quo vadis PD ????
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Re: quo vadis PD ????
La maionese impazzita chiamata Pd - 27
Nel grande asilo Mariuccia dove ci si vestiva alla marinara - 1
La teoria e la pratica -1
Walter Veltroni, lettera a Repubblica:
"Evitiamo le scissioni per salvare il Pd"
di WALTER VELTRONI
Caro direttore,
salviamo il Pd. È stato il sogno della mia vita politica e sono convinto che una crisi di quel progetto precipiterebbe il paese nell'egemonia di populismi vari, cioè lo avvicinerebbe alla sua crisi definitiva.
La mia posizione di oggi, lontana ormai dalle dinamiche della vita interna, mi consente di dire, con la necessaria serenità e il necessario allarme, che quando sento parlare di possibili scissioni penso che si stia irresponsabilmente, anche solo ventilando l'ipotesi, distruggendo un grande progetto politico.
E considero alla stessa stregua l'ipotesi, circolata sui giornali, di machiavellici patti di potere che sanciscano una sorta di "doppia natura" del Pd.
Perché è nato il partito Democratico? Credo si fosse fatta strada allora nei gruppi dirigenti del centrosinistra la lucida consapevolezza che senza un grande partito riformista che superasse gli steccati delle vecchie appartenenze sarebbe stato impossibile dare al paese un governo davvero riformista e una maggioranza di popolo che lo sostenesse.
Il Pd non è nato per essere la somma di due storie del Novecento, stanche di se stesse.
Tradizioni culturali importanti ma non sufficienti a interpretare le trasformazioni sociali e culturali di questo nuovo millennio.
Per noi il Pd, l'ho sempre detto, non era il coronamento del "sogno" di Berlinguer e Moro. Che, peraltro, tutto sognavano fuorché di fondere i loro partiti o parti di essi.
Per noi il Pd era qualcosa di davvero nuovo: non la giustapposizione del cattolicesimo democratico e della tradizione laburista ma un salto, una rottura.
Essere democratici non era l'ultima soluzione delle innumerevoli trasformazioni dei partiti seguiti al triennio 89-92.
Era una identità nuova per l'Italia, ma una identità non inventata, non sprovvista di radici.
Essere democratici non è “fare gli americani”, è attingere alla più vitale delle culture politiche del riformismo.
Quella che si è manifestata con le grandi conquiste sociali e civili ,da Roosevelt a Obama.
Essere democratici non è una definizione che va usata perché altre non sono, in Italia, più praticabili; è una identità post ideologica , fondata sulla convivenza di valori puri e di un riformismo realista.
Essere democratici significa far parte di una tradizione culturale alla quale in Italia, pur con denominazioni diverse, nella storia hanno fatto riferimento personalità della politica e della società civile, partiti e singoli leader.
Spesso sono stati sfortunati, spesso hanno dovuto aspettare che il tempo desse loro ragione ben dopo la loro scomparsa.
Non è solo l’importazione, peraltro non vietata, di tradizioni politiche apparnostalgia, tenenti più alla cultura anglosassone, ma anche qualcosa che è esistito, spesso in forma minoritaria, come purtroppo fu l’Azionismo, nell’Italia ideologica del Novecento.
Essere democratici significa considerare intangibili valori come la legalità e la giustizia sociale, avere una cultura aperta dei diritti e una idea della società come una comunità inclusiva.
Significa coltivare una idea alta della priorità dell’interesse nazionale e una idea sobria e al tempo stesso orgogliosa della politica, significa sapere che la società civile non è solo un deposito di rabbia da usare elettoralmente come uno spot del momento ma una risorsa di organizzazione dal basso della vita pubblica.
La parola democratici è però sparita dal vocabolario del Pd. È stata sostituita progressivamente dalla più rassicurante autodefinizione di “progressisti” che, davvero al di là degli sfortunati precedenti, allude al fatto che sì , siamo cambiati, ma in fondo siamo sempre noi, «quelli che vengono da lontano e vanno lontano».
