articolo 18
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Re: articolo 18
"La libertà di licenziare per motivi economici,
veri o inventati,
costituisce un formidabile incentivo a modulare la forza lavoro a suon di licenziamenti."
Luciano Gallino, 25 marzo
http://www.unita.it/la-striscia-rossa
veri o inventati,
costituisce un formidabile incentivo a modulare la forza lavoro a suon di licenziamenti."
Luciano Gallino, 25 marzo
http://www.unita.it/la-striscia-rossa
Re: articolo 18
IL DOSSIER |
Trasporti costosi & Internet lento
Perché l'estero non investe in Italia
Determinanti anche durata dei processi e corruzione: dal 2001 al 2010 perse 38 posizioni nella graduatoria Transparency
ROMA - Racconta Rodrigo Bianchi che da due anni non riesce a mettere un mattone dell'asilo nido per le mamme impiegate nella fabbrica di Pomezia della Jonhson&Johnson medical, azienda di cui è presidente e che ne sopporterebbe interamente la spesa. Il motivo? «Esplorazioni archeologiche, problematiche amministrative... Vai a sapere...». Fa presente Nando Volpicelli, amministratore delegato di Schneider electric industrie Italia come le nostre infrastrutture siano in una condizione tale che il costo di trasporto per unità di prodotto dallo stabilimento di Rieti della multinazionale transalpina è «di due euro più caro rispetto al Sud della Francia». Aggiunge il suo collega della Procter & Gamble Italia, Sami Kahale, che da noi costa di più anche la pubblicità per il lancio di una novità: mediamente del 30% rispetto alla Gran Bretagna. E il presidente della Ericsson telecomunicazioni Italia, Cesare Avenia, conclude che «il problema dell'Italia non è tanto l'articolo 18 quanto la certezza del diritto, se si considera che ci sono imprese obbligate a reintegrare dopo cause durate anche sette anni dei dipendenti in posti di lavoro che non esistono più».
Tutto questo e altro ancora c'è in quel numero, 20 miliardi nel 2010 secondo l'Ice, che ci relega nelle posizioni di rincalzo della classifica dei Paesi destinatari degli investimenti esteri. Venti miliardi sono un terzo dei soldi che lo stesso anno sono andati in Francia o a Hong Kong. Un quinto rispetto alla Cina, meno della metà nei confronti della Gran Bretagna. E una cifra due volte e mezzo inferiore perfino a quella incassata dal Belgio. Ma i 20 miliardi del 2010, anno nel quale l'economia europea e mondiale sembrava aver dato segni di ripresa, sono al di sotto anche della media degli investimenti esteri arrivati in Italia fra il 2000 e il 2007. Il che la dice lunga su quanto la situazione si sia ormai incancrenita.
Certo, abbiamo la palla al piede del Sud, dove in vaste zone i capitali stranieri sono frenati anche dal più potente dei dissuasori: la criminalità organizzata. Nel 2006, secondo la Svimez, tutte le Regioni meridionali non assorbivano che lo 0,66% degli investimenti esteri, contro il 68,21% della sola Lombardia. Regione nella quale, dice Invitalia, ci sono 4.433 imprese a partecipazione straniera, contro le 719 dell'intero Mezzogiorno. E se il numero delle aziende italiane nelle quali sono presenti azionisti esteri è aumentato rispetto al 2006 da 7.059 a 8.916, ciò è dovuto principalmente ad acquisizioni di società già esistenti, piuttosto che a nuove iniziative. Pesa il ritardo infrastrutturale. Se nel 1970 eravamo al terzo posto in Europa per dotazione autostradale in rapporto agli abitanti, ora siamo al quattordicesimo. Questo nonostante gli italiani vivano praticamente in automobile. Nel 1991 ce n'erano 501 ogni mille abitanti, nel 2010 eravamo arrivati a 606. Il top, a Roma: più di 700 auto ogni mille abitanti, oltre il doppio di Berlino, e in una città che ha 36 chilometri di metropolitana e 195 di ferrovie suburbane contro, rispettivamente, 145 e 2.811 chilometri della capitale tedesca.
L'Italia è stato il primo Paese europeo a sperimentare l'Alta velocità ferroviaria: la costruzione della direttissima Roma-Firenze è iniziata nel 1970, quando il Tgv francese era ancora nei sogni. Oggi stiamo faticosamente recuperando un gap mostruoso con il resto del Continente, considerando che la Spagna, dove nel 1970 c'era ancora la dittatura franchista, ha 3.230 chilometri di linee veloci, contro gli 876 dell'Italia. E a che prezzo, sta avvenendo quel recupero: 48,9 milioni di euro al chilometro, a fronte dei 10,2 milioni della Francia e dei 9,8 della Spagna. Ma il resto della rete ferroviaria? Conosciamo il calvario al quale sono sottoposti, purtroppo, molti pendolari. Secondo un'indagine dell'Istat il grado di soddisfazione del servizio è sceso fra il 1995 e il 2009 dal 58,6 al 47,2%, toccando il fondo in Calabria: 28,8%.
Mentre attraverso tutti i principali porti italiani, per i loro problemi strutturali, sono transitati nel 2009 meno container (9 milioni 321 mila teu, l'unità di misura del settore) che nel solo scalo olandese di Rotterdam (9 milioni 743 mila teu).
Per non dire dell'infrastruttura oggi più importante: la rete informatica. La classifica 2010 di netindex.com sulla velocità media delle connessioni internet collocava l'Italia al settantesimo posto nel mondo, dietro Georgia, Mongolia, Kazakistan, Thailandia, Turchia e Giamaica.
Ma sulla scarsa attrattività dell'Italia per gli investitori esteri pesa forse ancora di più la burocrazia. Per la Confartigianato rappresenta per le imprese un costo supplementare di 23 miliardi l'anno. Dati Cna e Confindustria ci dicono che per avviare un'attività in Italia sono necessari in media 68 adempimenti, con 19 uffici da contattare. Procedure, secondo il rapporto Doing business della Banca mondiale, che richiedono 62 giorni, contro i 36 della Grecia, i 53 della Francia, i 45 della Germania, i 16 dell'Irlanda, i quattro degli Stati Uniti e i due del Canada. Il che contribuisce a spiegare, almeno in parte, la cattiva reputazione dell'Italia in tema di libertà economica, ben rappresentata dal cinquantottesimo posto nella graduatoria stilata dalla Confindustria elaborando dati della Heritage foundation.
