Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
Uscire dall'euro o "più Europa"? La soluzione non è tecnica ma politica
24 Luglio 2012 17:53 Italia - Economia
di Domenico Moro per Marx21.it
Con l’inasprirsi della “crisi dell’euro” a sinistra si delineano due posizioni contrapposte, spingere per avere “più Europa” oppure abbandonare l’euro.
“Più Europa” equivale a sottrarre il controllo dei bilanci statali e delle leggi finanziarie ai parlamenti nazionali, unica istanza minimamente democratica in Europa. In questo contesto, “più Europa” vuol dire dominio della “tecnica”, cioè della burocrazia europea (BCE e Commissione Europea), apparentemente neutrale, in realtà subordinata al capitale monopolistico europeo. Come ha detto Monti, la democrazia è una forma di governo incapace di guardare al lungo periodo, vale a dire alle necessità dell’accumulazione del capitale. La soluzione, quindi, è aggirare il livello nazionale. L’Unione europea è stata il grimaldello con cui forzare la resistenza dei movimenti operai nazionali. Ora, la crisi dell’euro è l’arma per accelerare sulle trasformazioni tese al mantenimento di alti livelli di profitto mediante l’attacco al salario e al welfare.
L’euro in sé c’entra solo secondariamente con la crisi in atto, che è una derivata della sovraccumulazione di capitale e del calo del saggio di profitto, che generano conflitti tra area del dollaro ed area dell’euro, nonché squilibri interni all’area dell’euro, dove l’eccesso di capacità produttiva tedesca schiaccia gli altri Paesi. Anche la questione dell’aumento del divario dei rendimenti dei titoli tra i vari stati non è nata con la Bce e l’euro. Già nell’81 in Italia venne abolito l’obbligo per la Banca d’Italia di garantire il collocamento del debito pubblico, allo scopo di bloccare la crescita dei salari attraverso la scala mobile. Da quel momento, il debito italiano crebbe molto più che nel resto d’Europa a causa della abnorme crescita degli interessi, invece che della spesa della P.A., rimasta al di sotto o intorno ai livelli medi Ue.
L’uscita dall’euro, invece, avverrebbe in un contesto in cui lo Stato, sempre più espressione diretta del grande capitale monopolistico, ha rinunciato al controllo della moneta, della finanza e del commercio estero. In questo contesto, un ritorno alla lira realizzerebbe un trasferimento di ricchezza in poche mani ben più imponente che nel passaggio dalla lira all’euro. Il ritorno alla valuta nazionale porterebbe alla riduzione del potere d’acquisto dei salari e alla svalutazione del risparmio delle famiglie dei lavoratori, già penalizzate dal calo dei salari reali e dalla disoccupazione. La capitalizzazione di borsa delle aziende crollerebbe, rendendole oggetto di scalate da parte di multinazionali a base estera, mentre la percezione di un ritorno alla valuta nazionale scatenerebbe fughe di capitali verso l’estero. Ugualmente da prendere con le molle sarebbe un default. Il fallimento porterebbe alla impossibilità, per un tempo indeterminato, di emettere titoli di stato negoziabili sui mercati internazionali, facendo gravare ancor di più il finanziamento pubblico all’interno e quindi sui lavoratori. Senza contare che il mancato pagamento del debito verrebbe a gravare su molte di queste, in quanto detentrici di titoli di stato.
Per trovare una soluzione ad una situazione che sembrerebbe senza uscita, alcuni economisti propongono posizioni “neoprotezioniste”, allo scopo di esercitare pressioni sulla Germania, minacciando l’uscita anche dal mercato comune. In aggiunta, in caso di uscita dall’euro, vengono prospettati meccanismi che controllino le fughe di capitale e difendano il potere d’acquisto, dall’indicizzazione dei salari alla introduzione di prezzi amministrati per certi prodotti “base”. Se, però, l’uscita dall’euro pone dei problemi, anche l’uscita dalla Ue di Paesi fortemente interdipendenti e integrati non sarebbe meno complicata. Quanto ai meccanismi di indicizzazione, questi sarebbero stati necessari anche negli ultimi dieci anni e, se non si è riusciti a reintrodurli fino ad ora, non si capisce perché ci si dovrebbe riuscire oggi. Il limite di queste come di altre proposte risiede, infatti, nella difficoltà a definire chi e come dovrebbe metterle in pratica. La soluzione alla crisi non un fatto tecnico, ma politico. Non può, quindi, prescindere dalla modifica dei rapporti di forza fra le classi. Soprattutto in una situazione in cui lo Stato è controllato dal grande capitale. La soluzione non può che basarsi su una chiara politica di classe, tesa a modificare il contesto economico e politico. La domanda da fare non è se stare o non stare nell’euro, ma come la classe lavoratrice italiana ed europea può incidere sui processi di trasformazione delle modalità di accumulazione, e, quindi, su quelli di unità europea.
Il problema è che fino ad ora, specialmente in Italia, tale questione è stata quasi del tutto ignorata. La quasi maggioranza dei gruppi dirigenti politici e sindacali di sinistra hanno visto l’unione europea e l’euro come fatti di per sé positivi. Tale atteggiamento, che ha disarmato il movimento operaio e i partiti della sinistra, ha tratto origine non solo dalla errata concezione che un mercato unito e liberalizzato sarebbe stato vantaggioso per tutti, ma anche da una tradizione di pensiero “universalistica”, molto diffusa tra i cattolici come tra la sinistra anche comunista, che ha assecondato l’unità europea, considerata progressiva, in chiave di superamento della dimensione nazionale, considerata arretrata. Opposta all’impostazione filo-europeista è la recente concezione “patriottico-sociale”, che identifica l’attacco alla classe operaia come attacco allo Stato nazionale, visto come la cornice entro la quale la classe operaia ha ottenuto le sue passate vittorie e, quindi, come l’unico terreno sul quale ci si possa difendere. Entrambe queste due posizioni fanno un errore speculare, assolutizzando un solo aspetto, sicuramente reale, di una realtà fatta però di tendenze contraddittorie. Il punto è capire qual è quella principale e su quale i lavoratori devono fare leva.
