THE CATHOLIC QUESTION

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Amadeus

Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da Amadeus »

mi marzullo ..... 8-)
Amadeus ha scritto:amletico dubbio ...
ma l'anello del pescatore verrà distrutto ? o no ?
lo distruggono il 28. stanno facendo un regolamento tutto nuovo per la questione....visto che l'anello di norma si distrugge dopo avere accertato la morte del pontiff.
iospero
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da iospero »

Altro tema:

Quanto ci costa il generale-cardinale Angelo Bagnasco ?
per appena tre anni di Ordinario Militare (vale a dire capo dei cappellani dell’esercito) si cucca una pensione da generale di corpo d’armata, che per i generali veri è più 4000 Euro mensili .
Come pensione, si parla di oltre 4mila euro lordi al mese, ma Bagnasco prende di meno perché non è arrivato ai venti anni di servizio. Detto questo, raggiungendo nel 2006 i sessantatre anni d’età ha avuto diritto al vitalizio sostanzioso con soli tre anni di contributi, e come lui tre generali predecessori: i monsignori Gaetano Bonicelli (sette anni di contributi), Giovanni Marra (otto anni) e Giuseppe Mani (otto anni).

All’interno della cittadella militare della Cecchignola c’è un seminario. Vi nascono i futuri cappellani militari, preti che per l’esercito italiano sono anche ufficiali. Il seminario è cattolico, ma a pagare la formazione degli attuali otto seminaristi ci pensa lo stato italiano.
la «Scuola allievi cappellani militari» fa parte dell’ordinariato militare, una speciale diocesi che però è anche una struttura delle forze armate e i cui soli uffici centrali romani pesano per 2 milioni di euro sul bilancio del ministero della Difesa. Sembrano tanti, ma pensioni e stipendi di tutti i sacerdoti e, soprattutto dei vescovi che comandano, toccano la cifra di ben 15 milioni di euro all’anno. E abbondano i casi di babypensionamenti.
C’è un sacerdote alla Croce Rossa e ce ne sono al fronte: «Per altro quando dicono messa la domenica ricevono l’indennità di lavoro festivo e se vanno in guerra quella di missione».
«Il governo parla di tagliare 30-40 mila posti tra militari e civili al ministero della Difesa, ma i cappellani dovevano scendere a 116 e invece superano ancora i 180».

da http://www.nessundio.net/blog/2012/04/30/5731/
paolo11
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da paolo11 »

Quella è cosa nota,che forse avevo gia riportato.
.........................
(AGENPARL) - Roma, 05 gen - "In Italia abbiamo un vero e proprio esercito di generali (più di 600) con relativi benefit accessori come auto blu e attendenti. Si tratta di un numero pressoché equivalente agli onorevoli che compongono la Camera dei Deputati. La cosa più strana è che il nostro Paese vanta ben 69 generali di Corpo d'armata: ossia più del doppio dei corpi d’armata attualmente operativi in Italia. Ce ne sono 50 tra Esercito, Aeronautica e Marina, 10 nell’Arma dei Carabinieri e 9 nella Guardia di Finanza. Questi numeri sono poi rafforzati da 2.700 colonnelli, 13.000 ufficiali: una massa sterminata di dirigenti con stipendi ‘pesanti’ a guidare un numero sempre più ristretto di soldati". Lo dichiara il Presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "I dati sull'occupazione sull'occupazione diffusi oggi dall'Istat - un giovane su tre è senza lavoro - sono drammatici ed impongono un intervento immediata inversione di rotta: è assurdo che in questa situazione l'Italia abbia destinato 15 miliardi di euro per l'acquisto di 131 caccia F-35, programma che anche gli Usa stanno pensando di abbandonare". "Non ci sono solo gli F-35 che costeranno oltre 15 miliardi ma l'ultima trance del programma per i caccia Eurofighter (5 miliardi); l'acquisto di 8 aerei senza pilota (1,3 miliardi); l'acquisto di 100 nuovi elicotteri NH-90 (4 miliardi); l'acquisto di 10 fregate FREMM (5 miliardi); 2 sommergibili militari (1 miliardo); il programma per i sistemi digitali dell'Esercito che costerà alla fine oltre 12 miliardi di euro - conclude Bonelli -. Chiediamo al governo Monti di tagliare subito le spese per gli armamenti di almeno 12 miliardi di euro. Le spese per gli armamenti dei prossimi anni ammontano complessivamente a oltre 43 miliardi di euro" "Chiediamo al Governo di tagliare prima di tutto le spese per gli armamenti di almeno 15 miliardi di euro. Non si tratta di una richiesta ideologiche visto che chiediamo al presidente Monti di fare niente di più di quello che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto nel 2010 quando la Germania ha tagliato la spesa per gli armamenti di 10 miliardi di euro. La spesa militare pro-capite in Italia ha ormai raggiunto la cifra di 598 dollari: più di quella della Germania che si ferma a 550 dollari o del Giappone che arriva a 441 dollari. Ogni anno ogni italiano spende in armamenti più di un tedesco, di un giapponese, di un russo, di un cinese e di un indiano". "Con queste risorse sarà possibile investire subito sulla riconversione ecologica della nostra industria, sulla green economy sulla difesa del suolo in un Paese in cui ancora si muore sotto il fango, sulla scuola, la salute ed il trasporto pubblico. Tagliando le spese militari sarebbe possibile avviare da subito 100 mila cantieri per la messa in sicurezza, per le rinnovabili ed il risparmio e l'efficienza energetica creando centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. In poche parole tagliando i super privilegi alla super casta degli armamenti sarebbe possibile cambiare l'Italia e metterla in condizione di uscire da questa drammatica crisi economica".
http://www.agenparl.it/articoli/news/po ... i-deputati
.................................
E di questi!che ne facciamo.Prima la leva era obbligatoria.Hanno risparmiato ridudendo la quantità di soldati.Quindi vestiario mangiare eccc......Ma di pari passo non hanno tolto i generali colonnelli ecc....
Ciao
Paolo11
erding
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da erding »