E questo è niente, rispetto al dramma della giustizia civile. Per risolvere un'inadempienza contrattuale davanti al giudice ci vogliono 1.210 giorni: più di tre anni. Il quadruplo del tempo necessario in Francia e il triplo rispetto alla Germania. Addirittura avvilente è il confronto con Paesi come Gran Bretagna, dove sono sufficienti 229 giorni, Svezia (208) o Danimarca (190).
Ancora più avvilente, e drammatica, è la faccenda dei pagamenti della Pubblica Amministrazione. Stato italiano ed enti locali onorano mediamente i propri impegni con i fornitori in 186 giorni, contro i 36 della Germania e i 30 stabiliti come termine tassativo da una direttiva dell'Unione europea. Chi viene pagato in sei mesi, però, può ancora ritenersi fortunato rispetto agli sventurati imprenditori che lavorano con la sanità pubblica: nelle Asl calabresi si arriva a tempi di attesa che sfiorano gli 800 giorni. E non esistono strumenti di autodifesa. Le norme in vigore impediscono di dare il via ad atti esecutivi nei confronti delle Regioni che hanno piani di rientro dal deficit sanitario.
Ci sarà dunque un motivo se nella classifica della competitività internazionale del World economic forum non andiamo oltre la quarantaseiesima posizione. In una situazione del genere non può neppure meravigliare che la corruzione dilaghi, come ha ricordato giusto qualche settimana fa il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino. Secondo i magistrati contabili è un macigno che pesa sui conti pubblici per 60 miliardi di euro l'anno. Ma quello che davvero brucia è il paragone con gli altri. Nel 2001 l'Italia era al ventinovesimo posto nella graduatoria di Transparency International della corruzione percepita. Ed era, già allora, messa peggio degli altri Paesi europei. La Germania, per esempio, era al ventesimo posto. Nel 2010 l'Italia è scesa al sessantasettesimo posto, mentre la Germania è risalita al quindicesimo. E anche gli altri partner continentali, pur avendo un pochino peggiorato il proprio ranking, sono ben distanti. Nel 2011, poi, un'altra piccola scivolata, al posto numero 69: quaranta posizioni più giù, e in soli dieci anni...
Sergio Rizzo
1 aprile 2012 | 14:51
http://www.corriere.it/economia/12_apri ... 8350.shtml
Trasporti costosi & Internet lento
Perché l'estero non investe in Italia
Determinanti anche durata dei processi e corruzione: dal 2001 al 2010 perse 38 posizioni nella graduatoria Transparency
ROMA - Racconta Rodrigo Bianchi che da due anni non riesce a mettere un mattone dell'asilo nido per le mamme impiegate nella fabbrica di Pomezia della Jonhson&Johnson medical, azienda di cui è presidente e che ne sopporterebbe interamente la spesa. Il motivo? «Esplorazioni archeologiche, problematiche amministrative... Vai a sapere...». Fa presente Nando Volpicelli, amministratore delegato di Schneider electric industrie Italia come le nostre infrastrutture siano in una condizione tale che il costo di trasporto per unità di prodotto dallo stabilimento di Rieti della multinazionale transalpina è «di due euro più caro rispetto al Sud della Francia». Aggiunge il suo collega della Procter & Gamble Italia, Sami Kahale, che da noi costa di più anche la pubblicità per il lancio di una novità: mediamente del 30% rispetto alla Gran Bretagna. E il presidente della Ericsson telecomunicazioni Italia, Cesare Avenia, conclude che «il problema dell'Italia non è tanto l'articolo 18 quanto la certezza del diritto, se si considera che ci sono imprese obbligate a reintegrare dopo cause durate anche sette anni dei dipendenti in posti di lavoro che non esistono più».
Tutto questo e altro ancora c'è in quel numero, 20 miliardi nel 2010 secondo l'Ice, che ci relega nelle posizioni di rincalzo della classifica dei Paesi destinatari degli investimenti esteri. Venti miliardi sono un terzo dei soldi che lo stesso anno sono andati in Francia o a Hong Kong. Un quinto rispetto alla Cina, meno della metà nei confronti della Gran Bretagna. E una cifra due volte e mezzo inferiore perfino a quella incassata dal Belgio. Ma i 20 miliardi del 2010, anno nel quale l'economia europea e mondiale sembrava aver dato segni di ripresa, sono al di sotto anche della media degli investimenti esteri arrivati in Italia fra il 2000 e il 2007. Il che la dice lunga su quanto la situazione si sia ormai incancrenita.
Certo, abbiamo la palla al piede del Sud, dove in vaste zone i capitali stranieri sono frenati anche dal più potente dei dissuasori: la criminalità organizzata. Nel 2006, secondo la Svimez, tutte le Regioni meridionali non assorbivano che lo 0,66% degli investimenti esteri, contro il 68,21% della sola Lombardia. Regione nella quale, dice Invitalia, ci sono 4.433 imprese a partecipazione straniera, contro le 719 dell'intero Mezzogiorno. E se il numero delle aziende italiane nelle quali sono presenti azionisti esteri è aumentato rispetto al 2006 da 7.059 a 8.916, ciò è dovuto principalmente ad acquisizioni di società già esistenti, piuttosto che a nuove iniziative. Pesa il ritardo infrastrutturale. Se nel 1970 eravamo al terzo posto in Europa per dotazione autostradale in rapporto agli abitanti, ora siamo al quattordicesimo. Questo nonostante gli italiani vivano praticamente in automobile. Nel 1991 ce n'erano 501 ogni mille abitanti, nel 2010 eravamo arrivati a 606. Il top, a Roma: più di 700 auto ogni mille abitanti, oltre il doppio di Berlino, e in una città che ha 36 chilometri di metropolitana e 195 di ferrovie suburbane contro, rispettivamente, 145 e 2.811 chilometri della capitale tedesca.
