Il segretario pronto a incontrare i 5Stelle:
"Il mio sarà l'esecutivo del cambiamento"
La proposta al Colle, ma nel partito c'è anche l'ipotesi Grasso.
Spunta anche il nome di Enrico Letta per un secondo tentativo, ma lui nega.
Per il leader non esistono soluzioni alternative e tantomeno larghe intese col Pdl .
ROMA - "Governo del cambiamento".
È una proposta secca quella che Pier Luigi Bersani porterà stasera al Colle.
Rivendicando non la guida per sé, ma spiegando che solo il centrosinistra, e quindi il suo candidato premier, può riuscire nell'impresa.
Significa che non esistono soluzioni alternative, tantomeno maggioranze del passato come l'asse che ha retto il governo Monti con Silvio Berlusconi protagonista.
"Sabato si mobilitano in piazza a Roma contro i magistrati. Un governo col Pdl? Ma di cosa stiamo parlando",
dicono in queste ore a Largo del Nazareno.
Per il vertice democratico la strada rimane una sola: un esecutivo con il Movimento 5stelle, con Sel, con Scelta civica. Magari con un'astensione tecnica della Lega. Mai con il Cavaliere. Sul nome del premier, il segretario si rimetterà al capo dello Stato, com'è doveroso. Che non vuole dire aprire a un'altra ipotesi. "Si parte dal voto del 24 e 25 febbraio - dicono i suoi fedelissimi - e dal candidato di quelle elezioni. Il cambiamento può guidarlo solo Pierluigi".
Questa sono le basi su cui Bersani intende poggiare l'incarico, che dopo le prime consultazioni di Giorgio Napolitano, appare più vicino. I numeri del Senato, ovvero la maggioranza che non c'è, sono il rovello del presidente della Repubblica. Lo ha ripetuto più volte ieri alle delegazioni salite al Colle. "E i voti?". Già, un problema da niente.
Ieri sono venuti a mancare anche quelli di Scelta
civica che preferisce un esecutivo di larghe intese. "Ma ogni giorno il quadro può cambiare", ripetono gli uomini più vicini al segretario del Pd. "E se i grillini e Monti non ci stanno, non si farà il governo del cambiamento. Ma ognuno si assumerà le proprie responsabilità". Sembrano parole di resa, ma l'interpretazione autentica dei bersaniani è che siamo davanti a "una sfida".
Bersani la gioca senza pensare al domani, ma muovendosi a tutto campo. Sta aprendo ai suoi interlocutori su tutto: le vicepresidenze delle Camere, le presidenze di commissione, i questori dei due rami del Parlamento. Mosse disperate secondo alcuni, anche dentro il Pd. Una prova di subalternità inconcepibile e pericolosa per le istituzioni. Eppure si può avere anche un diverso punto di vista. "Non credo stia pensando a se stesso, Pierluigi. Si sta facendo carico di nuovi equilibri. Cerca di tirare dentro le istituzioni anche chi ne è stato fuori fino a tre giorni fa - spiega Antonello Giacomelli, che pure viene dalla dolorosa rinuncia alla Camera del suo amico Franceschini - è cambiato il mondo, il segretario ne prende atto. Bersani sta lasciando qualcosa anche per il dopo, se non dovesse farcela". Un riconoscimento pieno.
Il leader del Pd si presenta davanti al capo dello Stato con il mandato della direzione (votato all'unanimità). Mandato che parla chiaro: dialogo con Grillo, apertura ai montiani, otto punti di programma urgenti e dettagliati, mai con Berlusconi. Dalla riunione del parlamentino democratico, sono però passati alcuni giorni e le risposte dei potenziali alleati sono tutt'altro che incoraggianti. Il segretario ha sparigliato sulle presidenze delle Camere, è riuscito ad aprire un cuneo nei 5stelle al Senato, ha dialogato fino all'ultimo con Scelta civica offrendogli la presidenza della Camera. Ma alla fine, arrivati al bivio cruciale delle consultazioni, la situazione di partenza non è mutata. Certo, anche al Senato, prima del voto su Pietro Grasso, si è navigato a vista. Poi, i grillini si sono spaccati e il Pdl è stato sconfitto. Ma la partita oggi è più complicata.
Il giorno di Bersani è arrivato. Se avrà il via libera del Colle, potrà giocarsi le sue carte nelle consultazioni da premier incaricato. Sul no al Pdl, il segretario è convinto di poter reggere evitando spaccature nel partito, anche se il segnale arrivato martedì nel voto per il capogruppo è stato ricevuto. Forte e chiaro. Una crepa nella strategia del leader. L'alternativa di Grasso per un governo istituzionale è ben presente a una larga fetta dei dirigenti Pd. Sta lì, a disposizione di Napolitano. Ci sono anche sirene per Enrico Letta, potrebbe essere a lui a guidare un secondo tentativo. Ma, raggiunto da queste voci, il vicesegretario ha fatto sapere di non aver avuto nessun abboccamento di questo tipo e che la proposta non è in campo. Non esiste, insomma.
I bersaniani sono sicuri che il partito non dirà mai di sì a un esecutivo con il centrodestra, anche di scopo. Se si arrivasse a questo snodo, andrebbe riunita di nuovo la direzione e la conta potrebbe rivelarsi sanguinosa. Detto questo, c'è chi lavora sull'ipotesi Grasso e non crede allo show down, cioè a elezioni immediate. Il voto che ha eletto Roberto Speranza capogruppo alla Camera dimostra che è finita la compattezza del Pd intorno all'impresa difficilissima del segretario.
Ma il film può cambiare. Al Senato, sabato scorso, è già cambiato, no? Ieri Bersani ha parlato a lungo con Nichi Vendola e Riccardo Nencini, dopo i loro colloqui al Quirinale. Ha avuto la conferma che nella Sala alla Vetrata non si ragiona su piani B. Ma quello che conta sono le consultazioni di oggi e il faccia a faccia con il presidente. Il punto è agganciare Grillo. Da premier incaricato Bersani si prepara a incontrare lui e Casaleggio, come farà oggi il presidente della Repubblica. Sarà quella la "sfida" decisiva.
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ref=HREA-1