Ratzinger scende dalla barca di Pietro


Il Fatto Quotidiano > Blog di Giovanni Avena >12 febbraio 2013

E’ avvenuto quello che doveva avvenire. L’anziano cardinale tedesco, per lunghi anni “carabiniere” freddo e intransigente a guardia della più arcaica dottrina dogmatica e morale della Chiesa cattolica, divenuto Papa all’età di 76 anni, non ce l’ha fatta e ha gettato la spugna. Subito dopo la morte di Giovanni Paolo II, qualche giorno prima di entrare nel conclave che lo avrebbe eletto Papa della Chiesa cattolica, Ratzinger, nell’imponente scenario del Colosseo, in mondovisione, si era candidato, di fatto, a prendere il posto di Wojtyla col proposito di ricondurre la Chiesa nel contesto dottrinale e disciplinare del Concilio di Trento, stoppando il più celermente possibile le innovazioni del Vaticano II. Già da Prefetto del S.Uffizio aveva combattuto tutta la teologia scaturita dal Vaticano II, ma ora, candidandosi Papa al di sopra delle parti, più che i temi dottrinali, sceglie un tema più scioccante per l’opinione pubblica: la “sporcizia” nella chiesa, quella sotto gli occhi di tutti e quella nascosta. Messo da parte il felpato linguaggio del prelato di curia, pronuncia parole che qualche secolo prima, poteva aver pronunciato il frate domenicano Girolamo Savonarola, che denunciava a gran voce la sporcizia morale di cui era ammorbata la Chiesa. Per questo e per la sua lotta politica contro il cattivo governo il frate domenicano, per ordine di un Papa, Alessandro VI, fu mandato all’impiccagione e al rogo. Sembrò un Savonarola il cardinal Ratzinger, che, davanti ai cardinali elettori e alle telecamere di tutto il mondo, accusò i ministri della Chiesa di “tradimento e di “abuso della Parola”, di “superbia e autosufficienza”: “Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote, quanta sporcizia c’è nella Chiesa”. Checché se ne voglia dire, quelle parole suonarono subito come un’autocanditatura forte al soglio pontificio e un avvertimento-programma del suo pontificato. I lunghi anni trascorsi accanto a Giovanni Paolo II abbondantemente assente dal Vaticano per i suoi spettacolari viaggi, avevano fatto di Ratzinger il vero possibile continuatore della restaurazione iniziata da Wojtyla.

Così Ratzinger, in continuità col programma di restaurazione da Prefetto del S.Uffizio, nei suoi otto anni di pontificato non ha fatto altro che enunciare principi ed emanare condanne per chiunque – preti, vescovi, teologi, laici- si scostasse minimamente dalla più rigida dottrina dogmatica e morale della Chiesa. Individuò nell’aggiornamento del Concilio la prima causa della indisciplina degli ecclesiastici progressisti e del decadimento dei principi morali sui quali la Chiesa si era attestata come in una roccia immobile. Il suo primissimo intento fu dunque la neutralizzazione delle aperture volute dal Concilio. E per questo mandò subito un segnale di benevolenza ai seguaci dello scismaticoVescovo Lefebvre che negava la legittimità del Vaticano secondo e ne rifiutava le principali Costituzioni. I primi provvedimenti ebbero per oggetto la condanna di ogni innovazione liturgica da cancellare perché portatrice di “abusi liturgici”. Grande vittoria per i lefebviani, grande contestazione a difesa del Concilio da parte di vescovi, qualche cardinale e moltissimi parroci. Negli ambienti cattolici progressisti circolava la tesi che non era Ratzinger che riconduceva i lefebvriani nella Chiesa, ma erano questi che riassorbivano il Papa nei rigori della dogmatica, della disciplina e della morale della Controriforma tridentina.

Sarebbe troppo lungo l’elenco dei veti ribaditi da Benedetto XVI per inchiodare le donne e gli uomini nella precettistica della morale sessuale e della bioetica: nessuna attività sessuale fuori dalla volontà di procreare, nessun rapporto sessuale se non dopo la benedizione del matrimonio da parte del prete, quindi nessuna convivenza prematrimoniale e nessuna convivenza con partner divorziati, nessun uso di contraccettivi, niente comunione e assoluzione per questi ultimi perché considerati pubblici peccatori, nessun riconoscimento dell’omosessualità perché considerata o malattia o disordine morale, nessun uso di contraccettivi, minaccia dell’inferno per tutti questi peccati, compreso il peccato di masturbazione per gli adolescenti a partire dalla pubertà. E la bioetica? Due coniugi con problemi di fecondità, pur regolarmente sposati, che rivendicano il diritto alla paternità e maternità non possono ricorrere alla fecondazione assistita, perché, secondo Ratzinger,metodo contro natura. Anche in quest’ambito così intimo e delicato la dottrina ribadita da Papa Ratzinger non concede alcuna pietà e comprensione. Ai malati terminali e ai loro congiunti, secondo la stessa dottrina, viene imposto l’obbligo delle cure e dell’alimentazione forzata, per contrapporre al peccato della “buona morte” la condanna ad una vita penosamente vegetale.

