè il vincolo capitale di Bruxelles, che impedisce agli elettori di decidere davvero del loro futuro.
Destra e sinistra? Parole che avevano un senso nel ‘900, cioè in regime di relativa sovranità. Storicamente, di fronte a un’emergenza democratica, le estreme si alleano: in Italia accadde sotto l’occupazione nazifascista e, subito dopo, al momento di scrivere (insieme) la Costituzione. Poi, per mezzo secolo e oltre, destra e sinistra si sono confrontate apertamente. Oggi sono praticamente scomparse. Nella cosiddetta Seconda Repubblica, un’élite residuale della ex sinistra ha assunto il comando – non in proprio, ma per conto dei signori di Bruxelles – applicando alla lettera ogni diktat della destra economica privatizzatrice. Prodromi: il funesto divorzio fra Tesoro e Bankitalia, già negli anni ‘80 (all’origine dell’esplosione artificiosa del debito pubblico) e la drammatica rottamazione dell’Iri, che ha lesionato il sistema industriale italiano su input franco-tedesco. Andreatta, Ciampi, Prodi. E poi Amato e Visco, Bassanini e D’Alema, Padoa Schioppa. Una parabola infelice e rovinosa, conclusa con il crollo del grottesco Pd renziano, consegnatosi alla post-politica terzista, apparente protagonismo personalistico al servizio delle lobby.
Dalla destra elettorale, messa all’angolo dalla “filiera del rigore” inagurata da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni, viene la nuova Lega di Salvini, alleata con Fratelli d’Italia nel mettere a fuoco l’identità del vero avversario, il potere che manovra la tecnocrazia di Bruxelles. Ma Salvini e Meloni, costretti per ragioni tattiche nella coalizione di centrodestra, si sono votati alla rinuncia: sapevano fin dall’inizio che il loro partner ingombrante, Berlusconi, non li avrebbe seguiti nella battaglia per difendere l’Italia dall’Ue. Peggio ancora l’ambiguo Movimento 5 Stelle, che ha saltato l’ostacolo Bruxelles evitando di parlarne: ha fatto il pieno di voti promettendo il reddito di cittadinanza (senza spiegare come finanziarlo) dopo aver mandato Di Maio nei santuari della finanza, per rassicurare i nemici dell’Italia: con lui al governo, le regole-capestro non sarebbero cambiate. L’aspirante premier venuto dal nulla oggi parla di “contratti”, come se le alleanze fossero merce in saldo. E affida a un oscuro docente universitario lo studio dei programmi dei vari partiti, per verificare possibili aree di convergenza.
Sul piano estetico, la sensazione è devastante: là dove servirebbe la politica, si affollano maggiordomi e funzionari. Gli elettori di Di Maio saranno felici si scoprire che le sorti del prossimo governo italiano potrebbero dipendere dal professor Giacinto Della Cananea, ordinario di diritto amministrativo a Tor Vergata e allievo di Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale. Come se Di Maio, per il suo “contratto”, dovesse ricorrere all’inarrivabile sapienza di un super-consulente, un tecnocrate di rango. L’agenda politica, nel frattempo, resta in bianco: con Salvini o il Pd è uguale, l’importante è arrivare a Palazzo Chigi (o almeno, fingere di volerci arrivare). Se qualcuno voleva che gli elettori italiani si spazientissero, concludendo che le elezioni del 4 marzo sono state perfettamente inutili, ci sta riuscendo. La situazione non è solo bloccata dai veti incrociati: non esiste proprio orizzonte diverso da quello degli ultimi anni, in cui il paese è precipitato in una crisi che non ha eguali, dal dopoguerra. Le lingue sono tagliate, non dicono la verità: alle varie incarnazioni del demonio di comodo – Berlusconi, Renzi – si sono opposti esorcisti altrettanto improbabili, pronti a maneggiare qualsiasi slogan tranne quelli che servirebbero. Va bene tutto, persino la guerricciola contro i famigerati vitalizi, pur di non evocare lo spettro di cui tutti hanno paura: quello della sovranità democratica.



