articolo 18
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Re: articolo 18
Sciopero generale, presto, e vediamo chi vince... piangina
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: articolo 18
Caro peanuts.Lo sanno che si arrivera a questo prima o poi.Hai visto il disagio dei trasportatori che ha causato alla Fiat.peanuts ha scritto:Sciopero generale, presto, e vediamo chi vince... piangina
Questo è niente se si ferma tutto il mondo del lavoro.
Ciao
Paolo11
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Re: articolo 18
Però mi chiedo in quanti lo fermeremo. Vedo parecchia apatia al lavoro.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: articolo 18
peanuts ha scritto:Però mi chiedo in quanti lo fermeremo.
Vedo parecchia apatia al lavoro.
io invece vedo parecchia paura...
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Re: articolo 18
................................................shiloh ha scritto:peanuts ha scritto:Però mi chiedo in quanti lo fermeremo.
Vedo parecchia apatia al lavoro.
io invece vedo parecchia paura...
Caro shiloh.Allora a questo punto al sottoscritto non interessa, io in pensione ci sono. Le mie battaglie a suo tempo le ho fatte.
Avanti a chi tocca.
Ciao
Paolo11
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Re: articolo 18
Si, anch'io vedo tanta paura in giro.shiloh ha scritto:io invece vedo parecchia paura...peanuts ha scritto:Però mi chiedo in quanti lo fermeremo.
Vedo parecchia apatia al lavoro.
Avere enfatizzato questo spread in questo modo e facendo credere che nessuno sarebbe stato in grado di affrontare questo problema e' chiaro che la paura fa 99.
E' chiaro che la paura fa 99 visto anche le dichiarazioni del Uolter in cui affermava che probabilmente nemmeno il PD sarebbe stato in grado da solo di affrontare tale "calamita".
Dichiarazioni un po' folli in questo momento poiche creano ad arte all'armismi tali che qualsiasi decisione fatta dai (poco)saggi la accettano senza chiedersi se vada bene o no.
Con queste dichiarazioni anche i partiti vanno a puttane. E se i partiti vanno a puttane e' la stessa edmocrazia che scompare o viene momentaneamente messa da parte.
Ora ognuno si arrangia come puo(se puo') e gli altri che non hammo alcuna alternativa non gli resta che manifestare ad oltranza e con tutti i mezzi col pericolo di fare guerre tra poveri.
L'altro giorno parlavo con un amico che ha una piccola impresa di pittori(imbianchini per intenderci) e mi diceva che sono abbastanza in crisi poiche chi ha qualche soldo non rischia di spenderli e chi non li ha tantomeno chiede degli interventi.
Perdipiu' mi raccontava che questa crisi si aggrava maggiormante sul loro settore poiche le molte persone in cassa integrazione fanno i loro stessi lavori in nero levandgli quel poco che gli restava per arrotondare, in questi momenti.
Una stanza te la pitturano per €.50 e a quel prezzo loro non potranno mai farla.
Come vedete la guerra trai poveri e' sempre attiva.
Il cassaintegrato per poter sbarcare il lunario fa la guerra ad un suo collega ed e' un po' difficile additarlo come un disonesto.
Coloro che stanno il alto queste cose le sanno molto bene e sanno pure che ad un certo momento ci sbraneremo fra di noi trascurando il vero obiettivo .
Da un popolo lasciato per molto tempo abbandonato a se stesso ci si puo' aspettare questo e molto piu' di questo.
Ora stiamo pagando tutte le inefficienze dalla politica di questi ultimi vent'anni ed oltre.
La spoliticizzazione comporta anche questo.
Trent'anni fa si scioperava alla prima ingiustizia verso un singolo collega. Oggi sperano solo che non capiti a loro poiche anche la solidarieta' ha un costo e in questi frangesti di crisi i costi e la paura superano il senso della solidarieta'.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: articolo 18
Guarda, anche io ultimamente ho trovato spesso il deserto dietro di me quando ho posto alcune problematiche di tipo pratico al lavoro.shiloh ha scritto:peanuts ha scritto:Però mi chiedo in quanti lo fermeremo.
