Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
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Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata in modo inaspettato
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Roma, 16 gen. “La situazione sul terreno nel Mali e` precipitata in modo inaspettata“. Lo ha affermato il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi nella sua audizione di fronte alla Commissione difesa del Senato precisando che per questo si e` reso necessario “un intervento immediato di contrasto alle azioni della jihad prima che si radichino nelle città“.
...............................
Mi sembra che la Francia abbia chiesto qualcosa all'Italia appoggio logistico o cosa?
Ne sapete qualcosa?
Non vorrei che incominciassero nuove missioni anche per L'Italia.
Ne abbiamo abbastanza di guerre.
Ciao
Paolo11
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Roma, 16 gen. “La situazione sul terreno nel Mali e` precipitata in modo inaspettata“. Lo ha affermato il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi nella sua audizione di fronte alla Commissione difesa del Senato precisando che per questo si e` reso necessario “un intervento immediato di contrasto alle azioni della jihad prima che si radichino nelle città“.
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Mi sembra che la Francia abbia chiesto qualcosa all'Italia appoggio logistico o cosa?
Ne sapete qualcosa?
Non vorrei che incominciassero nuove missioni anche per L'Italia.
Ne abbiamo abbastanza di guerre.
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Paolo11
Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
Mali, Terzi: Italia darà supporto logistico a Francia
mercoledì 16 gennaio 2013 14:13
ROMA (Reuters) - L'Italia offrirà supporto logistico alla Francia per le sue operazioni militari contro i ribelli islamici in Mali.
Lo ha detto il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, nel corso di un'audizione al Senato sulle missioni internazionali e aggiungendo di aver già affrontato il tema con il presidente del Consiglio, Mario Monti, e il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola.
L'operazione militare organizzata dalla Francia con un altro gruppo di paesi "è in linea con la risoluzione 2085 del 20 dicembre scorso del Consiglio di Sicurezza" dell'Onu votata dopo la richiesta di aiuto del presidente maliano Diouncounda Traore, ha spiegato Terzi.
Il governo italiano, ha detto il ministro, vuole muoversi su tre linee.
Sul piano politico si vuole "ribadire con chiarezza il pieno sostegno italiano all'intervento nell'ambito della risoluzione" Onu.
Parallelamente, l'Italia fornirà "un supporto logistico all'operazione di cui abbiamo già parlato con Monti ed il ministro Di Paola", ha ribadito Terzi.
Infine, nella riunione straordinaria dei ministri degli Esteri domani a Bruxelles, ha aggiunto Terzi, verrà ribadita la "assoluta urgenza di avviare la missione di 250 uomini formatori da inviare a Bamako per contribuire alla formazione e l'addestramento di un esercito maliano che non ha saputo far fronte alla sfida".
Sul sito www.reuters.com altre notizie Reuters in italiano.
Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia
mercoledì 16 gennaio 2013 14:13
ROMA (Reuters) - L'Italia offrirà supporto logistico alla Francia per le sue operazioni militari contro i ribelli islamici in Mali.
Lo ha detto il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, nel corso di un'audizione al Senato sulle missioni internazionali e aggiungendo di aver già affrontato il tema con il presidente del Consiglio, Mario Monti, e il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola.
L'operazione militare organizzata dalla Francia con un altro gruppo di paesi "è in linea con la risoluzione 2085 del 20 dicembre scorso del Consiglio di Sicurezza" dell'Onu votata dopo la richiesta di aiuto del presidente maliano Diouncounda Traore, ha spiegato Terzi.
Il governo italiano, ha detto il ministro, vuole muoversi su tre linee.
Sul piano politico si vuole "ribadire con chiarezza il pieno sostegno italiano all'intervento nell'ambito della risoluzione" Onu.
Parallelamente, l'Italia fornirà "un supporto logistico all'operazione di cui abbiamo già parlato con Monti ed il ministro Di Paola", ha ribadito Terzi.
Infine, nella riunione straordinaria dei ministri degli Esteri domani a Bruxelles, ha aggiunto Terzi, verrà ribadita la "assoluta urgenza di avviare la missione di 250 uomini formatori da inviare a Bamako per contribuire alla formazione e l'addestramento di un esercito maliano che non ha saputo far fronte alla sfida".
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Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
Francia: gli ultimi soldati hanno lasciato l’Afghanistan
Pubblicato da Laura Pavesi 17 dicembre 2012 0 Commenti
Le ultime truppe francesi hanno lasciato l’Afghanistan. Gli ultimi 200 soldati del 35/mo reggimento di Fanteria di Belfort sono decollati dalla capitale Kabul lo scorso 15 dicembre. A due anni circa dal ritiro definitivo della forza internazionale, questa è una tappa simbolica, in linea con la volontà dei francesi di mettere fine alla missione militare in Afghanistan in tempi più brevi del previsto.
http://www.buonenotizie.it/cronaca-e-so ... ghanistan/
--------------------------------------------------------
Finito da una parte in anticipo. Cominciano da altra parte del mondo.
Tutto questo nel futuro ci coinvolge?Ricodiamoci la Somalia.
Anche per questo bisognerebbe che cambiasse la linea politica Italiana.Basta interventi.
Ciao
Paolo11
Pubblicato da Laura Pavesi 17 dicembre 2012 0 Commenti
Le ultime truppe francesi hanno lasciato l’Afghanistan. Gli ultimi 200 soldati del 35/mo reggimento di Fanteria di Belfort sono decollati dalla capitale Kabul lo scorso 15 dicembre. A due anni circa dal ritiro definitivo della forza internazionale, questa è una tappa simbolica, in linea con la volontà dei francesi di mettere fine alla missione militare in Afghanistan in tempi più brevi del previsto.
http://www.buonenotizie.it/cronaca-e-so ... ghanistan/
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Finito da una parte in anticipo. Cominciano da altra parte del mondo.