L'Italia è stato il primo Paese europeo a sperimentare l'Alta velocità ferroviaria: la costruzione della direttissima Roma-Firenze è iniziata nel 1970, quando il Tgv francese era ancora nei sogni. Oggi stiamo faticosamente recuperando un gap mostruoso con il resto del Continente, considerando che la Spagna, dove nel 1970 c'era ancora la dittatura franchista, ha 3.230 chilometri di linee veloci, contro gli 876 dell'Italia. E a che prezzo, sta avvenendo quel recupero: 48,9 milioni di euro al chilometro, a fronte dei 10,2 milioni della Francia e dei 9,8 della Spagna. Ma il resto della rete ferroviaria? Conosciamo il calvario al quale sono sottoposti, purtroppo, molti pendolari. Secondo un'indagine dell'Istat il grado di soddisfazione del servizio è sceso fra il 1995 e il 2009 dal 58,6 al 47,2%, toccando il fondo in Calabria: 28,8%.
Mentre attraverso tutti i principali porti italiani, per i loro problemi strutturali, sono transitati nel 2009 meno container (9 milioni 321 mila teu, l'unità di misura del settore) che nel solo scalo olandese di Rotterdam (9 milioni 743 mila teu).
Per non dire dell'infrastruttura oggi più importante: la rete informatica. La classifica 2010 di netindex.com sulla velocità media delle connessioni internet collocava l'Italia al settantesimo posto nel mondo, dietro Georgia, Mongolia, Kazakistan, Thailandia, Turchia e Giamaica.
Ma sulla scarsa attrattività dell'Italia per gli investitori esteri pesa forse ancora di più la burocrazia. Per la Confartigianato rappresenta per le imprese un costo supplementare di 23 miliardi l'anno. Dati Cna e Confindustria ci dicono che per avviare un'attività in Italia sono necessari in media 68 adempimenti, con 19 uffici da contattare. Procedure, secondo il rapporto Doing business della Banca mondiale, che richiedono 62 giorni, contro i 36 della Grecia, i 53 della Francia, i 45 della Germania, i 16 dell'Irlanda, i quattro degli Stati Uniti e i due del Canada. Il che contribuisce a spiegare, almeno in parte, la cattiva reputazione dell'Italia in tema di libertà economica, ben rappresentata dal cinquantottesimo posto nella graduatoria stilata dalla Confindustria elaborando dati della Heritage foundation.
E questo è niente, rispetto al dramma della giustizia civile. Per risolvere un'inadempienza contrattuale davanti al giudice ci vogliono 1.210 giorni: più di tre anni. Il quadruplo del tempo necessario in Francia e il triplo rispetto alla Germania. Addirittura avvilente è il confronto con Paesi come Gran Bretagna, dove sono sufficienti 229 giorni, Svezia (208) o Danimarca (190).
Ancora più avvilente, e drammatica, è la faccenda dei pagamenti della Pubblica Amministrazione. Stato italiano ed enti locali onorano mediamente i propri impegni con i fornitori in 186 giorni, contro i 36 della Germania e i 30 stabiliti come termine tassativo da una direttiva dell'Unione europea. Chi viene pagato in sei mesi, però, può ancora ritenersi fortunato rispetto agli sventurati imprenditori che lavorano con la sanità pubblica: nelle Asl calabresi si arriva a tempi di attesa che sfiorano gli 800 giorni. E non esistono strumenti di autodifesa. Le norme in vigore impediscono di dare il via ad atti esecutivi nei confronti delle Regioni che hanno piani di rientro dal deficit sanitario.
Ci sarà dunque un motivo se nella classifica della competitività internazionale del World economic forum non andiamo oltre la quarantaseiesima posizione. In una situazione del genere non può neppure meravigliare che la corruzione dilaghi, come ha ricordato giusto qualche settimana fa il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino. Secondo i magistrati contabili è un macigno che pesa sui conti pubblici per 60 miliardi di euro l'anno. Ma quello che davvero brucia è il paragone con gli altri. Nel 2001 l'Italia era al ventinovesimo posto nella graduatoria di Transparency International della corruzione percepita. Ed era, già allora, messa peggio degli altri Paesi europei. La Germania, per esempio, era al ventesimo posto. Nel 2010 l'Italia è scesa al sessantasettesimo posto, mentre la Germania è risalita al quindicesimo. E anche gli altri partner continentali, pur avendo un pochino peggiorato il proprio ranking, sono ben distanti. Nel 2011, poi, un'altra piccola scivolata, al posto numero 69: quaranta posizioni più giù, e in soli dieci anni...
Sergio Rizzo
1 aprile 2012 | 14:51
http://www.corriere.it/economia/12_apri ... 8350.shtml
Re: articolo 18
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 1921#p1921
La casa sta crollando e questi ancora pensano a come innaffiare il giardino.
IL COLLOQUIO
Mediazione di Bersani sull'articolo 18
"Cambiamolo insieme prima di maggio"
Parla il segretario del Pd: "La riforma va salvata: sì al reintegro. Ma io non sono agli ordini della Cgil. Ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Nel Paese c'è ansia"
di CLAUDIO TITO
"IO VEDO la possibilità di un punto di caduta condiviso in Parlamento e lo scenario di un incaponimento del governo non lo prendo nemmeno in considerazione". Sa che il dossier lavoro sta diventando il segno distintivo di questa legislatura. Ma soprattutto, per Pierluigi Bersani, è l'occasione affinché il governo Monti e questa "strana maggioranza" "non mandino all'aria una riforma rilevante".
"Una buona riforma - aggiunge Bersani - se si corregge qualche aspetto". Il segretario dei Democratici vuole aprire tutti possibili spiragli per evitare che il disegno di legge vada a impantanarsi nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama. È sicuro che "un'intesa sia vicina", basta ricorrere a un "pò di senso di equilibrio". Ed è pronto a mettere sul tavolo della trattativa alcune delle richieste del Pdl sulla "flessibilità in entrata": "soprattutto se si tratta di alleggerire un certo carico burocratico". Seduto sul divano della sua casa a Piacenza, più che dettare le condizioni segnala la mediazione possibile per un accordo. "E per approvare il testo in tempi rapidi. Almeno in un ramo del Parlamento vorrei chiudere la sostanza del problema anche prima del 6 maggio, prima delle amministrative. Non si può lasciare per aria questo tema per troppo tempo, nessuno ci guadagna a perdere giorni".