Del Pci che ho conosciuto, quello di Berlinguer, ho apprezzato proprio la grandezza dell’idea di essere una forza della nazione e, in quei tempi così duri, un contenitore così poco ideologico da esser votato, in piena guerra fredda, dal 34% degli italiani e da raccogliere il consenso di chi comunista non era, non era più, non voleva essere.
In Italia non è mai esistito un trentaquattro per cento che auspicava la dittatura del proletariato.
Ma quella storia è finita per sempre, forse con la morte di Moro, certamente con quella di Enrico Berlinguer.
Il Pd non è un partito socialista. Ne esiste uno ed è composto da bravi riformisti.
Il Pd non è semplicemente una forza della tradizione progressista della sinistra.
Non è neanche una & societaria che collega i Ds e la Margherita.
È, dovrebbe essere, una forza nuova, aperta, che si propone di mutare i paradigmi anche della seconda Repubblica, di uscire dallo scontro Berlusconismo-antiberlusconismo per entrare in quello vero, quello che dovrebbe essere: conservatori contro riformisti, cultura liberista contro cultura delle opportunità, individualismo contro spirito di comunità.
Gli avversari politici non sono mai, se non nelle dittature, nemici da eliminare. Ma leader ai quali sottrarre consenso, combattendo apertamente, duramente, le loro idee e le loro proposte.
La condizione di un paese stremato, con lavoratori senza lavoro e imprenditori senza imprese, con la mafia che domina e l’illegalità che prospera, con livelli infimi di investimenti in scuola e ricerca, rimanda alla necessità di sfidare la destra non sul suo terreno, lo scontro frontale che tiene alti gli steccati, ma su quello della vera innovazione, in una parola del riformismo.
Per questo il Pd non deve pensare se stesso come un soggetto limitato nella sua espansione; deve coltivare la sua ambizione di portare al governo del paese non una fragile maggioranza raccolta, con esiti che conosciamo, contro qualcuno, ma un consenso popolare capace di sorreggere quel ciclo riformista senza il quale il paese è destinato a declinare e a sfarinarsi.
Era questa, per noi, la “vocazione maggioritaria” del Pd. Senza vocazione maggioritaria il Pd non esiste.
Se il problema era solamente la strategia delle alleanze, sempre più difficile, allora tanto valeva restare alle forze antiche.
In questi giorni un risultato elettorale molto negativo, determinatosi nelle condizioni migliori per i riformisti, ha squadernato drammaticamente questo problema.
Allearsi con Berlusconi, che definisce i giudici mafiosi in un seggio elettorale o con Grillo che vuole sciogliere i sindacati e uscire dall’euro?
Oppure precipitare sciaguratamente verso ennesime elezioni dall’esito incerto per la governabilità del Paese?
Scrivo queste note con grande preoccupazione per il destino della idea politica che considero vitale per il destino del paese. Sento parlare di divisioni, spaccature, accordi tra correnti e correntine sempre con l’idea che, in fondo, ci siano due mezze mele da tenere insieme.
Ma se le due metà hanno colori molto diversi sarà molto difficile trovare chi mangerà la mela considerandola fresca.
C’è, al fondo un specie di nei gruppi dirigenti, per i vecchi partiti e ritorna l’idea di farli rivivere separandosi oppure combinandoli con una precaria colla che però li lascia sempre uguali e sempre pronti a entrare in conflitto.
Fu una gioia vedere, nell’immensa folla della manifestazione del Circo massimo del 2008, che non c’erano le bandiere dei vecchi partiti, neanche una.
Ma solo quelle del Pd, nato meno di un anno prima. Il Pd non può essere né un partito progressista, alla Hollande, né una versione moderata e scolorita di una identità di radicale cambiamento.
Il Pd non deve temere di riconoscere qualcuno, da rispettare, alla sua sinistra, ma non deve nemmeno avere la voglia di trasformarsi in altro da sé, di farsi moderato o di appannare le differenze con gli avversari.
Per me essere democratici è il contrario: una identità forte, che unisca realismo e radicalità, riformismo e valori forti. È innovazione, non conservazione.
