quo vadis PD ????
Re: quo vadis PD ????
Incredibile ma vero al confronto su Sky.
Renzi ha detto che per Casini non ci sono spazi per un'alleanza (letteralmente: "abbiamo già noi abbastanza casini").
Persino Tabacci non si è espresso a favore.
L'unico a sostenere una coalizione "larga" alla fine è rimasto Bersani.
Renzi ha detto che per Casini non ci sono spazi per un'alleanza (letteralmente: "abbiamo già noi abbastanza casini").
Persino Tabacci non si è espresso a favore.
L'unico a sostenere una coalizione "larga" alla fine è rimasto Bersani.
Re: quo vadis PD ????
Renzi ha sempre detto che punta ad una maggioranza tale da non aver bisogno della "zavorra".
Confronto televisivo : " 'na minciatuna " , serve solo a stabilire chi è più telegenico e pronto di lingua.
Noioso no, PG Battista secondo me sbaglia, noioso è diventato Lerner , tanto per dire,
lo definirei " diversamente adrenalinico ".
forse PGB voleva vedere scorrere il sangue per divertirsi ( o avere un sussulto di vitalità ) ma esiste un gentlemen' agreement in queste kermesse interne per non farsi troppo male a vicenda.
...
Confronto televisivo : " 'na minciatuna " , serve solo a stabilire chi è più telegenico e pronto di lingua.
Noioso no, PG Battista secondo me sbaglia, noioso è diventato Lerner , tanto per dire,
lo definirei " diversamente adrenalinico ".
forse PGB voleva vedere scorrere il sangue per divertirsi ( o avere un sussulto di vitalità ) ma esiste un gentlemen' agreement in queste kermesse interne per non farsi troppo male a vicenda.
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Re: quo vadis PD ????
mariok ha scritto:Incredibile ma vero al confronto su Sky.
Renzi ha detto che per Casini non ci sono spazi per un'alleanza (letteralmente: "abbiamo già noi abbastanza casini").
Persino Tabacci non si è espresso a favore.
L'unico a sostenere una coalizione "larga" alla fine è rimasto Bersani.
deludente Bersani ,
che nel solco della vecchia tradizione comunista italiana di farsi del male da solo,
si dichiara possibilista su un'alleanza con chi ha votato tutte le leggi ad minchiam del maniaco di Hardcore ed è il braccio armato politico del vaticano,cioè Pierazzurro in cementi Caltagirone.
curiosità.
Vendola che sceglie come "mentore" ispiratore il cardinale Carlo Maria Martini,
persona che pure io ho sempre avuto nel mio cuore come esempio di rettitudine e moralità,
e che avrei voluto Papa al posto di questo ex hitlerjugend,
è da guinnes dei primati:
bravo Niky.
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Re: quo vadis PD ????
Renzi pur sottotono rispetto ad altre apparizioni è stato il più efficace nel dare il suo messaggio sfruttando la sua naturale predisposizione alla leadership, Vendola come al solito troppo prolisso è stato penalizzato dai tempi contingentati ma anche lui ha lanciato bene il suo messaggio, Tabacci una sorpresa moderno nonostante il suo passato da DC, Puppato folcloristica e poco più, Bersani lento ad avviarsi come un vecchio diesel senza turbo poi macina concetti ma non riesce mai ad accendere negli ascoltatori quel lampo che ti spinge a volerlo sostenere poi la sua posizione di apertura verso Casini è un autogoal che forse gli costerà caro...
Alla fine penso che Renzi abbia buone possibilità di farcela poi mi astengo dal dire se sarà una cosa buona o cattiva per il centrosinistra italiano...
Alla fine penso che Renzi abbia buone possibilità di farcela poi mi astengo dal dire se sarà una cosa buona o cattiva per il centrosinistra italiano...
Re: quo vadis PD ????
Il fatto che non sia scorso il sangue li ha spiazzati (Battista e non solo). Non hanno potuto ripetere il tema preferito delle spaccature insanabili all'interno.Amadeus ha scritto:Renzi ha sempre detto che punta ad una maggioranza tale da non aver bisogno della "zavorra".
Confronto televisivo : " 'na minciatuna " , serve solo a stabilire chi è più telegenico e pronto di lingua.
Noioso no, PG Battista secondo me sbaglia, noioso è diventato Lerner , tanto per dire,
lo definirei " diversamente adrenalinico ".
forse PGB voleva vedere scorrere il sangue per divertirsi ( o avere un sussulto di vitalità ) ma esiste un gentlemen' agreement in queste kermesse interne per non farsi troppo male a vicenda.
...
L'unico che ha insistito è stato il solito Sechi, che però si è impiccato da solo farfugliando su presunte contraddizioni (che ha visto solo lui) tra l'abbassamento della soglia di tracciabilità e la lotta all'evasione.
Ferrara, solito elefante capzioso, si è attaccato alla risposta della Puppato sulla riforma Fornero (scambiando quella sul lavoro con quella sulle pensioni), per stroncarla. Inopportuna e fuori tono la replica telefonica dell'interessata. Poteva risparmiarsela, ma evidentemente l'inesperienza gioca brutti scherzi.