Ma questa è la “legge” della Chiesa, e se ci vuoi stare la devi osservare. Appunto, di una Chiesa matrigna mille miglia distante dalla generosità e misericordia di Dio che la stessa Chiesa predica.

Probabilmente questi sono i peccati che, secondo Ratzinger, creano “sporcizia” nella Chiesa. Se ad essi si aggiungono i peccati della Chiesa e dei suoi uomini, il quadro diventa più fosco e catastrofico: la diffusissima piaga della pedofilia dei preti, le convivenze clandestine dei preti obbligati al celibato da una legge ecclesiastica (non di Dio!), i grandi e continui traffici finanziari della Banca vaticana, le ingenti somme di denaro della S. Sede investite in speculazioni finanziarie internazionali, la spropositata ostentazione di ricchezza della gerarchia ecclesiastica (durante le grandi celebrazioni pontificie l’abbigliamento liturgico di Ratzinger costa decine di migliaia di euro), gli intrallazzi economici tra le mura vaticane denunciati dagli stessi prelati e inascoltati dallo stesso Ratzinger che, anziché punire i colpevoli punisce chi li ha svelati e denunciati.

A completare il quadro del mare in tempesta in cui Ratzinger deve guidare la Chiesa, non è secondario il tema della cosiddetta dottrina teologica.

La ricerca teologica contemporanea è impegnata non tanto nella impossibile dimostrazione dell’esistenza di Dio, quanto nello sforzo di rendere accettabile e possibile all’uomo non il Dio astratto della teologia romana, imprigionato nel ristretto perimetro canonico della dogmatica istituzionale ecclesiastica, ma un Dio libero e liberante che rispetta le coscienze, non impone pesi, e corrisponde al desiderio di trascendenza e all’stanza di giustizia e di libertà presenti nella vita di ogni uomo e donna.

Ma Ratzinger si considera un grande teologo, e per questo si è fatto giudice assoluto, prima da Prefetto del Sant’Uffizio e poi da Papa, di tutte le controversie teologiche contemporanee. Ha condannato fino alla scomunica i più autorevoli studiosi di teologia di tutto il mondo quando le loro tesi o ipotesi teologiche si discostavano minimamente dal suo fondamentalismo teologico di stampo tridentino.

Così il teologo Ratzinger, “vicario di Gesù Cristo” e rappresentante di Dio in terra, con la sua autorità papale che dice discendergli direttamente da Dio, ha fatto fioccare sui suoi più autorevoli colleghi teologi condanne sommarie, inappellabili e definitive. Non a decine ma a centinaia, tra i più noti all’opinione pubblica mondiale: lo svizzero di formazione tedesca Hans Kung, il francescano brasiliano Leonardo Boff, il domenicano olandese Schillebeeckx, il fondatore della Teologia della Liberazione Gustavo Gutierrez, la teologa americana suor Lavinia Byrne, il missionario dello Sri Lanka Balasuriya, l’italiano Franco Barbero, il gesuita Dupuis, l’americano Curran, i religiosi americani Suor Gramick e padre Nugent ai quali viene imposto il divieto di interrompere il lavoro pastorale a favore degli omosessuali. E l’elenco è inimmaginabilmente lungo.

Ratzinger si era candidato Papa per purificare la Chiesa dalle scorie negative del Vaticano II, dal dramma della pedofilia dei preti, dagli abusi dei fedeli in fatto di sessualità e di bioetica, dai preti omosessuali, dal carrierismo degli ecclesiastici. Anche qui l’elenco è lungo. Ma negli otto anni di pontificato, anziché vedere risultati, ha visto diffondersi la “sporcizia” e le disobbedienze: i fedeli continuano a ignorare la precettistica rigida della morale nella loro intimità, gli scandali vaticani sono ogni giorno più sotto gli occhi di un’opinione pubblica indignata, i teologi sono sempre più lontani dai rigidi schemi dogmatici romani, i giovani non si confessano più, le chiese si svuotano, i seminari hanno sempre meno candidati al sacerdozio. Un altro elenco più lungo degli altri.

Ratzinger al timone della barca di Pietro la vede sempre più assalita da un mare sempre in tempesta in tutte le latitudini. L’ultimo scandalo, quello del furto di documenti segreti sotto il suo tetto e con la complicità dei suoi più stretti collaboratori, ha colpito lui personalmente e ha sbattuto la barca contro gli scogli di una sconcertata opinione pubblica mondiale. Non immaginava otto anni fa che gli potesse succedere. Oggi sente di non avere avuto e di non avere il vigore necessario per affrontare la tempesta e gli scogli: accetta la sconfitta, getta la spugna e scende dalla barca. E nessuno gli dirà: “caXXo, risalga a bordo!”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02 ... ro/496791/

Analisi critica impietosa del direttore di ADISTA Giovanni Avena.
Il gesto del papa Ratzinger rimane, comunque, un gesto potente e rivoluzionario che crea una svolta inedita e riscatta in parte tutto il suo papato.
camillobenso
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da camillobenso »

Repubblica 13.2.13

Il NYT attacca: “A Sodano 15mila dollari dal prete pedofilo”

