quo vadis PD ????
Re: quo vadis PD ????
Mi piacerebbe sapere in quale partito nel mondo dei suoi esponenti (come Fioroni, Gentiloni, ecc.) preferiscono come primo ministro al proprio segretario un altro personaggio sostenuto da un'altra parte politica.
Re: quo vadis PD ????
Tra renziani e non, i montiani del Pd stringono d'assedio Bersani
Pubblicato: 29/09/2012 19:13 CEST Aggiornato: 29/09/2012 19:37 CEST
Agenda Monti senza Monti. Oppure Monti con l’agenda. Non è uno scioglilingua ma il filo della discussione al Tempio di Adriano, pieno centro a Roma, rifugio scelto dai montiani del Pd per mostrarsi al pubblico, anche se di cittadini comuni se ne sono affacciati in pochi. Filo attorcigliato su Monti per tenere ben stretto lui o le sue politiche, ma la chiave per capire l’assemblea di oggi non sta tanto nel chi appoggerebbe un futuro governo del Prof. La chiave sta nel chi sta con Bersani tra quelli riuniti al Tempio.
Di fatto, non ce ne sono di bersaniani doc all’assemblea di oggi. Ci sono molti renziani, ma non tutti i partecipanti hanno scelto di schierarsi alle primarie. E qui sta il nocciolo della questione. Perché i più filo-Renzi puntano ad un’agenda Monti senza il Professore, cioè ad un governo che faccia proprie le politiche di quello attuale ma che sia guidato dal sindaco di Firenze, una volta vinte le primarie. Tra questi, i parlamentari Andrea Sarubbi, Ivan Scalfarotto, Roberto Giachetti e anche Pietro Ichino. Quelli che invece non si sono schierati alle primarie immaginano un Monti-bis, forti anche della disponibilità dichiarata dal premier a due giorni fa. Tra questi, i veltroniani Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini, Claudio Petruccioli e anche Salvatore Vassallo, che oggi al Tempio di Adriano ha tenuto quasi una lezione per dire che, con qualunque sistema elettorale, non ci sarà una maggioranza in grado di governare nel 2013, non c’è premio di maggioranza che tenga. Renzi-Bersani (e l’ombra di Monti): al di là delle vecchie appartenenze, è intorno a questo duello che si ridisegna il Pd, unico partito che al momento nutre sogni di vittoria alle prossime politiche.
“Perché di fatto le primarie sono anche un congresso”, dice per paradosso Paolo Gentiloni, uno dei promotori dell’iniziativa di oggi nonché firmatario della lettera di 15 Democratici pubblicata a luglio sul Corriere della Sera, primo nucleo montiano nel Pd che già allora chiedeva di non tradire le politiche di Monti e adottare la sua agenda. Per chiarire, i 15 sono: Alessandro Maran, Antonello Cabras, Claudia Mancina, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Magda Negri, Marco Follini, Marilena Adamo, Paolo Gentiloni, Paolo Giaretta, Pietro Ichino, Salvatore Vassallo, Stefano Ceccanti, Umberto Ranieri, Vinicio Peluffo.
Da quei 15 “possiamo realisticamente diventare una cinquantina”, aggiunge Gentiloni, considerando anche proprio i renziani Sarubbi, Scalfarotto, Giachetti, che non firmarono a luglio ma sono accorsi oggi. Nelle mire espansionistiche dei montiani riuniti al Tempio di Adriano ci sono anche persone assenti oggi, da Enrico Letta e il suo giro (anche se il vice di Bersani non si è ancora sbilanciato) a Walter Veltroni, che aveva provato ad appoggiare Renzi, salvo distaccarsene perchè Matteo lo ha messo tra i rottamatori. Ma Veltroni non demorde sulla prospettiva montiana e, anche se oggi non si è fatto vedere, la prossima settimana presenterà il libro di Tonini e Morando con Pier Ferdinando Casini, tutti ultrà del montismo. E c'è Piero Fassino, che i 15 dell'agenda Monti considerano vicino. Perché anche l’Area Democratica, fin qui riferimento del sindaco di Torino, si sta sbriciolando sotto i colpi delle primarie. Un altro suo esponente, per esempio, Dario Franceschini, punta alle urne e di Monti bis non ne vuole sapere: “Ne bis in idem”.
“La nostra ambizione – precisa Gentiloni - è che il Pd diventi perno di una maggioranza filo-montiana e Monti può essere una risorsa preziosa se gli costruiamo una maggioranza politica”. Per farlo però servono “un Pd e una Udc diversi da come sono ora, perché quelli attuali non fanno una maggioranza”. La presenza dell’ex Udc Marco Follini al tavolo del relatori al Tempio di Adriano sta a segnalare che questo gruppo appena nato sta bene attento a non farsi fagocitare da Pier Ferdinando Casini, che ha lanciato l’idea di una mozione parlamentare per contare i montiani di ogni schieramento prima delle elezioni. “Casini vuole il copyright di Monti e noi non glielo diamo”, sottolinea Gentiloni. La grande coalizione? “Solo in extremis”. Qui si punta più a sparigliare tutti giochi e recinti dati.
Mentre Gentiloni parla con L' Huffington Post, Ceccanti ha appena finito di indicare il problema maggiore per i montiani del Pd. E cioè che “anche se lo volesse, il segretario Bersani non potrebbe aderire ad un’agenda Monti” perché “non glielo permetterebbero i suoi interlocutori”, da Vendola alla Cgil. Pietro Ichino, montiano della prima ora e renziano, ammette che “la legge Fornero è scritta nella vecchia maniera e con errori, ma finalmente ha cominciato a buttar giù le barricate costruite intorno al concetto di ‘job property’, quello per cui si perde il lavoro solo per cause gravissime. Nemmeno il governo di centrodestra era riuscito a toccare barricate dietro le quali si sparava, davvero”.
Insomma, tra renziani e non, i montiani del Pd stringono d’assedio il segretario. E si racconta anche di sondaggi interni al partito che confermerebbero le previsioni fosche di Vassallo. E cioè, dicono gli studi sul tavolo dei big Democrat, con un premio di maggioranza all’8 per cento, quello proposto dal Pdl per la nuova legge elettorale, non si arriverebbe ad una maggioranza in grado di governare. E’ il motivo per cui Bersani punta al 15 per cento. Ma a quanto pare persino dal Quirinale gli avrebbero fatto notare che si tratterebbe di un premio troppo alto data la situazione attuale di massima frammentazione politica, un premio cioè che non rispetterebbe i criteri di proporzionalità nell’assegnazione dei seggi. E oggi in un messaggio alla leader della Cgil, Susanna Camusso, per l'evento dedicato al 'Piano per il lavoro', promosso nel 106esimo anniversario della fondazione del sindacato, Giorgio Napolitano è tornato a sottolineare la necessità di ''un clima di consapevolezza diffusa e di condivisa assunzione di responsabilità" per compiere ''le scelte'' indispensabili per uscire dalla crisi.