La piramide tecnocratica chiamata Unione Europea è solo l’interfaccia del sommo potere economico, che non ha altra bandiera che quella del denaro. Operazione ormai messa in chiaro: “Lotta di classe dei ricchi contro i poveri”, la chiamava il Luigi Di Maiosociologo Luciano Gallino. Immenso trasferimento di ricchezza, dal basso verso l’alto, mai visto dall’avvento della modernità industriale. Neo-feudalesimo, al posto della democrazia ormai svuotata: lo Stato non ha più sovranità, è costretto a eseguire ordini. Per cosa votare, allora? Punti di vista. Nel famoso referendum del 4 dicembre si votò contro Renzi in modo ipocrita, dichiarando ufficialmente di voler difendere la Costituzione così com’era, cioè già irrimediabilmente lesionata dall’inserimento di viene la nuova Lega di Salvini, alleata con Fratelli d’Italia nel mettere a fuoco l’identità del vero avversario, il potere che manovra la tecnocrazia di Bruxelles. Ma Salvini e Meloni, costretti per ragioni tattiche nella coalizione di centrodestra, si sono votati alla rinuncia: sapevano fin dall’inizio che il loro partner ingombrante, Berlusconi, non li avrebbe seguiti nella battaglia per difendere l’Italia dall’Ue. Peggio ancora l’ambiguo Movimento 5 Stelle, che ha saltato l’ostacolo Bruxelles evitando di parlarne: ha fatto il pieno di voti promettendo il reddito di cittadinanza (senza spiegare come finanziarlo) dopo aver spedito Di Maio nei santuari della finanza, per rassicurare i nemici dell’Italia: con lui al governo, le regole-capestro non sarebbero cambiate. L’aspirante premier venuto dal nulla oggi parla di “contratti”, come se le alleanze fossero merce in saldo. E affida a un oscuro Giacinto Della Cananeadocente universitario lo studio dei programmi dei vari partiti, per verificare possibili aree di convergenza.

Sul piano estetico, la sensazione è devastante: là dove servirebbe la politica, si affollano maggiordomi e funzionari. Gli elettori di Di Maio saranno felici si scoprire che le sorti del prossimo governo italiano potrebbero dipendere dal professor Giacinto Della Cananea, ordinario di diritto amministrativo a Tor Vergata e allievo di Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale. Come se Di Maio, per il suo “contratto”, dovesse ricorrere all’inarrivabile sapienza di un super-consulente, un tecnocrate di rango. L’agenda politica, nel frattempo, resta in bianco: con Salvini o il Pd è uguale, l’importante è arrivare a Palazzo Chigi (o almeno, fingere di volerci arrivare). Se qualcuno sperava che gli elettori italiani si spazientissero, spingendoli a concludere che le elezioni del 4 marzo sono state perfettamente inutili, ci sta riuscendo. La situazione non è solo bloccata dai veti incrociati: non esiste proprio orizzonte diverso da quello degli ultimi anni, in cui il paese è precipitato in una crisi che non ha eguali, dal dopoguerra. Le lingue sono tagliate, non dicono la verità: alle varie incarnazioni del demonio di comodo – Berlusconi, Renzi – si sono opposti esorcisti altrettanto improbabili, pronti a maneggiare qualsiasi slogan tranne quelli che servirebbero. Va bene tutto, persino la guerricciola contro i famigerati vitalizi, pur di non evocare lo spettro di cui tutti hanno paura: il fantasma della sovranità democratica.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

......AVANTI TUTTA,....VERSO LO SFACIO COMPLETO



Titolava ieri in prima pagina il Fatto Quotidiano:

OPZIONI FINITE Martina e i vertici del Pd contro Renzi che blocca il dialogo col M5S


Salta tutto, si rivota

Il centrodestra stravince in Friuli con il 57%. Crollano i dem e i 5Stelle
Di Maio a Salvini: "Voto a giugno". Ma non si può prima dell'autunno



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Mentre il Bufaliere titolava:

.........FLOP COLOSSALE

CINQUE STELLE CADENTI

In Friuli trionfa il centrodestra: Fedriga presidente. E i grillini precipitano al 7%
Berlusconi all'attacco: <<Adesso il governo tocca a noi>>




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Politica
martedì 01/05/2018
Gustavo Zagrebelsky: “Eversivo l’Aventino di Renzi. Nel proporzionale ci si allea”


L'INTERVISTA - Il professore: “Per me i dem dovrebbero provare a fare un governo, anche breve su poche cose, con i 5Stelle. Così finiranno per distruggere il partito”. E sulla linea che Renzi promuove dal 5 marzo: "Gli elettori non mandano nessuno all'opposizione, votano e sperano che del loro si faccia buon uso"

di Marco Travaglio | 1 maggio 2018

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Professor Gustavo Zagrebelsky, l’ha sentito Renzi da Fabio Fazio?

Lei conosce la teoria generale dei numeri nel diritto costituzionale e nella politica?