NEW YORK — Ce la farà Roger Mahony, uno degli 11 cardinali americani, a partecipare al Conclave? Lui ha già annunciato nel suo blog di aver preparato le valigie per Roma. Ma tra i 71 milioni di cattolici d’oltreoceano nessuno si dimentica che appena due settimane fa Mahony, ex-arcivescovo di Los Angeles, è stato rimosso dal suo successore da tutti gli incarichi per aver protetto i preti pedofili della diocesi. «Il Papa dovrebbe quanto meno impedirgli di votare», ha scritto ieri l’influente National catholic review.
Le polemiche su Mahony mostrano come la decisione di Benedetto XVI abbia scatenato negli Usa una reazione molto emotiva. «Il Papa ha un’ultima possibilità di rimediare ai torti del recente passato», ha scritto ieri sul New York Times Jason Berry, autore di un libro sulla mala-finanza del Vaticano: «Dovrebbe espellere il cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, il quale più di ogni altro è il simbolo di un uso del potere che ha corrotto le gerarchie ecclesiastiche». Sono parole dure, quelle rivolte contro l’ex Segretario di Stato. Accusato anche di aver ricevuto 15mila dollari da Marcial Maciel Degollado, il sacerdote messicano fondatore dei Legionari di Cristo ritenuto responsabile di abusi.
(ar. zam.)
Amadeus

Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da Amadeus »

conclave elettorale?
talè che pure fra loro ora volano gli stracci .... :D
erding
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da erding »

Il papa si dimette. Finalmente un’ottima notizia

Di fronte a ai misfatti vaticani, Benedetto XVI ha fatto quello che un uomo mite e debole sa fare: togliersi di mezzo per disarmare i suoi nemici. Ora spetta al nuovo papa rinnovare radicalmente la Chiesa e dimostrare che Dio è tornato a vivere in Vaticano. Anticipiamo un capitolo dal nuovo libro di don Paolo Farinella in uscita ad aprile per il Saggiatore.

di don Paolo Farinella

Iniziai questo libro il giorno lunedì 13 agosto 2012, alle ore 16,57. In esso per almeno due volte chiedo le dimissioni di papa Benedetto XVI per fallimento palese come uomo, perché ha dimostrato di non essere in grado di gestire la curia romana col suo vortice d’intrighi, corruzione, scandali e immoralità.

Finita la stesura, mi accingevo a rivedere il testo per limare e aggiustare; giunto a pagina 77, lunedì 11 febbraio 2013, esattamente sei mesi dopo, poco prima di mezzogiorno, lessi sul web il lancio dell’Ansa con la notizia dirompente, quasi in diretta, che Benedetto XVI, nel concistoro in corso, comunicava ai cardinali le sue dimissioni da papa. Il card. Angelo Sodano, presente, prendendo la parola subito dopo il papa, parlò di «un fulmine a ciel sereno».

Il papa aveva riunito il concistoro pubblico dei cardinali per concludere tre canonizzazioni, tra cui quella degli «Ottocento Martiri di Otranto», uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi perché non vollero abiurare dalla loro fede e convertirsi forzatamente all’Islam. Finito il concistoro pubblico, il papa proseguì con un concistoro segreto, riservato ai soli cardinali presenti, circa una cinquantina, ai quali, in latino, comunicò la sua ferma e libera decisione di dimettersi da papa perché, – disse – «sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata (ingravescente aetate), non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero pietrino», stabilendo la data d’inizio della «sede vacante» alle ore 20,00 del giorno 28 febbraio 2013. La motivazione che il papa stesso offrì al mondo fu drammatica e lucidamente consapevole:
“Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato” (L’Osservatore Romano CLIII n. 35 [2013] del 11/12-02, p. 1).

Quando questo libro sarà uscito (fine aprile 2013), la Chiesa cattolica avrà un nuovo papa e anche un papa emerito, in una situazione speciale, ma non unica nella bimillenaria storia ecclesiale perché altri papi e antipapi hanno convissuto in epoche lontane. Basti ricordare papa Ponziano che, il 28 settembre del 235, rinunciò alla carica perché mandato ai lavori forzati in Sardegna, e papa Antero che gli succedette il 21 novembre dello stesso anno; oppure il mondano Benedetto IX che tra il 1032 e il 1044, espulso e tornato in carica a più riprese, convisse con Silvestro III, Gregorio VI e Clemente II. Volendo si può anche andare all’inizio del sec. XV, al tempo dei papi Gregorio XII e Benedetto XIII, dimessi dal concilio di Pisa nel 1409 perché scismatici. Oppure è sufficiente ricordare l’antipapa Giovanni XXIII (nome ripreso, senza paura, da papa Angelo Giuseppe Rocalli nel 1958) che coesistette con Urbano VI e Martino V, quest’ultimo eletto dal concilio di Costanza; oppure Eugenio IV, scomunicato e deposto con Felice V che abdicò in favore di Nicolò V nel 1447.

Si può dire che nella storia con questo valzer di papi e antipapi, doppi papi e tripli papi, non si ha certezza della linearità della successione petrina; tra tutti i papi dimessi o deposti, fa impressione notare che il nome di «Benedetto» ricorre più di ogni altro. L’11 febbraio 2013 fu la volta di un altro Benedetto, numero XVI, il quale non fu obbligato da forze esterne dirette, ma prese la decisione, ponderandola nella sua coscienza e solo quando essa fu matura in lui, la comunicò, secondo le regole del Codice di Diritto Canonico che sancisce:
Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti (can. 332 § 2).

Il gesto di Benedetto XVI, superato lo stupore di rito, lasciò aperte, e tuttora lascia, molte congetture, dando forza ulteriore di verità alle pagine che seguono, perché è la prova che i fatti e le valutazioni che riporto, spesso molto dure, non sono solo fondate sulla realtà, ma travalicano l’orizzonte delle ipotesi e si collocano sul versante della drammaticità che assiste impotente alle dimissioni del papa.