Il testo studiato dal ministro Fornero, però, non è stato ancora definito. Il via libera del consiglio dei ministro è stato solo "salvo intese". Un modo istituzionale per dire che va ancora approfondito e soprattutto elaborato. E infatti verrà depositato in settimana al Senato e alla Camera dopo l'ultimo vaglio da parte del premier. Che domattina discuterà proprio le ultime limature con la titolare del welfare e con il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.
Dopo il lungo tour in Asia, Mario Monti torna stasera in Italia. E sulla sua scrivania a Palazzo Chigi troverà un solo capitolo da affrontare con la massima urgenza: quello della riforma del lavoro. Un'impellenza che non si basa solo sulla necessità di mettere mano a un provvedimento atteso dalla comunità finanziaria internazionale, ma anche su quella di tenere unita la sua maggioranza.
Il nodo che al momento sembra inestricabile si stringe sempre più intorno all'articolo 18. Le parole magiche che i democratici ripetono sono vieppiù le stesse: "reintegro" e "sistema tedesco". "Ma non per lasciare le cose come stanno - spiega il leader Pd - . Anche io lo voglio cambiare, ma ci sono delle strade che renderebbero tutto più facile e soprattutto più comprensibile per il Paese". Il capo dei democratici sembra in primo luogo preoccupato che la sua posizione non venga interpretata come una battaglia "partitica": "Non voglio piantare bandierine, cerco una soluzione equilibrata. Avete visto le cose che ha detto il Cardinal Bagnasco? Mica anche lui sarà al seguito della Cgil... ".
Quindi, qualcosa che "si avvicina al modello vigente in Germania", e non esattamente la sua riproposizione, metterebbe in discesa la discussione. "Vedo - avverte Bersani - che alcuni meccanismi di instabilità finanziaria stanno tornando, l'Europa soffre perché i famosi mercati vedono l'avvitarsi della situazione nei meccanismi dell'austerità e non della crescita. Il nostro dovere, allora, è lanciare un segnale di solidità: dire che remiamo tutti dalla stessa parte". Nei mesi scorsi è stata compiuta già un'operazione - "quella sì epocale" - sulle pensioni. Adesso "abbiamo l'opportunità - se non vogliamo farci del male - di effettuare le stesse scelte sul lavoro con soluzioni che assomiglino ai modelli migliori, il tedesco e il danese". E a suo giudizio, "il messaggio al mondo sarebbe comunque positivo". In Europa, il paese in grado di investire il suo surplus nei nostri confini è la Germania. I tedeschi - è il ragionamento che si fa a Largo del Nazzareno - non potrebbero certo rifiutare il loro stesso metodo. Anzi, l'argomento più usato da Berlino è un altro: "Ci chiedono semmai di distruggere lo scoglio della corruzione".
Per Bersani dunque, la traccia di un'intesa è disegnabile rapidamente. Un patto "spendibile" anche all'estero come ha fatto in questi giorni il presidente del consiglio in Corea, Giappone e Cina. "Perché non è nemmeno accettabile il discorso secondo cui se c'è conflitto e scioperi, allora la riforma va bene. Noi dobbiamo chiarire ai nostri interlocutori internazionali che stiamo cambiando davvero e che lo facciamo tutti insieme. Che questa è l'Italia che si rinnova". E se Palazzo Chigi si rifiutasse di modificare il testo in questa direzione? "È uno scenario che nemmeno considero".
A suo giudizio, invece, Monti dovrebbe subito immaginare un percorso che reintroduca in modo diretto o indiretto il reintegro in caso di licenziamento non giustificato dalle motivazioni economiche. "Diamo al giudice - spiega - la possibilità di scegliere soltanto per quei casi tra due opzioni: il reintegro o l'indennizzo. Se ci fosse solo il reintegro, capirei, ma io immagino altro". Alfano, però, le fa notare che con i magistrati italiani l'opzione sarebbe unica: il reintegro. "Ma non è vero, perché spesso è il lavoratore a non volere tornare. Basta guardare le statistiche. E comunque ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Perché il problema esiste e non tocca solo le tute blu". Ad esempio, "si accorgono che la questione tocca anche il pubblico impiego". Non solo. Questa riforma rischia di creare uno "stato di ansia e di instabilità in tutti i cittadini. C'è qualcuno che può far finta di niente? Se una persona equilibrata e moderata come il presidente della Confagricoltura Mario Guidi ha detto sabato scorso che è doveroso tenere conto dell'ansia che c'è in giro, noi cosa facciamo? Ignoriamo?".
Certo, il testo del governo non è ancora pronto. Il premier intende trasmetterlo ai segretari della maggioranza nella giornata di domani. Solo da allora il confronto potrà essere più concreto. Bersani punta dunque ad un percorso velocizzato da qualche modifica: sull'articolo 18, ma anche sui cosiddetti "esodati". Un'intesa va trovata in Parlamento o il premier deve modificare prima il disegno di legge? "Una rapida ricognizione delle forze sociali, poi il governo e il Parlamento possono trovare la strada di un emendamento". Come è accaduto con tutti i decreti dell'esecutivo, anche i più urgenti come il Salva-Italia o le liberalizzazioni. Qualche correzione è intervenuta. "Se anche in questo caso si arriverà a qualcosa che assomiglia al modello tedesco, noi lo voteremo". E se ci fosse il niet della Cgil? "Noi abbiamo le nostre idee e non accetto da nessuno che si dica che siamo agli ordini del sindacato. Noi quel testo lo voteremo".
(02 aprile 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER1-1
La casa sta crollando e questi ancora pensano a come innaffiare il giardino.