Tutto questo nel futuro ci coinvolge?Ricodiamoci la Somalia.
Anche per questo bisognerebbe che cambiasse la linea politica Italiana.Basta interventi.
Ciao
Paolo11
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Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
Altra cosa:Questo paese non può piu permettersi missioni all'estero.Mi piacerebbe sapere il costo di queste operazioni di logistica.
IL costo dei nostri carabinieri o altri che vanno ad addestrare i Mali i soldati del posto.Si comincia sempre in questo modo.
La Germania in Lbia non è andata .Il tutto è partito senpre dalla Francia come ora.
Tutti questi soldi per le varie missioni nel mondo.Dobbiamo avere il coraggio a dire non possiamo permettercele piu.Dobbiamo pensare al nostro popolo che stà male.Qui nessun schieramento si e opposto di toglieci dalla NATO.Sarebbe ora che qualcuno prendesse in mano la situazione.
Come si è sciolto il patto di Varsavia,ci possiamo permettere di toglieci pure dalla Nato.In tutti questi anni abbiamo aggirato sempre l'articolo della costituzione.
Sarebbe ora di rispettarla la costituzione.Non giurare alla costituzione in VANO.
Ciao
Paolo11
IL costo dei nostri carabinieri o altri che vanno ad addestrare i Mali i soldati del posto.Si comincia sempre in questo modo.
La Germania in Lbia non è andata .Il tutto è partito senpre dalla Francia come ora.
Tutti questi soldi per le varie missioni nel mondo.Dobbiamo avere il coraggio a dire non possiamo permettercele piu.Dobbiamo pensare al nostro popolo che stà male.Qui nessun schieramento si e opposto di toglieci dalla NATO.Sarebbe ora che qualcuno prendesse in mano la situazione.
Come si è sciolto il patto di Varsavia,ci possiamo permettere di toglieci pure dalla Nato.In tutti questi anni abbiamo aggirato sempre l'articolo della costituzione.
Sarebbe ora di rispettarla la costituzione.Non giurare alla costituzione in VANO.
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Paolo11
Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
la stampa
MARTA DASSÙ*
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Quella in gioco in un pezzo di Africa solo a prima vista remoto è una questione di importanza vitale per il nostro Paese. È necessario che i partiti politici rendano i cittadini consapevoli di quali siano e dove si trovino i nostri interessi nazionali.
Al di là di considerazioni pre-elettorali dal respiro corto.
Rispetto a una parte dei conflitti post-11 settembre, in Mali la posta in gioco non riguarda la difesa delle alleanze dell’Italia; riguarda direttamente i suoi interessi strategici. Nessuno si sognerebbe di considerare ininfluenti, per l’Italia, gli eventi che colpiscono la Libia o l’Algeria, da cui dipende un terzo delle nostre forniture energetiche. Eppure il Sahel è lì, appena dietro. La guerra interna al Mali è in parte figlia della disgregazione della Libia; in parte si riflette nella nuova e drammatica prova di forza, fra governo e terrorismo islamico, in Algeria.
Gli uomini blu del deserto non riconoscono padroni, neanche africani. Tutta la fascia di Paesi che sono emersi dagli imperi coloniali – una fascia che grosso modo taglia l’Africa all’altezza del Sahara meridionale, dalla Mauritania al Sudan - soffre dello stesso problema: la difficile convivenza tra un Nord desertico, di cultura araba e nomade, ed un Sud abitato da agricoltori stanziali di stirpe africana. Rivolte e guerre civili, dagli inizi degli Anni Sessanta del secolo scorso, hanno avuto questo denominatore comune: in Ciad, Niger, Sudan - oggi diviso in due dopo un conflitto sanguinoso - e in Mali.
L’incapacità internazionale di affrontare il «problema Tuareg» - come è sempre stato grossolanamente definito - e le deficienze delle classi dirigenti locali, hanno prodotto Stati fragili o falliti; con grandi sofferenze per le popolazioni. Il Mali è ancora più povero oggi di quanto non fosse due decenni fa.
Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.
La storia degli ultimi anni? Mentre a Bamako giunte golpiste guidate da giovani ufficiali deponevano primi ministri (colpo di Stato del 2012), nel Nord i tuareg storicamente laici e separatisti si alleavano con i fondamentalisti di Ansar Eddine e altri gruppi affiliati ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Il Nord del Mali è stato così trasformato in uno stato rifugio di ogni traffico illecito e patria potenziale dei nemici del mondo occidentale. Le conseguenze della guerra di Libia hanno pesato in modo negativo, dando luogo ad una «doppia polveriera» Maghreb-Sahel.
Ecco: tutto questo dovrebbe essere tenuto in considerazione da chi - parecchi in Italia e ancora di più in Europa - considera l’intervento in Mali come l’ennesimo sussulto antistorico e neo-colonialista di una Francia sempre uguale a se stessa. In questi interventi nel vicinato d’Europa, l’America di Obama resta in secondo piano: appoggia ma non guida. Lo spazio lasciato da Washington non è colmato tuttavia dall’Europa o da attori regionali che ancora non sono tali; vede in prima fila Parigi. Si può - lo abbiamo fatto - discutere sulle scelte compiute in Libia. Ciò non toglie che l’intervento in Mali non sia una scelta; è una necessità. Resa legittima, guardando al diritto internazionale, dalla Risoluzione 2085 dell’Onu e dalla diretta richiesta di assistenza da parte del Presidente maliano Traoré.
E’ abbastanza paradossale che altri grandi Paesi europei pensino di potere lasciare sola la Francia, quando il futuro del Sahel riguarda, insieme alla Francia, l’Europa nel suo insieme. E’ in particolare la sponda Sud del continente a dovere riprendere i fili di una vera e propria strategia europea per l’Africa, fatta di cooperazione economica e di soluzione politiche, non solo militari. Ma senza chiudere gli occhi di fronte a una crisi come questa: fra interventismo solitario di Parigi, e tentazioni attendiste di Berlino, l’Italia ha un ruolo importante da svolgere. Appoggio logistico e negoziato politico ne sono la condizione. La sicurezza nazionale deve spingerci a superare sia i calcoli elettorali che le insicurezze europee.