Nulla di nuovo.
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Re: quo vadis PD ????
Dall’Unità 13.11.12
Cattolici e sinistra nel dna democratico
di stefano Fassina
Come Francesco Garofani e Antonello Giacomelli (l’Unità, 9 novembre), anche il sottoscritto è «profondamente convinto che senza l’apporto della cultura politica dei cattolici democratici, senza la loro attitudine riformatrice, il Pd non sarebbe mai nato».
(Leggasi : POLTRONE & FORCHETTE,........oltre alle correnti,......--ndt)
Come loro, anche il sottoscritto è convinto che «il Pd che abbiamo costruito è ancora troppo lontano dall’ambizione che lo ha fatto nascere». Come loro è convinto che il cattolicesimo democratico e la sua distintiva lettura della dottrina sociale della Chiesa, lo ha ricordato bene Massimo D’Antoni in un recente commento per Leftwing, siano fonte preziosa di pensiero critico verso il paradigma economico ancora oggi dominante, sebbene non più egemone dati gli evidenti fallimenti.
Infine, come loro, il sottoscritto è preoccupato dei tentativi, interni e esterni, di rappresentare attratta da una irresistibile deriva socialdemocratica una parte del Pd impegnata, certamente con limiti e errori, in una ricerca di autonomia culturale e politica per il nostro partito.
Pertanto, vorrei provare a dare un contributo ad «accelerare il lavoro di consolidamento del progetto democratico».
Per il bene del Pd e per il bene dell’Italia.
Sempre più spesso ho la sensazione che con lo sbrigativo richiamo alla socialdemocrazia si intenda liberarsi della critica a quello che viene considerato l’unico paradigma possibile, nonostante l’aggravamento della malattia delle economie e delle democrazie europee e la storica sconfitta subita nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Il problema di fondo è di ordine filosofico (se non fosse un termine rischioso, diremmo ideologico).
Ma ha poco a che vedere con la socialdemocrazia. Il paradigma dominante può essere criticato? La critica implica, inevitabilmente, la ricaduta nel Novecento? Nell’euro-zona e nell’Unione europea, la Commissione, la Bce e il Consiglio definiscono specificazioni tecniche, articolazione deterministica dell’unico paradigma possibile, oppure fanno scelte politiche?
A volte è evidente il fastidio intellettuale di fronte alla pretesa di dare il nome alle cose: il paradigma dominante non va battezzato. È oggettivo, assoluto.
Definire «liberista» la visione prevalente e le policy da essa prescritte rompe l’incantesimo. Il battesimo la de-oggettivizza e rende il re nudo: espressione di interessi di parte. Legittimi, certo, ma di parte. La parte degli interessi più forti.
E poi, che vuol dire socialdemocrazia? I manuali di scienza della politica e di storia ne offrono esempi variegati nello spazio e nel tempo. Qual è il denominatore comune dell’universo socialdemocratico?
La visione della società quale organismo semplice, strutturato in poche classi sociali rigide e omogenee, definite sul piano economico, della condizione lavorativa, del connesso reddito e della collocazione urbana? L’antagonismo capitale-lavoro? L’identificazione della persona, dei suoi valori, dei suoi interessi, dei suoi desideri, delle sue aspettative, con la sua condizione professionale?
L’ancoraggio di una forza politica a riferimenti sociali esclusivi, in particolare, per quanto riguarda le forze della sinistra, al lavoro dipendente delle grandi imprese? L’organizzazione della politica attraverso partiti strutturati?
È evidente che l’universo socialdemocratico è irriproducibile. Per una ragione intuitiva: mancano i presupposti economici, sociali, culturali e istituzionali per la sua riproduzione.
È finita la centralità del modo di produzione fordista (tra l’altro mai prevalente nell’Italia delle micro imprese e dei distretti), è in crisi la sovranità dello Stato-nazione, la dimensione sociale della persone è molto più articolata.
Quindi, liberiamoci da equivoci fuorvianti. Oggi il segno della grande transizione in corso è la regressione, avvenuta e prospettica, delle classi medie sul terreno del lavoro.
Oggi compito distintivo delle forze progressiste europee e occidentali della cultura, della politica, della società non è riconquistare quote di valore aggiunto per il lavoro dipendente, sebbene sia stato il più penalizzato dalla redistribuzione degli ultimi tre decenni.
Oggi la priorità è definire e costruire, attraverso un’alleanza tra produttori, una regolazione dell’economia, almeno a scala dell’euro-zona, in grado di evitare lo schiacciamento delle democrazie delle classi medie tra populismi e tecnocrazie.
Siamo attenti ai «moderati» perché siamo attenti al lavoro, in tutte le sue forme, subordinate e autonome, quale fondamento della democrazia.