No, veramente no. Ma c’entra qualcosa con Renzi che chiude la porta in faccia ai 5Stelle e con lo stallo ormai definitivo della politica italiana?

C’entra, vedrà. Il numero 1 è quello del principato: uno regna, tutti gli altri obbediscono. Il numero 2 è quello della sovversione e della rissa: se le forze in campo sono solo due e si affrontano come si usa nelle democrazie latine, inclusa la nostra, senza la cultura politica del ‘modello Westminster’ che spesso si invoca da noi, l’una tende a sopraffare l’altra. In Italia, il 2 significa la totale occupazione dello Stato, degli enti pubblici, della Rai, della burocrazia, della sanità, della cultura… Si vive in quello che Tucidide, nella Guerra del Peloponneso, chiamava stasis: che non è solo lo stallo, è la quiete apparente che precede la tempesta, lo scontro finale dove uno solo dei due resta in vita. Poi c’è il numero 3.

Che è il caso dell’Italia tripolare nata nel 2013, quando in Parlamento si affacciarono i 5Stelle.

Il 3 è il numero perfetto anche per il pensiero costituzionale: la cifra dell’equilibrio dinamico che garantisce tutti. Se in Parlamento hai tre forze, due potrebbero accordarsi per eliminare la terza, ma poi si piomberebbe nel numero 2: la stasis e lo scontro. Invece conviene a tutti che esista sempre una terza forza, a garanzia delle altre due, contro l’esplodere del conflitto radicale.

Già, ma intanto non si riesce a formare un governo, si torna a votare e, dopo, siamo punto e daccapo. Infatti Renzi ne approfitta per incolpare gli elettori che bocciarono la sua riforma costituzionale e diedero l’assist alla Consulta per silurare anche il ballottaggio dell’Italicum, che la sera delle elezioni ci avrebbe dato un vincitore e un governo sicuro.

Ma non vorrà mica dargli retta, spero. L’Italicum fu bocciato dalla Consulta perché al secondo turno prevedeva un ballottaggio mai visto al mondo fra liste nazionali (non fra singoli candidati in ogni collegio, come in Francia) e assegnava la maggioranza parlamentare a chi rappresentava un’esigua minoranza nel Paese, senza neppure fissare una soglia minima di voti. I premi di maggioranza sono, appunto, di maggioranza, non di minoranza: possono aiutare chi si avvicina alla maggioranza ad averne una più agevole, non a trasformare una piccola minoranza in maggioranza. Il referendum non c’entra nulla: quello riguardava una ‘riforma’ che, insieme a varie aberrazioni, avrebbe voluto fare del Senato un docile strumento in mano all’oligarchia regionale e comunale dei partiti.

Ma come si fa a fare un governo se due su tre non si mettono d’accordo?

Il Pd è la terza forza, dopo il centrodestra e i 5Stelle. Dovrebbe sfruttare questa posizione che lo rende indispensabile alle due forze maggiori e scegliere di coalizzarsi con quella che ritiene più vicina o meno distante: o i 5 Stelle, come io e lei auspichiamo fin dal 4 marzo, oppure il centrodestra. Del resto il Pd non ha avuto problemi, nel 2011 e nel 2013, a fare due governi con Forza Italia e nel 2014, con Renzi, ad accordarsi con pezzi di centrodestra. Renzi invece, anziché far fruttare il 18,7% di voti ottenuto alle elezioni, non vuole proprio giocare la partita: lavora per lo stallo, la stasis. Fa addirittura capire di preferire un governo degli altri due, che farebbe fuori il Pd. Questo significa lavorare contro il suo partito, nell’illusione di farne un altro. Sogna di diventare il Macron italiano. Vedremo se mercoledì in Direzione il suo partito accetterà di estinguersi senza fiatare o deciderà di sedersi a uno dei due tavoli: il più conforme o il meno difforme dalla sua vocazione, se riesce a darsene una.

Renzi finora ha testardamente imposto, e confermato anche domenica sera, l’Aventino. Di lì non si muove.

Mai dire mai, in politica. Il suo aventinismo, dal punto di vista del sistema proporzionale (peraltro voluto da lui col Rosatellum, per diversi aspetti incostituzionale, ma non per l’impianto proporzionale), è una testardaggine vagamente eversiva. Perché sottrae la terza forza politica al gioco democratico. Nei sistemi proporzionali, tutti sono chiamati a mettersi in gioco per ottenere ciò che più desiderano e per impedire ciò che più temono. E solo alla fine, se falliscono, a scegliere l’opposizione. Non dall’inizio, ‘a prescindere’.