Un conto, dunque, è assecondare il movimento del capitale, un altro conto è partire dal movimento oggettivo della realtà, inserendosi in esso per allargarne le contraddizioni, sviluppare lotte e costruire organizzazione. Il movimento della realtà ha irrimediabilmente trasformato il terreno su cui si svolge lo scontro di classe. Questo, oggi, pur dovendo partire da radicamento e specificità locali, non può avere successo se si svolge solo su un piano nazionale, bensì deve svilupparsi su un terreno europeo. Il livello di interdipendenza tra i sistemi sociali ed economici in Europa e il carattere continentale dell’attacco ai lavoratori tende ad aumentare l’omogeneità della classe lavoratrice a livello europeo, costituendo così la base materiale di un nuovo internazionalismo.
Parlare di internazionalismo è, però, un puro esercizio retorico se non si sciolgono alcuni nodi politici, a partire dal livello nazionale.
Il nodo principale è che oggi i rapporti tra le classi sono contraddistinti da un fattore nuovo, ovvero dal rifiuto, da parte del settore dominante del capitale, del patto sociale tra classi. Ne risulta compromessa, quindi, la “democrazia pluralistica”, in cui i rappresentanti delle varie classi erano disponibili al compromesso, sotto l’egida dello Stato, nella camera di compensazione del Parlamento. In questo quadro, bisogna avere proposte precise, dalla ripresa dell’intervento statale in economia, alla nazionalizzazione delle banche, alla riforma in senso progressivo del fisco, alla introduzione di una legislazione europea antispeculativa, fino alla modifica del ruolo della Bce piuttosto che della Banca d’Italia come garanti del collocamento dei titoli pubblici. Ma ciò non basta, il punto principale è come dare corpo politico a queste proposte. Per farlo non si può continuare con i vecchi metodi politici, ma bisogna recuperare l’autonomia di classe, a livello ideologico e politico, in cui sia il conflitto a riprendere la sua centralità. Non, però, conflitti slegati e su temi specifici, come quelli che spesso si producono nel nostro Paese, bensì un conflitto generale, cioè finalizzato al potere politico. Solo sulla base di una costante pratica autonoma, con un profilo programmatico definito e un posizionamento politico forte, rispetto alle altre classi e agli altri partiti, è possibile intraprendere il lungo e difficile percorso della ricomposizione dei differenti settori e delle varie nazionalità che compongono il lavoro salariato in Italia ed in Europa.
24 Luglio 2012 17:53 Italia - Economia
di Domenico Moro per Marx21.it
Con l’inasprirsi della “crisi dell’euro” a sinistra si delineano due posizioni contrapposte, spingere per avere “più Europa” oppure abbandonare l’euro.
“Più Europa” equivale a sottrarre il controllo dei bilanci statali e delle leggi finanziarie ai parlamenti nazionali, unica istanza minimamente democratica in Europa. In questo contesto, “più Europa” vuol dire dominio della “tecnica”, cioè della burocrazia europea (BCE e Commissione Europea), apparentemente neutrale, in realtà subordinata al capitale monopolistico europeo. Come ha detto Monti, la democrazia è una forma di governo incapace di guardare al lungo periodo, vale a dire alle necessità dell’accumulazione del capitale. La soluzione, quindi, è aggirare il livello nazionale. L’Unione europea è stata il grimaldello con cui forzare la resistenza dei movimenti operai nazionali. Ora, la crisi dell’euro è l’arma per accelerare sulle trasformazioni tese al mantenimento di alti livelli di profitto mediante l’attacco al salario e al welfare.
L’euro in sé c’entra solo secondariamente con la crisi in atto, che è una derivata della sovraccumulazione di capitale e del calo del saggio di profitto, che generano conflitti tra area del dollaro ed area dell’euro, nonché squilibri interni all’area dell’euro, dove l’eccesso di capacità produttiva tedesca schiaccia gli altri Paesi. Anche la questione dell’aumento del divario dei rendimenti dei titoli tra i vari stati non è nata con la Bce e l’euro. Già nell’81 in Italia venne abolito l’obbligo per la Banca d’Italia di garantire il collocamento del debito pubblico, allo scopo di bloccare la crescita dei salari attraverso la scala mobile. Da quel momento, il debito italiano crebbe molto più che nel resto d’Europa a causa della abnorme crescita degli interessi, invece che della spesa della P.A., rimasta al di sotto o intorno ai livelli medi Ue.
L’uscita dall’euro, invece, avverrebbe in un contesto in cui lo Stato, sempre più espressione diretta del grande capitale monopolistico, ha rinunciato al controllo della moneta, della finanza e del commercio estero. In questo contesto, un ritorno alla lira realizzerebbe un trasferimento di ricchezza in poche mani ben più imponente che nel passaggio dalla lira all’euro. Il ritorno alla valuta nazionale porterebbe alla riduzione del potere d’acquisto dei salari e alla svalutazione del risparmio delle famiglie dei lavoratori, già penalizzate dal calo dei salari reali e dalla disoccupazione. La capitalizzazione di borsa delle aziende crollerebbe, rendendole oggetto di scalate da parte di multinazionali a base estera, mentre la percezione di un ritorno alla valuta nazionale scatenerebbe fughe di capitali verso l’estero. Ugualmente da prendere con le molle sarebbe un default. Il fallimento porterebbe alla impossibilità, per un tempo indeterminato, di emettere titoli di stato negoziabili sui mercati internazionali, facendo gravare ancor di più il finanziamento pubblico all’interno e quindi sui lavoratori. Senza contare che il mancato pagamento del debito verrebbe a gravare su molte di queste, in quanto detentrici di titoli di stato.