* Sottosegretario agli Affari Esteri
MARTA DASSÙ*
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Quella in gioco in un pezzo di Africa solo a prima vista remoto è una questione di importanza vitale per il nostro Paese. È necessario che i partiti politici rendano i cittadini consapevoli di quali siano e dove si trovino i nostri interessi nazionali.
Al di là di considerazioni pre-elettorali dal respiro corto.
Rispetto a una parte dei conflitti post-11 settembre, in Mali la posta in gioco non riguarda la difesa delle alleanze dell’Italia; riguarda direttamente i suoi interessi strategici. Nessuno si sognerebbe di considerare ininfluenti, per l’Italia, gli eventi che colpiscono la Libia o l’Algeria, da cui dipende un terzo delle nostre forniture energetiche. Eppure il Sahel è lì, appena dietro. La guerra interna al Mali è in parte figlia della disgregazione della Libia; in parte si riflette nella nuova e drammatica prova di forza, fra governo e terrorismo islamico, in Algeria.
Gli uomini blu del deserto non riconoscono padroni, neanche africani. Tutta la fascia di Paesi che sono emersi dagli imperi coloniali – una fascia che grosso modo taglia l’Africa all’altezza del Sahara meridionale, dalla Mauritania al Sudan - soffre dello stesso problema: la difficile convivenza tra un Nord desertico, di cultura araba e nomade, ed un Sud abitato da agricoltori stanziali di stirpe africana. Rivolte e guerre civili, dagli inizi degli Anni Sessanta del secolo scorso, hanno avuto questo denominatore comune: in Ciad, Niger, Sudan - oggi diviso in due dopo un conflitto sanguinoso - e in Mali.
L’incapacità internazionale di affrontare il «problema Tuareg» - come è sempre stato grossolanamente definito - e le deficienze delle classi dirigenti locali, hanno prodotto Stati fragili o falliti; con grandi sofferenze per le popolazioni. Il Mali è ancora più povero oggi di quanto non fosse due decenni fa.
Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.
La storia degli ultimi anni? Mentre a Bamako giunte golpiste guidate da giovani ufficiali deponevano primi ministri (colpo di Stato del 2012), nel Nord i tuareg storicamente laici e separatisti si alleavano con i fondamentalisti di Ansar Eddine e altri gruppi affiliati ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Il Nord del Mali è stato così trasformato in uno stato rifugio di ogni traffico illecito e patria potenziale dei nemici del mondo occidentale. Le conseguenze della guerra di Libia hanno pesato in modo negativo, dando luogo ad una «doppia polveriera» Maghreb-Sahel.
Ecco: tutto questo dovrebbe essere tenuto in considerazione da chi - parecchi in Italia e ancora di più in Europa - considera l’intervento in Mali come l’ennesimo sussulto antistorico e neo-colonialista di una Francia sempre uguale a se stessa. In questi interventi nel vicinato d’Europa, l’America di Obama resta in secondo piano: appoggia ma non guida. Lo spazio lasciato da Washington non è colmato tuttavia dall’Europa o da attori regionali che ancora non sono tali; vede in prima fila Parigi. Si può - lo abbiamo fatto - discutere sulle scelte compiute in Libia. Ciò non toglie che l’intervento in Mali non sia una scelta; è una necessità. Resa legittima, guardando al diritto internazionale, dalla Risoluzione 2085 dell’Onu e dalla diretta richiesta di assistenza da parte del Presidente maliano Traoré.
E’ abbastanza paradossale che altri grandi Paesi europei pensino di potere lasciare sola la Francia, quando il futuro del Sahel riguarda, insieme alla Francia, l’Europa nel suo insieme. E’ in particolare la sponda Sud del continente a dovere riprendere i fili di una vera e propria strategia europea per l’Africa, fatta di cooperazione economica e di soluzione politiche, non solo militari. Ma senza chiudere gli occhi di fronte a una crisi come questa: fra interventismo solitario di Parigi, e tentazioni attendiste di Berlino, l’Italia ha un ruolo importante da svolgere. Appoggio logistico e negoziato politico ne sono la condizione. La sicurezza nazionale deve spingerci a superare sia i calcoli elettorali che le insicurezze europee.
* Sottosegretario agli Affari Esteri
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Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
Africa e stata sfruttata da tutti i paesi europei e dagli USA.Spesso con colpi di stato pianificati sia dagli USA che dagli Europei.
Ieri sera ho guardato in una tv Una storia che riporta queste cose.
Leggetela chi non l'ha vista.https://www.youtube.com/watch?v=en1O1Pl_ZkU
http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Sankara
https://www.youtube.com/watch?v=nTXJqX_u1bM
https://www.youtube.com/watch?v=lobvwFX8UNE
Ciao
Paolo11
Ieri sera ho guardato in una tv Una storia che riporta queste cose.