Per contribuire a costruire una cultura politica progressista adeguata alle sfide del XXI secolo dobbiamo identificare chi vogliamo rappresentare e per quali obiettivi. A me pare che nostro distintivo compito sia rappresentare la persona che lavora. La persona che lavora in tutte le articolazioni dell’attività creativa. Senza, tuttavia, perdere di vista le asimmetrie di potere, quindi di libertà, di possibilità di affermare la propria irriducibile individualità, tra le persone nella dimensione della produzione e le differenze di interessi (da portare a incontrarsi, non a confliggere). La persona che lavora, non il lavoratore, perché «la condizione per una nuova stagione del lavoro è che esso superi la pretesa di esaurire la totalità dell’umano e si metta al servizio della fioritura dell’intera persona», come abbiamo affermato con le parole di Franco Totaro sin dalla prima Conferenza nazionale per il lavoro del Pd.
L’obiettivo di fondo della nostra sfida ambiziosa è ridefinire i connotati dello sviluppo, quale condizione per rispondere all’«emergenza antropologica» segnalata da osservatori dislocati su un ampio spettro culturale.
Quindi, uno «sviluppo umano integrale» che ricomprenda e vada oltre la «semplice» riconversione ecologica dell’economia. È una ricerca difficile, a rischio di sbandamenti. Per il sottoscritto, come tutti prigioniero del proprio linguaggio, è una ricerca avviata grazie all’aiuto di alcuni testimoni della dottrina sociale della Chiesa: nel confronto quotidiano con Emilio Gabaglio, negli incontri ricorrenti con Franco Marini, nelle rarefatte, ma sempre illuminati, conversazioni con Pierre Carniti.
Sono sicuro che tra chi ha radici nel groviglio socialdemocratico e chi ha respirato la declinazione progressista della dottrina sociale della Chiesa, come Garofani e Giacomelli, vi sono straordinarie potenzialità di sintonia innovativa.
Se non ci fosse, il Pd lo dovremmo inventare per rispondere alle sfide, drammatiche ma affascinanti, del presente.
COMMENTO:
Speriamo che questi suonatori di piffero per merli doc non vadano mai a governare.
Meglio Guido Crosetto
Cattolici e sinistra nel dna democratico
di stefano Fassina
Come Francesco Garofani e Antonello Giacomelli (l’Unità, 9 novembre), anche il sottoscritto è «profondamente convinto che senza l’apporto della cultura politica dei cattolici democratici, senza la loro attitudine riformatrice, il Pd non sarebbe mai nato».
(Leggasi : POLTRONE & FORCHETTE,........oltre alle correnti,......--ndt)
Come loro, anche il sottoscritto è convinto che «il Pd che abbiamo costruito è ancora troppo lontano dall’ambizione che lo ha fatto nascere». Come loro è convinto che il cattolicesimo democratico e la sua distintiva lettura della dottrina sociale della Chiesa, lo ha ricordato bene Massimo D’Antoni in un recente commento per Leftwing, siano fonte preziosa di pensiero critico verso il paradigma economico ancora oggi dominante, sebbene non più egemone dati gli evidenti fallimenti.
Infine, come loro, il sottoscritto è preoccupato dei tentativi, interni e esterni, di rappresentare attratta da una irresistibile deriva socialdemocratica una parte del Pd impegnata, certamente con limiti e errori, in una ricerca di autonomia culturale e politica per il nostro partito.
Pertanto, vorrei provare a dare un contributo ad «accelerare il lavoro di consolidamento del progetto democratico».
Per il bene del Pd e per il bene dell’Italia.
Sempre più spesso ho la sensazione che con lo sbrigativo richiamo alla socialdemocrazia si intenda liberarsi della critica a quello che viene considerato l’unico paradigma possibile, nonostante l’aggravamento della malattia delle economie e delle democrazie europee e la storica sconfitta subita nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Il problema di fondo è di ordine filosofico (se non fosse un termine rischioso, diremmo ideologico).
Ma ha poco a che vedere con la socialdemocrazia. Il paradigma dominante può essere criticato? La critica implica, inevitabilmente, la ricaduta nel Novecento? Nell’euro-zona e nell’Unione europea, la Commissione, la Bce e il Consiglio definiscono specificazioni tecniche, articolazione deterministica dell’unico paradigma possibile, oppure fanno scelte politiche?
A volte è evidente il fastidio intellettuale di fronte alla pretesa di dare il nome alle cose: il paradigma dominante non va battezzato. È oggettivo, assoluto.
Definire «liberista» la visione prevalente e le policy da essa prescritte rompe l’incantesimo. Il battesimo la de-oggettivizza e rende il re nudo: espressione di interessi di parte. Legittimi, certo, ma di parte. La parte degli interessi più forti.
E poi, che vuol dire socialdemocrazia? I manuali di scienza della politica e di storia ne offrono esempi variegati nello spazio e nel tempo. Qual è il denominatore comune dell’universo socialdemocratico?
La visione della società quale organismo semplice, strutturato in poche classi sociali rigide e omogenee, definite sul piano economico, della condizione lavorativa, del connesso reddito e della collocazione urbana? L’antagonismo capitale-lavoro? L’identificazione della persona, dei suoi valori, dei suoi interessi, dei suoi desideri, delle sue aspettative, con la sua condizione professionale?