Per trovare una soluzione ad una situazione che sembrerebbe senza uscita, alcuni economisti propongono posizioni “neoprotezioniste”, allo scopo di esercitare pressioni sulla Germania, minacciando l’uscita anche dal mercato comune. In aggiunta, in caso di uscita dall’euro, vengono prospettati meccanismi che controllino le fughe di capitale e difendano il potere d’acquisto, dall’indicizzazione dei salari alla introduzione di prezzi amministrati per certi prodotti “base”. Se, però, l’uscita dall’euro pone dei problemi, anche l’uscita dalla Ue di Paesi fortemente interdipendenti e integrati non sarebbe meno complicata. Quanto ai meccanismi di indicizzazione, questi sarebbero stati necessari anche negli ultimi dieci anni e, se non si è riusciti a reintrodurli fino ad ora, non si capisce perché ci si dovrebbe riuscire oggi. Il limite di queste come di altre proposte risiede, infatti, nella difficoltà a definire chi e come dovrebbe metterle in pratica. La soluzione alla crisi non un fatto tecnico, ma politico. Non può, quindi, prescindere dalla modifica dei rapporti di forza fra le classi. Soprattutto in una situazione in cui lo Stato è controllato dal grande capitale. La soluzione non può che basarsi su una chiara politica di classe, tesa a modificare il contesto economico e politico. La domanda da fare non è se stare o non stare nell’euro, ma come la classe lavoratrice italiana ed europea può incidere sui processi di trasformazione delle modalità di accumulazione, e, quindi, su quelli di unità europea.
Il problema è che fino ad ora, specialmente in Italia, tale questione è stata quasi del tutto ignorata. La quasi maggioranza dei gruppi dirigenti politici e sindacali di sinistra hanno visto l’unione europea e l’euro come fatti di per sé positivi. Tale atteggiamento, che ha disarmato il movimento operaio e i partiti della sinistra, ha tratto origine non solo dalla errata concezione che un mercato unito e liberalizzato sarebbe stato vantaggioso per tutti, ma anche da una tradizione di pensiero “universalistica”, molto diffusa tra i cattolici come tra la sinistra anche comunista, che ha assecondato l’unità europea, considerata progressiva, in chiave di superamento della dimensione nazionale, considerata arretrata. Opposta all’impostazione filo-europeista è la recente concezione “patriottico-sociale”, che identifica l’attacco alla classe operaia come attacco allo Stato nazionale, visto come la cornice entro la quale la classe operaia ha ottenuto le sue passate vittorie e, quindi, come l’unico terreno sul quale ci si possa difendere. Entrambe queste due posizioni fanno un errore speculare, assolutizzando un solo aspetto, sicuramente reale, di una realtà fatta però di tendenze contraddittorie. Il punto è capire qual è quella principale e su quale i lavoratori devono fare leva.
Un conto, dunque, è assecondare il movimento del capitale, un altro conto è partire dal movimento oggettivo della realtà, inserendosi in esso per allargarne le contraddizioni, sviluppare lotte e costruire organizzazione. Il movimento della realtà ha irrimediabilmente trasformato il terreno su cui si svolge lo scontro di classe. Questo, oggi, pur dovendo partire da radicamento e specificità locali, non può avere successo se si svolge solo su un piano nazionale, bensì deve svilupparsi su un terreno europeo. Il livello di interdipendenza tra i sistemi sociali ed economici in Europa e il carattere continentale dell’attacco ai lavoratori tende ad aumentare l’omogeneità della classe lavoratrice a livello europeo, costituendo così la base materiale di un nuovo internazionalismo.
Parlare di internazionalismo è, però, un puro esercizio retorico se non si sciolgono alcuni nodi politici, a partire dal livello nazionale.
Il nodo principale è che oggi i rapporti tra le classi sono contraddistinti da un fattore nuovo, ovvero dal rifiuto, da parte del settore dominante del capitale, del patto sociale tra classi. Ne risulta compromessa, quindi, la “democrazia pluralistica”, in cui i rappresentanti delle varie classi erano disponibili al compromesso, sotto l’egida dello Stato, nella camera di compensazione del Parlamento. In questo quadro, bisogna avere proposte precise, dalla ripresa dell’intervento statale in economia, alla nazionalizzazione delle banche, alla riforma in senso progressivo del fisco, alla introduzione di una legislazione europea antispeculativa, fino alla modifica del ruolo della Bce piuttosto che della Banca d’Italia come garanti del collocamento dei titoli pubblici. Ma ciò non basta, il punto principale è come dare corpo politico a queste proposte. Per farlo non si può continuare con i vecchi metodi politici, ma bisogna recuperare l’autonomia di classe, a livello ideologico e politico, in cui sia il conflitto a riprendere la sua centralità. Non, però, conflitti slegati e su temi specifici, come quelli che spesso si producono nel nostro Paese, bensì un conflitto generale, cioè finalizzato al potere politico. Solo sulla base di una costante pratica autonoma, con un profilo programmatico definito e un posizionamento politico forte, rispetto alle altre classi e agli altri partiti, è possibile intraprendere il lungo e difficile percorso della ricomposizione dei differenti settori e delle varie nazionalità che compongono il lavoro salariato in Italia ed in Europa.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
“I nostri avversari ci accusano e accusano me in particolare di essere intolleranti e litigiosi. Dicono che rifiutiamo il dialogo con gli altri partiti. Dicono che non siamo affatto democratici perché vogliamo sfasciare tutto. Quindi sarebbe tipicamente democratico avere una trentina di partiti? Devo ammettere una cosa – questi signori hanno perfettamente ragione. Siamo intolleranti. Ci siamo dati un obiettivo, spazzare questi partiti politici fuori dal parlamento.
I contadini, gli operai, i commercianti, la classe media, tutti sono testimoni. Invece loro preferiscono non parlare di questi 13 anni passati, ma solo degli ultimi sei mesi. Chi è il responsabile? Loro! I partiti! Per 13 anni hanno dimostrato cosa sono stati capaci di fare. Abbiamo una nazione economicamente distrutta, gli agricoltori rovinati, la classe media in ginocchio, le finanze agli sgoccioli, milioni di disoccupati. Sono loro i responsabili! [...]
Io vengo confuso: oggi sono socialista, domani comunista, poi sindacalista, loro ci confondono, pensano che siamo come loro. Noi non siamo come loro! Loro sono morti e vogliamo vederli tutti nella tomba! [...]