Leggetela chi non l'ha vista.https://www.youtube.com/watch?v=en1O1Pl_ZkU
http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Sankara
https://www.youtube.com/watch?v=nTXJqX_u1bM
https://www.youtube.com/watch?v=lobvwFX8UNE
Ciao
Paolo11
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Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
SIGNORI, SAPPIATE CHE SIAMO GUERRA
- ACCORDO PD, PDL, CENTRINO E MONTI: L’ITALIA IN MALI AL FIANCO DI HOLLANDE
- MISSIONE (PER ORA) DI “SUPPORTO”: DUE AEREI C-130 PER TRASPORTO DI UOMINI E MEZZI, UN 767 DA RIFORNIMENTO IN VOLO E 24 “ISTRUTTORI” PER ADDESTRARE I MILITARI DEL MALI. È L’AIUTO PIU’ CONSISTENTE ALLA FRANCIA
- BARBARA SPINELLI: “L’EUROPA È ENTRATA IN UNA NUOVA ERA DI GUERRE NEO-COLONIALI MA I POLITICI TACCIONO”…
http://www.youtube.com/watch?v=FQB4MutTB14
http://www.youtube.com/watch?v=eASxxN8JcpM
http://www.youtube.com/watch?v=wHqO1fkLxDM
http://www.youtube.com/watch?v=IAHxTP1OgAE
http://www.youtube.com/watch?v=GG2IdbE-aaA
http://www.youtube.com/watch?v=g65ROZMTyAY
1- DA ROMA TRE AEREI A DISPOSIZIONE PER IL SUPPORTO AI FRANCESI IN MALI
Maurizio Caprara per il "Corriere della Sera"
Con circospezione, alla fine, Pdl, Pd e Udc hanno fatto in modo che la Camera autorizzasse il governo a fornire alla Francia, e agli africani impegnati ad aiutarla, un «supporto logistico» per combattere le milizie fondamentaliste islamiche nel Nord del Mali.
Le nostre forze armate possono prepararsi a mandare un massimo di 24 istruttori in due missioni europee predisposte per l'addestramento dei militari maliani.
Ai Paesi che contrastano e contrasteranno i guerriglieri di «al Qaeda nel Maghreb» e i loro alleati potranno poi essere messi a disposizione due aerei C-130 per trasporto di uomini e mezzi più un 767 «per il rifornimento in volo sul Mediterraneo, nonché eventualmente tra il Mali e altri Stati della Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale.
In termini di strumenti, è un po' più di quanto hanno annunciato la Germania (due aerei da trasporto, ai quali aggiungerà finanziamenti) e gli Stati Uniti (un aereo e appoggio logistico, gli Usa hanno un problema giuridico nell'aiutare un governo nato da un golpe).
Però la quindicina di istruttori prevista al momento sulla base del decreto di finanziamento delle missioni (convertito in legge dalla Camera con 384 «sì», 24 «no» e 13 astenuti) e i tre aerei in tutto (da utilizzare «per un periodo iniziale di due mesi, estendibile a tre», come si legge in un ordine del giorno approvato dalla Camera) sono poca roba se si considera che il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha definito di «gravi proporzioni» e di «tempi lunghi» la crisi del Mali. Così l'ha descritta nel proporre alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, con il suo collega Giampaolo Di Paola, la sostanza del contributo italiano. E nessuno ha contrastato la valutazione.
Il Mali confina con l'Algeria, dalla quale importiamo il 35% del gas naturale consumato da noi, ed è vicino alla Libia, dalla quale da decenni acquistiamo petrolio. Le dimensioni relativamente modeste di una decisione sul rischio di tracollo di uno Stato così hanno due spiegazioni: gli scarsi margini di manovra mentre il governo italiano è in carica per gli affari correnti e la legislatura è alla fine, alcuni dubbi non dichiarati sull'opportunità di immergersi troppo in una guerra non troppo lontana da casa.
Da una parte, il governo si è indubbiamente dato da fare per non far mancare un segno di appoggio alla Francia. Non soltanto schierando i due ministri nelle commissioni. Pur di vigilare ieri a Montecitorio con il collega Staffan de Mistura sull'approvazione del decreto-missioni e gli istruttori, il sottosegretario agli Esteri Marta Dassù ha accorciato un viaggio in Cina per l'Expo 2015. Dall'altra parte, i principali partiti hanno permesso al governo di andare avanti sul Mali senza tuttavia spingerlo a correre.
Il Consiglio dei ministri, nel pomeriggio, non ha varato sugli aerei da fornire il decreto legge che di mattina Terzi aveva dato per possibile. Può essere che subito non serva (sulla Libia nel 2011 gli aerei partirono in base a una risoluzione) o che richieda tempo. Ma è bene tener presenti i chiaroscuri della giornata.
Non era scontata l'approvazione a larga maggioranza dell'ordine del giorno che «impegna il governo» a fornire «vettori aerei per supporto logistico» in virtù della «risoluzione 2085 del Consiglio di sicurezza dell'Onu che (...) chiede a tutti gli Stati membri di fornire urgentemente assistenza coordinata al governo maliano».
Di questo documento firmato anche da Francesco Tempestini per il Pd e Ferdinando Adornato dell'Udc, il primo firmatario è stato Franco Frattini, formalmente ancora iscritto al gruppo del Pdl e tuttavia uscito dal partito. La formazione di Berlusconi ha votato «sì», però, in qualche modo, mettendosi i guanti.
2- L'EUROPA BENDATA ALLA GUERRA D'AFRICA
Barbara Spinelli per "la Repubblica"
È impressionante il mutismo che regna, alla vigilia delle elezioni in Italia e Germania, su un tema decisivo come la guerra. Non se ne parla, perché i conflitti avvengono altrove. Eppure la guerra da tempo ci è entrata nelle ossa.
Non è condotta dall'Europa, priva di un comune governo politico, ma è ormai parte del suo essere nel mondo. Se alla sterminata guerra anti-terrorismo aggiungiamo i conflitti balcanici di fine '900, sono quasi 14 anni che gli Europei partecipano stabilmente a operazioni belliche. All'inizio se ne discuteva con vigore: sono guerre necessarie oppure no? E se no, perché le combattiamo? Sono davvero umanitarie, o distruttive? E qual è il bilancio dell'offensiva globale anti-terrore: lo sta diminuendo o aumentando?
I politici tacciono, e nessuno Stato europeo si chiede cosa sia quest'Unione che non ha nulla da dire in materia, concentrata com'è sulla moneta. L'Europa è entrata in una nuova era di guerre neo-coloniali con gli occhi bendati, camminando nella nebbia.