Proprio per via della palude in cui si è arenata la riforma elettorale, al Tempio di Adriano spuntano persino ‘proposte hard’. “Non ci dispiacerebbe se una proposta di legge elettorale arrivasse dal governo, perché sono mesi che il Parlamento ci prova e non ci riesce”, azzarda il finiano Benedetto Della Vedova, che tra i presenti non è l’unico esterno al Pd. Ci sono anche Linda Lanzillotta dell’Api e il montezemoliano Andrea Romano, per dire che il gruppo dei 15 vuole pescare anche fuori dai Democrat. “Puntiamo a costruire un’offerta elettorale intorno all’agenda Monti”, azzarda ancora Della Vedova riferendosi alla lista in nome del professore lanciata da Casini. Ma questo non è tempo di fusioni, tutti ancora ci tengono alla propria autonomia, ragiona un esponente del Pd romano. E già: prima ci sono le primarie, che a questo punto convincono anche i più freddi verso i gazebo. Perché al momento sono l’unico modo per rovesciare la maggioranza nel Pd e portarlo sul montismo. Fermo restando che, se vince Renzi, si rovescia anche il Pdl.
http://www.huffingtonpost.it/2012/09/29 ... utm_hp_ref
Pubblicato: 29/09/2012 19:13 CEST Aggiornato: 29/09/2012 19:37 CEST
Agenda Monti senza Monti. Oppure Monti con l’agenda. Non è uno scioglilingua ma il filo della discussione al Tempio di Adriano, pieno centro a Roma, rifugio scelto dai montiani del Pd per mostrarsi al pubblico, anche se di cittadini comuni se ne sono affacciati in pochi. Filo attorcigliato su Monti per tenere ben stretto lui o le sue politiche, ma la chiave per capire l’assemblea di oggi non sta tanto nel chi appoggerebbe un futuro governo del Prof. La chiave sta nel chi sta con Bersani tra quelli riuniti al Tempio.
Di fatto, non ce ne sono di bersaniani doc all’assemblea di oggi. Ci sono molti renziani, ma non tutti i partecipanti hanno scelto di schierarsi alle primarie. E qui sta il nocciolo della questione. Perché i più filo-Renzi puntano ad un’agenda Monti senza il Professore, cioè ad un governo che faccia proprie le politiche di quello attuale ma che sia guidato dal sindaco di Firenze, una volta vinte le primarie. Tra questi, i parlamentari Andrea Sarubbi, Ivan Scalfarotto, Roberto Giachetti e anche Pietro Ichino. Quelli che invece non si sono schierati alle primarie immaginano un Monti-bis, forti anche della disponibilità dichiarata dal premier a due giorni fa. Tra questi, i veltroniani Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini, Claudio Petruccioli e anche Salvatore Vassallo, che oggi al Tempio di Adriano ha tenuto quasi una lezione per dire che, con qualunque sistema elettorale, non ci sarà una maggioranza in grado di governare nel 2013, non c’è premio di maggioranza che tenga. Renzi-Bersani (e l’ombra di Monti): al di là delle vecchie appartenenze, è intorno a questo duello che si ridisegna il Pd, unico partito che al momento nutre sogni di vittoria alle prossime politiche.
“Perché di fatto le primarie sono anche un congresso”, dice per paradosso Paolo Gentiloni, uno dei promotori dell’iniziativa di oggi nonché firmatario della lettera di 15 Democratici pubblicata a luglio sul Corriere della Sera, primo nucleo montiano nel Pd che già allora chiedeva di non tradire le politiche di Monti e adottare la sua agenda. Per chiarire, i 15 sono: Alessandro Maran, Antonello Cabras, Claudia Mancina, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Magda Negri, Marco Follini, Marilena Adamo, Paolo Gentiloni, Paolo Giaretta, Pietro Ichino, Salvatore Vassallo, Stefano Ceccanti, Umberto Ranieri, Vinicio Peluffo.
Da quei 15 “possiamo realisticamente diventare una cinquantina”, aggiunge Gentiloni, considerando anche proprio i renziani Sarubbi, Scalfarotto, Giachetti, che non firmarono a luglio ma sono accorsi oggi. Nelle mire espansionistiche dei montiani riuniti al Tempio di Adriano ci sono anche persone assenti oggi, da Enrico Letta e il suo giro (anche se il vice di Bersani non si è ancora sbilanciato) a Walter Veltroni, che aveva provato ad appoggiare Renzi, salvo distaccarsene perchè Matteo lo ha messo tra i rottamatori. Ma Veltroni non demorde sulla prospettiva montiana e, anche se oggi non si è fatto vedere, la prossima settimana presenterà il libro di Tonini e Morando con Pier Ferdinando Casini, tutti ultrà del montismo. E c'è Piero Fassino, che i 15 dell'agenda Monti considerano vicino. Perché anche l’Area Democratica, fin qui riferimento del sindaco di Torino, si sta sbriciolando sotto i colpi delle primarie. Un altro suo esponente, per esempio, Dario Franceschini, punta alle urne e di Monti bis non ne vuole sapere: “Ne bis in idem”.
“La nostra ambizione – precisa Gentiloni - è che il Pd diventi perno di una maggioranza filo-montiana e Monti può essere una risorsa preziosa se gli costruiamo una maggioranza politica”. Per farlo però servono “un Pd e una Udc diversi da come sono ora, perché quelli attuali non fanno una maggioranza”. La presenza dell’ex Udc Marco Follini al tavolo del relatori al Tempio di Adriano sta a segnalare che questo gruppo appena nato sta bene attento a non farsi fagocitare da Pier Ferdinando Casini, che ha lanciato l’idea di una mozione parlamentare per contare i montiani di ogni schieramento prima delle elezioni. “Casini vuole il copyright di Monti e noi non glielo diamo”, sottolinea Gentiloni. La grande coalizione? “Solo in extremis”. Qui si punta più a sparigliare tutti giochi e recinti dati.
Mentre Gentiloni parla con L' Huffington Post, Ceccanti ha appena finito di indicare il problema maggiore per i montiani del Pd. E cioè che “anche se lo volesse, il segretario Bersani non potrebbe aderire ad un’agenda Monti” perché “non glielo permetterebbero i suoi interlocutori”, da Vendola alla Cgil. Pietro Ichino, montiano della prima ora e renziano, ammette che “la legge Fornero è scritta nella vecchia maniera e con errori, ma finalmente ha cominciato a buttar giù le barricate costruite intorno al concetto di ‘job property’, quello per cui si perde il lavoro solo per cause gravissime. Nemmeno il governo di centrodestra era riuscito a toccare barricate dietro le quali si sparava, davvero”.
Insomma, tra renziani e non, i montiani del Pd stringono d’assedio il segretario. E si racconta anche di sondaggi interni al partito che confermerebbero le previsioni fosche di Vassallo. E cioè, dicono gli studi sul tavolo dei big Democrat, con un premio di maggioranza all’8 per cento, quello proposto dal Pdl per la nuova legge elettorale, non si arriverebbe ad una maggioranza in grado di governare. E’ il motivo per cui Bersani punta al 15 per cento. Ma a quanto pare persino dal Quirinale gli avrebbero fatto notare che si tratterebbe di un premio troppo alto data la situazione attuale di massima frammentazione politica, un premio cioè che non rispetterebbe i criteri di proporzionalità nell’assegnazione dei seggi. E oggi in un messaggio alla leader della Cgil, Susanna Camusso, per l'evento dedicato al 'Piano per il lavoro', promosso nel 106esimo anniversario della fondazione del sindacato, Giorgio Napolitano è tornato a sottolineare la necessità di ''un clima di consapevolezza diffusa e di condivisa assunzione di responsabilità" per compiere ''le scelte'' indispensabili per uscire dalla crisi.