Se il papa stesso motu proprio si dimise perché non ce la faceva più a svolgere il suo ruolo, significava che il livello del degrado era arrivato a tal punto che solo un gesto forte, «un miracolo», poteva porvi rimedio. Per la prima volta il gesto delle dimissioni, non usuale nel mondo clericale dove tutto si misura sul perenne e sull’eterno, portò con sé un germe di cultura e di costume di «laicità». Esso scardinò, «come un fulmine a ciel sereno», la figura del papa dall’aureola di sacralità, dove ingiustamente era stata collocata e la riportò alle dimensioni dell’umanità ordinaria, là dove, uomini e donne stanno al loro posto fino a quando le forze spirituali e fisiche lo consentono. Per la prima volta, il papa in persona disse di non essere un «dio», o peggio, un idolo, ma di essere solo un uomo, e anche limitato, che deve fare i conti con le categorie della possibilità e dell’impossibilità. Nel mondo e nella teologia cattolici crollò un mito. Anzi, iniziò a crollare.

Se, alla fine di questo libro, potevo avere qualche dubbio sulla durezza delle valutazioni, dopo il gesto del papa, ogni dubbio si è volatilizzato, perché ora l’esigenza di una grande riforma, non superficiale della Chiesa, è sempre più cogente e necessaria, specialmente «in capite», cioè nella struttura gerarchica che oggi è lo scandalo maggiore dentro il cuore stesso della Chiesa. Giovanni Paolo II (come vedremo più avanti) si era detto disposto a mettere in discussione l’esercizio storico del ministero pietrino e ora Benedetto XVI, suo successore, pose il primo atto di riforma in quella direzione. Il papato non può più essere lo stesso e il potere temporale, formalmente finito il 20 settembre del 1870, di fatto, cominciò a terminare l’11 febbraio 2013, memoria liturgica della Madonna di Lourdes e anniversario dei «Patti Lateranensi», che formalizzarono la coesistenza del pastore e del capo di Stato nella persona del papa.

La Storia è una grande maestra di vita, proprio perché non insegna nulla, se è vero che ciascuno vuole compiere fino in fondo i propri errori; essa però si vendica, creando occasionalmente motivi e circostanza e simbolici che valgono più di un trattato scientifico. Nello stesso giorno in cui il papa era riconosciuto come capo del Vaticano (1929), il papa dichiarava al mondo intero di non essere più né capo di Stato né vescovo di Roma perché non era più in grado (2013). Una rondine non fa primavera e i cardinali, ovvero la curia, sono duri a morire. Essi non arriveranno mai a prendere decisioni per scelta, ma da sempre si rassegnano a quelle cui sono costretti dalla storia o dalle convenienze.

Il papa cessò di essere vicario di Cristo, titolo quanto mai controverso nella storia della teologia, per restare soltanto il successore di Pietro in un «servizio» a tempo, camminando in tempo per essere in grado, eventualmente, di arrivare in tempo. Lo disse, in modo disarmante, lo stesso Benedetto XVI: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti». Con queste parole, egli confessò il suo limite cedendo alla dittatura della fragilità, non solo fisica, ma anche concettuale; lui, uomo di cultura e di studio, non era in grado di reggere i bisogni dei tempi di «oggi» e se non si fosse ritirato in tempo, avrebbe rischiato di mancare l’appuntamento con il Signore che nella sinagoga di Nàzaret, all’inizio del suo «servizio», disse con fermezza e competenza: «Oggi questa parola si compie nei vostri orecchi». Oggi, non ieri, non domani, non in un tempo che si rifugia nell’eternità perché ha paura dell’evolversi della vita, ma solo ed esclusivamente «oggi». Dio e il vangelo sono «oggi». E’ l’oggi di Dio.

Benedetto XVI, ormai papa-non-papa, disarmato, e, oserei dire illuminato dallo Spirito, cedendo alla violenza della ragione, depose i sacri paramenti che difendono dalla mondanità esterna, prese atto che «il velo del tempio si era spezzato, da cima a fondo» e lasciò «il sacro soglio» che più prosaicamente si trasformò in una «sedia presidenziale», occupata da un incaricato per il tempo necessario al «ministero affidato». Finito il compito, si lascia la sedia e si torna a pregare e, se c’è, a convivere con la sofferenza. Cristo non ha lasciato la «sua» Chiesa ad alcuno, nemmeno al papa, perché ci ha garantito di essere «sempre con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,28). Egli chiama quanti sono disposti a dargli una mano perché ognuno svolga una sola delle «multae mansiones in domo Patris» (Gv 14,2). Anche il papa. Specialmente il papa, che deve dare l’esempio di non essere strumento o manipolatore di potere.

Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.

Gli intrighi medievali e rinascimentali della curia romana non sono finiti. Le dimissioni del papa ne sono una prova, anzi un atto di accusa grave e impotente, come se il papa inerme dicesse: non sono in grado di reggere questa sentina che schizza da ogni parte. Se i cardinali e il segretario di Stato fossero stati uomini dello Spirito, avrebbero preso come criterio di vita le parole del Signore che invitano a un genuino spirito di servizio. Forse, in un clima e in un contesto di preghiera e di abnegazione, lo stesso gesto delle dimissioni papali, sarebbe stato motivato in modo diverso e sarebbe anche apparso meno dirompente: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).