Ci vuole orgoglio politico e autonomia culturale. Non un patchwork di idee antiche ma un meticciato vero. In fondo una metafora della società nuova, quella che coniuga identità e apertura.
Abbiamo di fronte tempi drammatici: dal lavoro alle tasse, dalla legalità ai diritti il riformismo dovrà far valere le sue risposte inedite.
Che dovranno essere autonome dai condizionamenti sindacali, cooperativi, di poteri forti, di pressioni ecclesiastiche.
Autonome da particolarismi conservatori e corporativismi. Non sarà una passeggiata di salute mettere mano davvero alle grandi riforme che da quarant’anni si annunciano, ma mai si realizzano. Bisognerà cambiare molto, snellendo e velocizzando, nella macchina di decisione e di rappresentanza se si vorrà tenere in vita la democrazia ed evitare che la politica corrotta e imbelle uccida la politica tout court.
Io credo ancora e sempre di più nelle possibilità del Partito Democratico e ho scritto queste parole per invitare tutti ad avere, in questo momento terribile, la testa sulle spalle e a tenere il paese al primo posto, sempre.
Bisogna alzare lo sguardo, tornare a vivere come una comunità di discussione e decisione comune, ridimensionare correnti e gruppi di potere vecchi e nuovi, recuperare autonomia politica e culturale.
E occuparsi della vita reale delle persone, offrendo soluzioni concrete e una visione, anche di valori, che accenda finalmente un sogno di futuro in un paese stremato. In una parola bisogna solamente essere i Democratici.
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ef=HREC1-9
Nel grande asilo Mariuccia dove ci si vestiva alla marinara - 1
La teoria e la pratica -1
Walter Veltroni, lettera a Repubblica:
"Evitiamo le scissioni per salvare il Pd"
di WALTER VELTRONI
Caro direttore,
salviamo il Pd. È stato il sogno della mia vita politica e sono convinto che una crisi di quel progetto precipiterebbe il paese nell'egemonia di populismi vari, cioè lo avvicinerebbe alla sua crisi definitiva.
La mia posizione di oggi, lontana ormai dalle dinamiche della vita interna, mi consente di dire, con la necessaria serenità e il necessario allarme, che quando sento parlare di possibili scissioni penso che si stia irresponsabilmente, anche solo ventilando l'ipotesi, distruggendo un grande progetto politico.
E considero alla stessa stregua l'ipotesi, circolata sui giornali, di machiavellici patti di potere che sanciscano una sorta di "doppia natura" del Pd.
Perché è nato il partito Democratico? Credo si fosse fatta strada allora nei gruppi dirigenti del centrosinistra la lucida consapevolezza che senza un grande partito riformista che superasse gli steccati delle vecchie appartenenze sarebbe stato impossibile dare al paese un governo davvero riformista e una maggioranza di popolo che lo sostenesse.
Il Pd non è nato per essere la somma di due storie del Novecento, stanche di se stesse.
Tradizioni culturali importanti ma non sufficienti a interpretare le trasformazioni sociali e culturali di questo nuovo millennio.
Per noi il Pd, l'ho sempre detto, non era il coronamento del "sogno" di Berlinguer e Moro. Che, peraltro, tutto sognavano fuorché di fondere i loro partiti o parti di essi.
Per noi il Pd era qualcosa di davvero nuovo: non la giustapposizione del cattolicesimo democratico e della tradizione laburista ma un salto, una rottura.
Essere democratici non era l'ultima soluzione delle innumerevoli trasformazioni dei partiti seguiti al triennio 89-92.
Era una identità nuova per l'Italia, ma una identità non inventata, non sprovvista di radici.
Essere democratici non è “fare gli americani”, è attingere alla più vitale delle culture politiche del riformismo.
Quella che si è manifestata con le grandi conquiste sociali e civili ,da Roosevelt a Obama.
Essere democratici non è una definizione che va usata perché altre non sono, in Italia, più praticabili; è una identità post ideologica , fondata sulla convivenza di valori puri e di un riformismo realista.
Essere democratici significa far parte di una tradizione culturale alla quale in Italia, pur con denominazioni diverse, nella storia hanno fatto riferimento personalità della politica e della società civile, partiti e singoli leader.