Io vedo questa sufficienza borghese nel giudicare il nostro movimento, mi hanno proposto un’alleanza. Così ragionano! Ancora non hanno capito di avere a che fare con un movimento completamente differente da un partito politico. Noi resisteremo a qualsiasi pressione che ci venga fatta. È un movimento che non può essere fermato, non capiscono che questo movimento è tenuto insieme da una forza inarrestabile che non può essere distrutta. Noi non siamo un partito, rappresentiamo l’intero popolo, un popolo nuovo”.
Adolf Hitler, discorso per la campagna elettorale del novembre 1932.
I contadini, gli operai, i commercianti, la classe media, tutti sono testimoni. Invece loro preferiscono non parlare di questi 13 anni passati, ma solo degli ultimi sei mesi. Chi è il responsabile? Loro! I partiti! Per 13 anni hanno dimostrato cosa sono stati capaci di fare. Abbiamo una nazione economicamente distrutta, gli agricoltori rovinati, la classe media in ginocchio, le finanze agli sgoccioli, milioni di disoccupati. Sono loro i responsabili! [...]
Io vengo confuso: oggi sono socialista, domani comunista, poi sindacalista, loro ci confondono, pensano che siamo come loro. Noi non siamo come loro! Loro sono morti e vogliamo vederli tutti nella tomba! [...]
Io vedo questa sufficienza borghese nel giudicare il nostro movimento, mi hanno proposto un’alleanza. Così ragionano! Ancora non hanno capito di avere a che fare con un movimento completamente differente da un partito politico. Noi resisteremo a qualsiasi pressione che ci venga fatta. È un movimento che non può essere fermato, non capiscono che questo movimento è tenuto insieme da una forza inarrestabile che non può essere distrutta. Noi non siamo un partito, rappresentiamo l’intero popolo, un popolo nuovo”.
Adolf Hitler, discorso per la campagna elettorale del novembre 1932.
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
mariok ha scritto:“I nostri avversari ci accusano e accusano me in particolare di essere intolleranti e litigiosi. Dicono che rifiutiamo il dialogo con gli altri partiti. Dicono che non siamo affatto democratici perché vogliamo sfasciare tutto. Quindi sarebbe tipicamente democratico avere una trentina di partiti? Devo ammettere una cosa – questi signori hanno perfettamente ragione. Siamo intolleranti. Ci siamo dati un obiettivo, spazzare questi partiti politici fuori dal parlamento.
I contadini, gli operai, i commercianti, la classe media, tutti sono testimoni. Invece loro preferiscono non parlare di questi 13 anni passati, ma solo degli ultimi sei mesi. Chi è il responsabile? Loro! I partiti! Per 13 anni hanno dimostrato cosa sono stati capaci di fare. Abbiamo una nazione economicamente distrutta, gli agricoltori rovinati, la classe media in ginocchio, le finanze agli sgoccioli, milioni di disoccupati. Sono loro i responsabili! [...]
Io vengo confuso: oggi sono socialista, domani comunista, poi sindacalista, loro ci confondono, pensano che siamo come loro. Noi non siamo come loro! Loro sono morti e vogliamo vederli tutti nella tomba! [...]
Io vedo questa sufficienza borghese nel giudicare il nostro movimento, mi hanno proposto un’alleanza. Così ragionano! Ancora non hanno capito di avere a che fare con un movimento completamente differente da un partito politico. Noi resisteremo a qualsiasi pressione che ci venga fatta. È un movimento che non può essere fermato, non capiscono che questo movimento è tenuto insieme da una forza inarrestabile che non può essere distrutta. Noi non siamo un partito, rappresentiamo l’intero popolo, un popolo nuovo”.
Adolf Hitler, discorso per la campagna elettorale del novembre 1932.
Che c...o centra sto' post!!
A questo punto credo che esista un'equivoco di fondo da chiarire subito!!!
Non sono un grillino e non ho votato Grillo.
Penso che come premessa sia sufficiente per avviarsi sulla strada giusta senza deviare il percorso di un ragionamento.
Il grillismo e' il risultato degli errori di gran parte della politica . E il PD e non solo sono i colpevoli. Punto e basta!
Quindi non guardare al dito ma il punto in cui indica il dito.
Se voggliamo approfondire questo fenomeno del grillismo, sono a Vs. disposizione ma se Volete strenuamente difendere chi ha causato tutto questo, fatelo pure e' un vs. diritto ma almeno accettate il dialogo, non sommariamente, ma confrontardoci punto su punto.
Forse potrebbe venirne fuori che su alcuni potremmo anche trovarci daccordo. Glii altri sarebbero quindi da approfondire e chi piu' ne ha piu ne metta.
Ohh perdiana....e' cosi difficile farsi capire ???
Parlo arabo?????
Distorcere il mio pensiero con gli slogan o con le vignette o ancora con altro e' facile ma non porta al nulla se vogliamo veramente dialogare/confrontarci. Se non e' cosi' meglio andare al bar sport. Qui si parla di cronaca e quant'altro. Meno di approfondimenti e del sol dell'avvenir. Non credo pero' che sia l'obiettivo che inizialmente ci avevamo dato.
Cmq fate vobis
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
Non c'è nulla di personale.
La mia polemica è contro la sinistra (o quello che ne resta) italiana, che dopo l'ennesima sconfitta, cerca ora di attaccarsi alla "rivoluzione" grillina.
Sono molti gli articoli, le dichiarazioni, le analisi che vedono nel fenomeno 5S un'opportunità, non, come invece credo che sia, un rischio.
Anche l'ascesa del partito nazionalsocialista fu non casuale, dovuto in gran parte agli errori dei partiti, in particolare alle contraddizioni della socialdemocrazia e dei comunisti.
Ma quali che siano le cause a monte, un fenomeno può avere segni diversi, a seconda dei possibili sbocchi che attraverso di essi può avere una crisi che ne è in parte la causa.
Ebbene, la mia ferma opinione è che il M5S, al di là della buona fede dei suoi sostenitori e dei suoi militanti, è un pericolo per la democrazia che va combattuto come tale.
Il discorso del dito e della luna, lo sostenevo anch'io quando Grillo era un comico che accusava i guasti della politica, ma oggi che è a tutti gli effetti un movimento politico con tanto di rappresentanti in parlamento, il discorso cambia radicalmente.
Ed il primo dovere della sinistra è quello di combattere ogni forma di fascismo, comunque si presenti e comunque sia motivata.