Proprio per via della palude in cui si è arenata la riforma elettorale, al Tempio di Adriano spuntano persino ‘proposte hard’. “Non ci dispiacerebbe se una proposta di legge elettorale arrivasse dal governo, perché sono mesi che il Parlamento ci prova e non ci riesce”, azzarda il finiano Benedetto Della Vedova, che tra i presenti non è l’unico esterno al Pd. Ci sono anche Linda Lanzillotta dell’Api e il montezemoliano Andrea Romano, per dire che il gruppo dei 15 vuole pescare anche fuori dai Democrat. “Puntiamo a costruire un’offerta elettorale intorno all’agenda Monti”, azzarda ancora Della Vedova riferendosi alla lista in nome del professore lanciata da Casini. Ma questo non è tempo di fusioni, tutti ancora ci tengono alla propria autonomia, ragiona un esponente del Pd romano. E già: prima ci sono le primarie, che a questo punto convincono anche i più freddi verso i gazebo. Perché al momento sono l’unico modo per rovesciare la maggioranza nel Pd e portarlo sul montismo. Fermo restando che, se vince Renzi, si rovescia anche il Pdl.
http://www.huffingtonpost.it/2012/09/29 ... utm_hp_ref
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Re: quo vadis PD ????
Come arrivare al dopo monti in buona salute
di EUGENIO SCALFARI
La dichiarazione di Monti sul dopo-Monti, fatta a New York e riconfermata a Roma dopo il suo rientro dall'assemblea dell'Onu, è esattamente quanto si aspettavano le Cancellerie dei paesi alleati, i mercati e soprattutto i cittadini responsabili del nostro paese. Monti non parteciperà alla campagna elettorale e non ha posto una sua candidatura ad alcuna specifica carica elettiva. Ha semplicemente detto che qualora dopo le elezioni che si svolgeranno nel prossimo aprile il Parlamento e le forze politiche che usciranno vittoriose da quella consultazione avranno bisogno dell'opera sua, lui sarà disponibile.
Qual è la vera novità di questa dichiarazione, fatta ora per allora? La novità sta tutta nel linguaggio che in casi come questo è al tempo stesso forma e sostanza: un linguaggio non politico ma istituzionale, così come è istituzionale la sede dalla quale Monti ha parlato. È da undici mesi il capo dell'Esecutivo e si è rivolto al futuro Parlamento e al futuro presidente della Repubblica. Saranno nel prossimo aprile queste istituzioni a valutare se ci sarà bisogno di lui.
Il prossimo governo sarà certamente politico, ma anche questo lo è perché anche questo vive sulla fiducia che il Parlamento gli esprime. È composto da tecnici, ma lo stesso Monti offrì ai politici di parteciparvi. La partecipazione non vi fu perché il Pd la rifiutò e bene fece mettendo in tal modo la "strana maggioranza" nella giusta dimensione richiesta
dall'emergenza. L'emergenza purtroppo continuerà anche nella prossima legislatura ma la maggioranza sarà quella che gli elettori avranno scelto. In questo senso il nuovo Parlamento potrà esprimere una maggioranza non più "strana" ma portatrice d'una visione coesa del bene comune.
È implicito che l'elemento di fondo di quel bene comune è costituito dagli impegni che lo Stato italiano - attenzione, lo Stato non solo il governo - ha preso nei confronti dell'Unione europea. Quegli impegni consentono una limitata ma importante discrezionalità; possono accentuare il tema dell'equità e dell'eguaglianza einaudiana delle condizioni di partenza tra i cittadini oppure affidarsi alla diseguaglianza come stimolo dell'efficienza. Spetta al popolo sovrano scegliere tra queste due diverse opzioni nei limiti, come già detto, della loro compatibilità con gli impegni verso l'Europa.
Monti sa bene che la nuova maggioranza non sarà più "strana" ma effettiva e coesa. Questo non significa che Monti sia disponibile per qualsiasi maggioranza, ma a quella sin d'ora schierata per un futuro Stato federale europeo con la sua moneta comune e con una Banca centrale che abbia i poteri di tutte le Banche centrali di uno Stato. Questa è la maggioranza alla quale il nostro premier ha offerto la sua disponibilità e la sua credibilità internazionale, che di quella disponibilità rappresenta il tassello più importante e difficilmente sostituibile.
* * *
Restano comunque cinque mesi di lavoro al governo attuale e alla maggioranza che lo sostiene. I problemi che attendono soluzione sono i seguenti:
1 - Una nuova legge elettorale.
2 - La legge contro la corruzione.
3 - Una legge costituzionale che riesamini il titolo V della Costituzione per quanto riguarda le competenze tra Stato e Regioni.
4 - Il taglio della spesa corrente e la riduzione delle accise e delle imposte sui lavoratori e sulle imprese, cioè una riqualificazione fiscale nell'ambito del poco tempo disponibile.
5 - Ammortizzatori sociali capaci di attenuare le rabbie accese dalle crisi aziendali.
Sono cinque tematiche da far tremare le vene e i polsi, ma non possono essere eluse perché costituiscono il nucleo centrale dell'emergenza. Accoppiano rigore e crescita. Puntano su un accordo con le parti sociali per l'aumento della produttività.
Il contratto dei chimici ha rappresentato una buona partenza ed è molto deludente che la Cgil, dopo essere stato firmato dal segretario della categoria, l'abbia disconosciuto come Confederazione. La Camusso conosce bene le condizioni in cui si trovano l'Italia, l'Europa, l'Occidente. Un contratto che aumenta le ore di lavoro e quindi il salario per i giovani e le diminuisce per gli anziani rappresenta un patto generazionale che non accresce il rigore ma l'equità. Questa è la strada alla quale non ci sono alternative e va seguita per i molti altri contratti in scadenza se non si vuole che non siano rinnovati, con quanto ne seguirebbe sul potere d'acquisto dei lavoratori.
Il governo può e deve arbitrare questi conflitti se le parti sono disponibili al negoziato. La logica può cambiare quando cambiano le condizioni; pretendere che il cambiamento avvenga prima significa abbaiare alla luna.
* * *
Nel nucleo dell'emergenza c'è anche un altro tema e questo è eminentemente tecnico: il governo dello "spread". La contraddizione, apparente, riguarda il diverso andamento delle aste e del mercato secondario. Le aste vanno bene anche quella dei Bpt a 5 e a 10 anni, il secondario invece va male e influisce negativamente sul tasso di interesse praticato dalle banche con la clientela. Dipende dal contagio che proviene dalla Grecia e soprattutto dalla Spagna la quale, nei prossimi giorni, dovrà decidere se ricorrere all'aiuto del fondo salva-Stati e all'intervento della Bce.
Questa decisione probabilmente verrà presa nella prossima settimana.