Spesso sono stati sfortunati, spesso hanno dovuto aspettare che il tempo desse loro ragione ben dopo la loro scomparsa.
Non è solo l’importazione, peraltro non vietata, di tradizioni politiche apparnostalgia, tenenti più alla cultura anglosassone, ma anche qualcosa che è esistito, spesso in forma minoritaria, come purtroppo fu l’Azionismo, nell’Italia ideologica del Novecento.
Essere democratici significa considerare intangibili valori come la legalità e la giustizia sociale, avere una cultura aperta dei diritti e una idea della società come una comunità inclusiva.
Significa coltivare una idea alta della priorità dell’interesse nazionale e una idea sobria e al tempo stesso orgogliosa della politica, significa sapere che la società civile non è solo un deposito di rabbia da usare elettoralmente come uno spot del momento ma una risorsa di organizzazione dal basso della vita pubblica.
La parola democratici è però sparita dal vocabolario del Pd. È stata sostituita progressivamente dalla più rassicurante autodefinizione di “progressisti” che, davvero al di là degli sfortunati precedenti, allude al fatto che sì , siamo cambiati, ma in fondo siamo sempre noi, «quelli che vengono da lontano e vanno lontano».
Del Pci che ho conosciuto, quello di Berlinguer, ho apprezzato proprio la grandezza dell’idea di essere una forza della nazione e, in quei tempi così duri, un contenitore così poco ideologico da esser votato, in piena guerra fredda, dal 34% degli italiani e da raccogliere il consenso di chi comunista non era, non era più, non voleva essere.
In Italia non è mai esistito un trentaquattro per cento che auspicava la dittatura del proletariato.
Ma quella storia è finita per sempre, forse con la morte di Moro, certamente con quella di Enrico Berlinguer.
Il Pd non è un partito socialista. Ne esiste uno ed è composto da bravi riformisti.
Il Pd non è semplicemente una forza della tradizione progressista della sinistra.
Non è neanche una & societaria che collega i Ds e la Margherita.
È, dovrebbe essere, una forza nuova, aperta, che si propone di mutare i paradigmi anche della seconda Repubblica, di uscire dallo scontro Berlusconismo-antiberlusconismo per entrare in quello vero, quello che dovrebbe essere: conservatori contro riformisti, cultura liberista contro cultura delle opportunità, individualismo contro spirito di comunità.
Gli avversari politici non sono mai, se non nelle dittature, nemici da eliminare. Ma leader ai quali sottrarre consenso, combattendo apertamente, duramente, le loro idee e le loro proposte.
La condizione di un paese stremato, con lavoratori senza lavoro e imprenditori senza imprese, con la mafia che domina e l’illegalità che prospera, con livelli infimi di investimenti in scuola e ricerca, rimanda alla necessità di sfidare la destra non sul suo terreno, lo scontro frontale che tiene alti gli steccati, ma su quello della vera innovazione, in una parola del riformismo.
Per questo il Pd non deve pensare se stesso come un soggetto limitato nella sua espansione; deve coltivare la sua ambizione di portare al governo del paese non una fragile maggioranza raccolta, con esiti che conosciamo, contro qualcuno, ma un consenso popolare capace di sorreggere quel ciclo riformista senza il quale il paese è destinato a declinare e a sfarinarsi.
Era questa, per noi, la “vocazione maggioritaria” del Pd. Senza vocazione maggioritaria il Pd non esiste.
Se il problema era solamente la strategia delle alleanze, sempre più difficile, allora tanto valeva restare alle forze antiche.
In questi giorni un risultato elettorale molto negativo, determinatosi nelle condizioni migliori per i riformisti, ha squadernato drammaticamente questo problema.
Allearsi con Berlusconi, che definisce i giudici mafiosi in un seggio elettorale o con Grillo che vuole sciogliere i sindacati e uscire dall’euro?
Oppure precipitare sciaguratamente verso ennesime elezioni dall’esito incerto per la governabilità del Paese?