Renzi dice che il Pd ha perso e sarebbe assurdo se andasse al governo.

Che abbia perso milioni di voti, non c’è dubbio. Ma che gli elettori l’abbiano destinato all’opposizione è una sciocchezza. Gli elettori non mandano nessuno da nessuna parte. Intanto, perché ‘gli elettori’ non esistono: esiste una molteplicità di elettori, ciascuno dei quali spera che il suo voto venga usato per il meglio. Nel proporzionale, diversamente che nel maggioritario, non esistono vincitori né vinti. Esiste solo chi va bene e chi va male alle elezioni, chi guadagna voti e chi ne perde. Ma nessuno è esentato in partenza dalla responsabilità di contribuire a un governo. Nemmeno chi raggiunge il 50% più uno è ‘il vincitore’: è solo il più alto responsabile del dovere di mettere a frutto i voti ottenuti per agire per il governo del Paese.

Renzi pensa che, lasciando il pallino in mano agli altri e restando sull’Aventino in attesa che passino i cadaveri dei suoi avversari, al prossimo giro recupererà i suoi elettori perduti.

Difficile dirlo. Mi pare più probabile che si illuda. Intanto perché gli elettori non sono né suoi né di nessun altro: sono cittadini liberi di andare dove vogliono. E poi perché è più facile rubare voti agli altri che recuperare i propri fuggiti. Oggi i più arrabbiati col Pd sono proprio gli elettori che votavano Pd e ora votano 5Stelle: lei crede che torneranno perché Renzi boicotta qualunque intesa con i 5Stelle e, nel frattempo, apre la strada del governo alla destra di Salvini? Al contrario, si convinceranno ancor di più di aver fatto bene a fuggire. E alla prima occasione è probabile che lo puniranno un’altra volta.

Che cosa si augura dalla Direzione del Pd?

Che pensi alle esigenze degli italiani, non a quelle del partito. Solo così il Pd può recuperare qualche voto. Altrimenti ne perderà altri a rotta di collo verso i 5Stelle, la Lega e l’astensione. La storia insegna che, quando le forze politiche si muovono in base a previsioni sulle proprie future fortune, queste vengono regolarmente smentite. Pensi al Rosatellum: doveva danneggiare i 5Stelle, tagliare le gambe a Salvini e favorire il governo Renzi-Berlusconi. Invece ha sortito l’effetto diametralmente opposto.

Ma ormai il Pd è il Partito di Renzi e la maggioranza dei parlamentari, scelti personalmente dal capo, seguirà il capo.

Dovrebbero ricordarsi di essere stati eletti in rappresentanza di tutto il popolo e, per una volta, pensare all’interesse generale. Che poi è anche il loro interesse: non rischiare un’altra disfatta elettorale e non distruggere il loro partito. Del resto tutte le simulazioni dicono che, se si tornasse a votare, non esisterebbe comunque un blocco autosufficiente nemmeno se la Lega e i 5Stelle aumentassero i loro voti. Né rivotando col Rosatellum (ipotesi più probabile), né cambiando radicalmente il sistema elettorale (ipotesi, secondo me, improbabile) per adottarne uno qualsiasi fra quelli in circolazione. Quindi il dovere di sedersi al tavolo del più vicino o del meno lontano si riproporrebbe tale e quale fra qualche mese. Che senso ha rinviare la scelta, anziché affrontarla, o almeno tentarla, adesso?

Renzi vuole cambiare le regole sul modello dell’Italicum e della sua riforma costituzionale per raddrizzare le gambe al tripolarismo e schiacciarlo in un bipolarismo forzato.

Quell’ipotesi è già stata bocciata una volta dal 60% degli elettori e dalla Consulta. Ma soprattutto quella del ‘vincitore la sera delle elezioni’ è un’idea malsana e soprattutto incompatibile con l’humus profondo del sistema politico-sociale italiano. Gli illustri miei colleghi comparatisti che vagheggiano sistemi ‘Frankenstein’ o ‘supermarket’, copiati un pezzo dalla Finlandia e un pezzo da San Marino, come se un modello elettorale potesse prescindere dalla realtà materiale della nostra società, hanno sempre pronta una soluzione. Ma non si accorgono che noi italiani non siamo fatti per il bipolarismo brutale, per l’alternanza secca vincitori-vinti, che infatti – negli anni seppur ibridi del Mattarellum e del Porcellum – non ha funzionato. Da noi la troppa semplificazione significa subito conflitto radicale e occupazione totale del potere. Infatti siamo tornati al proporzionale, che è più congeniale al nostro Dna politico e sociale.