IL COLLOQUIO
Mediazione di Bersani sull'articolo 18
"Cambiamolo insieme prima di maggio"
Parla il segretario del Pd: "La riforma va salvata: sì al reintegro. Ma io non sono agli ordini della Cgil. Ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Nel Paese c'è ansia"
di CLAUDIO TITO
"IO VEDO la possibilità di un punto di caduta condiviso in Parlamento e lo scenario di un incaponimento del governo non lo prendo nemmeno in considerazione". Sa che il dossier lavoro sta diventando il segno distintivo di questa legislatura. Ma soprattutto, per Pierluigi Bersani, è l'occasione affinché il governo Monti e questa "strana maggioranza" "non mandino all'aria una riforma rilevante".
"Una buona riforma - aggiunge Bersani - se si corregge qualche aspetto". Il segretario dei Democratici vuole aprire tutti possibili spiragli per evitare che il disegno di legge vada a impantanarsi nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama. È sicuro che "un'intesa sia vicina", basta ricorrere a un "pò di senso di equilibrio". Ed è pronto a mettere sul tavolo della trattativa alcune delle richieste del Pdl sulla "flessibilità in entrata": "soprattutto se si tratta di alleggerire un certo carico burocratico". Seduto sul divano della sua casa a Piacenza, più che dettare le condizioni segnala la mediazione possibile per un accordo. "E per approvare il testo in tempi rapidi. Almeno in un ramo del Parlamento vorrei chiudere la sostanza del problema anche prima del 6 maggio, prima delle amministrative. Non si può lasciare per aria questo tema per troppo tempo, nessuno ci guadagna a perdere giorni".
Il testo studiato dal ministro Fornero, però, non è stato ancora definito. Il via libera del consiglio dei ministro è stato solo "salvo intese". Un modo istituzionale per dire che va ancora approfondito e soprattutto elaborato. E infatti verrà depositato in settimana al Senato e alla Camera dopo l'ultimo vaglio da parte del premier. Che domattina discuterà proprio le ultime limature con la titolare del welfare e con il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.
Dopo il lungo tour in Asia, Mario Monti torna stasera in Italia. E sulla sua scrivania a Palazzo Chigi troverà un solo capitolo da affrontare con la massima urgenza: quello della riforma del lavoro. Un'impellenza che non si basa solo sulla necessità di mettere mano a un provvedimento atteso dalla comunità finanziaria internazionale, ma anche su quella di tenere unita la sua maggioranza.
Il nodo che al momento sembra inestricabile si stringe sempre più intorno all'articolo 18. Le parole magiche che i democratici ripetono sono vieppiù le stesse: "reintegro" e "sistema tedesco". "Ma non per lasciare le cose come stanno - spiega il leader Pd - . Anche io lo voglio cambiare, ma ci sono delle strade che renderebbero tutto più facile e soprattutto più comprensibile per il Paese". Il capo dei democratici sembra in primo luogo preoccupato che la sua posizione non venga interpretata come una battaglia "partitica": "Non voglio piantare bandierine, cerco una soluzione equilibrata. Avete visto le cose che ha detto il Cardinal Bagnasco? Mica anche lui sarà al seguito della Cgil... ".
Quindi, qualcosa che "si avvicina al modello vigente in Germania", e non esattamente la sua riproposizione, metterebbe in discesa la discussione. "Vedo - avverte Bersani - che alcuni meccanismi di instabilità finanziaria stanno tornando, l'Europa soffre perché i famosi mercati vedono l'avvitarsi della situazione nei meccanismi dell'austerità e non della crescita. Il nostro dovere, allora, è lanciare un segnale di solidità: dire che remiamo tutti dalla stessa parte". Nei mesi scorsi è stata compiuta già un'operazione - "quella sì epocale" - sulle pensioni. Adesso "abbiamo l'opportunità - se non vogliamo farci del male - di effettuare le stesse scelte sul lavoro con soluzioni che assomiglino ai modelli migliori, il tedesco e il danese". E a suo giudizio, "il messaggio al mondo sarebbe comunque positivo". In Europa, il paese in grado di investire il suo surplus nei nostri confini è la Germania. I tedeschi - è il ragionamento che si fa a Largo del Nazzareno - non potrebbero certo rifiutare il loro stesso metodo. Anzi, l'argomento più usato da Berlino è un altro: "Ci chiedono semmai di distruggere lo scoglio della corruzione".
Per Bersani dunque, la traccia di un'intesa è disegnabile rapidamente. Un patto "spendibile" anche all'estero come ha fatto in questi giorni il presidente del consiglio in Corea, Giappone e Cina. "Perché non è nemmeno accettabile il discorso secondo cui se c'è conflitto e scioperi, allora la riforma va bene. Noi dobbiamo chiarire ai nostri interlocutori internazionali che stiamo cambiando davvero e che lo facciamo tutti insieme. Che questa è l'Italia che si rinnova". E se Palazzo Chigi si rifiutasse di modificare il testo in questa direzione? "È uno scenario che nemmeno considero".
A suo giudizio, invece, Monti dovrebbe subito immaginare un percorso che reintroduca in modo diretto o indiretto il reintegro in caso di licenziamento non giustificato dalle motivazioni economiche. "Diamo al giudice - spiega - la possibilità di scegliere soltanto per quei casi tra due opzioni: il reintegro o l'indennizzo. Se ci fosse solo il reintegro, capirei, ma io immagino altro". Alfano, però, le fa notare che con i magistrati italiani l'opzione sarebbe unica: il reintegro. "Ma non è vero, perché spesso è il lavoratore a non volere tornare. Basta guardare le statistiche. E comunque ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Perché il problema esiste e non tocca solo le tute blu". Ad esempio, "si accorgono che la questione tocca anche il pubblico impiego". Non solo. Questa riforma rischia di creare uno "stato di ansia e di instabilità in tutti i cittadini. C'è qualcuno che può far finta di niente? Se una persona equilibrata e moderata come il presidente della Confagricoltura Mario Guidi ha detto sabato scorso che è doveroso tenere conto dell'ansia che c'è in giro, noi cosa facciamo? Ignoriamo?".