L’ancoraggio di una forza politica a riferimenti sociali esclusivi, in particolare, per quanto riguarda le forze della sinistra, al lavoro dipendente delle grandi imprese? L’organizzazione della politica attraverso partiti strutturati?
È evidente che l’universo socialdemocratico è irriproducibile. Per una ragione intuitiva: mancano i presupposti economici, sociali, culturali e istituzionali per la sua riproduzione.
È finita la centralità del modo di produzione fordista (tra l’altro mai prevalente nell’Italia delle micro imprese e dei distretti), è in crisi la sovranità dello Stato-nazione, la dimensione sociale della persone è molto più articolata.
Quindi, liberiamoci da equivoci fuorvianti. Oggi il segno della grande transizione in corso è la regressione, avvenuta e prospettica, delle classi medie sul terreno del lavoro.
Oggi compito distintivo delle forze progressiste europee e occidentali della cultura, della politica, della società non è riconquistare quote di valore aggiunto per il lavoro dipendente, sebbene sia stato il più penalizzato dalla redistribuzione degli ultimi tre decenni.
Oggi la priorità è definire e costruire, attraverso un’alleanza tra produttori, una regolazione dell’economia, almeno a scala dell’euro-zona, in grado di evitare lo schiacciamento delle democrazie delle classi medie tra populismi e tecnocrazie.
Siamo attenti ai «moderati» perché siamo attenti al lavoro, in tutte le sue forme, subordinate e autonome, quale fondamento della democrazia.
Per contribuire a costruire una cultura politica progressista adeguata alle sfide del XXI secolo dobbiamo identificare chi vogliamo rappresentare e per quali obiettivi. A me pare che nostro distintivo compito sia rappresentare la persona che lavora. La persona che lavora in tutte le articolazioni dell’attività creativa. Senza, tuttavia, perdere di vista le asimmetrie di potere, quindi di libertà, di possibilità di affermare la propria irriducibile individualità, tra le persone nella dimensione della produzione e le differenze di interessi (da portare a incontrarsi, non a confliggere). La persona che lavora, non il lavoratore, perché «la condizione per una nuova stagione del lavoro è che esso superi la pretesa di esaurire la totalità dell’umano e si metta al servizio della fioritura dell’intera persona», come abbiamo affermato con le parole di Franco Totaro sin dalla prima Conferenza nazionale per il lavoro del Pd.
L’obiettivo di fondo della nostra sfida ambiziosa è ridefinire i connotati dello sviluppo, quale condizione per rispondere all’«emergenza antropologica» segnalata da osservatori dislocati su un ampio spettro culturale.
Quindi, uno «sviluppo umano integrale» che ricomprenda e vada oltre la «semplice» riconversione ecologica dell’economia. È una ricerca difficile, a rischio di sbandamenti. Per il sottoscritto, come tutti prigioniero del proprio linguaggio, è una ricerca avviata grazie all’aiuto di alcuni testimoni della dottrina sociale della Chiesa: nel confronto quotidiano con Emilio Gabaglio, negli incontri ricorrenti con Franco Marini, nelle rarefatte, ma sempre illuminati, conversazioni con Pierre Carniti.
Sono sicuro che tra chi ha radici nel groviglio socialdemocratico e chi ha respirato la declinazione progressista della dottrina sociale della Chiesa, come Garofani e Giacomelli, vi sono straordinarie potenzialità di sintonia innovativa.
Se non ci fosse, il Pd lo dovremmo inventare per rispondere alle sfide, drammatiche ma affascinanti, del presente.
COMMENTO:
Speriamo che questi suonatori di piffero per merli doc non vadano mai a governare.
Meglio Guido Crosetto
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Re: quo vadis PD ????
Stando ai sondaggi Renzi dovrebbe perdere. L'unica possibilità di rinnovamento totale i defunti possono sperarlo da Civati (sempre ammesso che riesca ad arrivare alla segreteria)
Per la serie quando l'intelligenza non è acqua. Il rinnovamento passa attraverso la presa della segreteria, non c'entra nulla la rottamazione mascherata di Renzi che soddisfa solo un'esigenza personale di potere fatta prima attraverso le primarie e poi, eventualmente nello scontro diretto per la premiership. Sono due cose diverse.
I poteri forti che non dormono mai gli hanno procurato un'incontro a porte chiuse a Milano, un investimento come hanno fatto negli Usa i poteri forti con Romney.