Che cosa faranno Monti e Grilli a quel punto? Due scuole di pensiero si confrontano in proposito: c'è chi pensa che l'intervento della Bce in Spagna scoraggi la speculazione e si ripercuota favorevolmente anche sul mercato italiano; ma c'è invece chi sostiene esattamente il contrario. Personalmente credo che questa seconda tesi sia la più probabile; la speculazione abbandonerà la Spagna e si riverserà sull'Italia. La logica porta a questo, la speculazione, cioè le grandi banche d'affari e i fondi che puntano sul rischio realizzano i loro profitti giorno per giorno. Se abbandonano la Spagna sotto il randello di Draghi, si riverseranno probabilmente sul mercato italiano fino a quando anche noi chiederemo l'intervento dell'Esm e della Bce. Ma in quell'intervallo di tempo balleremo la rumba e non sarà un bello spettacolo. Sicché, se s'ha da fare è meglio farlo il giorno dopo la Spagna. La questione è certamente opinabile, la logica no.
* * *
Restano alcuni problemi che si riassumono in tre nomi: Polverini, Formigoni, Renzi.
Polverini si è dimessa. Era ora. Adesso deve indicare la data delle elezioni che debbono avvenire entro tre mesi. Così recita la legge. L'interpretazione estensiva secondo la quale entro tre mesi deve essere indicata la data delle elezioni che non avrebbe alcun limite di tempo, è del tutto insostenibile anche se così fece Montino che subentrò a Marrazzo e fissò la data a parecchi mesi di distanza dalle dimissioni del governatore. Allora nessuno fiatò, ma è un caso che non può fare precedente. Se lo facesse potrebbe avvenire che il presidente dimissionario alla fine del terzo mese indica una data elettorale a un anno di distanza e governa da solo senza Consiglio regionale. È sostenibile un'ipotesi di questo genere? Evidentemente no. Le elezioni debbono essere fatte entro tre mesi dalle dimissioni del Consiglio e del presidente della giunta. Se la Polverini si rifiutasse di seguire questa procedura il governo può nominare un commissario che stabilisca la data elettorale nei tre mesi previsti dalla legge.
Il caso Formigoni è altrettanto chiaro: un governatore già indagato di gravi reati non può guidare una Regione come la Lombardia. I consiglieri d'opposizione dovrebbero dimettersi subito e creare i presupposti di una crisi e di nuove elezioni. Non si capisce che cosa aspettino. Il precedente del Lazio è un pessimo precedente e c'è da augurarsi che i partiti della sinistra a cominciare dal Pd non ripresentino alle prossime elezioni nessuno dei consiglieri uscenti.
Renzi. Per quanto riguarda il suo programma politico, per il poco che risulta dalle sue carte e dalle sue prolusioni, si tratta di un'agenda generica che enuncia temi senza svolgerli. I temi sono quelli che campeggiano da mesi sui giornali, le soluzioni però Renzi non le indica. Quindi il suo programma è carta straccia.
Una sola cosa è chiara: Renzi sa parlare e richiama molto abilmente l'attenzione sotto l'oculata gestione di Gori, ex dirigente di Fininvest. Renzi piace perché è giovane. È un requisito sufficiente? Politicamente è molto più di centrodestra che di centrosinistra. Se vincerà le primarie il Pd si sfascerà ma non perché se ne andrà D'Alema o Veltroni o Franceschini, ma perché se ne andranno tutti quelli che fin qui hanno votato Pd come partito riformista di centrosinistra.
Non a caso Berlusconi loda Renzi pubblicamente; non a caso i suoi sponsor sono orientati più a destra che a sinistra e non a caso lo stesso Renzi dice che queste due parole non hanno più senso. Hanno un senso, eccome. Nell'equilibrio tra i due fondamentali principi di libertà e di eguaglianza la sinistra sceglie l'eguaglianza nella libertà e la destra sceglie la libertà senza l'eguaglianza. Questa è la differenza e non è cosa da poco.
Io sono liberale di sinistra per mia formazione culturale. Ho votato per molti anni per il partito di Ugo La Malfa. Poi ho votato il Pci di Berlinguer, il Pds, i Ds e il Pd. Se i democratici andranno alle elezioni con Renzi candidato, io non voterò perché ci sarà stata una trasformazione antropologica nel Pd, analoga a quella che avvenne nel Partito socialista quando Craxi ne assunse la leadership, senza dire che Craxi aveva una visione politica mentre Renzi non pare che ne abbia alcuna salvo la rottamazione. Francamente è meno di niente.
(30 settembre 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... -43558769/
Beh... non si può non riconoscere che l'accostamento fatto Renzi-Craxi sia abbastanza appropriato.
di EUGENIO SCALFARI
La dichiarazione di Monti sul dopo-Monti, fatta a New York e riconfermata a Roma dopo il suo rientro dall'assemblea dell'Onu, è esattamente quanto si aspettavano le Cancellerie dei paesi alleati, i mercati e soprattutto i cittadini responsabili del nostro paese. Monti non parteciperà alla campagna elettorale e non ha posto una sua candidatura ad alcuna specifica carica elettiva. Ha semplicemente detto che qualora dopo le elezioni che si svolgeranno nel prossimo aprile il Parlamento e le forze politiche che usciranno vittoriose da quella consultazione avranno bisogno dell'opera sua, lui sarà disponibile.
Qual è la vera novità di questa dichiarazione, fatta ora per allora? La novità sta tutta nel linguaggio che in casi come questo è al tempo stesso forma e sostanza: un linguaggio non politico ma istituzionale, così come è istituzionale la sede dalla quale Monti ha parlato. È da undici mesi il capo dell'Esecutivo e si è rivolto al futuro Parlamento e al futuro presidente della Repubblica. Saranno nel prossimo aprile queste istituzioni a valutare se ci sarà bisogno di lui.
Il prossimo governo sarà certamente politico, ma anche questo lo è perché anche questo vive sulla fiducia che il Parlamento gli esprime. È composto da tecnici, ma lo stesso Monti offrì ai politici di parteciparvi. La partecipazione non vi fu perché il Pd la rifiutò e bene fece mettendo in tal modo la "strana maggioranza" nella giusta dimensione richiesta
dall'emergenza. L'emergenza purtroppo continuerà anche nella prossima legislatura ma la maggioranza sarà quella che gli elettori avranno scelto. In questo senso il nuovo Parlamento potrà esprimere una maggioranza non più "strana" ma portatrice d'una visione coesa del bene comune.
È implicito che l'elemento di fondo di quel bene comune è costituito dagli impegni che lo Stato italiano - attenzione, lo Stato non solo il governo - ha preso nei confronti dell'Unione europea. Quegli impegni consentono una limitata ma importante discrezionalità; possono accentuare il tema dell'equità e dell'eguaglianza einaudiana delle condizioni di partenza tra i cittadini oppure affidarsi alla diseguaglianza come stimolo dell'efficienza. Spetta al popolo sovrano scegliere tra queste due diverse opzioni nei limiti, come già detto, della loro compatibilità con gli impegni verso l'Europa.