Certo, il testo del governo non è ancora pronto. Il premier intende trasmetterlo ai segretari della maggioranza nella giornata di domani. Solo da allora il confronto potrà essere più concreto. Bersani punta dunque ad un percorso velocizzato da qualche modifica: sull'articolo 18, ma anche sui cosiddetti "esodati". Un'intesa va trovata in Parlamento o il premier deve modificare prima il disegno di legge? "Una rapida ricognizione delle forze sociali, poi il governo e il Parlamento possono trovare la strada di un emendamento". Come è accaduto con tutti i decreti dell'esecutivo, anche i più urgenti come il Salva-Italia o le liberalizzazioni. Qualche correzione è intervenuta. "Se anche in questo caso si arriverà a qualcosa che assomiglia al modello tedesco, noi lo voteremo". E se ci fosse il niet della Cgil? "Noi abbiamo le nostre idee e non accetto da nessuno che si dica che siamo agli ordini del sindacato. Noi quel testo lo voteremo".
(02 aprile 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER1-1
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Re: articolo 18
...omissis... il Segretario Generale CGIL,
intervenendo al Congresso UGL,
ha ribadito che non è più tempo di annunci ma occorre agire subito per ridurre le tasse su lavoratori e pensionati.
"Da tempo sentiamo parlare di delega fiscale
- ha detto Camusso -
ci aspettiamo che al ritorno del presidente Monti si vari una delega fiscale che abbia al centro la riduzione delle tasse su lavoratori e pensionati e riduca il cuneo fiscale per rilanciare l'economia perché si deve iniziare a chiedere di pagare a chi ha pagato poco o non ha pagato nulla.
Abbiamo studiato abbastanza,
anche se non siamo professori,
per non sapere che una riforma del mercato del lavoro non crea posti di lavoro".
Il Segretario è tornato ovviamente anche sul tema caldo dell'articolo 18.
"Il governo sia coerente.
Se dice che non è una riforma contro il lavoro allora riconosca che ad ogni licenziamento illegittimo corrisponda il reintegro.
Non c'è bisogno di altri ragionamenti".
http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=18778
intervenendo al Congresso UGL,
ha ribadito che non è più tempo di annunci ma occorre agire subito per ridurre le tasse su lavoratori e pensionati.
"Da tempo sentiamo parlare di delega fiscale
- ha detto Camusso -
ci aspettiamo che al ritorno del presidente Monti si vari una delega fiscale che abbia al centro la riduzione delle tasse su lavoratori e pensionati e riduca il cuneo fiscale per rilanciare l'economia perché si deve iniziare a chiedere di pagare a chi ha pagato poco o non ha pagato nulla.
Abbiamo studiato abbastanza,
anche se non siamo professori,
per non sapere che una riforma del mercato del lavoro non crea posti di lavoro".
Il Segretario è tornato ovviamente anche sul tema caldo dell'articolo 18.
"Il governo sia coerente.
Se dice che non è una riforma contro il lavoro allora riconosca che ad ogni licenziamento illegittimo corrisponda il reintegro.
Non c'è bisogno di altri ragionamenti".
http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=18778
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Re: articolo 18
Sulla faccenda degli esodati...
Il problema non è solo che ci sia urgenza di metterci una pezza (urgenza che "piangina" pare non avere, figuriamoci, e intanto la figliola ha ancora il doppio lavoro).
E' anche che si sia arrivati a una cosa del genere. Dei tecnici, che si dicono competenti, come hanno potuto provocare un casino del genere?
Non ci hanno pensato?
Ci hanno pensato e se ne sono fregati?
E' una cosa di una gravità unica ma NESSUNO si dimette...
Il problema non è solo che ci sia urgenza di metterci una pezza (urgenza che "piangina" pare non avere, figuriamoci, e intanto la figliola ha ancora il doppio lavoro).
E' anche che si sia arrivati a una cosa del genere. Dei tecnici, che si dicono competenti, come hanno potuto provocare un casino del genere?
Non ci hanno pensato?
Ci hanno pensato e se ne sono fregati?
E' una cosa di una gravità unica ma NESSUNO si dimette...
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: articolo 18
Tutte le cose che il governo precedente aveva messo in cantiere, quelle non le hanno toccate anche se dovevano a divenire in seguito.
Invece con la riforma delle pensioni se ne sono fregati di quello che poteva succedere.
Insomma prima avevamo uno che diceva :non metto le mani in tasca ai cittadini.Monti invece parla di equità? quale?fino ad ora ho visto solo tasse.
Come ormai tutti hanno capito.Questo è un governo dei banchieri che pensa solamente a salvare le banche.
La BCE distribuisce soldi alle banche al 1%.Loro dovrebbero aiutare la crescita delle aziende con prestiti.Invece li investono in Bot e le aziende chiudono.
Meglio che questo governo tolga quanto prima il disturbo.
Ciao
Paolo11
Invece con la riforma delle pensioni se ne sono fregati di quello che poteva succedere.
Insomma prima avevamo uno che diceva :non metto le mani in tasca ai cittadini.Monti invece parla di equità? quale?fino ad ora ho visto solo tasse.
Come ormai tutti hanno capito.Questo è un governo dei banchieri che pensa solamente a salvare le banche.
La BCE distribuisce soldi alle banche al 1%.Loro dovrebbero aiutare la crescita delle aziende con prestiti.Invece li investono in Bot e le aziende chiudono.
Meglio che questo governo tolga quanto prima il disturbo.
Ciao
Paolo11
Re: articolo 18
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di Furio Colombo | 2 aprile 2012 Commenti (86)
Il lavoro brucia e Monti che fa?
Nessuno paga nessuno. È un ordine, un disordine o un errore clamoroso? I fornitori non vengono pagati dallo Stato, le aziende non pagano le aziende, tutte le ragioni, legittime o illegittime, necessarie o illegali, sono buone per non pagare i lavoratori. Molte persone, garantite fino a un momento fa da un buon sistema pubblico di previdenza, che non risulta abolito, restano senza lavoro e senza pensione, in un limbo che dà le vertigini. E porta brutti consigli, come in un incubo. Compare un fenomeno già conosciuto nel mondo industriale avanzato, ma ignoto finora in Italia, il suicidio da lavoro. È un buco nero nel quale scivolano soprattutto coloro che avevano trasformato un piccolo lavoro in una piccola impresa, e per un po’ avevano creduto di avercela fatta. Al bordo del coma o della bara si vedono famiglie vere, mogli-compagne, figli travolti, come se tutti fossero saltati su una mina.