L’inutilità di cui parla Gesù non è comportamentale o funzionale, ma appartiene alla logica della verità e del servizio: non sono più adatto. Il testo greco usa l’aggettivo «achrèios», composto da «a-» privativa e dal verbo «cràomai – io uso/compio», per cui «non sono più nelle condizioni di agire/compiere». La curia romana, purtroppo, da sempre ha usurpato il ministero pietrino al successore di Pietro, relegando questi a una funzione di appariscenza, con un ruolo di approvazione formale, riservando per sé il potere quotidiano, quello invisibile, quello vero, come nomine dei vescovi in primo luogo, scelti tutti per cooptazione e quindi ricattabili con la tentazione della carriera.

Benedetto XVI, specialmente dopo gli scontri delle fazioni contrapposte, avvenuti davanti ai suoi occhi e dopo la constatazione che nemmeno la sua scrivania e il suo studio fossero più sicuri, se qualcuno poteva trafugare documenti, anche riservati, aprì gli occhi e vide. Vide e toccò con mano che la sporcizia, la corruzione, il malaffare, l’inganno e la menzogna erano moneta corrente nella sua Città, nella sua casa, nella Chiesa di Dio. Il «fumo di Satana» che Paolo VI, terrorizzato, aveva evocato nel 1968, per Benedetto XVI assunse un nome e una collocazione. Il fumo diabolico del carrierismo e delle lotte intestine per accaparrarsi il potere e imporre la propria immagine di Chiesa, invadeva il Vaticano e annebbiava le menti e gli occhi dei cardinali che, a papa ancora vivo, cianciavano di scenari di morte. Forse, per la prima volta, il papa si rese conto che il male sovrastava la Città del Vaticano e le iene erano in agguato per sbranarlo a pezzi senza pietà e misericordia. Gli uomini di Dio, quando vivono e agiscono senza Dio, sanno essere tragici e anche comici allo stesso tempo perché perdono il senso del ridicolo e riescono anche a prendersi sul serio.

Lo Ior, con tutto il marcio che custodisce nei suoi forzieri, scoppiò in mano al papa che volle a capo dell’istituto una persona di sua fiducia perché lo riportasse alla legalità. Non solo non riuscì, ma, a sua volta, fu indagato dalla magistratura e dalla banca d’Italia per riciclaggio e costretto alle dimissioni dal segretario di Stato. Mons. Carlo Maria Vigano (v. sotto), uomo giusto, aveva avvertito il papa che monsignori e cardinali erano ladri e corruttori a forza di tangenti in Vaticano e fuori; per punirlo della sua onestà, fu allontanato dal vaticano e mandato oltre oceano. Di fronte a questi misfatti, non avendo la forza d’imporsi e di licenziare i figli delle tenebre, primo fra tutti il suo segretario di Stato, il papa fece quello che un uomo mite e debole sa fare: si tolse lui di mezzo per disarmare le mani dei suoi nemici. Per fare dimettere tutti e riportarli alla dimensione della ragione e della fede, se qualcuno credeva ancora, rassegnò le sue dimissioni, consapevole che con esse sarebbero decaduti tutti i detentori di qualsiasi incarico.

Il fallimento dei colloqui con i lefebvriani, che si sono approfittati della sua eccessiva benevolenza, come dimostro più avanti, alzando sempre più il tiro per indurlo a dichiarare formalmente che il Vaticano II fu un «concilio minore», anzi non può essere annoverato neppure tra i concili perché «eretico», dovette averlo molto amareggiato e forse si è pentito di avere tolto loro la scomunica. Prima, nel 2007, con la concessione senza condizioni della Messa preconciliare, il papa s’illuse che avrebbe potuto dialogare con essi e si adattò alle loro richieste, ma alla fine capì che non era per amore della Chiesa che essi volevano ritornare, ma solo per prendersi una rivincita dottrinale: il vero peccato di orgoglio, il peccato di Adamo ed Eva che non ha mai abbandonato il ceto clericale.

Non potendo mettere d’accordo coloro che avrebbero dovuto «naturalmente» andare d’accordo, osservando come ciascuno perseguisse il suo interesse a danno di quello della Chiesa, il papa li costrinse a prendere coscienza che egli non poteva stare dalla loro parte; si tirò fuori e pose, come i profeti della Bibbia ebraica, un gesto fisico, un gesto che parlasse più delle parole: Mi dimetto. Con questo gesto egli affermò che la Chiesa è di Cristo e che nessuno ha il monopolio dello Spirito Santo. All’obiezione di chi sicuramente cercò di bloccarlo dicendogli che «alla paternità non si può rinunciare», il papa rispose, parlando con i fatti, che la paternità è solo di Dio e noi ne partecipiamo secondo la grazia e la possibilità, la misura e le condizioni.

Le dimissioni del papa pongono sul tappeto della teologia, la questione che è rimasta irrisolta anche al concilio Vaticano II, la stessa che il Vaticano I non aveva nemmeno affrontato, sbilanciando così l’autorità solo sul versante del papa. La questione riguarda la collegialità dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Con la dichiarazione dell’infallibilità (vedi sotto) a beneficio esclusivo del papa, per oltre un secolo, la Chiesa è stata zoppicante e le conseguenze si vedono ancora oggi. Con le dimissioni di Benedetto XVI, l’anziano papa dice, forse senza volerlo, che l’autorità papale non è più assoluta, ma relativa, perché dimettendosi inidoneità «all’adempimento del suo ufficio», egli fa rientrare la figura del papa nella normalità della legge che esige le dimissioni (enixe rogatur – è fortemente invitato) di ogni vescovo in qualsiasi parte della Chiesa (CJC 401 §2).