Vedo parecchia apatia al lavoro.
io invece vedo parecchia paura...
Ma continuerò a farlo, perché è giusto.
Chi ha paura può anche rintanarsi nel loculo della propria apatia ma dopo non venga a lamentarsi.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: articolo 18
peanuts ha scritto:Guarda,shiloh ha scritto:peanuts ha scritto:Però mi chiedo in quanti lo fermeremo.
Vedo parecchia apatia al lavoro.
io invece vedo parecchia paura...
anche io ultimamente ho trovato spesso il deserto dietro di me quando ho posto alcune problematiche di tipo pratico al lavoro.
Ma continuerò a farlo, perché è giusto.
Chi ha paura può anche rintanarsi nel loculo della propria apatia ma dopo non venga a lamentarsi.
guarda...anche tu,
io sono 37 anni che lavoro.
gli scioperi li ho quasi sempre fatti tutti.
da quando ero un semplice impiegatucolo,
ad oggi che sono salito di un tot di gradini nella scala gerarchica aziendale.
però quasi mai ho criticato i colleghi che non li facevano.
perchè ho sempre pensato che,
oltre le barriere ideologiche che senz'altro esistono,
molto dipende ,in ogni singola azienda,
dalla situazione personale dell'individuo,detto in parole povere:
personalmente,se anche domani il mio datore di lavoro mi licenziasse,
io esco dalla porta e di lavoro ne trovo subito un'altro che le offerte non mi mancano.
per cui pur essendo uno di quelli che fa sciopero,
non sono uno di quelli da applaudire,perchè non ho nulla da perdere.
diversa,molto diversa ,soprattutto di questi tempi,
è la situazione di quello che c'ha molto da perdere,perchè sa che facendo sciopero rischia il posto di lavoro,
un'altro non lo trova e c'ha sulle spalle una famiglia da mantenere.
quelle persone,che pur in queste condizioni trovano il coraggio di scioperare,
quelle si che sono da ammirare.
e quelle invece che in queste situazioni chinano la testa e guardano da un'altra parte...beh,io non me la sento di criticarle.
buona domenica a tutto il forum.
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Re: articolo 18
Nella storia del mondo di lavoro ci sono ci saranno sempre quelli che lo fanno e quelli che non lo fanno lo sciopero.Oltretutto mi ricordo che nella azienda c'era la distinzione fra inpiegati è operai. Gli operai i scioperi li facevano, gli impiegati essendo piu vicini alla direzione non lo facevano.C'era anche la differenze all'inizio se non ricordo male della liquidazione.Chi era impiegato gli veniva valcolata uno stipendio,invece l'operaio gli veniva conteggiata in base alle ore del mese.Sinceramente ora non ricondo se sono state parificate le cose comunque mi ricordo che avevamo ottenuto i Tiket restoran rivalutati in base all'inflazione, poi sono andati a vantaggio anche di chi non aveva scioperato.Essendo entrato come operaio a 18 anni poi con gli anni sono divendato operaio specializzato.Poi passato responsabile del laboratorio e passato impiegato.Dopo anni di laboratorio si sono dedicati solamente alla vendita.Quindi sono passato come responsabile del magazzino vendita.Comunque quando c'era da scioperare non mi tiravo indietro.Comunque OGGI bastava copiare come detto molte volte La Germania o la Francia.Ma sicuramente non ci sono i soldi per avere uno stato sociale come quelle dua nazioni.Il governo dovrebbe fare altre scelte che non vuole fare.I soldi a mio avviso ci sono basta lasciare perdere certe grandi opere,toglierci dallAfganistan.Quella è stata una scelta sciagurata, alla fine non cambieranno gli equilibri precedenti al 2001.
ciao
Paolo11
ciao
Paolo11
Re: articolo 18
Governo e sindacato
uniti nell'errore
di EUGENIO SCALFARI
Due simbolismi contrapposti: l'ha detto Giorgio Napolitano definendo perfettamente le posizioni del governo e del sindacato a proposito dell'articolo 18. Noi lo stiamo scrivendo da almeno un mese, da quando quei due simbolismi hanno egemonizzato i media, l'opinione pubblica e il dibattito politico.