Monti sa bene che la nuova maggioranza non sarà più "strana" ma effettiva e coesa. Questo non significa che Monti sia disponibile per qualsiasi maggioranza, ma a quella sin d'ora schierata per un futuro Stato federale europeo con la sua moneta comune e con una Banca centrale che abbia i poteri di tutte le Banche centrali di uno Stato. Questa è la maggioranza alla quale il nostro premier ha offerto la sua disponibilità e la sua credibilità internazionale, che di quella disponibilità rappresenta il tassello più importante e difficilmente sostituibile.
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Restano comunque cinque mesi di lavoro al governo attuale e alla maggioranza che lo sostiene. I problemi che attendono soluzione sono i seguenti:
1 - Una nuova legge elettorale.
2 - La legge contro la corruzione.
3 - Una legge costituzionale che riesamini il titolo V della Costituzione per quanto riguarda le competenze tra Stato e Regioni.
4 - Il taglio della spesa corrente e la riduzione delle accise e delle imposte sui lavoratori e sulle imprese, cioè una riqualificazione fiscale nell'ambito del poco tempo disponibile.
5 - Ammortizzatori sociali capaci di attenuare le rabbie accese dalle crisi aziendali.
Sono cinque tematiche da far tremare le vene e i polsi, ma non possono essere eluse perché costituiscono il nucleo centrale dell'emergenza. Accoppiano rigore e crescita. Puntano su un accordo con le parti sociali per l'aumento della produttività.
Il contratto dei chimici ha rappresentato una buona partenza ed è molto deludente che la Cgil, dopo essere stato firmato dal segretario della categoria, l'abbia disconosciuto come Confederazione. La Camusso conosce bene le condizioni in cui si trovano l'Italia, l'Europa, l'Occidente. Un contratto che aumenta le ore di lavoro e quindi il salario per i giovani e le diminuisce per gli anziani rappresenta un patto generazionale che non accresce il rigore ma l'equità. Questa è la strada alla quale non ci sono alternative e va seguita per i molti altri contratti in scadenza se non si vuole che non siano rinnovati, con quanto ne seguirebbe sul potere d'acquisto dei lavoratori.
Il governo può e deve arbitrare questi conflitti se le parti sono disponibili al negoziato. La logica può cambiare quando cambiano le condizioni; pretendere che il cambiamento avvenga prima significa abbaiare alla luna.
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Nel nucleo dell'emergenza c'è anche un altro tema e questo è eminentemente tecnico: il governo dello "spread". La contraddizione, apparente, riguarda il diverso andamento delle aste e del mercato secondario. Le aste vanno bene anche quella dei Bpt a 5 e a 10 anni, il secondario invece va male e influisce negativamente sul tasso di interesse praticato dalle banche con la clientela. Dipende dal contagio che proviene dalla Grecia e soprattutto dalla Spagna la quale, nei prossimi giorni, dovrà decidere se ricorrere all'aiuto del fondo salva-Stati e all'intervento della Bce.
Questa decisione probabilmente verrà presa nella prossima settimana.
Che cosa faranno Monti e Grilli a quel punto? Due scuole di pensiero si confrontano in proposito: c'è chi pensa che l'intervento della Bce in Spagna scoraggi la speculazione e si ripercuota favorevolmente anche sul mercato italiano; ma c'è invece chi sostiene esattamente il contrario. Personalmente credo che questa seconda tesi sia la più probabile; la speculazione abbandonerà la Spagna e si riverserà sull'Italia. La logica porta a questo, la speculazione, cioè le grandi banche d'affari e i fondi che puntano sul rischio realizzano i loro profitti giorno per giorno. Se abbandonano la Spagna sotto il randello di Draghi, si riverseranno probabilmente sul mercato italiano fino a quando anche noi chiederemo l'intervento dell'Esm e della Bce. Ma in quell'intervallo di tempo balleremo la rumba e non sarà un bello spettacolo. Sicché, se s'ha da fare è meglio farlo il giorno dopo la Spagna. La questione è certamente opinabile, la logica no.
* * *
Restano alcuni problemi che si riassumono in tre nomi: Polverini, Formigoni, Renzi.
Polverini si è dimessa. Era ora. Adesso deve indicare la data delle elezioni che debbono avvenire entro tre mesi. Così recita la legge. L'interpretazione estensiva secondo la quale entro tre mesi deve essere indicata la data delle elezioni che non avrebbe alcun limite di tempo, è del tutto insostenibile anche se così fece Montino che subentrò a Marrazzo e fissò la data a parecchi mesi di distanza dalle dimissioni del governatore. Allora nessuno fiatò, ma è un caso che non può fare precedente. Se lo facesse potrebbe avvenire che il presidente dimissionario alla fine del terzo mese indica una data elettorale a un anno di distanza e governa da solo senza Consiglio regionale. È sostenibile un'ipotesi di questo genere? Evidentemente no. Le elezioni debbono essere fatte entro tre mesi dalle dimissioni del Consiglio e del presidente della giunta. Se la Polverini si rifiutasse di seguire questa procedura il governo può nominare un commissario che stabilisca la data elettorale nei tre mesi previsti dalla legge.
Il caso Formigoni è altrettanto chiaro: un governatore già indagato di gravi reati non può guidare una Regione come la Lombardia. I consiglieri d'opposizione dovrebbero dimettersi subito e creare i presupposti di una crisi e di nuove elezioni. Non si capisce che cosa aspettino. Il precedente del Lazio è un pessimo precedente e c'è da augurarsi che i partiti della sinistra a cominciare dal Pd non ripresentino alle prossime elezioni nessuno dei consiglieri uscenti.
Renzi. Per quanto riguarda il suo programma politico, per il poco che risulta dalle sue carte e dalle sue prolusioni, si tratta di un'agenda generica che enuncia temi senza svolgerli. I temi sono quelli che campeggiano da mesi sui giornali, le soluzioni però Renzi non le indica. Quindi il suo programma è carta straccia.
Una sola cosa è chiara: Renzi sa parlare e richiama molto abilmente l'attenzione sotto l'oculata gestione di Gori, ex dirigente di Fininvest. Renzi piace perché è giovane. È un requisito sufficiente? Politicamente è molto più di centrodestra che di centrosinistra. Se vincerà le primarie il Pd si sfascerà ma non perché se ne andrà D'Alema o Veltroni o Franceschini, ma perché se ne andranno tutti quelli che fin qui hanno votato Pd come partito riformista di centrosinistra.
Non a caso Berlusconi loda Renzi pubblicamente; non a caso i suoi sponsor sono orientati più a destra che a sinistra e non a caso lo stesso Renzi dice che queste due parole non hanno più senso. Hanno un senso, eccome. Nell'equilibrio tra i due fondamentali principi di libertà e di eguaglianza la sinistra sceglie l'eguaglianza nella libertà e la destra sceglie la libertà senza l'eguaglianza. Questa è la differenza e non è cosa da poco.
Io sono liberale di sinistra per mia formazione culturale. Ho votato per molti anni per il partito di Ugo La Malfa. Poi ho votato il Pci di Berlinguer, il Pds, i Ds e il Pd. Se i democratici andranno alle elezioni con Renzi candidato, io non voterò perché ci sarà stata una trasformazione antropologica nel Pd, analoga a quella che avvenne nel Partito socialista quando Craxi ne assunse la leadership, senza dire che Craxi aveva una visione politica mentre Renzi non pare che ne abbia alcuna salvo la rottamazione. Francamente è meno di niente.