L'ANNUNCIO SUL SUO BLOG: «CON IL LAMBRO AL POSTO DEL RUBICONE, LA DECISIONE È PRESA»
Civati punta a prendere il posto di Bersani:
«Mi candido alla segreteria nazionale del Pd»
«Punto al partito anche se non è di moda». La scelta anche in polemica sulle primarie lombarde che rischiano di sfumare
MILANO - Più volte era stato indicato come l'anti-Formigoni, il possibile candidato del centrosinistra capace di reggere un testa a testa con il presidente uscente nella corsa al Pirellone. Pippo Civati, consigliere regionale del Pd, recordman di preferenze in Brianza, ha ora deciso di rompere gli indugi e di candidarsi ufficialmente. Ma non per la Lombardia, dove ha lavorato per due legislature acquisendo una visibilità che lo ha portato alla ribalta nazionale, ma per la segreteria del Partito democratico. L'appuntamento è per il 2013, ma il percorso è lungo e la marcia di avvicinamento deve necessariamente iniziare ora. Così, all'indomani del faccia a faccia tra i candidati alle primarie del centrosinistra che ha lanciato Bersani e Renzi verso una prospettiva di governo nazionale, Civati ha deciso di ripartire dal partito. «Anche se non è molto di moda, fare il segretario di un partito - sottolinea lo stesso Civati nel messaggio di autocandidatura sul suo blog -. Anche se qualcuno, anche tra i candidati di oggi, dice che non è così importante, il segretario, e che il partito serve, ma non poi così tanto».
L'ANNUNCIO - La notizia in realtà è un po' nascosta tra le righe. Il messaggio si intitola «Consenso e buonsenso», parte con una disamina delle dinamiche che stanno portando alla nomina di Ambrosoli quale candidato del centrosinistra in Lombardia, e solo a metà butta lì la frasettina che dice tutto: «mi candido alla segreteria nazionale del Pd». Nessun dubbio, «con il Lambro a fare da ironico Rubicone la decisione è presa». Per portare una visione politica diversa, che parta dai cittadini e non dalle segreterie. Che con le loro scelte - è il ragionamento - rischiano di allontanare gli elettori, proprio mentre le primarie nazionali stanno puntando i riflettori sul centrosinistra: «Mi pare che in queste ore, mentre il Pd è dato al 30% e la coalizione classica (senza aggiunte di anidride carbonica, diciamo così) supera il 40%, stiamo perdendo consenso e buonsenso». Il buonsenso che vorrebbe la celebrazione delle primarie che «a tutte le latitudini, e in qualsiasi condizione climatica, fanno bene. Soprattutto a chi si candida».
IL CASO LOMBARDIA - Ambrosoli, indicato ormai da più parti come il nome che rappresenterà il centro sinistra nella sfida lombarda, ha invece dato nelle ultime ore solo una mezza disponibilità ad un confronto preventivo con gli elettori, un sì a delle consultazioni civiche ma non a delle vere e proprie primarie. E questo a Civati non piace, così come non entusiasma gli stati maggiori dei partiti dell'alleanza. Per questo prima di puntare su Sant'Andrea delle Fratte l'ex enfant prodige dei Ds monzesi, insiste nel voler dare «il mio piccolo contributo alle questioni lombarde». Perché «rischiamo di cappottare da fermi (...) e nemmeno io riesco a comprendere i reali motivi di una scelta così bizzarra». «Vorrei che facessimo una cosa che dobbiamo fare sempre: fare le cose bene - dice Civati ai suoi sostenitori -. Quelle semplici, quelle giuste, quelle che rispondono ai sentimenti e alle aspettative dei nostri elettori. Non il contrario. Se si può».
Alessandro Sala@lex-sala
13 novembre 2012 | 11:48
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 2399.shtml
Per la serie quando l'intelligenza non è acqua. Il rinnovamento passa attraverso la presa della segreteria, non c'entra nulla la rottamazione mascherata di Renzi che soddisfa solo un'esigenza personale di potere fatta prima attraverso le primarie e poi, eventualmente nello scontro diretto per la premiership. Sono due cose diverse.
I poteri forti che non dormono mai gli hanno procurato un'incontro a porte chiuse a Milano, un investimento come hanno fatto negli Usa i poteri forti con Romney.
L'ANNUNCIO SUL SUO BLOG: «CON IL LAMBRO AL POSTO DEL RUBICONE, LA DECISIONE È PRESA»
Civati punta a prendere il posto di Bersani:
«Mi candido alla segreteria nazionale del Pd»
«Punto al partito anche se non è di moda». La scelta anche in polemica sulle primarie lombarde che rischiano di sfumare
MILANO - Più volte era stato indicato come l'anti-Formigoni, il possibile candidato del centrosinistra capace di reggere un testa a testa con il presidente uscente nella corsa al Pirellone. Pippo Civati, consigliere regionale del Pd, recordman di preferenze in Brianza, ha ora deciso di rompere gli indugi e di candidarsi ufficialmente. Ma non per la Lombardia, dove ha lavorato per due legislature acquisendo una visibilità che lo ha portato alla ribalta nazionale, ma per la segreteria del Partito democratico. L'appuntamento è per il 2013, ma il percorso è lungo e la marcia di avvicinamento deve necessariamente iniziare ora. Così, all'indomani del faccia a faccia tra i candidati alle primarie del centrosinistra che ha lanciato Bersani e Renzi verso una prospettiva di governo nazionale, Civati ha deciso di ripartire dal partito. «Anche se non è molto di moda, fare il segretario di un partito - sottolinea lo stesso Civati nel messaggio di autocandidatura sul suo blog -. Anche se qualcuno, anche tra i candidati di oggi, dice che non è così importante, il segretario, e che il partito serve, ma non poi così tanto».