I simboli sono una rappresentazione della realtà semplificata all'estremo. E poiché ogni realtà è sempre relativa perché dipende dal punto di vista di chi la guarda e la vive, la sua semplificazione genera inevitabilmente radicali contrapposizioni, una tesi ed una anti-tesi. La soluzione di questa dialettica nel caso migliore dà luogo alla sintesi (in politica si chiama compromesso), nel caso peggiore si risolve con uno scontro.
Affidarsi ai simboli è dunque molto pericoloso. Sono contrapposizioni sciagurate che hanno perfino provocato guerre mondiali: nel 1914 l'uccisione del delfino degli Asburgo da parte d'un terrorista serbo scatenò la prima guerra mondiale che provocò dieci milioni di morti; nel 1939 il simbolo fu Danzica e i morti furono trenta milioni, genocidio della Shoah a parte.
Nel caso nostro non ci saranno per fortuna né morti né feriti, ma lo sconquasso sociale e politico sarà intenso se non si arriverà ad un compromesso: potrebbe cadere il governo Monti, potrebbe sfasciarsi il Partito democratico e la sinistra italiana finirebbe in soffitta, lo "spread" potrebbe tornare a livelli intollerabili con conseguenze nefaste per tutta l'Europa e tutto
questo perché le due parti contrapposte vogliono stabilire - mi si passi un'espressione scurrile ma appropriata - chi ce l'ha più lungo.
Infatti il peso e l'importanza dell'articolo 18 è pressoché irrilevante. I casi in cui è stato applicato il reingresso nel posto di lavoro negli ultimi dieci anni non arrivano al migliaio e soprattutto non ha mai avuto ripercussioni sullo sviluppo dell'economia reale e sui suoi fondamentali. In vigenza di quell'articolo gli investimenti, i profitti, il livello dei salari, le esportazioni, i consumi, sono andati bene o male per cause completamente diverse. Quanto alla giusta causa, la cui presenza può consentire un licenziamento e la cui assenza può renderlo possibile, essa è già contenuta in leggi precedenti all'articolo 18 e può essere sempre sollevata dinanzi al magistrato.
Conosco bene l'obiezione di Monti: i mercati vogliono un segnale che li rassicuri sulla fine dei poteri di veto del sindacato, vogliono cioè la fine della concertazione con le parti sociali. Non credo che attribuire ai mercati questa richiesta corrisponda a verità. I mercati non sono un soggetto unitario, ma una moltitudine di soggetti ciascuno dei quali è portatore di una propria visione e d'una propria valutazione. Mi domando piuttosto che cosa accadrebbe se le conseguenze di quella norma determinassero uno sconquasso sociale.
Finora il disagio sociale provocato dai sacrifici (necessari) del "salva Italia" ha trovato una sua barriera nel No-Tav, ma è una bandiera troppo localistica per essere innalzata a lungo da Palermo a Torino. Se però la bandiera diventasse quella del no ai licenziamenti in tempi di recessione, allora la pace sociale rischierebbe di saltar per aria e probabilmente sarebbero proprio i mercati a giudicarla negativamente ai fini della crescita.
Infine osservo che l'articolo 1 della Costituzione recita che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Si tratta d'una banalità o d'un principio che deve ispirare il legislatore?