E' questo che avrebbe dovuto insegnarci la resistenza e l'impegno del movimento operaio a difesa delle istituzioni democratiche, anche quando erano mal rappresentate dai governi DC di Scelba e simili.
La mia polemica è contro la sinistra (o quello che ne resta) italiana, che dopo l'ennesima sconfitta, cerca ora di attaccarsi alla "rivoluzione" grillina.
Sono molti gli articoli, le dichiarazioni, le analisi che vedono nel fenomeno 5S un'opportunità, non, come invece credo che sia, un rischio.
Anche l'ascesa del partito nazionalsocialista fu non casuale, dovuto in gran parte agli errori dei partiti, in particolare alle contraddizioni della socialdemocrazia e dei comunisti.
Ma quali che siano le cause a monte, un fenomeno può avere segni diversi, a seconda dei possibili sbocchi che attraverso di essi può avere una crisi che ne è in parte la causa.
Ebbene, la mia ferma opinione è che il M5S, al di là della buona fede dei suoi sostenitori e dei suoi militanti, è un pericolo per la democrazia che va combattuto come tale.
Il discorso del dito e della luna, lo sostenevo anch'io quando Grillo era un comico che accusava i guasti della politica, ma oggi che è a tutti gli effetti un movimento politico con tanto di rappresentanti in parlamento, il discorso cambia radicalmente.
Ed il primo dovere della sinistra è quello di combattere ogni forma di fascismo, comunque si presenti e comunque sia motivata.
E' questo che avrebbe dovuto insegnarci la resistenza e l'impegno del movimento operaio a difesa delle istituzioni democratiche, anche quando erano mal rappresentate dai governi DC di Scelba e simili.
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
Come ho già spiegato, non intendo cadere in provocazioni (pagina precedente)
Certo, l'educazione non abita in questo forum. Io mi rivolgo direttamente alle persone, almeno
Certo, l'educazione non abita in questo forum. Io mi rivolgo direttamente alle persone, almeno
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
Mariok sottoscrivo completamente ciò che scrivi, non faccio l'errore di sottovalutarlo . gli atteggiamenti di grillo ( un non eletto che si auto definisce un megafono ) ed i suoi diktat verso i rappresentanti del popolo sovrano non possono che essere definiti fascisti.... Tempi bui ci attendono se i suoi elettori/adepti non si sveglianomariok ha scritto:Non c'è nulla di personale.
La mia polemica è contro la sinistra (o quello che ne resta) italiana, che dopo l'ennesima sconfitta, cerca ora di attaccarsi alla "rivoluzione" grillina.
Sono molti gli articoli, le dichiarazioni, le analisi che vedono nel fenomeno 5S un'opportunità, non, come invece credo che sia, un rischio.
Anche l'ascesa del partito nazionalsocialista fu non casuale, dovuto in gran parte agli errori dei partiti, in particolare alle contraddizioni della socialdemocrazia e dei comunisti.
Ma quali che siano le cause a monte, un fenomeno può avere segni diversi, a seconda dei possibili sbocchi che attraverso di essi può avere una crisi che ne è in parte la causa.
Ebbene, la mia ferma opinione è che il M5S, al di là della buona fede dei suoi sostenitori e dei suoi militanti, è un pericolo per la democrazia che va combattuto come tale.
Il discorso del dito e della luna, lo sostenevo anch'io quando Grillo era un comico che accusava i guasti della politica, ma oggi che è a tutti gli effetti un movimento politico con tanto di rappresentanti in parlamento, il discorso cambia radicalmente.
Ed il primo dovere della sinistra è quello di combattere ogni forma di fascismo, comunque si presenti e comunque sia motivata.
E' questo che avrebbe dovuto insegnarci la resistenza e l'impegno del movimento operaio a difesa delle istituzioni democratiche, anche quando erano mal rappresentate dai governi DC di Scelba e simili.
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
mariok ha scritto:Non c'è nulla di personale.
La mia polemica è contro la sinistra (o quello che ne resta) italiana, che dopo l'ennesima sconfitta, cerca ora di attaccarsi alla "rivoluzione" grillina.
Sono molti gli articoli, le dichiarazioni, le analisi che vedono nel fenomeno 5S un'opportunità, non, come invece credo che sia, un rischio.
Anche l'ascesa del partito nazionalsocialista fu non casuale, dovuto in gran parte agli errori dei partiti, in particolare alle contraddizioni della socialdemocrazia e dei comunisti.
Ma quali che siano le cause a monte, un fenomeno può avere segni diversi, a seconda dei possibili sbocchi che attraverso di essi può avere una crisi che ne è in parte la causa.
Ebbene, la mia ferma opinione è che il M5S, al di là della buona fede dei suoi sostenitori e dei suoi militanti, è un pericolo per la democrazia che va combattuto come tale.
Il discorso del dito e della luna, lo sostenevo anch'io quando Grillo era un comico che accusava i guasti della politica, ma oggi che è a tutti gli effetti un movimento politico con tanto di rappresentanti in parlamento, il discorso cambia radicalmente.
Ed il primo dovere della sinistra è quello di combattere ogni forma di fascismo, comunque si presenti e comunque sia motivata.
E' questo che avrebbe dovuto insegnarci la resistenza e l'impegno del movimento operaio a difesa delle istituzioni democratiche, anche quando erano mal rappresentate dai governi DC di Scelba e simili.
Chiaro, son daccordo ma se non si eliminano le cause questo ritorna ciclicamente. E' questo che non capite o cercate di non capire.Ed il primo dovere della sinistra è quello di combattere ogni forma di fascismo, comunque si presenti e comunque sia motivata.
Il fascismo ed il grillismo" si combattono eliminando le cause che fanno nascere questi "fenomini".
Poco si e' parlato nel passato delle cause che hanno dato inizio al fascismo. Se avessimo fatto piu' attenzione su questo punto probabilmente le nuove generazioni avrebbero capito molto di piu' di quello che pensano di sapere oggi.
Trascurare nella discussione questi punti non si va al nocciolo del problema. Non e' sufficiente condannarli, poi, perche' potrebbe essere troppo tardi. E' questo che non riesco a mettervi in testa.