BARBARA SPINELLI
Le guerre - spesso sanguinose, di rado proficue - non sono mai chiamate per nome. Avanzano mascherate, invariabilmente imbellite: stabilizzeranno Stati fatiscenti, li democratizzeranno, e soprattutto saranno brevi, non costose. Tutte cose non vere, nascoste dalla strategia del mutismo. A volte le operazioni sono decise a Washington; altre volte, come in Libia, son combattute da più Stati europei. Quella iniziata il 12 gennaio in Mali è condotta dalla Francia di Hollande, con un appoggio debole di soldati africani e con il consenso - ex post - degli alleati europei.
Nessun coordinamento l'ha preceduta, in violazione del Trattato di Lisbona che ci unisce (art. 32, 347). Quasi automaticamente siamo gettati nelle guerre, come si aprono e chiudono le palpebre. La mente segue, arrancando. C'è perfino chi pomposamente si chiama Alto rappresentante per la politica estera europea (parliamo di Katherine Ashton: quando sarà sostituita da una personalità meno inutile?) e ringrazia la Francia ma subito precisa che Parigi dovrà fare da sé, «mancando una forza militare europea». Fotografa l'esistente, è vero, ma occupando una carica importante potrebbe pensare un po' oltre.
Molte cose che leggiamo sulle guerre sono fuorvianti: simili a bollettini militari, non sono discutibili nella loro perentoria frammentarietà. Invitano non a meditare l'evento ma a constatarlo supinamente, e a considerare i singoli interventi come schegge, senza rapporti fra loro. Anche in guerra prevalgono esperti improvvisati e tecnici. L'interventismo sta divenendo un habitus europeo, copiato dall'americano, ma di questa trasformazione non vien detta la storia lunga, che connetta le schegge e rischiari l'insieme.
Manca un pensare lungo e anche ampio, che definisca chi siamo in Africa, Afghanistan, Golfo Persico. Che paragoni il nostro pensare a quello di altri paesi. Che studi la politica cinese in Africa, così attiva e diversa: incentrata sugli investimenti, quando la nostra è fissa sul militare. Scarseggia una veduta cosmopolita sul nostro agire nel mondo e su come esso ci cambia.
Una vista ampia e lunga dovrebbe consentire di fare un bilancio freddo, infine, di conflitti privi di obiettivi chiari, di limiti spaziali, di tempo: che hanno dilatato l'Islam armato anziché contenerlo, che dall'Afghanistan s'estendono ora al Sahara-Sahel. Che nulla apprendono da errori passati, sistematicamente taciuti. I nobili aggettivi con cui agghindiamo l'albero delle guerre (umanitarie, democratiche) non bastano a celare gli esiti calamitosi:
gli interventi creano non ordine ma caos, non Stati forti ma ancora più fallimentari.
Compiuta l'opera i paesi vengono abbandonati a se stessi, non senza aver suscitato disillusione profonda nei popoli assistiti. Poi si passa a nuovi fronti, come se la storia delle guerre fosse un safari turistico a caccia di esotici bottini. Il Mali è un caso esemplare di guerra necessaria e umanitaria. In questo decennio l'aggettivo umanitario s'è imbruttito, ha perso l'innocenza, e annebbia la storia lunga: le politiche non fatte, le occasioni mancate, le catene di incoerenze.
Era necessario intervenire per fermare il genocidio in Ruanda, nel '94, e non si agì perché l'Onu ritirò i soldati proprio mentre lo sterminio cominciava. Fu necessario evitare l'esodo - verso l'Europa - dei kossovari cacciati dall'esercito serbo. Ma le guerre successive non sono necessarie, visto che manifestamente non fermano i terroristi. Non sono neppure democratiche perché come si spiegano, allora, l'alleanza con l'Arabia Saudita e l'enormità degli aiuti a Riad, più copiosi di quelli destinati a Israele? Il regno saudita non solo non è democratico: è tra i più grandi finanziatori dei terrorismi.
La degenerazione del Mali poteva essere evitata, se gli Europei avessero studiato il paese: considerato per anni faro della democrazia, fu sempre più impoverito, portandosi dietro i disastri delle sue artificiali frontiere coloniali. Aveva radici antiche la lotta indipendentista dei Tuareg, culminata il 6 aprile 2012 nell'indipendenza dell'Azawad a Nord. Per decenni furono ignorati, spregiati.
Per combattere un indipendentismo inizialmente laico si accettò che nascessero milizie islamiche, ripetendo l'idiotismo esibito in Afghanistan. Sicché i Tuareg s'appoggiarono a Gheddafi, e poi agli islamisti: unico punto di riferimento, furono questi ultimi a invadere il Nord, all'inizio 2012, egemonizzando e stravolgendo - era prevedibile - la lotta tuareg. È uno dei primi errori dell'Occidente, questa cecità, e quando Prodi approva l'intervento francese dicendo che «non esistevano alternative all'azione militare», che «si stava consolidando una zona franca terroristica nel cuore dell'Africa», che gli indipendentisti «sono diventati jihadisti», dice solo una parte del vero.
Non racconta quel che esisteva prima che la guerra fosse l'unica alternativa. I Tuareg non sono diventati terroristi; blanditi dagli islamisti, sono stati poi cacciati dai villaggi che avevano conquistato. La sharia, nella versione più cruenta, è invisa ai locali e anche ai Tuareg (sono tanti) non arruolati nell'Islam radicale. Vero è che all'inizio essi abbracciarono i jihadisti, e un giorno questa svista andrà meditata: forse l'Islam estremista, col suo falso messianismo, ha una visione perversa ma più moderna, della crisi dello Stato-nazione. Una visione assente negli Europei, nonostante l'Unione che hanno edificato.