Mi permetto di ricordare che questo giornale ed io personalmente siamo stati fin dall'inizio e addirittura prima ancora che nascesse, fautori del governo Monti e lo siamo tuttora anche sulla riforma del lavoro, che riteniamo positiva in quasi tutte le sue parti, nella lotta al precariato, nell'estensione delle tutele a tutta la platea dei disoccupati, nell'estensione del contratto a tempo indeterminato, nella flessibilità all'entrata ed anche all'uscita. Rischiare tutto questo per difendere un simbolo di irrilevante significato è un errore politico grave. E poiché questo non è un governo tecnico - come erroneamente molti e lo stesso Monti continuano a ripetere - ma è un governo politico a tutti gli effetti, commettere un errore politico è grave.
Certo, spetta al Parlamento decidere e spetta ai partiti correggere l'errore modificando il testo del governo per quanto riguarda l'articolo 18. I partiti della maggioranza saranno concordi su questa questione?
* * *
Il mio ragionamento sarebbe tuttavia incompleto se non dicessi che le osservazioni fin qui formulate riguardano non soltanto il governo ma anche la Cgil perché anch'essa si sta battendo per un simbolo di irrilevante significato. Capisco che Susanna Camusso deve convivere con la Fiom, ciascuno ha i suoi crucci fuori casa e dentro casa. Ma se si minaccia di mettere a fuoco il Paese per un simbolo irrilevante possono verificarsi conseguenze sciagurate. La Camusso dovrebbe indicare qual è il compromesso sul quale sarebbe d'accordo il sindacato. Il modello tedesco sui licenziamenti motivati per ragioni economiche lo accetterebbe? Alcuni ministri affermano di averglielo chiesto e di averne ricevuto risposta positiva. Se questo è vero, abbia il coraggio di dirlo in pubblico: darebbe gran forza a tutti coloro che vogliono arrivare alla sintesi tra i due simbolismi contrapposti e salvare la parte positiva della riforma del lavoro. Per quanto sappiamo noi la Camusso è ferma sulla posizione che l'articolo 18 sia intoccabile. Ebbene, noi siamo contrari ai cosiddetti valori non negoziabili. Lo siamo nei confronti della Chiesa che può sostenere l'intoccabilità di quei valori quando si rivolge ai suoi fedeli ma non quando pretende che la sua dottrina entri nella legislazione. Non esistono valori intoccabili salvo quelli della legalità, dell'etica pubblica e della parità dei cittadini di fronte alla legge.
Nel campo del lavoro il diritto intoccabile è quello della rappresentanza di tutti i lavoratori nelle aziende in cui lavorano. Quello sì, è un diritto intoccabile e laddove è stato violato va assolutamente recuperato.
L'articolo 18 è stato certamente una conquista ma per quanto riguarda le modalità della sua applicazione non è intoccabile.
Con Susanna Camusso ho avuto su queste questioni una polemica: citai un'intervista fatta nel 1984 con Luciano Lama e lei se ne risentì. Ebbene desidero oggi rievocare ancora la posizione di Luciano Lama che fu anche, allora, quella di Carniti, di Benvenuto e di Trentin. Sto parlando dei dirigenti storici del sindacalismo italiano, dopo Bruno Buozzi e Di Vittorio.
La loro ambizione non fu soltanto quella di conquistare nuovi diritti per i lavoratori ma soprattutto quella di trasformare la classe operaia in classe generale. C'era un solo modo di realizzare quell'obiettivo: fare della classe operaia la principale e coerente portatrice degli interessi generali del Paese e dello Stato mettendo in seconda fila i suoi interessi particolari di classe.
Quei dirigenti sono entrati a giusto titolo nel Pantheon della nostra storia nazionale. Dubito molto che ci si possa entrare soltanto difendendo l'articolo 18.