Tornando alla chiesa di comunione che è incompatibile con la chiesa piramidale verticistica, si afferma la necessità, non più procrastinabile, di un concilio che stabilisca i confini dell’autorità papale e nel contempo affermi i diritti dei vescovi che tornano a riprendersi la loro natura di «epìskopoi – custodi/sorveglianti» e non più luogotenenti o commissari governativi del papa-re o, ancora peggio, padroni di una porzione di Chiesa.

Le dimissioni di Benedetto XVI rientrano nella categoria dei «segni dei tempi», che oggettivamente stanno lì, spetta a noi leggerle in quell’ottica e da quella prospettiva che ci impegna a interrogarci sul loro significato che hanno in sé e nel futuro della Chiesa. Che cosa Dio vuole dire alla Chiesa di oggi, con il gesto di un papa che spontaneamente rinuncia al potere assoluto, all’immagine di sacralità di cui la sua funzione era circonfusa per ritornare a essere un uomo di preghiera e di silenzio? San Paolo direbbe che questo momento è «un’occasione favorevole – un kairòs» per mettersi in ascolto di ciò che il Signore vuole dire alla sua Chiesa all’inizio del terzo millennio. Se deve nascere una nuova Chiesa, dipende anche da noi, perché Dio manda i suoi «segni dei temi», ma non si sostituisce alla nostra responsabilità e nemmeno conculca la nostra libertà, anche se è un impedimento alla realizzazione di un suo disegno.

Dalle ore 20,00 del giorno giovedì, 28 febbraio 2013, memoria liturgica dell’asceta san Romano abate, vissuto a cavallo dei secoli IV e V, inizia un nuovo cammino per la Chiesa di Dio: esso può prendere la direzione del Regno attraverso la Storia, oppure il sentiero della paura verso il passato ala ricerca di una sicurezza che nessuno può dare perché è solo lungo il cammino che con i discepoli di Emmaus, sentiremo il cuore scaldarsi e alla fine, solo alla fine, scopriremo il volto del Signore nello «spezzare il pane».

Spetta al nuovo papa e alla curia, di cui vorrà dotarsi, dimostrare con i gesti e la testimonianza che Dio è tornato a vivere in Vaticano perché i suoi abitanti, a cominciare dal papa, convertiti, hanno di nuovo cominciato a credere in lui, dandone anche testimonianza quotidiana. Il prossimo papa non potrà più erigere davanti a sé, o permettere che altri erigano, una cortina d’incenso, ma deposte le sontuose vesti della sacralità e preso un bastone, una tunica e un paio di sandali, dovrà scendere sulle strade del mondo per camminare accanto agli uomini e alle donne del suo tempo alla ricerca dei brandelli di Cristo disseminato nella Storia del mondo e delle singole persone. Ascoltando le parole di Benedetto XVI, con grande rispetto, ma reputandolo allo stesso modo colpevole e responsabile del degrado in cui versa la Chiesa, posso affermare che questo libro doveva essere scritto, come è stato scritto.

Lo affido anche al nuovo papa, perché nello spirito di Francesco I, ripari la sua Chiesa e, senza paura, ma con la forza della sola fede, si lasci afferrare da Cristo per salire il monte delle Beatitudini e poi riscendere sulla pianura del Magnificat. E’ giunta l’ora ed è questa. Oggi.

(13 febbraio 2013)
Amadeus

Re: THE CATHOLIC QUESTION

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L'espresso.it

Lo Ior, a nove mesi dalla cacciata con disonore di Ettore Gotti Tedeschi, avrebbe finalmente un nuovo presidente. Il prescelto si chiama Bernard De Corte, è belga, ed è stato presidente di una società d'investimento, la Brederode SA che ha sede a Waterloo, città famosa per la sconfitta di Napoleone Bonaparte. La notizia è stata anticipata dall'Adnkronos, ma padre Federico Lombardi non ha voluto confermarla. Da quanto risulta all'Espresso che ha ascoltato fonti autorevoli del Vaticano, però, l'indiscrezione dell'agenzia sarebbe esatta. De Corte (che è entrerà sicuramente nel consiglio di sorveglianza insieme al tedesco Ernest von Freyber) dovrebbe essere nominato ufficialmente entro la fine di questa settimana, alla fine della riunione prevista tra il consiglio dei cardinali e quello di sovrintendenza. Riunione che di fattò sancirà l'uscita di Ronaldo Hermann Schmitz, il vicepresidente che di fatto è stato reggente della banca dal maggio 2012.

Se dovesse finire così, De Corte dovrà ringraziare soprattutto Tarcisio Bertone, ancora onnipotente e temuto segretario di Stato (oltreché camerlengo con grandi poteri dal prossimo 28 febbraio, giorno in cui il papa lascerà il trono petrino) che presiede il consiglio dei cardinali che sovrintende lo Ior.

Il cardinale, dopo aver silurato Gotti Tedeschi (reo di aver provato a rendere la banca di Dio più trasparente, e inviso per aver confidato notizie riservate ai pm di Roma e agli ispettori di Bankitalia) e cacciato Schmitz (i maligni fanno girare la voce che il vicepresidente qualche mese fa abbia addirittura provato a organizzare un consiglio dello Ior in Germania) avrebbe puntato sul belga, indicato come l'uomo giusto al posto giusto sia da una società di "cacciatori di teste" sia dal giovane monsignor Ettore Ballestrero, sottosegretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede, che è stato segretario di nunziatura in Belgio ed ha gestito - per conto di Bertone- il delicato protocollo di Moneyval.