Ma l'errore più grave è non considerare le guerre dell'ultimo decennio come un tutt'unico. L'azione in un punto della terra ha ripercussioni altrove, i fallimenti in Afghanistan creano il caso Libia, il semifallimento in Libia secerne il Mali. Il guaio è che ogni conflitto comincia senza memoria critica dei precedenti: come scheggia appunto. In Libia il trionfalismo è finito tardi, l'11 settembre 2012 a Bengasi, quando fu ucciso l'ambasciatore Usa Christopher Stevens. Solo allora s'è visto che molti miliziani di Gheddafi, tuareg o islamisti, s'erano trasferiti nell'Azawad. Che la guerra non era finita ma sarebbe rinata in Mali, come in quei film dell'orrore dove i morti non sono affatto morti.
È venuta l'ora di riesaminare quel che vien chiamato interventismo umanitario, democratico, antiterrorista. Un solo dato basterebbe. Negli ultimi sette anni, il numero delle democrazie elettorali in Africa è passato da 24 a 19. Uno scacco, per Europa e Occidente. Intanto la Cina sta a guardare, compiaciuta. La sua presenza cresce, nel continente nero. Il suo interventismo per ora costruisce strade, non fa guerre.
È colonialismo e lotta per risorse altrui anch'esso, ma di natura differente. Resilienza e pazienza sono la sua forza. Forse Europa e Stati Uniti si agitano con tanta bellicosità per contendere a Pechino il dominio di Africa e Asia. È un'ipotesi, ma se l'Europa cominciasse a discutere parlerebbe anche di questo, e non sarebbe inutile.
- ACCORDO PD, PDL, CENTRINO E MONTI: L’ITALIA IN MALI AL FIANCO DI HOLLANDE
- MISSIONE (PER ORA) DI “SUPPORTO”: DUE AEREI C-130 PER TRASPORTO DI UOMINI E MEZZI, UN 767 DA RIFORNIMENTO IN VOLO E 24 “ISTRUTTORI” PER ADDESTRARE I MILITARI DEL MALI. È L’AIUTO PIU’ CONSISTENTE ALLA FRANCIA
- BARBARA SPINELLI: “L’EUROPA È ENTRATA IN UNA NUOVA ERA DI GUERRE NEO-COLONIALI MA I POLITICI TACCIONO”…
http://www.youtube.com/watch?v=FQB4MutTB14
http://www.youtube.com/watch?v=eASxxN8JcpM
http://www.youtube.com/watch?v=wHqO1fkLxDM
http://www.youtube.com/watch?v=IAHxTP1OgAE
http://www.youtube.com/watch?v=GG2IdbE-aaA
http://www.youtube.com/watch?v=g65ROZMTyAY
1- DA ROMA TRE AEREI A DISPOSIZIONE PER IL SUPPORTO AI FRANCESI IN MALI
Maurizio Caprara per il "Corriere della Sera"
Con circospezione, alla fine, Pdl, Pd e Udc hanno fatto in modo che la Camera autorizzasse il governo a fornire alla Francia, e agli africani impegnati ad aiutarla, un «supporto logistico» per combattere le milizie fondamentaliste islamiche nel Nord del Mali.
Le nostre forze armate possono prepararsi a mandare un massimo di 24 istruttori in due missioni europee predisposte per l'addestramento dei militari maliani.
Ai Paesi che contrastano e contrasteranno i guerriglieri di «al Qaeda nel Maghreb» e i loro alleati potranno poi essere messi a disposizione due aerei C-130 per trasporto di uomini e mezzi più un 767 «per il rifornimento in volo sul Mediterraneo, nonché eventualmente tra il Mali e altri Stati della Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale.
In termini di strumenti, è un po' più di quanto hanno annunciato la Germania (due aerei da trasporto, ai quali aggiungerà finanziamenti) e gli Stati Uniti (un aereo e appoggio logistico, gli Usa hanno un problema giuridico nell'aiutare un governo nato da un golpe).
Però la quindicina di istruttori prevista al momento sulla base del decreto di finanziamento delle missioni (convertito in legge dalla Camera con 384 «sì», 24 «no» e 13 astenuti) e i tre aerei in tutto (da utilizzare «per un periodo iniziale di due mesi, estendibile a tre», come si legge in un ordine del giorno approvato dalla Camera) sono poca roba se si considera che il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha definito di «gravi proporzioni» e di «tempi lunghi» la crisi del Mali. Così l'ha descritta nel proporre alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, con il suo collega Giampaolo Di Paola, la sostanza del contributo italiano. E nessuno ha contrastato la valutazione.
Il Mali confina con l'Algeria, dalla quale importiamo il 35% del gas naturale consumato da noi, ed è vicino alla Libia, dalla quale da decenni acquistiamo petrolio. Le dimensioni relativamente modeste di una decisione sul rischio di tracollo di uno Stato così hanno due spiegazioni: gli scarsi margini di manovra mentre il governo italiano è in carica per gli affari correnti e la legislatura è alla fine, alcuni dubbi non dichiarati sull'opportunità di immergersi troppo in una guerra non troppo lontana da casa.
Da una parte, il governo si è indubbiamente dato da fare per non far mancare un segno di appoggio alla Francia. Non soltanto schierando i due ministri nelle commissioni. Pur di vigilare ieri a Montecitorio con il collega Staffan de Mistura sull'approvazione del decreto-missioni e gli istruttori, il sottosegretario agli Esteri Marta Dassù ha accorciato un viaggio in Cina per l'Expo 2015. Dall'altra parte, i principali partiti hanno permesso al governo di andare avanti sul Mali senza tuttavia spingerlo a correre.
Il Consiglio dei ministri, nel pomeriggio, non ha varato sugli aerei da fornire il decreto legge che di mattina Terzi aveva dato per possibile. Può essere che subito non serva (sulla Libia nel 2011 gli aerei partirono in base a una risoluzione) o che richieda tempo. Ma è bene tener presenti i chiaroscuri della giornata.