Se è vero come è vero che i casi di reingresso nel posto di lavoro si contano su poche dita, questo vale per il governo come per il sindacato, vale per Elsa Fornero quanto per Susanna Camusso. Tutte e due su questo punto stanno sbagliando e tutte e due si stanno assumendo grandi responsabilità. Ci riflettano prima che sia troppo tardi. Ci rifletta anche il presidente del Consiglio e i suoi ministri. Alcuni di loro si sono fatti sentire all'interno del Consiglio dei ministri di venerdì scorso. Da Fabrizio Barca a Giarda, a Balduzzi ed è stato un utile campanello d'allarme.
Chiedere riflessione a Di Pietro, a Vendola, a Diliberto è tempo perso. Loro pensano agli interessi di bottega e basta. Ma ai partiti della "strana" maggioranza si deve chiedere di guardare con molta attenzione ciò che potrà avvenire in Parlamento.
* * *
Bersani proporrà di adottare il sistema tedesco per i licenziamenti motivati da ragioni economiche. Quel sistema prevede un tentativo di conciliazione tra l'imprenditore e il sindacato d'azienda; in caso di fallimento (secondo le statistiche le trattative fallite sono soltanto l'11 per cento dei casi) si va dal magistrato del lavoro che può annullare il licenziamento (reingresso) o stabilire un congruo indennizzo.
Su questo punto il Pd è compatto, da Veltroni a D'Alema, a Franceschini, a Letta, a Fioroni. È probabile che anche Casini e Fini confluiranno sulla stessa posizione. Perfino Squinzi, il neo-presidente di Confindustria, sembra disponibile ad accettare questa soluzione.
L'incognita resta il Pdl o almeno una parte dei parlamentari di quel partito. Vedremo il risultato delle votazioni. Il Parlamento è sovrano ed è positivo che in questo caso la fiducia non venga posta dal governo. La posta in gioco è la coesione sociale. I riformisti lottano per difenderla. Auguriamoci che vincano, e che passi la riforma che il governo ha predisposto con questa modifica: sarebbe un passo avanti verso l'equità e la pre-condizione d'una crescita che d'ora in avanti dovrà essere la sola preoccupazione e obiettivo di tutti.
(25 marzo 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER2-1
uniti nell'errore
di EUGENIO SCALFARI
Due simbolismi contrapposti: l'ha detto Giorgio Napolitano definendo perfettamente le posizioni del governo e del sindacato a proposito dell'articolo 18. Noi lo stiamo scrivendo da almeno un mese, da quando quei due simbolismi hanno egemonizzato i media, l'opinione pubblica e il dibattito politico.
I simboli sono una rappresentazione della realtà semplificata all'estremo. E poiché ogni realtà è sempre relativa perché dipende dal punto di vista di chi la guarda e la vive, la sua semplificazione genera inevitabilmente radicali contrapposizioni, una tesi ed una anti-tesi. La soluzione di questa dialettica nel caso migliore dà luogo alla sintesi (in politica si chiama compromesso), nel caso peggiore si risolve con uno scontro.
Affidarsi ai simboli è dunque molto pericoloso. Sono contrapposizioni sciagurate che hanno perfino provocato guerre mondiali: nel 1914 l'uccisione del delfino degli Asburgo da parte d'un terrorista serbo scatenò la prima guerra mondiale che provocò dieci milioni di morti; nel 1939 il simbolo fu Danzica e i morti furono trenta milioni, genocidio della Shoah a parte.
Nel caso nostro non ci saranno per fortuna né morti né feriti, ma lo sconquasso sociale e politico sarà intenso se non si arriverà ad un compromesso: potrebbe cadere il governo Monti, potrebbe sfasciarsi il Partito democratico e la sinistra italiana finirebbe in soffitta, lo "spread" potrebbe tornare a livelli intollerabili con conseguenze nefaste per tutta l'Europa e tutto
questo perché le due parti contrapposte vogliono stabilire - mi si passi un'espressione scurrile ma appropriata - chi ce l'ha più lungo.