L'ANNUNCIO - La notizia in realtà è un po' nascosta tra le righe. Il messaggio si intitola «Consenso e buonsenso», parte con una disamina delle dinamiche che stanno portando alla nomina di Ambrosoli quale candidato del centrosinistra in Lombardia, e solo a metà butta lì la frasettina che dice tutto: «mi candido alla segreteria nazionale del Pd». Nessun dubbio, «con il Lambro a fare da ironico Rubicone la decisione è presa». Per portare una visione politica diversa, che parta dai cittadini e non dalle segreterie. Che con le loro scelte - è il ragionamento - rischiano di allontanare gli elettori, proprio mentre le primarie nazionali stanno puntando i riflettori sul centrosinistra: «Mi pare che in queste ore, mentre il Pd è dato al 30% e la coalizione classica (senza aggiunte di anidride carbonica, diciamo così) supera il 40%, stiamo perdendo consenso e buonsenso». Il buonsenso che vorrebbe la celebrazione delle primarie che «a tutte le latitudini, e in qualsiasi condizione climatica, fanno bene. Soprattutto a chi si candida».
IL CASO LOMBARDIA - Ambrosoli, indicato ormai da più parti come il nome che rappresenterà il centro sinistra nella sfida lombarda, ha invece dato nelle ultime ore solo una mezza disponibilità ad un confronto preventivo con gli elettori, un sì a delle consultazioni civiche ma non a delle vere e proprie primarie. E questo a Civati non piace, così come non entusiasma gli stati maggiori dei partiti dell'alleanza. Per questo prima di puntare su Sant'Andrea delle Fratte l'ex enfant prodige dei Ds monzesi, insiste nel voler dare «il mio piccolo contributo alle questioni lombarde». Perché «rischiamo di cappottare da fermi (...) e nemmeno io riesco a comprendere i reali motivi di una scelta così bizzarra». «Vorrei che facessimo una cosa che dobbiamo fare sempre: fare le cose bene - dice Civati ai suoi sostenitori -. Quelle semplici, quelle giuste, quelle che rispondono ai sentimenti e alle aspettative dei nostri elettori. Non il contrario. Se si può».
Alessandro Sala@lex-sala
13 novembre 2012 | 11:48
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http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 2399.shtml
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Re: quo vadis PD ????
Lite tra fidanzati promessi sposi..............................
Da il Fatto 13.11.12
Casini contro Bersani “Piccolo uomo”
Sono amico di tutti e anche di Bersani, ma chi non sa distinguere tra i rapporti di amicizia e il resto è un piccolo uomo”. Se è vero che chi trova un amico trova un tesoro, il segretario democratico può stare tranquillo. Ma se Bersani cercava in Casini un alleato, ha più di un problema. La bozza della nuova legge elettorale ha portato il Pd e l’Udc su fronti opposti. Questione di sopravvivenza, ma ormai i due leader sono arrivati agli insulti. Eppure sembra sempre più lontana la possibilità di sostituire il Porcellum. La leader radicale Emma Bonino spiega che “il tempo per evitare una sanzione all’Europa è scaduto” e che “spiace dirlo, ma tutta questa pressione dal Quirinale per cambiare la legge è a livello di stalking”.
Da il Fatto 13.11.12
Casini contro Bersani “Piccolo uomo”
Sono amico di tutti e anche di Bersani, ma chi non sa distinguere tra i rapporti di amicizia e il resto è un piccolo uomo”. Se è vero che chi trova un amico trova un tesoro, il segretario democratico può stare tranquillo. Ma se Bersani cercava in Casini un alleato, ha più di un problema. La bozza della nuova legge elettorale ha portato il Pd e l’Udc su fronti opposti. Questione di sopravvivenza, ma ormai i due leader sono arrivati agli insulti. Eppure sembra sempre più lontana la possibilità di sostituire il Porcellum. La leader radicale Emma Bonino spiega che “il tempo per evitare una sanzione all’Europa è scaduto” e che “spiace dirlo, ma tutta questa pressione dal Quirinale per cambiare la legge è a livello di stalking”.
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Re: quo vadis PD ????
Sveglia Marcellino,........Pan y vino,.......questi so' tutti democristiani da un sacco de tempo............
La Stampa 13.11.12
Il rischio della sindrome democristiana
di Marcello Sorgi
Se nel centrodestra temono che le primarie si risolvano in un flop, forse anche nel centrosinistra farebbero bene a cominciare a preoccuparsi: almeno dopo il dibattito di ieri sera. Doveva essere un confronto all’americana, quello su Sky, ma alla fine s’è risolto in una specie di congresso democristiano. Renzi ha cercato in ogni modo di ravvivarlo, giocando con la tattica dell’uno contro quattro. Gli altri hanno fatto spallucce, lasciandolo a sciorinare il solito campionario di battute, e continuando ognuno per conto proprio. Nel contesto, Tabacci è stato la rivelazione: l’usato sicuro che si impone per esperienza e capacità. Vendola, invece, la delusione (alla fine lui stesso ha ammesso di essere «un acchiappanuvole»). Quanto a Bersani, dall’alto della sua responsabilità, ha mostrato un distacco che gli impone posizioni sfumate.