(30 settembre 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... -43558769/
Beh... non si può non riconoscere che l'accostamento fatto Renzi-Craxi sia abbastanza appropriato.
Ultima modifica di erding il 30/09/2012, 12:23, modificato 1 volta in totale.
Re: quo vadis PD ????
stefano menichini sul post.it
Pier Luigi Bersani torna quello dell’intervista al Sole 24 Ore del 9 agosto. E mentre una parte dei suoi sostenitori continua a diffondere l’idea di un Pd destinato addirittura a capovolgere le politiche dei governi dell’Ulivo, il segretario saggiamente ribadisce che la sua proposta di governo sarà pienamente in quel solco, e di piena continuità con il lavoro di Monti, impegnandosi a migliorarne i risultati sul versante della crescita e della creazione di posti di lavoro.
Insomma, i ragazzi della nidiata – un po’ perché ci credono, un po’ perché pensano di dover pattugliare il fronte alla sinistra del Pd – sognano rovesciamenti di fase poco compatibili con la situazione internazionale e soprattutto con la forza presente e futura del Pd, oltre che con la sua cultura riformista. Bersani fa l’opposto, e all’indomani della promessa di continuità fatta da Mario Monti alla business community cerca di mettersi, come direbbe lui, «a bevuta pari» col premier.
Abbiamo capito che con questa doppia verità marceremo finché si potrà: fino alle primarie, poi forse fino alle elezioni, certo non oltre.
Il limite alle ambiguità non lo definisce Wall Street: lo stanno definendo in questi giorni i partner con i quali il Pd ha dichiarato solennemente di voler elaborare una comune strategia progressista di uscita dalla crisi.
La finanziaria da 37 miliardi di Hollande porta la pressione fiscale in Francia al 46 per cento, spostata sui ceti medio-alti ma con prelievi sulle pensioni, tagli alla sanità, sacrifici in vista per tutti: una manovra che piacerà al Fmi e poco promettente quanto alla creazione di nuova occupazione. Intanto la Cgt è sul piede di guerra contro la ratifica del fiscal compact.
In Germania esce vincente dalla selezione nella Spd un candidato Cancelliere addirittura ex ministro delle finanze della Merkel ai tempi del primo governo di larga coalizione. Steinbrück è l’erede diretto della Spd ultrariformista degli anni Novanta di Schröder: poveri giovani turchi italiani, la nemesi della Terza via arriva dal partito nel quale riponevano maggiori speranze.
In Gran Bretagna, Ed Miliband non la smette di avvertire i suoi: i tempi della spesa pubblica larga non torneranno mai più, ci sono vincoli fiscali mondiali che non possiamo violare.
Insomma, anche senza arrivare all’endorsement di Obama per Monti, la dura realtà macina tante frasi avventate. Rimettere mano alle riforme del lavoro e delle pensioni, addirittura cancellarle come pretende Vendola: promesse che si fanno sapendo di non poterle mai mantenere.
È rischioso pensare di poter vincere le primarie, né tanto meno le elezioni, su questa doppiezza. E nel momento in cui sia Bersani che Renzi si irrigidiscono nel sentir parlare di Monti bis, entrambi sanno che cosa c’è nel loro destino: conquistare consenso, voti, legittimazione democratica e infine una maggioranza politico-parlamentare per una proposta di governo di piena continuità con Monti (quindi senza Berlusconi né Grillo), guidata da un premier dello status di Monti.
Ai duellanti del Pd suona male la formula “Monti bis”? Si può capire: è difficile chiedere i voti alle primarie per mandare a palazzo Chigi una terza persona.
Infatti noi non li tortureremo con le formule. Con il concetto e con le scelte senza ambiguità, però, sì.
Pier Luigi Bersani torna quello dell’intervista al Sole 24 Ore del 9 agosto. E mentre una parte dei suoi sostenitori continua a diffondere l’idea di un Pd destinato addirittura a capovolgere le politiche dei governi dell’Ulivo, il segretario saggiamente ribadisce che la sua proposta di governo sarà pienamente in quel solco, e di piena continuità con il lavoro di Monti, impegnandosi a migliorarne i risultati sul versante della crescita e della creazione di posti di lavoro.
Insomma, i ragazzi della nidiata – un po’ perché ci credono, un po’ perché pensano di dover pattugliare il fronte alla sinistra del Pd – sognano rovesciamenti di fase poco compatibili con la situazione internazionale e soprattutto con la forza presente e futura del Pd, oltre che con la sua cultura riformista. Bersani fa l’opposto, e all’indomani della promessa di continuità fatta da Mario Monti alla business community cerca di mettersi, come direbbe lui, «a bevuta pari» col premier.
Abbiamo capito che con questa doppia verità marceremo finché si potrà: fino alle primarie, poi forse fino alle elezioni, certo non oltre.
Il limite alle ambiguità non lo definisce Wall Street: lo stanno definendo in questi giorni i partner con i quali il Pd ha dichiarato solennemente di voler elaborare una comune strategia progressista di uscita dalla crisi.
La finanziaria da 37 miliardi di Hollande porta la pressione fiscale in Francia al 46 per cento, spostata sui ceti medio-alti ma con prelievi sulle pensioni, tagli alla sanità, sacrifici in vista per tutti: una manovra che piacerà al Fmi e poco promettente quanto alla creazione di nuova occupazione. Intanto la Cgt è sul piede di guerra contro la ratifica del fiscal compact.
In Germania esce vincente dalla selezione nella Spd un candidato Cancelliere addirittura ex ministro delle finanze della Merkel ai tempi del primo governo di larga coalizione. Steinbrück è l’erede diretto della Spd ultrariformista degli anni Novanta di Schröder: poveri giovani turchi italiani, la nemesi della Terza via arriva dal partito nel quale riponevano maggiori speranze.
In Gran Bretagna, Ed Miliband non la smette di avvertire i suoi: i tempi della spesa pubblica larga non torneranno mai più, ci sono vincoli fiscali mondiali che non possiamo violare.
Insomma, anche senza arrivare all’endorsement di Obama per Monti, la dura realtà macina tante frasi avventate. Rimettere mano alle riforme del lavoro e delle pensioni, addirittura cancellarle come pretende Vendola: promesse che si fanno sapendo di non poterle mai mantenere.
È rischioso pensare di poter vincere le primarie, né tanto meno le elezioni, su questa doppiezza. E nel momento in cui sia Bersani che Renzi si irrigidiscono nel sentir parlare di Monti bis, entrambi sanno che cosa c’è nel loro destino: conquistare consenso, voti, legittimazione democratica e infine una maggioranza politico-parlamentare per una proposta di governo di piena continuità con Monti (quindi senza Berlusconi né Grillo), guidata da un premier dello status di Monti.
Ai duellanti del Pd suona male la formula “Monti bis”? Si può capire: è difficile chiedere i voti alle primarie per mandare a palazzo Chigi una terza persona.
Infatti noi non li tortureremo con le formule. Con il concetto e con le scelte senza ambiguità, però, sì.
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Re: quo vadis PD ????