Infatti il peso e l'importanza dell'articolo 18 è pressoché irrilevante. I casi in cui è stato applicato il reingresso nel posto di lavoro negli ultimi dieci anni non arrivano al migliaio e soprattutto non ha mai avuto ripercussioni sullo sviluppo dell'economia reale e sui suoi fondamentali. In vigenza di quell'articolo gli investimenti, i profitti, il livello dei salari, le esportazioni, i consumi, sono andati bene o male per cause completamente diverse. Quanto alla giusta causa, la cui presenza può consentire un licenziamento e la cui assenza può renderlo possibile, essa è già contenuta in leggi precedenti all'articolo 18 e può essere sempre sollevata dinanzi al magistrato.
Conosco bene l'obiezione di Monti: i mercati vogliono un segnale che li rassicuri sulla fine dei poteri di veto del sindacato, vogliono cioè la fine della concertazione con le parti sociali. Non credo che attribuire ai mercati questa richiesta corrisponda a verità. I mercati non sono un soggetto unitario, ma una moltitudine di soggetti ciascuno dei quali è portatore di una propria visione e d'una propria valutazione. Mi domando piuttosto che cosa accadrebbe se le conseguenze di quella norma determinassero uno sconquasso sociale.
Finora il disagio sociale provocato dai sacrifici (necessari) del "salva Italia" ha trovato una sua barriera nel No-Tav, ma è una bandiera troppo localistica per essere innalzata a lungo da Palermo a Torino. Se però la bandiera diventasse quella del no ai licenziamenti in tempi di recessione, allora la pace sociale rischierebbe di saltar per aria e probabilmente sarebbero proprio i mercati a giudicarla negativamente ai fini della crescita.
Infine osservo che l'articolo 1 della Costituzione recita che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Si tratta d'una banalità o d'un principio che deve ispirare il legislatore?
Mi permetto di ricordare che questo giornale ed io personalmente siamo stati fin dall'inizio e addirittura prima ancora che nascesse, fautori del governo Monti e lo siamo tuttora anche sulla riforma del lavoro, che riteniamo positiva in quasi tutte le sue parti, nella lotta al precariato, nell'estensione delle tutele a tutta la platea dei disoccupati, nell'estensione del contratto a tempo indeterminato, nella flessibilità all'entrata ed anche all'uscita. Rischiare tutto questo per difendere un simbolo di irrilevante significato è un errore politico grave. E poiché questo non è un governo tecnico - come erroneamente molti e lo stesso Monti continuano a ripetere - ma è un governo politico a tutti gli effetti, commettere un errore politico è grave.
Certo, spetta al Parlamento decidere e spetta ai partiti correggere l'errore modificando il testo del governo per quanto riguarda l'articolo 18. I partiti della maggioranza saranno concordi su questa questione?
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Il mio ragionamento sarebbe tuttavia incompleto se non dicessi che le osservazioni fin qui formulate riguardano non soltanto il governo ma anche la Cgil perché anch'essa si sta battendo per un simbolo di irrilevante significato. Capisco che Susanna Camusso deve convivere con la Fiom, ciascuno ha i suoi crucci fuori casa e dentro casa. Ma se si minaccia di mettere a fuoco il Paese per un simbolo irrilevante possono verificarsi conseguenze sciagurate. La Camusso dovrebbe indicare qual è il compromesso sul quale sarebbe d'accordo il sindacato. Il modello tedesco sui licenziamenti motivati per ragioni economiche lo accetterebbe? Alcuni ministri affermano di averglielo chiesto e di averne ricevuto risposta positiva. Se questo è vero, abbia il coraggio di dirlo in pubblico: darebbe gran forza a tutti coloro che vogliono arrivare alla sintesi tra i due simbolismi contrapposti e salvare la parte positiva della riforma del lavoro. Per quanto sappiamo noi la Camusso è ferma sulla posizione che l'articolo 18 sia intoccabile. Ebbene, noi siamo contrari ai cosiddetti valori non negoziabili. Lo siamo nei confronti della Chiesa che può sostenere l'intoccabilità di quei valori quando si rivolge ai suoi fedeli ma non quando pretende che la sua dottrina entri nella legislazione. Non esistono valori intoccabili salvo quelli della legalità, dell'etica pubblica e della parità dei cittadini di fronte alla legge.