Però, due mesi dopo le elezioni, non si vede l’ombra di un governo.

Se è per questo, in Germania – la ‘locomotiva d’Europa’ – di mesi ne hanno impiegati sei prima di farne uno. Lì non cambiano la legge elettorale a proprio uso e consumo. Noi invece crediamo di risolvere i problemi cambiandola in continuazione. Per giunta alla vigilia delle elezioni, quando i partiti credono di conoscere il loro interesse particolare e di poterla ritagliare a propria immagine e somiglianza, salvo poi prendersi cocenti delusioni.

Non è meglio il maggioritario, dove gli elettori scelgono nelle urne chi li governerà, anziché il proporzionale, dove i partiti decidono dopo le urne un’ammucchiata purchessia per andare al potere?

Se non la smettiamo di criminalizzare le coalizioni e di illudere gli elettori, non ne usciremo mai: anche se importassimo in Italia il modello dualistico Westminster – ciò che suppergiù si voleva fare con l’Italicum –, trasferiremmo soltanto le ammucchiate da dopo il voto a prima del voto. Perché uno dei tre poli, per vincere, dovrebbe imbarcare tutto e il contrario di tutto, voto politico e clientelare, voto pulito e di scambio, già prima di votare, per fare numero e arrivare davanti agli altri due. Salvo poi scoprire di essere non una forza politica, ma un calderone. Molto meglio le coalizioni, purché siano fondate su programmi precisi e concordati.

Lei, nonostante tutto, rimane un tifoso del proporzionale.

Mi pare il più adatto all’Italia di oggi, anche se è – per così dire – faticoso. Richiede responsabilità e spirito delle combinazioni. Nella cosiddetta Prima Repubblica, il proporzionale aveva una sorta di pilota automatico. Le coalizioni erano obbligate da fattori esterni. La Guerra fredda aveva diviso il mondo in due blocchi e non si poteva che stare di qua con la Dc o di là con i comunisti: le coalizioni erano fondate sull’‘essere’. Ora è tutto più liquido e fluido, dunque più libero e responsabilizzante nella scelta delle combinazioni. Si tratta di scegliere di volta in volta l’alleato più vicino o meno lontano, in coalizioni basate sul ‘fare’. Cioè partire dai programmi e da quelli giudicare chi è più vicino e più lontano.

Infatti Di Maio propone un contratto di governo alla tedesca.

La prospettiva dei 5Stelle è tutta sul fare: ‘Partire dai programmi e vedere chi ci sta’. E in questo sono stati corretti, interpretando in pieno lo spirito del proporzionale. Anche se poi, secondo me, sono stati troppo disinvolti nel manifestare indifferenza tra il Pd e la Lega, due forze molto diverse. È vero che i problemi non sono né di destra né di sinistra. Ma le soluzioni lo sono, eccome. La sicurezza urbana, la gestione dei flussi migratori, la questione fiscale, il tema del lavoro sono problemi che tutti devono porsi: ma il modo di risolverli non è uguale a seconda che li si guardi da destra o da sinistra. Il fare dipende dall’essere, che non si ricava dalle enunciazioni programmatiche. C’è un ‘non detto’ che viene a galla sedendosi attorno a un tavolo: è lì che emergono le ‘essenze’ più o meno lontane, più o meno compatibili. E si formano le coalizioni. Ecco perché, nella nostra innocenza, sia lei sia io avevamo pensato che la situazione meno assurda fosse una qualche forma di cooperazione tra 5Stelle e Pd. Magari per poco tempo, su pochi punti, con una delle tante soluzioni pratiche di cui il bizantinismo politico italiano è sempre stato maestro.

Invece, per Renzi e molti altri dirigenti del Pd, l’“essere” e anche il “fare” dei 5Stelle sono orripilanti quanto quelli della Lega. Non invece di Berlusconi…

Ci si può chiedere come il Pd, che persino Renzi si ostina a definire ‘sinistra’, possa assumersi la responsabilità di ritirarsi sull’Aventino senza indicare una sola alternativa all’ipotesi di un’intesa con i 5Stelle su un programma sociale, senza approfittare dei tanti temi che Grillo e Di Maio hanno mutuato dal bagaglio del centrosinistra e che il Pd ha abbandonato ormai da anni. E così favorire un governo non solo con Berlusconi, con cui il Pd si è trovato così bene per anni; ma addirittura con la Lega, cioè con quanto di più lontano esista al mondo dai valori della sinistra. Come faranno a spiegarlo ai loro elettori rimasti, quando si tornerà alle urne?