Roberto Giachetti, segretario d'aula del gruppo Pd esperto di regolamenti, smagrito dallo sciopero della fame che conduce contro il Porcellum. "La legge elettorale non cambierà - profetizza - i capigruppo il 9 ottobre la metteranno in calendario per fine mese. Arriverà alla Camera un testo di compromesso e alla Camera sulle preferenze si vota a scrutinio segreto: quanti sono i parlamentari di quest'aula che con le preferenze non sarebbero rieletti? Voteranno contro, dovrà tornare al Senato, si arriverà alla soglia dello scioglimento delle Camere e sarà tardi. Anche col Porcellum d'altronde rischia di non esserci una maggioranza al Senato. Vedo una strada difficilissima, le riforme si dovevano fare prima. E quel che trovo intollerabile è che chi ha fallito non riconosca le sue responsabilità. Che non dica: non siamo stati capaci, la finiamo qui".
da repubblica.it -selezionato da:
Primarie, la scelta dei montiani Pd
"Non serve un nostro candidato"
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Re: quo vadis PD ????
I "liberal" del PD preferiscono Monti a Renzi. Evidentemente la paura fa novanta.
L'INCHIESTA
Primarie, la scelta dei montiani Pd
"Non serve un nostro candidato"
Il "Partito trasversale" dei supporter del premier si affaccia nella "Corsa" democratica: voteremo chi sta con il Professore. Follini: "Liberare Bersani dalle secche di Fassina, Vendola e Fiom, e evitare Renzi"
di CONCITA DE GREGORIO
ROMA - Nella partita delle primarie per il Monti bis gioca una squadra senza maglia. Mimetica, trasversale, invisibile agli occhi di chi del cielo politico non conosca anche il pulviscolo: renziani doc, ex veltroniani ora con Renzi, bersaniani antifassiniani nel senso di Fassina, rutelliani del Misto, ex dalemiani ora con Montezemolo, riformisti puri, antivendoliani sostenitori della riforma Fornero, ex radicali oggi centristi. E poi Tabacci, naturalmente, fuori dal Pd. E ancora più al centro i terzopolisti, ancora più a destra un pezzo di finiani ma qui siamo già fuori dalle primarie del centrosinistra, evidentemente: siamo in un terreno che passa dalle gerarchie ecclesiastiche e dagli ambasciatori delle grandi potenze d'Occidente e arriva, come sempre, a Gianni Letta.
Il gruppo in abiti borghesi e senza insegne che dentro il centrosinistra anima in queste ore il movimento sotterraneo al campo di gioco ha, sugli spalti, una tifoseria da far spavento. Tifano per Monti dopo Monti la Chiesa, se con Chiesa si intende la Cei, l'America di Obama, la Germania di Merkel, la grande industria di Marchionne e Squinzi. Ora che Monti stesso ha dato la sua disponibità a "restare, se serve", il lavorìo perché resti e perché serva si fa visibile anche in quel congresso del Pd a cielo aperto in cui le primarie si sono provvisoriamente trasformate in attesa di conoscerne le regole e il senso. Senso che dipende, tutti ne convengono, da quale sarà la nuova legge elettorale, se ci sarà.
Riuniti al Tempio di Adriano, ieri, i quindici parlamentari Pd firmatari dell'appello pro-Monti hanno invitato amici di varia provenienza tutti curiosi di sapere se ci sarà un candidato di area, che fosse Enrico Morando o Pietro Ichino o altro ancora, ed hanno chiarito intanto che no, per il momento di un candidato dell'agenda-Monti "non si avverte il bisogno", ha detto lo stesso Morando. Piuttosto quel che c'è da fare è lavorare, trova Marco Follini, a "disincagliare l'area Bersani dalle secche dove lo portano Fassina, l'alleanza con Vendola e con la Fiom". È chiaro che nessuna agenda Monti si farà con chi vuole il referendum sull'articolo 18 e la riforma della legge Fornero. E vuole anche, Follini, "evitare lo tsunami Renzi che azzererebbe storie tradizioni e carriere di questo partito". I bersaniani sono tuttavia qui in minoranza: solo Follini e Cabras, tra i promotori. Nutrito il gruppo dei veltroniani o ex (Tonini, Peluffo, Maran, Gentiloni, Morando, Vassallo, Ceccanti) alcuni dei quali hanno lavorato al programma di Renzi. Tra gli "amici ospiti" Andrea Romano di Italia Futura, Linda Lanzillotta di Api, Benedetto della Vedova di Futuro e Libertà, Giulio Zanella di "Fermare il declino", movimento di Oscar Giannino. Il tema è: giocare le primarie per far vincere chi sia più adatto, nel Pd, a sostenere un governo Monti. Ceccanti: "Le primarie sono il dito che indica la luna. Monti è la luna. Scegliamo il dito che la indica".
Ecco, questo. Tonini usa la metafora della tossicodipendenza: la politica è ammalata, Monti può guarirla sebbene con metodi non amabili, un po' come Muccioli. "Se non si cura il male attraverso la politica succederà contro la politica". Andrea Romano interviene per dire ai riformisti di smetterla di "contarsi anziché contare", li invita a giocare nel "mare aperto della contendibilità del partito".
Suona come un invito a sostenere Renzi, sottolinea Ivan Scalfarotto. Claudio Petruccioli, veemente, dice che "l'agenda Monti è un modo per non raccontarsi balle", teme che se la politica non sarà in grado di governare questo passaggio "non ci sarà più bisogno di noi". Chiarisce Gentiloni: "Un governo Monti sostenuto da Alfano Bersani e Casini non sarebbe una buona notizia per gli elettori. Il Pd deve vincere e governare in continuità con l'azione di Monti". Ichino difende la riforma Fornero, Morando paventa la disgregazione del sistema: "La crisi di rappresentanza può diventare crisi della democrazia. Un modello Grecia, dove si vota ogni 15 giorni".
Fuori fuma il sigaro Roberto Giachetti, segretario d'aula del gruppo Pd esperto di regolamenti, smagrito dallo sciopero della fame che conduce contro il Porcellum. "La legge elettorale non cambierà - profetizza - i capigruppo il 9 ottobre la metteranno in calendario per fine mese. Arriverà alla Camera un testo di compromesso e alla Camera sulle preferenze si vota a scrutinio segreto: quanti sono i parlamentari di quest'aula che con le preferenze non sarebbero rieletti? Voteranno contro, dovrà tornare al Senato, si arriverà alla soglia dello scioglimento delle Camere e sarà tardi. Anche col Porcellum d'altronde rischia di non esserci una maggioranza al Senato. Vedo una strada difficilissima, le riforme si dovevano fare prima. E quel che trovo intollerabile è che chi ha fallito non riconosca le sue responsabilità. Che non dica: non siamo stati capaci, la finiamo qui".