Renzi è un contemporaneo che si sforza (e qualche volta ci riesce) di mostrarsi già collocato nel futuro, guarda tutto come se fosse alle sue spalle. Il suo pezzo forte resta D’Alema: quando ha detto che le previsioni del «líder máximo» sono come le profezie dei Maya, il pubblico si spellava le mani per gli applausi. E tuttavia non è riuscito a intaccare la calma inossidabile del segretario.
Bersani in certi momenti sembrava il notaio di un telequiz, in cui i concorrenti si affrontavano sotto i suoi occhi, ben sapendo che se alla fine il centrosinistra riuscirà a governare, il premier sarà lui. Se si scatenavano contro Casini, e tutti lo hanno fatto, con più o meno enfasi, il segretario sorrideva bonario, come se pensasse: «Divertitevi pure, che tanto poi ricucire tocca a me». Non ha mai attaccato nessuno, neppure Renzi, e in conclusione ha apprezzato che alla prima uscita pubblica in tv, la coalizione sia apparsa più unita che in passato: in fondo le primarie servono anche a questo.
Così che l’unico colpo basso lo ha giocato una sostenitrice di Renzi contro Laura Puppato, accusata di aver lasciato il posto di sindaco di Montebelluna per andare in consiglio regionale, e adesso, di lì, di volersi trasferire in Parlamento e forse al governo. Puppato ha incassato male, ma non malissimo, consapevole che essere l’unica candidata donna giocherà a suo favore, anche se la sua performance tv non è stata brillante.
Se Renzi s’è mosso da solo contro tutti gli altri è perché - il confronto di ieri sera lo ha dimostrato - difficilmente potrà vincere al primo turno. Chi per una ragione, chi per l’altra, Tabacci, Puppato e Vendola nelle urne delle primarie giocheranno contro di lui e a favore di Bersani. E non perché si siano messi d’accordo con il segretario, anche se si sono ben guardati dal criticarlo. Ma perché nessuno di loro, con evidenza, corre per arrivare al secondo turno, ma solo per presidiare una fetta precisa di elettorato di centrosinistra. In questo senso, ma solo apparentemente, dato che le primarie appartengono a un’altra epoca, il confronto tra i cinque riecheggiava i vecchi congressi della Dc: dove tutti fingevano di darsele di santa ragione dalla tribuna per due o tre giorni, salvo poi ritrovarsi uniti al momento di fare il governo e spartirsi le poltrone.
La Stampa 13.11.12
Il rischio della sindrome democristiana
di Marcello Sorgi
Se nel centrodestra temono che le primarie si risolvano in un flop, forse anche nel centrosinistra farebbero bene a cominciare a preoccuparsi: almeno dopo il dibattito di ieri sera. Doveva essere un confronto all’americana, quello su Sky, ma alla fine s’è risolto in una specie di congresso democristiano. Renzi ha cercato in ogni modo di ravvivarlo, giocando con la tattica dell’uno contro quattro. Gli altri hanno fatto spallucce, lasciandolo a sciorinare il solito campionario di battute, e continuando ognuno per conto proprio. Nel contesto, Tabacci è stato la rivelazione: l’usato sicuro che si impone per esperienza e capacità. Vendola, invece, la delusione (alla fine lui stesso ha ammesso di essere «un acchiappanuvole»). Quanto a Bersani, dall’alto della sua responsabilità, ha mostrato un distacco che gli impone posizioni sfumate.
Renzi è un contemporaneo che si sforza (e qualche volta ci riesce) di mostrarsi già collocato nel futuro, guarda tutto come se fosse alle sue spalle. Il suo pezzo forte resta D’Alema: quando ha detto che le previsioni del «líder máximo» sono come le profezie dei Maya, il pubblico si spellava le mani per gli applausi. E tuttavia non è riuscito a intaccare la calma inossidabile del segretario.
Bersani in certi momenti sembrava il notaio di un telequiz, in cui i concorrenti si affrontavano sotto i suoi occhi, ben sapendo che se alla fine il centrosinistra riuscirà a governare, il premier sarà lui. Se si scatenavano contro Casini, e tutti lo hanno fatto, con più o meno enfasi, il segretario sorrideva bonario, come se pensasse: «Divertitevi pure, che tanto poi ricucire tocca a me». Non ha mai attaccato nessuno, neppure Renzi, e in conclusione ha apprezzato che alla prima uscita pubblica in tv, la coalizione sia apparsa più unita che in passato: in fondo le primarie servono anche a questo.
Così che l’unico colpo basso lo ha giocato una sostenitrice di Renzi contro Laura Puppato, accusata di aver lasciato il posto di sindaco di Montebelluna per andare in consiglio regionale, e adesso, di lì, di volersi trasferire in Parlamento e forse al governo. Puppato ha incassato male, ma non malissimo, consapevole che essere l’unica candidata donna giocherà a suo favore, anche se la sua performance tv non è stata brillante.