Renzi&C. obiettano che Di Maio e Salvini sono due populisti gemelli. E che oggi, come ai tempi della Guerra fredda, c’è di nuovo una pregiudiziale sull’essere più che sul fare: non più tra comunisti e anticomunisti, ma tra populisti e antipopulisti. Senza contare il deficit di democrazia interna dei 5Stelle.

Sulla democrazia interna, forse dimenticano lo statuto e le prassi ultraventennali di Forza Italia, partito aziendale e padronale per eccellenza, con cui hanno fatto governi e addirittura riforme elettorali e costituzionali. Quanto al cosiddetto ‘populismo’, mi pare una parola magica evocata da chi non vuol entrare nel merito delle cose. ‘Populista’ era Perón, ma anche papa Giovanni XXIII, come ora Bergoglio. Lo era anche Berlusconi, che ora invece – chissà perché – sarebbe anti. I populisti sono sempre gli altri: quelli con cui si vuole litigare senza spiegare perché. Ultimamente si chiamano populisti quelli che propongono misure a favore del popolo e utilizzano metodi costituzionali per migliorare le vita ai propri concittadini, quando non si sa come altrimenti squalificarli. Penso al reddito di cittadinanza, o di dignità, o di inclusione: se è solo una promessa campata in aria per raccattare voti è populismo, ma se è una misura strutturale, con adeguate coperture finanziarie, per ridurre le diseguaglianze e sostenere chi cerca lavoro è una scelta democratica per eccellenza, non populista. Populista invece è chi sostituisce i diritti con i favori e pratica il voto di scambio, come alcuni ultimi governi iperpopulisti. Ma anche chi disprezza le istituzioni e scavalca la loro logica oggettiva per appellarsi direttamente al popolo. La tentazione populista è universale, oltreché vecchia come il mondo: nessuno ne ha l’esclusiva e nessuno ne è immune.

Lei, ora, vede una soluzione?

Gliel’ho detto. Un governo di coalizione su pochi punti, anche di durata limitata, anche con appoggi esterni, sull’asse 5Stelle-Pd (o, se Renzi preferisce, su quello centrodestra-Pd). E un Parlamento che sostituisca il Rosatellum con una legge proporzionale a preferenza unica, senza liste bloccate di nominati né paracadutati con le famigerate multicandidature, che ci restituisca un Parlamento di veri eletti dai cittadini, quindi capaci di autonomia. I quali poi diano vita a coalizioni omogenee e, a fine legislatura, ne rispondano agli elettori. Quella attuale, paradossalmente, è la situazione ideale per questo approdo: la maggior parte delle forze politiche non è in grado di fare previsioni attendibili sul futuro proprio e altrui alle prossime elezioni. I 5Stelle potrebbero logorarsi o crescere ancora. Il Pd potrebbe scomparire, spaccarsi un’altra volta, oppure rigenerarsi (anche se, su questa china, non si vede come). Berlusconi è nell’incertezza più totale. Salvini è l’unico che pare sicuro di sé, ma non è mai detta l’ultima parola. Il filosofo politico John Rawls usava un’espressione felice per dipingere la condizione dei sistemi politici al loro esordio o alla loro rinascita: ‘Il velo dell’ignoranza’. È quella la condizione ideale per la nascita delle Costituzioni o delle leggi costituenti per eccellenza come quelle elettorali.

Cos’è oggi il velo dell’ignoranza?

Il fatto che nessuno sappia esattamente come andranno le prossime elezioni ci consentirebbe di fare una legge elettorale equa e democratica, senza fasulle aspettative per questa o quell’altra bottega. Come nel biennio 1946-48, quello della Costituente: nessun partito sapeva chi avrebbe tratto beneficio da questa o da quell’altra scelta, dunque seppero tutti elevarsi al di sopra dei loro interessi particolari perché nessuno poteva prevedere come favorirli. Mi auguro che, dopo due mesi di veti e Aventini, qualche partito sappia ragionare, se non alla luce dei grandi ideali o del bene comune, almeno del velo dell’ignoranza. E pensare a quel che serve all’Italia. Cercando un’intesa sulle cose da fare per farne bene almeno qualcuna, almeno per un po’. Le pare impossibile?
di Marco Travaglio | 1 maggio 2018
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