Girate...girate attorno al problema trascurando la parte piu' importante. LE CAUSE !!!
in attesa
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
Chiarissimo.Il fascismo ed il grillismo" si combattono eliminando le cause che fanno nascere questi "fenomini".
Verissimo.
...non ci sarebbe bisogno di un apriscatole... se le scatole fossero aperte.
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Re: Der Spiegel:Beppe Grillo è l’unico leader anti Merkel
Potrebbe avera anche un'attinenza al tema che stiamo trattanto? Penso di si ma cmq per questa volta accettatelo lo stesso.
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venerdì 15 febbraio 2013
QUELLO CHE I MEDIA ITALIANI NON DICONO SULLA "SVALUTAZIONE" NEL...RESTO DEL MONDO
Questo "flash Flaviesco" fotografa in poche potenti istantanee una situazione paradossale. Per l'Italia.
Cioè non solo ci si lega un'area valutaria altamente imperfetta (dove l'euro mette in ginocchio la nostra economia per l'assenza di meccanismi compensativi degli scontati differenziali di inflazione nell'area), ma, alla luce della prevalente analisi mediatico-politica italiana, dovremmo essere pure contenti delle conseguenze "estremizzate" di ciò (senza aprire bocca MAI sulla violazione del trattato tedesca nell'accentuare unilateralmente tali differenziali). Cioè gioire della "riduzione" dell'euro, nella generale considerazione degli altri grandi "players" geo-politici, al..."marco", sancendo definitivamente la scomparsa di ogni traccia della indispensabile "parità di condizioni", prescritta dall'art.11 Cost. per potersi legittimamente vincolare all'UEM .
Ora, secondo un "professore" dell'ISPE comparso ieri sera a Rainews24, la Germania può reggere, senza problemi (?) un cambio col dollaro fino a 1,80, la Francia fino a circa 1,25 e l'Italia fino a 1,16.
Questo perchè la Germania vende "beni di lusso" (ah, beh allora! Ma Lexus e Honda andranno "più" forte lo stesso!) e, in effetti, avrebbe invertito, nel suo surplus, la prevalenza dell'export intra-UEM.
Ma in realtà, data così, la notizia risulta alquanto singolare: sia perchè, basandosi su svalutazioni interne (competitive sì!) la Germania non ha effettuato questi grandi investimenti decantati in Italia -bensì solo esasperato le famose "riforme strutturali" (del lavoro), sia perchè in effetti al grande surplus germanico non corrisponde più questa fantastica crescita: Bundesbank prevede un 2013 a +0,4, ma è stato "prima" che iniziassero i movimenti valutari nel "resto del mondo".
"Lo stesso Draghi ha indicato che la questione dei cambi sarà all'esame del G-20, ma di non ritenere che per ora ci sia una corsa alle svalutazioni competitive, piuttosto un tentativo di rilanciare le rispettive economie, che produce effetti sulle valute. (Per la serie: "finendo di vivere egli morì". Mr.Lapalisse") Il rialzo dell'euro, del resto, dipende anche dall'azione della Bce, che, osserva uno studio di Société Générale, da un lato ha ricostruito la fiducia nella moneta unica e quindi compresso gli spread, dall'altro prodotto un rialzo dei tassi a breve, generato dai primi rimborsi del Ltro e dalla "chiusura" di gennaio a un taglio dei tassi" (- Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/DcvVP.)
E sarebbe "stravagante" credere che la Germania continuerà ad avere un forte export extra-UEM (dato che l'attuale +6% viene considerato tecnicamente un "livello di guardia" dello squilibrio), approfittando della ripresa USA mentre il Giappone svaluta, e solo perchè in realtà continuerà a diminuire le proprie di importazioni. Cioè comprimendo ulteriormente (ad elasticità infinita) la propria domanda interna (pare un ricetta per la recessione e che Bundesbank, se le cose continueranno così, avrà "toppato"...e l'ISPE pure).
Insomma, la crescita tedesca è compatibile con il beggar thy neighbour ai danni dei partner UEM, ma non con una "forte" esportazione extra-UEM, sulla cui prosecuzione fino a quota 1,80 avremmo fortissimi dubbi.
Di certo, tenendo duro, la Germania potrà, con grande coerenza, imporre le privatizzazioni-svendite dei nostri beni. Ma solo continuando a far passare la fandonia che il problema sia l'ammontare del debito pubblico italiano, fandonia peraltro amatissima in Italia. Quando poi lo scopo è la deindustrializzazione italiana e, come ben evidenzia Flavio, la conseguente sottoccupazione di un paese, il nostro, che un tempo era il loro più pericoloso concorrente UE.
Ma ci tendo a sottoporvi questo commento de "Il moralista", perchè pone inquietanti interrogativi e ci tengo anche a costo di far crollare il trend attuale dell'ipotesi frattalica.
E quindi? W IL PUDE e il "prestigio" dell'euro "fino a 1,80"!
Quello che i media non dicono…
"I movimenti erratici dei cambi hanno conseguenze negative sulla crescita e quindi siamo d'accordo nell'Eurogruppo che la questione vada sollevata al G20…la posizione comune… è quella di preservare la stabilità dell'euro… le prospettive di breve termine restano preoccupanti, con la disoccupazione alta e un debito pubblico della zona euro sopra il 90% che ha ridotto il dinamismo e la crescita". Questo ciò che emerso dall’Eurogruppo in questi giorni.
Ma, quello che i (nostri) media non dicono… è che i deflazionisti Barroso, Von Rompuy, Merkel, Monti, Draghi stanno tentando di gestire in qualche modo, con dichiarazioni di facciata, la patata bollente chiamata “guerra delle valute” piombatagli, giustamente, in mano e da loro stessi scatenata grazie alla cosiddette “svalutazioni interne”. “Colpa di chi svaluta! Stampate moneta a go go! Causerete il disastro!” Asseriscono gli Euroburocrati...Poi, gratta gratta il primo strato di apparenza, scopri che dietro le ammaliatrici sembianze dell’Euro ci sta il marcio delle “deflazioni competitive” alla tedesca.