Se Renzi s’è mosso da solo contro tutti gli altri è perché - il confronto di ieri sera lo ha dimostrato - difficilmente potrà vincere al primo turno. Chi per una ragione, chi per l’altra, Tabacci, Puppato e Vendola nelle urne delle primarie giocheranno contro di lui e a favore di Bersani. E non perché si siano messi d’accordo con il segretario, anche se si sono ben guardati dal criticarlo. Ma perché nessuno di loro, con evidenza, corre per arrivare al secondo turno, ma solo per presidiare una fetta precisa di elettorato di centrosinistra. In questo senso, ma solo apparentemente, dato che le primarie appartengono a un’altra epoca, il confronto tra i cinque riecheggiava i vecchi congressi della Dc: dove tutti fingevano di darsele di santa ragione dalla tribuna per due o tre giorni, salvo poi ritrovarsi uniti al momento di fare il governo e spartirsi le poltrone.
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Re: quo vadis PD ????
I FANTASTICI 5 venditori di tappeti volanti taroccati,…..o piazzisti nel linguaggio tecnico….
Se n'è accorto pure Gramellini che sono diventati tutti democristiani.
La prova del 9:
il Fatto 14.11.12
“Sto con Bersani, basta con i pifferai”
Bruno è sempre stato un democristiano doc,.....non è lui che si è spostato a sinistra,.....sono gli altri che si sono spostati a destra.
Da La Stampa 14.11.12
Dì qualcuno di sinistra
di Massimo Gramellini
Alla domanda del conduttore di Sky su quale fosse la loro figura storica di riferimento, i candidati alle primarie del centrosinistra hanno risposto: De Gasperi, Papa Giovanni, Tina Anselmi, Carlo Maria Martini e Nelson Mandela.
Tutti democristiani tranne forse Mandela, indicato da Renzi che, essendo già democristiano di suo, non ha sentito il bisogno di associarne uno in spirito.
Scelte nobili e ineccepibili, intendiamoci, come lo sarebbero state quelle di altri cattolici democratici, da Aldo Moro a don Milani, evidentemente passati di moda. Ma ciò che davvero stupisce è che a nessuno dei pretendenti al trono rosé sia venuto in mente di inserire nel campionario un poster di sinistra. Berlinguer, Kennedy, Bobbio, Foa. Mica dei pericolosi estremisti, ma i depositari riconosciuti di quella che dovrebbe essere la formula originaria del Pd: diritti civili, questione morale, uguaglianza nella libertà. Almeno Puppato, pencolando verso l’estremismo più duro, ha annunciato come seconda «nomination» Nilde Iotti. Dalle altre bocche non è uscito neppure uno straccio di socialdemocratico scandinavo alla Olof Palme.
Forse i candidati di sinistra hanno ignorato le icone della sinistra perché temevano di spaventare gli elettori potenziali.
Così però hanno spaventato gli elettori reali.
Quelli che non possono sentirsi rappresentati da chi volta le spalle alla parte della propria storia di cui dovrebbe andare più orgoglioso. (Come sempre, naturalmente--ndt)
Se n'è accorto pure Gramellini che sono diventati tutti democristiani.
La prova del 9:
il Fatto 14.11.12
“Sto con Bersani, basta con i pifferai”
Bruno è sempre stato un democristiano doc,.....non è lui che si è spostato a sinistra,.....sono gli altri che si sono spostati a destra.
Da La Stampa 14.11.12
Dì qualcuno di sinistra
di Massimo Gramellini
Alla domanda del conduttore di Sky su quale fosse la loro figura storica di riferimento, i candidati alle primarie del centrosinistra hanno risposto: De Gasperi, Papa Giovanni, Tina Anselmi, Carlo Maria Martini e Nelson Mandela.
Tutti democristiani tranne forse Mandela, indicato da Renzi che, essendo già democristiano di suo, non ha sentito il bisogno di associarne uno in spirito.
Scelte nobili e ineccepibili, intendiamoci, come lo sarebbero state quelle di altri cattolici democratici, da Aldo Moro a don Milani, evidentemente passati di moda. Ma ciò che davvero stupisce è che a nessuno dei pretendenti al trono rosé sia venuto in mente di inserire nel campionario un poster di sinistra. Berlinguer, Kennedy, Bobbio, Foa. Mica dei pericolosi estremisti, ma i depositari riconosciuti di quella che dovrebbe essere la formula originaria del Pd: diritti civili, questione morale, uguaglianza nella libertà. Almeno Puppato, pencolando verso l’estremismo più duro, ha annunciato come seconda «nomination» Nilde Iotti. Dalle altre bocche non è uscito neppure uno straccio di socialdemocratico scandinavo alla Olof Palme.
Forse i candidati di sinistra hanno ignorato le icone della sinistra perché temevano di spaventare gli elettori potenziali.
Così però hanno spaventato gli elettori reali.
Quelli che non possono sentirsi rappresentati da chi volta le spalle alla parte della propria storia di cui dovrebbe andare più orgoglioso. (Come sempre, naturalmente--ndt)
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