Non avevamo calcolato, nel dare il benvenuto a un dignitoso “dopo Berlusconi”, che interi campi minati erano stati lasciati da due decenni di diretta o indiretta egemonia di tre governi berlusconiani corrotti e inetti e per giunta molto attivi come guastatori della Repubblica. E non avevamo previsto, perché anche il legittimo senso di festa fa i suoi danni, il tracciato inedito e sorprendente della nuova ferrovia Monti-Fornero. Corre parallela al Paese, ma non dentro il Paese. La sua locomotiva lancia fischi lontani che non segnalano nulla a noi. Sono fischi del treno per chi sta sul treno. I cittadini sanno (pensano) che il treno venga da altrove e vada altrove. A noi lascia solo il rumore del pesante passaggio. Dopo un po’, però, notano delle coincidenze inquietanti. A ogni fischio (o annuncio) segue la perdita di qualcosa, un po’ di pensione o tutta la pensione, un po’ di lavoro o tutto il lavoro, un po ‘ di sicurezza, o tutta la sicurezza. Sacrifici strani (perché totalmente imprevisti) in cambio di niente, o questa è la percezione. La percezione conta. È così forte che alcuni decidono addirittura di farla finita. Ma bisogna stare attenti al grado di disperazione che si cova. I “tecnici” sembrano non avere calcolato che, fra malintesi e vuoto di contatti, cittadini e partiti politici restano legati tra loro dal continuare a risiedere sullo stesso luogo, dunque sono vicini, persino quando i rapporti si fanno conflittuali. In altre parole, sai sempre dove andare per farti sentire, o per rovesciare il tavolo. Invece i “tecnici” non li trova nessuno, perché non sono di questa terra (nel senso di terra della politica e della protesta). Magari è vero che, nel loro breve passaggio riusciranno a riparare qualcuno dei danni spaventosi provocati alla Repubblica dai suoi precedenti governanti e relativa, incosciente maggioranza. Ma persino in questo caso fortunato, nel quale intensamente continuiamo a sperare, è impossibile non vedere alcuni fatti che sono, o sembrano a molti di noi, e a molti cittadini, errori strani, come quando Monti dice: “Noi godiamo di consenso, i partiti no”. La frase è come una formula magica, e lo ha già sperimentato il predecessore, che spiace persino ricordare. Nell’istante in cui dici che sei il preferito, rompi l’incanto (se c’è), e smetti di esserlo.
Ma pesa anche l’infelice idea di impegnare tutto il peso di un governo così nuovo, sulla cosiddetta “riforma del lavoro”, dunque gettandosi tutti insieme, con forza (governo, padronato, vecchia maggioranza letale, destra economica, commentatori opportunisti) sul lato debole (il lavoro) della precaria vita industriale italiana. Si è preferito – senza spiegare – il vecchio percorso di punire il lavoro, restringendo il più possibile (come se fossero la causa della gravissima crisi finanziaria che il mondo industriale sta attraversando), alcune garanzie importanti per i lavoratori, conquistate faticosamente attraverso i decenni. Si è giunti a un punto di superstiziosa repulsione verso l’articolo 18 facendone una sorta di Eluana Englaro della “riforma del lavoro”. Tutto ciò nel Paese che avrebbe urgente necessità di una riforma dell’impresa, dal diritto al credito al dovere di trasparenza di ogni decisione (esempio: delocalizzazione e improvvise chiusure di fabbriche) che tocca la comunità in cui vive, e di cui vive, l’impresa. Il percorso si complica con un’altra frase inadatta a stabilire un contatto con i cittadini: “Se il Paese non è pronto…” segue la minaccia che è ingiusta. Colpisce la fatica, il malessere ma anche l’incomprensione. Poiché l’incomprensione è reciproca, tocca alla parte forte dire, con cautela e pazienza, prima che le ondate di suicidio si espandano: “Forse non mi sono spiegato”. Posso proporlo ai professori? Posso chiedere loro di spiegare bene, anche a se stessi, ciò che stanno facendo e che intendono fare?
Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2012
di Furio Colombo | 2 aprile 2012 Commenti (86)
Il lavoro brucia e Monti che fa?
Nessuno paga nessuno. È un ordine, un disordine o un errore clamoroso? I fornitori non vengono pagati dallo Stato, le aziende non pagano le aziende, tutte le ragioni, legittime o illegittime, necessarie o illegali, sono buone per non pagare i lavoratori. Molte persone, garantite fino a un momento fa da un buon sistema pubblico di previdenza, che non risulta abolito, restano senza lavoro e senza pensione, in un limbo che dà le vertigini. E porta brutti consigli, come in un incubo. Compare un fenomeno già conosciuto nel mondo industriale avanzato, ma ignoto finora in Italia, il suicidio da lavoro. È un buco nero nel quale scivolano soprattutto coloro che avevano trasformato un piccolo lavoro in una piccola impresa, e per un po’ avevano creduto di avercela fatta. Al bordo del coma o della bara si vedono famiglie vere, mogli-compagne, figli travolti, come se tutti fossero saltati su una mina.