Nel campo del lavoro il diritto intoccabile è quello della rappresentanza di tutti i lavoratori nelle aziende in cui lavorano. Quello sì, è un diritto intoccabile e laddove è stato violato va assolutamente recuperato.
L'articolo 18 è stato certamente una conquista ma per quanto riguarda le modalità della sua applicazione non è intoccabile.
Con Susanna Camusso ho avuto su queste questioni una polemica: citai un'intervista fatta nel 1984 con Luciano Lama e lei se ne risentì. Ebbene desidero oggi rievocare ancora la posizione di Luciano Lama che fu anche, allora, quella di Carniti, di Benvenuto e di Trentin. Sto parlando dei dirigenti storici del sindacalismo italiano, dopo Bruno Buozzi e Di Vittorio.
La loro ambizione non fu soltanto quella di conquistare nuovi diritti per i lavoratori ma soprattutto quella di trasformare la classe operaia in classe generale. C'era un solo modo di realizzare quell'obiettivo: fare della classe operaia la principale e coerente portatrice degli interessi generali del Paese e dello Stato mettendo in seconda fila i suoi interessi particolari di classe.
Quei dirigenti sono entrati a giusto titolo nel Pantheon della nostra storia nazionale. Dubito molto che ci si possa entrare soltanto difendendo l'articolo 18.
Se è vero come è vero che i casi di reingresso nel posto di lavoro si contano su poche dita, questo vale per il governo come per il sindacato, vale per Elsa Fornero quanto per Susanna Camusso. Tutte e due su questo punto stanno sbagliando e tutte e due si stanno assumendo grandi responsabilità. Ci riflettano prima che sia troppo tardi. Ci rifletta anche il presidente del Consiglio e i suoi ministri. Alcuni di loro si sono fatti sentire all'interno del Consiglio dei ministri di venerdì scorso. Da Fabrizio Barca a Giarda, a Balduzzi ed è stato un utile campanello d'allarme.
Chiedere riflessione a Di Pietro, a Vendola, a Diliberto è tempo perso. Loro pensano agli interessi di bottega e basta. Ma ai partiti della "strana" maggioranza si deve chiedere di guardare con molta attenzione ciò che potrà avvenire in Parlamento.
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Bersani proporrà di adottare il sistema tedesco per i licenziamenti motivati da ragioni economiche. Quel sistema prevede un tentativo di conciliazione tra l'imprenditore e il sindacato d'azienda; in caso di fallimento (secondo le statistiche le trattative fallite sono soltanto l'11 per cento dei casi) si va dal magistrato del lavoro che può annullare il licenziamento (reingresso) o stabilire un congruo indennizzo.
Su questo punto il Pd è compatto, da Veltroni a D'Alema, a Franceschini, a Letta, a Fioroni. È probabile che anche Casini e Fini confluiranno sulla stessa posizione. Perfino Squinzi, il neo-presidente di Confindustria, sembra disponibile ad accettare questa soluzione.
L'incognita resta il Pdl o almeno una parte dei parlamentari di quel partito. Vedremo il risultato delle votazioni. Il Parlamento è sovrano ed è positivo che in questo caso la fiducia non venga posta dal governo. La posta in gioco è la coesione sociale. I riformisti lottano per difenderla. Auguriamoci che vincano, e che passi la riforma che il governo ha predisposto con questa modifica: sarebbe un passo avanti verso l'equità e la pre-condizione d'una crescita che d'ora in avanti dovrà essere la sola preoccupazione e obiettivo di tutti.
(25 marzo 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER2-1
Chi c’è in linea
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