Non era scontata l'approvazione a larga maggioranza dell'ordine del giorno che «impegna il governo» a fornire «vettori aerei per supporto logistico» in virtù della «risoluzione 2085 del Consiglio di sicurezza dell'Onu che (...) chiede a tutti gli Stati membri di fornire urgentemente assistenza coordinata al governo maliano».
Di questo documento firmato anche da Francesco Tempestini per il Pd e Ferdinando Adornato dell'Udc, il primo firmatario è stato Franco Frattini, formalmente ancora iscritto al gruppo del Pdl e tuttavia uscito dal partito. La formazione di Berlusconi ha votato «sì», però, in qualche modo, mettendosi i guanti.
2- L'EUROPA BENDATA ALLA GUERRA D'AFRICA
Barbara Spinelli per "la Repubblica"
È impressionante il mutismo che regna, alla vigilia delle elezioni in Italia e Germania, su un tema decisivo come la guerra. Non se ne parla, perché i conflitti avvengono altrove. Eppure la guerra da tempo ci è entrata nelle ossa.
Non è condotta dall'Europa, priva di un comune governo politico, ma è ormai parte del suo essere nel mondo. Se alla sterminata guerra anti-terrorismo aggiungiamo i conflitti balcanici di fine '900, sono quasi 14 anni che gli Europei partecipano stabilmente a operazioni belliche. All'inizio se ne discuteva con vigore: sono guerre necessarie oppure no? E se no, perché le combattiamo? Sono davvero umanitarie, o distruttive? E qual è il bilancio dell'offensiva globale anti-terrore: lo sta diminuendo o aumentando?
I politici tacciono, e nessuno Stato europeo si chiede cosa sia quest'Unione che non ha nulla da dire in materia, concentrata com'è sulla moneta. L'Europa è entrata in una nuova era di guerre neo-coloniali con gli occhi bendati, camminando nella nebbia.
BARBARA SPINELLI
Le guerre - spesso sanguinose, di rado proficue - non sono mai chiamate per nome. Avanzano mascherate, invariabilmente imbellite: stabilizzeranno Stati fatiscenti, li democratizzeranno, e soprattutto saranno brevi, non costose. Tutte cose non vere, nascoste dalla strategia del mutismo. A volte le operazioni sono decise a Washington; altre volte, come in Libia, son combattute da più Stati europei. Quella iniziata il 12 gennaio in Mali è condotta dalla Francia di Hollande, con un appoggio debole di soldati africani e con il consenso - ex post - degli alleati europei.
Nessun coordinamento l'ha preceduta, in violazione del Trattato di Lisbona che ci unisce (art. 32, 347). Quasi automaticamente siamo gettati nelle guerre, come si aprono e chiudono le palpebre. La mente segue, arrancando. C'è perfino chi pomposamente si chiama Alto rappresentante per la politica estera europea (parliamo di Katherine Ashton: quando sarà sostituita da una personalità meno inutile?) e ringrazia la Francia ma subito precisa che Parigi dovrà fare da sé, «mancando una forza militare europea». Fotografa l'esistente, è vero, ma occupando una carica importante potrebbe pensare un po' oltre.
Molte cose che leggiamo sulle guerre sono fuorvianti: simili a bollettini militari, non sono discutibili nella loro perentoria frammentarietà. Invitano non a meditare l'evento ma a constatarlo supinamente, e a considerare i singoli interventi come schegge, senza rapporti fra loro. Anche in guerra prevalgono esperti improvvisati e tecnici. L'interventismo sta divenendo un habitus europeo, copiato dall'americano, ma di questa trasformazione non vien detta la storia lunga, che connetta le schegge e rischiari l'insieme.
Manca un pensare lungo e anche ampio, che definisca chi siamo in Africa, Afghanistan, Golfo Persico. Che paragoni il nostro pensare a quello di altri paesi. Che studi la politica cinese in Africa, così attiva e diversa: incentrata sugli investimenti, quando la nostra è fissa sul militare. Scarseggia una veduta cosmopolita sul nostro agire nel mondo e su come esso ci cambia.
Una vista ampia e lunga dovrebbe consentire di fare un bilancio freddo, infine, di conflitti privi di obiettivi chiari, di limiti spaziali, di tempo: che hanno dilatato l'Islam armato anziché contenerlo, che dall'Afghanistan s'estendono ora al Sahara-Sahel. Che nulla apprendono da errori passati, sistematicamente taciuti. I nobili aggettivi con cui agghindiamo l'albero delle guerre (umanitarie, democratiche) non bastano a celare gli esiti calamitosi:
gli interventi creano non ordine ma caos, non Stati forti ma ancora più fallimentari.
Compiuta l'opera i paesi vengono abbandonati a se stessi, non senza aver suscitato disillusione profonda nei popoli assistiti. Poi si passa a nuovi fronti, come se la storia delle guerre fosse un safari turistico a caccia di esotici bottini. Il Mali è un caso esemplare di guerra necessaria e umanitaria. In questo decennio l'aggettivo umanitario s'è imbruttito, ha perso l'innocenza, e annebbia la storia lunga: le politiche non fatte, le occasioni mancate, le catene di incoerenze.
Era necessario intervenire per fermare il genocidio in Ruanda, nel '94, e non si agì perché l'Onu ritirò i soldati proprio mentre lo sterminio cominciava. Fu necessario evitare l'esodo - verso l'Europa - dei kossovari cacciati dall'esercito serbo. Ma le guerre successive non sono necessarie, visto che manifestamente non fermano i terroristi. Non sono neppure democratiche perché come si spiegano, allora, l'alleanza con l'Arabia Saudita e l'enormità degli aiuti a Riad, più copiosi di quelli destinati a Israele? Il regno saudita non solo non è democratico: è tra i più grandi finanziatori dei terrorismi.
La degenerazione del Mali poteva essere evitata, se gli Europei avessero studiato il paese: considerato per anni faro della democrazia, fu sempre più impoverito, portandosi dietro i disastri delle sue artificiali frontiere coloniali. Aveva radici antiche la lotta indipendentista dei Tuareg, culminata il 6 aprile 2012 nell'indipendenza dell'Azawad a Nord. Per decenni furono ignorati, spregiati.