De Corte è considerato in Belgio un manager molto «discreto» (caratteristica che resta fondamentale per ricoprire l'incarico al Torrione), come la holding che ha presieduto fino al 2008, la Brederode, da cui si dimise «per motivi personali», come recita uno scarno comunicato dell'azienda. Una società anonima che risulta assai attiva sul mercato dei private equity, ma che non disdegna investimenti anche nei settori tradizionali dell'energia: Brederode ha nel suo portafoglio anche un milione e 749mila azioni dell'Eni. De Corte (che parla inglese, francese e fiammingo, e in passato ha lavorato per le finanziarie belghe come Copeba e Investco) si occupava al tempo soprattutto delle partecipazioni industriale della holding. Dopo l'esperienza alla Brederode il manager è poi passato alla società immobiliare Wereldhave, di cui è stato membro del cda fino al 2011. Il lavoro del nuovo presidente sarà enorme. Il pontificato di Benedetto XVI sarà infatti ricordato anche per le numerose inchieste giudiziarie, tutte condotte dalla procura di Roma, che hanno coinvolto lo Ior. E per la riforma della legislazione antiriciclaggio vaticana fortemente voluta dal papa e affossata dalle opposizioni interne, a partire da quella del direttore generale dell'Istituto per le opere di religione Paolo Cipriani, fedelissimo di Bertone.

Le prime inchieste sullo Ior risalgono al 2009 e partono da una serie di segnalazioni dell'Uif. L'attenzione degli ispettori di Bankitalia si concentrò sui rapporti tra l'Istituto per le opere di religione e una decina di banche italiane per una serie di operazioni da centinaia di milioni, tutte schermate per rendere impossibile conoscerne i beneficiari. Sulla base dei rapporti dell'Uif il procuratore aggiunto Nello Rossi e il pm Stefano Fava hanno scoperto un conto cumulativo, aperto dallo Ior presso la filiale della ex Banca di Roma (oggi Unicredit) di via della Conciliazione, sul quale solo tra il 2006 e il 2008 sono transitati 180 milioni sospetti.

La banca vaticana resta impigliata ancora nella rete dell'Uif a settembre del 2010, a causa del rifiuto di comunicare i titolari del conto 49557 presso il Credito artigiano su cui si sarebbero dovuti movimentare, verso JP Morgan Frankfurt e la Banca del Fucino, 23 milioni. La procura di Roma sequestrò la somma (rimarrà sotto chiave fino al 1 giugno 2011, quando i pm daranno il via libera al dissequestro) e ha aperto un'indagine sul presidente Gotti Tedeschi e su Cipriani per omesse comunicazioni in violazione della normativa antiriciclaggio (l'inchiesta è in dirittura d'arrivo, con ogni probabilità Gotti Tedeschi sarà archiviato e si procederà solo per Cipriani, al quale competevano tutte le decisioni operative dell'Istituto).
V
aticano | Bernard De Corte | Ior © RIPRODUZIONE RISERVATA
peanuts
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da peanuts »

Mi ricordo quella del convento dove c'erano dei frati che ricevevano un contributo dalla chiesa e dalle offerte e lo usavano per divertirsi un casino: tv, bestemmie, riviste porno, film a luci rosse, squillo eccetera. Un giorno arriva la notizia che il vescovo farà visita. Allora il "capo" dice di far sparire tutto nel periodo di permamenza e di fare i bravi, così appena il rompipalle si toglie di torno si ricomincia.
Insomma, arriva il vescovo ed è ora di pranzo, così si mettono tutti a tavola fingendosi ottimi frati. Dopo la benedizione si dà il via al pasto e un frate, servendo uno suo confratello, gli rovescia un mestolo di minestra bollente sul braccio e quello fa "Per la madonna!".
E tutti gli altri "hip hip urrà".

Buona giornata, vaticano...
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da camillobenso »

In nome del Padre........


La Stampa 15.2.13

Sentenza in tribunale
Argentina “La chiesa complice dei golpisti”

di E. Guan.

Buenos Aires. La Chiesa argentina è stata giudicata complice della repressione della dittatura militare fra il 1976 e il 1983. La sentenza viene dal tribunale di La Rioja, provincia del Nord del Paese, dove durante il regime erano molto attivi i sacerdoti del movimento del Terzo Mondo. Due di loro, Carlos Dios Murial e Gabriel Longueville, furono sequestrati e uccisi. Nella sentenza di condanna per i responsabili militari della zona, i magistrati hanno chiarito che esisteva un piano del regime in collaborazione delle alte gerarchie ecclesiastiche per eliminare i preti scomodi.
«I membri del popolo di Dio, così come il resto della società argentina si aspettano oggi da un’istituzione cosi importante come la Chiesa cattolica un ripudio chiaro e nitido a chi permise che si perpetrassero i gravissimi crimini che conosciamo», scrivono i giudici.
Fra i religiosi uccisi negli anni Settanta spicca il nome del vescovo di la Rioja Enrique Angelelli, scomparso in un incidente d’auto mai del tutto chiarito, quello del vescovo di San Nicolas Horacio Ponce de Leon e del «prete dei poveri» padre Carlos Mugica. Le gerarchie della chiesa argentina hanno appoggiato il golpe: il nunzio apostolico a Buenos Aires era Pio Laghi, amico intimo dell’ammiraglio Emilio Massera
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