(30 settembre 2012)
L'INCHIESTA
Primarie, la scelta dei montiani Pd
"Non serve un nostro candidato"
Il "Partito trasversale" dei supporter del premier si affaccia nella "Corsa" democratica: voteremo chi sta con il Professore. Follini: "Liberare Bersani dalle secche di Fassina, Vendola e Fiom, e evitare Renzi"
di CONCITA DE GREGORIO
ROMA - Nella partita delle primarie per il Monti bis gioca una squadra senza maglia. Mimetica, trasversale, invisibile agli occhi di chi del cielo politico non conosca anche il pulviscolo: renziani doc, ex veltroniani ora con Renzi, bersaniani antifassiniani nel senso di Fassina, rutelliani del Misto, ex dalemiani ora con Montezemolo, riformisti puri, antivendoliani sostenitori della riforma Fornero, ex radicali oggi centristi. E poi Tabacci, naturalmente, fuori dal Pd. E ancora più al centro i terzopolisti, ancora più a destra un pezzo di finiani ma qui siamo già fuori dalle primarie del centrosinistra, evidentemente: siamo in un terreno che passa dalle gerarchie ecclesiastiche e dagli ambasciatori delle grandi potenze d'Occidente e arriva, come sempre, a Gianni Letta.
Il gruppo in abiti borghesi e senza insegne che dentro il centrosinistra anima in queste ore il movimento sotterraneo al campo di gioco ha, sugli spalti, una tifoseria da far spavento. Tifano per Monti dopo Monti la Chiesa, se con Chiesa si intende la Cei, l'America di Obama, la Germania di Merkel, la grande industria di Marchionne e Squinzi. Ora che Monti stesso ha dato la sua disponibità a "restare, se serve", il lavorìo perché resti e perché serva si fa visibile anche in quel congresso del Pd a cielo aperto in cui le primarie si sono provvisoriamente trasformate in attesa di conoscerne le regole e il senso. Senso che dipende, tutti ne convengono, da quale sarà la nuova legge elettorale, se ci sarà.
Riuniti al Tempio di Adriano, ieri, i quindici parlamentari Pd firmatari dell'appello pro-Monti hanno invitato amici di varia provenienza tutti curiosi di sapere se ci sarà un candidato di area, che fosse Enrico Morando o Pietro Ichino o altro ancora, ed hanno chiarito intanto che no, per il momento di un candidato dell'agenda-Monti "non si avverte il bisogno", ha detto lo stesso Morando. Piuttosto quel che c'è da fare è lavorare, trova Marco Follini, a "disincagliare l'area Bersani dalle secche dove lo portano Fassina, l'alleanza con Vendola e con la Fiom". È chiaro che nessuna agenda Monti si farà con chi vuole il referendum sull'articolo 18 e la riforma della legge Fornero. E vuole anche, Follini, "evitare lo tsunami Renzi che azzererebbe storie tradizioni e carriere di questo partito". I bersaniani sono tuttavia qui in minoranza: solo Follini e Cabras, tra i promotori. Nutrito il gruppo dei veltroniani o ex (Tonini, Peluffo, Maran, Gentiloni, Morando, Vassallo, Ceccanti) alcuni dei quali hanno lavorato al programma di Renzi. Tra gli "amici ospiti" Andrea Romano di Italia Futura, Linda Lanzillotta di Api, Benedetto della Vedova di Futuro e Libertà, Giulio Zanella di "Fermare il declino", movimento di Oscar Giannino. Il tema è: giocare le primarie per far vincere chi sia più adatto, nel Pd, a sostenere un governo Monti. Ceccanti: "Le primarie sono il dito che indica la luna. Monti è la luna. Scegliamo il dito che la indica".
Ecco, questo. Tonini usa la metafora della tossicodipendenza: la politica è ammalata, Monti può guarirla sebbene con metodi non amabili, un po' come Muccioli. "Se non si cura il male attraverso la politica succederà contro la politica". Andrea Romano interviene per dire ai riformisti di smetterla di "contarsi anziché contare", li invita a giocare nel "mare aperto della contendibilità del partito".
Suona come un invito a sostenere Renzi, sottolinea Ivan Scalfarotto. Claudio Petruccioli, veemente, dice che "l'agenda Monti è un modo per non raccontarsi balle", teme che se la politica non sarà in grado di governare questo passaggio "non ci sarà più bisogno di noi". Chiarisce Gentiloni: "Un governo Monti sostenuto da Alfano Bersani e Casini non sarebbe una buona notizia per gli elettori. Il Pd deve vincere e governare in continuità con l'azione di Monti". Ichino difende la riforma Fornero, Morando paventa la disgregazione del sistema: "La crisi di rappresentanza può diventare crisi della democrazia. Un modello Grecia, dove si vota ogni 15 giorni".
Fuori fuma il sigaro Roberto Giachetti, segretario d'aula del gruppo Pd esperto di regolamenti, smagrito dallo sciopero della fame che conduce contro il Porcellum. "La legge elettorale non cambierà - profetizza - i capigruppo il 9 ottobre la metteranno in calendario per fine mese. Arriverà alla Camera un testo di compromesso e alla Camera sulle preferenze si vota a scrutinio segreto: quanti sono i parlamentari di quest'aula che con le preferenze non sarebbero rieletti? Voteranno contro, dovrà tornare al Senato, si arriverà alla soglia dello scioglimento delle Camere e sarà tardi. Anche col Porcellum d'altronde rischia di non esserci una maggioranza al Senato. Vedo una strada difficilissima, le riforme si dovevano fare prima. E quel che trovo intollerabile è che chi ha fallito non riconosca le sue responsabilità. Che non dica: non siamo stati capaci, la finiamo qui".
(30 settembre 2012)
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Re: quo vadis PD ????
A quel relitto di follini, al quale auguro presto un ricovero prolungato per guai di salute serissimi (augurare il male non è passibile di querele), glielo hanno detto che bersani la Fiom l'ha già scaricata e tradita?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Robert Harris, "Archangel"
Re: quo vadis PD ????
Non è passibile di querele ma è di pessimo gusto.peanuts ha scritto:A quel relitto di follini, al quale auguro presto un ricovero prolungato per guai di salute serissimi (augurare il male non è passibile di querele), glielo hanno detto che bersani la Fiom l'ha già scaricata e tradita?
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Re: quo vadis PD ????
mamma mia, quando la piantiamo col buonismo?
RUBANO MILIONI, CI DISTRUGGONO LO STATO SOCIALE E L'ART.18 MENTRE LORO MANTENGONO PRIVILEGI E STIPENDI PAZZESCHI, CI DICONO MEGLIO BERLUSCONI CHE GRILLO, ECCETERA, ECCETERA, ECCETERA
Che vogliono adesso, i mazzi di fiori?
RUBANO MILIONI, CI DISTRUGGONO LO STATO SOCIALE E L'ART.18 MENTRE LORO MANTENGONO PRIVILEGI E STIPENDI PAZZESCHI, CI DICONO MEGLIO BERLUSCONI CHE GRILLO, ECCETERA, ECCETERA, ECCETERA
Che vogliono adesso, i mazzi di fiori?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: quo vadis PD ????
Oh, visto che il cattivone sono io.
Sincero, rispondi sincero.
Stanotte monti, la fornero e il caimano ci lasciano (cause naturali, eh).
Domani mattina qual'è il tuo primo pensiero?
Io non sono un ipocrita. Non mi dispiacerebbe. Anzi.
Sincero, rispondi sincero.
Stanotte monti, la fornero e il caimano ci lasciano (cause naturali, eh).
Domani mattina qual'è il tuo primo pensiero?
Io non sono un ipocrita. Non mi dispiacerebbe. Anzi.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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