Per combattere un indipendentismo inizialmente laico si accettò che nascessero milizie islamiche, ripetendo l'idiotismo esibito in Afghanistan. Sicché i Tuareg s'appoggiarono a Gheddafi, e poi agli islamisti: unico punto di riferimento, furono questi ultimi a invadere il Nord, all'inizio 2012, egemonizzando e stravolgendo - era prevedibile - la lotta tuareg. È uno dei primi errori dell'Occidente, questa cecità, e quando Prodi approva l'intervento francese dicendo che «non esistevano alternative all'azione militare», che «si stava consolidando una zona franca terroristica nel cuore dell'Africa», che gli indipendentisti «sono diventati jihadisti», dice solo una parte del vero.
Non racconta quel che esisteva prima che la guerra fosse l'unica alternativa. I Tuareg non sono diventati terroristi; blanditi dagli islamisti, sono stati poi cacciati dai villaggi che avevano conquistato. La sharia, nella versione più cruenta, è invisa ai locali e anche ai Tuareg (sono tanti) non arruolati nell'Islam radicale. Vero è che all'inizio essi abbracciarono i jihadisti, e un giorno questa svista andrà meditata: forse l'Islam estremista, col suo falso messianismo, ha una visione perversa ma più moderna, della crisi dello Stato-nazione. Una visione assente negli Europei, nonostante l'Unione che hanno edificato.
Ma l'errore più grave è non considerare le guerre dell'ultimo decennio come un tutt'unico. L'azione in un punto della terra ha ripercussioni altrove, i fallimenti in Afghanistan creano il caso Libia, il semifallimento in Libia secerne il Mali. Il guaio è che ogni conflitto comincia senza memoria critica dei precedenti: come scheggia appunto. In Libia il trionfalismo è finito tardi, l'11 settembre 2012 a Bengasi, quando fu ucciso l'ambasciatore Usa Christopher Stevens. Solo allora s'è visto che molti miliziani di Gheddafi, tuareg o islamisti, s'erano trasferiti nell'Azawad. Che la guerra non era finita ma sarebbe rinata in Mali, come in quei film dell'orrore dove i morti non sono affatto morti.
È venuta l'ora di riesaminare quel che vien chiamato interventismo umanitario, democratico, antiterrorista. Un solo dato basterebbe. Negli ultimi sette anni, il numero delle democrazie elettorali in Africa è passato da 24 a 19. Uno scacco, per Europa e Occidente. Intanto la Cina sta a guardare, compiaciuta. La sua presenza cresce, nel continente nero. Il suo interventismo per ora costruisce strade, non fa guerre.
È colonialismo e lotta per risorse altrui anch'esso, ma di natura differente. Resilienza e pazienza sono la sua forza. Forse Europa e Stati Uniti si agitano con tanta bellicosità per contendere a Pechino il dominio di Africa e Asia. È un'ipotesi, ma se l'Europa cominciasse a discutere parlerebbe anche di questo, e non sarebbe inutile.
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Re: Mali: ministro italiano Terzi, situazione è precipitata
Chi parla piu della Libia ora.Non sappiamo niente degli accordi con quel paese noi cittadini.
Si parla poco pure del libano.
In afganistan ora abbiamo superato i sovietici.Che abbiamo risolto?
Appena ce ne andremo i talebani riprenderanno il potere.
Ora Mali.Ma non eravamo un paese quasi fallito?
Se eravamo un paese quasi fallito, le pensioni non arrivavano,non c'erano soldi per i 1000 parlamentari ecccc....
Si avrebbe fatto subito una legge per dimezzarli.Invece ci trovavamo sul groppone di nuovo questi 1000 parlamentari per 5 anni..
La benzina manca per la polizia, mancano gli elmetti ecccc.....
Per le missioni invece non manca niente.
Per quanto tempo dobbiamo sopportare questa presa in giro?
Con i soliti partiti NOTI la strategia militare non cambierà MAI.
Chiedete a Grillo o Ingroia cosa ne pensano di questi interventi all'estero.Sicuramente vi risponderanno che non sarebbero andati.
La Cina è entrata in Africa facendo strade ecc.....e il commercio va avanti senza armi.
Noi invece parliamo con le armi.E siamo tartassati su tutto.Avete visto quante targhe di auto i cittadini hanno consegnato.
Dovremmo essere il paese con un welfare da invidiare avendo Il Vaticano in casa.Invece........................
Ciao
Paolo11
Si parla poco pure del libano.
In afganistan ora abbiamo superato i sovietici.Che abbiamo risolto?
Appena ce ne andremo i talebani riprenderanno il potere.
Ora Mali.Ma non eravamo un paese quasi fallito?
Se eravamo un paese quasi fallito, le pensioni non arrivavano,non c'erano soldi per i 1000 parlamentari ecccc....
Si avrebbe fatto subito una legge per dimezzarli.Invece ci trovavamo sul groppone di nuovo questi 1000 parlamentari per 5 anni..
La benzina manca per la polizia, mancano gli elmetti ecccc.....
Per le missioni invece non manca niente.
Per quanto tempo dobbiamo sopportare questa presa in giro?
Con i soliti partiti NOTI la strategia militare non cambierà MAI.
Chiedete a Grillo o Ingroia cosa ne pensano di questi interventi all'estero.Sicuramente vi risponderanno che non sarebbero andati.
La Cina è entrata in Africa facendo strade ecc.....e il commercio va avanti senza armi.
Noi invece parliamo con le armi.E siamo tartassati su tutto.Avete visto quante targhe di auto i cittadini hanno consegnato.
Dovremmo essere il paese con un welfare da invidiare avendo Il Vaticano in casa.Invece........................
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Paolo11
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