Non avevamo calcolato, nel dare il benvenuto a un dignitoso “dopo Berlusconi”, che interi campi minati erano stati lasciati da due decenni di diretta o indiretta egemonia di tre governi berlusconiani corrotti e inetti e per giunta molto attivi come guastatori della Repubblica. E non avevamo previsto, perché anche il legittimo senso di festa fa i suoi danni, il tracciato inedito e sorprendente della nuova ferrovia Monti-Fornero. Corre parallela al Paese, ma non dentro il Paese. La sua locomotiva lancia fischi lontani che non segnalano nulla a noi. Sono fischi del treno per chi sta sul treno. I cittadini sanno (pensano) che il treno venga da altrove e vada altrove. A noi lascia solo il rumore del pesante passaggio. Dopo un po’, però, notano delle coincidenze inquietanti. A ogni fischio (o annuncio) segue la perdita di qualcosa, un po’ di pensione o tutta la pensione, un po’ di lavoro o tutto il lavoro, un po ‘ di sicurezza, o tutta la sicurezza. Sacrifici strani (perché totalmente imprevisti) in cambio di niente, o questa è la percezione. La percezione conta. È così forte che alcuni decidono addirittura di farla finita. Ma bisogna stare attenti al grado di disperazione che si cova. I “tecnici” sembrano non avere calcolato che, fra malintesi e vuoto di contatti, cittadini e partiti politici restano legati tra loro dal continuare a risiedere sullo stesso luogo, dunque sono vicini, persino quando i rapporti si fanno conflittuali. In altre parole, sai sempre dove andare per farti sentire, o per rovesciare il tavolo. Invece i “tecnici” non li trova nessuno, perché non sono di questa terra (nel senso di terra della politica e della protesta). Magari è vero che, nel loro breve passaggio riusciranno a riparare qualcuno dei danni spaventosi provocati alla Repubblica dai suoi precedenti governanti e relativa, incosciente maggioranza. Ma persino in questo caso fortunato, nel quale intensamente continuiamo a sperare, è impossibile non vedere alcuni fatti che sono, o sembrano a molti di noi, e a molti cittadini, errori strani, come quando Monti dice: “Noi godiamo di consenso, i partiti no”. La frase è come una formula magica, e lo ha già sperimentato il predecessore, che spiace persino ricordare. Nell’istante in cui dici che sei il preferito, rompi l’incanto (se c’è), e smetti di esserlo.
Ma pesa anche l’infelice idea di impegnare tutto il peso di un governo così nuovo, sulla cosiddetta “riforma del lavoro”, dunque gettandosi tutti insieme, con forza (governo, padronato, vecchia maggioranza letale, destra economica, commentatori opportunisti) sul lato debole (il lavoro) della precaria vita industriale italiana. Si è preferito – senza spiegare – il vecchio percorso di punire il lavoro, restringendo il più possibile (come se fossero la causa della gravissima crisi finanziaria che il mondo industriale sta attraversando), alcune garanzie importanti per i lavoratori, conquistate faticosamente attraverso i decenni. Si è giunti a un punto di superstiziosa repulsione verso l’articolo 18 facendone una sorta di Eluana Englaro della “riforma del lavoro”. Tutto ciò nel Paese che avrebbe urgente necessità di una riforma dell’impresa, dal diritto al credito al dovere di trasparenza di ogni decisione (esempio: delocalizzazione e improvvise chiusure di fabbriche) che tocca la comunità in cui vive, e di cui vive, l’impresa. Il percorso si complica con un’altra frase inadatta a stabilire un contatto con i cittadini: “Se il Paese non è pronto…” segue la minaccia che è ingiusta. Colpisce la fatica, il malessere ma anche l’incomprensione. Poiché l’incomprensione è reciproca, tocca alla parte forte dire, con cautela e pazienza, prima che le ondate di suicidio si espandano: “Forse non mi sono spiegato”. Posso proporlo ai professori? Posso chiedere loro di spiegare bene, anche a se stessi, ciò che stanno facendo e che intendono fare?
Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2012
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Re: articolo 18
Ottimo articolo.
Ciao
Paolo11
Ciao
Paolo11
Re: articolo 18
il governo, a questo punto , dovrebbe venire incontro agli esodati, potrebbe ad esempio esonerarli dalla riforma tout court ( per loro varrebbe il vecchio sistema) non penso che siano talmente tanti da inficiare la manovra.
per il credito alle imprese potrebbe obbligare le banche che hanno ricevuto l'ossigeno europeo a fare credito ( ad interessi bassi ) alle imprese che vantano crediti dalla pubblica amministrazione.
il consenso ce l'hanno perchè la gente non li ritiene dei ladri farabutti che operano scelte dirette a loro personale vantaggio ( e perchè l'alternativa continua ad essere nebulosa ) , ma certamente se non viene impressa una direzione chiara alla crescita il "consenso" in termini di gradimento non esiste .
per il credito alle imprese potrebbe obbligare le banche che hanno ricevuto l'ossigeno europeo a fare credito ( ad interessi bassi ) alle imprese che vantano crediti dalla pubblica amministrazione.
il consenso ce l'hanno perchè la gente non li ritiene dei ladri farabutti che operano scelte dirette a loro personale vantaggio ( e perchè l'alternativa continua ad essere nebulosa ) , ma certamente se non viene impressa una direzione chiara alla crescita il "consenso" in termini di gradimento non esiste .
Re: articolo 18
4-5 anni di pensione per 300.000 "esodati" (che brutto termine, e pensare che anche io sono stato uno di loro ) fanno circa 20 miliardi, una quarantina di F35.Amadeus ha scritto:il governo, a questo punto , dovrebbe venire incontro agli esodati, potrebbe ad esempio esonerarli dalla riforma tout court ( per loro varrebbe il vecchio sistema) non penso che siano talmente tanti da inficiare la manovra.
per il credito alle imprese potrebbe obbligare le banche che hanno ricevuto l'ossigeno europeo a fare credito ( ad interessi bassi ) alle imprese che vantano crediti dalla pubblica amministrazione.
il consenso ce l'hanno perchè la gente non li ritiene dei ladri farabutti che operano scelte dirette a loro personale vantaggio ( e perchè l'alternativa continua ad essere nebulosa ) , ma certamente se non viene impressa una direzione chiara alla crescita il "consenso" in termini di gradimento non esiste .
Sul credito alle banche mi pare che la maggiore colpevole sia la BCE. Occorreva infatti, invece di dare questo fiume di denaro alle banche, creare un fondo dal quale attingere a fronte delle pratiche di finanziamento alle imprese. Il problema evidentemente è che si è pensato più al bilancio delle banche che al credito alle imprese.
Probabilmente non sono dei ladri farabutti come quelli di prima, ma in questi ultimi tempi, almeno nella comunicazione, stanno venendo fuori inquietanti somiglianze (vedi la sortita di Polillo).
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