I media non dicono che… mentre il resto del mondo mette in campo tutte le misure di politica monetaria a sua disposizione – le iniziative iscritte in agenda dal Giappone sono, in termini quantitativi, davvero impressionanti… e non dimentichiamoci che esse sostengono la ricostruzione post Tsunami, tendendo a questa necessaria priorità gli sforzi dell’esecutivo – nonchè di incremento della domanda interna (dove la grande protagonista è ancora una volta la Cina), l’Unione Europea va in senso opposto: più free trade , meno industrializzazione, con la prospettiva di una Germania quale sede produttiva dove “assemblare” i semilavorati provenienti dalla periferia europea (par.2) ridotta ad immenso serbatoio di manodopera dequalificata, a basso costo e sotto-tutelata.
I media non dicono che… mentre in UEM la de-socializzazione dei diritti impera, a Pechino i programmi principali vertono sul far emergere dalla povertà 80 milioni di abitanti attraverso un ulteriore aumento del 40% del salario minimo (dopo la crescita del 30% dei salari già avvenuta negli ultimi anni) e si procede di pari passo con la diffusione delle assicurazioni sociali e sanitarie, ed i diritti sindacali dei lavoratori.
Ma in Italia, naturalmente, il main-stream è ancorato ai suoi dogmi preferiti (da notare chi ha redatto l’articolo…), tutti “liberalizzazioni” e “riforme”. I giornali e le tivù parlano assiduamente della Cina che svaluta competitivamente (quando, come abbiamo visto, il suo tasso di cambio effettivo reale negli ultimi anni si è RIVALUTATO), degli Stati Uniti che stampano dollari dimenticando il loro ruolo di Banca del Mondo (se lo sei, DEVI essere in debito con i tuoi correntisti), del Giappone che fa lo stesso (ma hanno visto il loro saldo commerciale negativo negli ultimi tempi?) e del suo enorme debito pubblico (ma la Posizione Netta sull’Estero non conta più?).
Ma i media non dicono che… sono loro a svalutare, o siamo noi (come UE) che rivalutiamo perchè siamo in surplus di parte corrente?
Sono veramente gli inglesi a svalutare la sterlina grazie alla stampante nella cantina della BoE (Bank of England), o è la Germania ad essere “leggermente” in surplus pure con loro, trascinando con sé l’Euro?
Così, mentre “I membri del G7 affermano il loro il loro impegno a tassi di cambio determinati dal mercato” ci chiediamo perché invece di additare a responsabili i paesi “emergenti”, non ci si permetta per una volta una critica all’operato di chi, in primis Paesi Bassi e Germania all’interno della stessa Eurozona, sottrae domanda globale?
Infine, prendendo spunto da questo arguto commento di Kthrcds e confrontando i consigli dati da Monti a Berlusconi al tempo, spontaneamente sorge il quesito: come è possibile che il Professore additi la Grecia quale prossimo futuro per l’Italia in caso di vittoria elettorale del M5S, ricattando di fatto l’elettore italiano?
Ma come, fino all’altro giorno, non era l’Ellade il grande successo dell’austerità espansiva dell’UEM ? Ma i nostri media non ci dicono che ad Atene va tutto bene?
E invece vi accadono cose (roba che neppure Sinn considera ormai accettabile!) che "Essi", vecchi e nuovi pasdaran del fiscal compact e dell'austerity, ritengono "serio" e "risanante" infliggere anche a noi...
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/ ... icono.html
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venerdì 15 febbraio 2013
QUELLO CHE I MEDIA ITALIANI NON DICONO SULLA "SVALUTAZIONE" NEL...RESTO DEL MONDO
Questo "flash Flaviesco" fotografa in poche potenti istantanee una situazione paradossale. Per l'Italia.
Cioè non solo ci si lega un'area valutaria altamente imperfetta (dove l'euro mette in ginocchio la nostra economia per l'assenza di meccanismi compensativi degli scontati differenziali di inflazione nell'area), ma, alla luce della prevalente analisi mediatico-politica italiana, dovremmo essere pure contenti delle conseguenze "estremizzate" di ciò (senza aprire bocca MAI sulla violazione del trattato tedesca nell'accentuare unilateralmente tali differenziali). Cioè gioire della "riduzione" dell'euro, nella generale considerazione degli altri grandi "players" geo-politici, al..."marco", sancendo definitivamente la scomparsa di ogni traccia della indispensabile "parità di condizioni", prescritta dall'art.11 Cost. per potersi legittimamente vincolare all'UEM .
Ora, secondo un "professore" dell'ISPE comparso ieri sera a Rainews24, la Germania può reggere, senza problemi (?) un cambio col dollaro fino a 1,80, la Francia fino a circa 1,25 e l'Italia fino a 1,16.
Questo perchè la Germania vende "beni di lusso" (ah, beh allora! Ma Lexus e Honda andranno "più" forte lo stesso!) e, in effetti, avrebbe invertito, nel suo surplus, la prevalenza dell'export intra-UEM.
Ma in realtà, data così, la notizia risulta alquanto singolare: sia perchè, basandosi su svalutazioni interne (competitive sì!) la Germania non ha effettuato questi grandi investimenti decantati in Italia -bensì solo esasperato le famose "riforme strutturali" (del lavoro), sia perchè in effetti al grande surplus germanico non corrisponde più questa fantastica crescita: Bundesbank prevede un 2013 a +0,4, ma è stato "prima" che iniziassero i movimenti valutari nel "resto del mondo".
"Lo stesso Draghi ha indicato che la questione dei cambi sarà all'esame del G-20, ma di non ritenere che per ora ci sia una corsa alle svalutazioni competitive, piuttosto un tentativo di rilanciare le rispettive economie, che produce effetti sulle valute. (Per la serie: "finendo di vivere egli morì". Mr.Lapalisse") Il rialzo dell'euro, del resto, dipende anche dall'azione della Bce, che, osserva uno studio di Société Générale, da un lato ha ricostruito la fiducia nella moneta unica e quindi compresso gli spread, dall'altro prodotto un rialzo dei tassi a breve, generato dai primi rimborsi del Ltro e dalla "chiusura" di gennaio a un taglio dei tassi" (- Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/DcvVP.)
E sarebbe "stravagante" credere che la Germania continuerà ad avere un forte export extra-UEM (dato che l'attuale +6% viene considerato tecnicamente un "livello di guardia" dello squilibrio), approfittando della ripresa USA mentre il Giappone svaluta, e solo perchè in realtà continuerà a diminuire le proprie di importazioni. Cioè comprimendo ulteriormente (ad elasticità infinita) la propria domanda interna (pare un ricetta per la recessione e che Bundesbank, se le cose continueranno così, avrà "toppato"...e l'ISPE pure).
Insomma, la crescita tedesca è compatibile con il beggar thy neighbour ai danni dei partner UEM, ma non con una "forte" esportazione extra-UEM, sulla cui prosecuzione fino a quota 1,80 avremmo fortissimi dubbi.
Di certo, tenendo duro, la Germania potrà, con grande coerenza, imporre le privatizzazioni-svendite dei nostri beni. Ma solo continuando a far passare la fandonia che il problema sia l'ammontare del debito pubblico italiano, fandonia peraltro amatissima in Italia. Quando poi lo scopo è la deindustrializzazione italiana e, come ben evidenzia Flavio, la conseguente sottoccupazione di un paese, il nostro, che un tempo era il loro più pericoloso concorrente UE.
Ma ci tendo a sottoporvi questo commento de "Il moralista", perchè pone inquietanti interrogativi e ci tengo anche a costo di far crollare il trend attuale dell'ipotesi frattalica.
E quindi? W IL PUDE e il "prestigio" dell'euro "fino a 1,80"!
Quello che i media non dicono…
"I movimenti erratici dei cambi hanno conseguenze negative sulla crescita e quindi siamo d'accordo nell'Eurogruppo che la questione vada sollevata al G20…la posizione comune… è quella di preservare la stabilità dell'euro… le prospettive di breve termine restano preoccupanti, con la disoccupazione alta e un debito pubblico della zona euro sopra il 90% che ha ridotto il dinamismo e la crescita". Questo ciò che emerso dall’Eurogruppo in questi giorni.
Ma, quello che i (nostri) media non dicono… è che i deflazionisti Barroso, Von Rompuy, Merkel, Monti, Draghi stanno tentando di gestire in qualche modo, con dichiarazioni di facciata, la patata bollente chiamata “guerra delle valute” piombatagli, giustamente, in mano e da loro stessi scatenata grazie alla cosiddette “svalutazioni interne”. “Colpa di chi svaluta! Stampate moneta a go go! Causerete il disastro!” Asseriscono gli Euroburocrati...Poi, gratta gratta il primo strato di apparenza, scopri che dietro le ammaliatrici sembianze dell’Euro ci sta il marcio delle “deflazioni competitive” alla tedesca.
I media non dicono che… mentre il resto del mondo mette in campo tutte le misure di politica monetaria a sua disposizione – le iniziative iscritte in agenda dal Giappone sono, in termini quantitativi, davvero impressionanti… e non dimentichiamoci che esse sostengono la ricostruzione post Tsunami, tendendo a questa necessaria priorità gli sforzi dell’esecutivo – nonchè di incremento della domanda interna (dove la grande protagonista è ancora una volta la Cina), l’Unione Europea va in senso opposto: più free trade , meno industrializzazione, con la prospettiva di una Germania quale sede produttiva dove “assemblare” i semilavorati provenienti dalla periferia europea (par.2) ridotta ad immenso serbatoio di manodopera dequalificata, a basso costo e sotto-tutelata.
I media non dicono che… mentre in UEM la de-socializzazione dei diritti impera, a Pechino i programmi principali vertono sul far emergere dalla povertà 80 milioni di abitanti attraverso un ulteriore aumento del 40% del salario minimo (dopo la crescita del 30% dei salari già avvenuta negli ultimi anni) e si procede di pari passo con la diffusione delle assicurazioni sociali e sanitarie, ed i diritti sindacali dei lavoratori.
Ma in Italia, naturalmente, il main-stream è ancorato ai suoi dogmi preferiti (da notare chi ha redatto l’articolo…), tutti “liberalizzazioni” e “riforme”. I giornali e le tivù parlano assiduamente della Cina che svaluta competitivamente (quando, come abbiamo visto, il suo tasso di cambio effettivo reale negli ultimi anni si è RIVALUTATO), degli Stati Uniti che stampano dollari dimenticando il loro ruolo di Banca del Mondo (se lo sei, DEVI essere in debito con i tuoi correntisti), del Giappone che fa lo stesso (ma hanno visto il loro saldo commerciale negativo negli ultimi tempi?) e del suo enorme debito pubblico (ma la Posizione Netta sull’Estero non conta più?).
Ma i media non dicono che… sono loro a svalutare, o siamo noi (come UE) che rivalutiamo perchè siamo in surplus di parte corrente?
Sono veramente gli inglesi a svalutare la sterlina grazie alla stampante nella cantina della BoE (Bank of England), o è la Germania ad essere “leggermente” in surplus pure con loro, trascinando con sé l’Euro?
Così, mentre “I membri del G7 affermano il loro il loro impegno a tassi di cambio determinati dal mercato” ci chiediamo perché invece di additare a responsabili i paesi “emergenti”, non ci si permetta per una volta una critica all’operato di chi, in primis Paesi Bassi e Germania all’interno della stessa Eurozona, sottrae domanda globale?
Infine, prendendo spunto da questo arguto commento di Kthrcds e confrontando i consigli dati da Monti a Berlusconi al tempo, spontaneamente sorge il quesito: come è possibile che il Professore additi la Grecia quale prossimo futuro per l’Italia in caso di vittoria elettorale del M5S, ricattando di fatto l’elettore italiano?
Ma come, fino all’altro giorno, non era l’Ellade il grande successo dell’austerità espansiva dell’UEM ? Ma i nostri media non ci dicono che ad Atene va tutto bene?
E invece vi accadono cose (roba che neppure Sinn considera ormai accettabile!) che "Essi", vecchi e nuovi pasdaran del fiscal compact e dell'austerity, ritengono "serio" e "risanante" infliggere anche a noi...
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Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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