Scrivo queste note con grande preoccupazione per il destino della idea politica che considero vitale per il destino del paese. Sento parlare di divisioni, spaccature, accordi tra correnti e correntine sempre con l’idea che, in fondo, ci siano due mezze mele da tenere insieme.
Ma se le due metà hanno colori molto diversi sarà molto difficile trovare chi mangerà la mela considerandola fresca.
C’è, al fondo un specie di nei gruppi dirigenti, per i vecchi partiti e ritorna l’idea di farli rivivere separandosi oppure combinandoli con una precaria colla che però li lascia sempre uguali e sempre pronti a entrare in conflitto.
Fu una gioia vedere, nell’immensa folla della manifestazione del Circo massimo del 2008, che non c’erano le bandiere dei vecchi partiti, neanche una.
Ma solo quelle del Pd, nato meno di un anno prima. Il Pd non può essere né un partito progressista, alla Hollande, né una versione moderata e scolorita di una identità di radicale cambiamento.
Il Pd non deve temere di riconoscere qualcuno, da rispettare, alla sua sinistra, ma non deve nemmeno avere la voglia di trasformarsi in altro da sé, di farsi moderato o di appannare le differenze con gli avversari.
Per me essere democratici è il contrario: una identità forte, che unisca realismo e radicalità, riformismo e valori forti. È innovazione, non conservazione.
Ci vuole orgoglio politico e autonomia culturale. Non un patchwork di idee antiche ma un meticciato vero. In fondo una metafora della società nuova, quella che coniuga identità e apertura.
Abbiamo di fronte tempi drammatici: dal lavoro alle tasse, dalla legalità ai diritti il riformismo dovrà far valere le sue risposte inedite.
Che dovranno essere autonome dai condizionamenti sindacali, cooperativi, di poteri forti, di pressioni ecclesiastiche.
Autonome da particolarismi conservatori e corporativismi. Non sarà una passeggiata di salute mettere mano davvero alle grandi riforme che da quarant’anni si annunciano, ma mai si realizzano. Bisognerà cambiare molto, snellendo e velocizzando, nella macchina di decisione e di rappresentanza se si vorrà tenere in vita la democrazia ed evitare che la politica corrotta e imbelle uccida la politica tout court.
Io credo ancora e sempre di più nelle possibilità del Partito Democratico e ho scritto queste parole per invitare tutti ad avere, in questo momento terribile, la testa sulle spalle e a tenere il paese al primo posto, sempre.
Bisogna alzare lo sguardo, tornare a vivere come una comunità di discussione e decisione comune, ridimensionare correnti e gruppi di potere vecchi e nuovi, recuperare autonomia politica e culturale.
E occuparsi della vita reale delle persone, offrendo soluzioni concrete e una visione, anche di valori, che accenda finalmente un sogno di futuro in un paese stremato. In una parola bisogna solamente essere i Democratici.
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ef=HREC1-9
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Re: quo vadis PD ????
----------------------shiloh ha scritto:Ignazio Marino stravince le primarie a candidato sindaco di Roma.
il Pd esiste ancora...
Caro shiloh.Sono contento per lui se lo merita.Bersani pensava ad altri.
Ciao
Paolo11
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Re: quo vadis PD ????
La maionese impazzita chiamata Pd - 28
Le inutili guerre di potere che nulla hanno a che vedere con la realtà italiana, in attesa del crac finale. - 1
L’ultimo scontro tra i democratici “Se salta Pierluigi si vota a giugno”
(Goffredo de Marchis).
08/04/2013 di triskel182
ROMA— Le elezioni a giugno possono diventare la miccia che fa esplodere il Pd.
«Il punto è sempre quello», dicono a Largo del Nazareno.
Dal 26 febbraio, in fondo, la situazione non è cambiata.
Ma sono cambiate le forze in campo.
Perché il “partito” del no al voto sta crescendo e tiene dentro un fronte trasversale con Veltroni, Franceschini, Letta, D’Alema e Renzi che ha anche il suo piano B: tornare alle urne e conquistare la candidatura a Palazzo Chigi senza grandi avversari.
Il braccio di ferro interno sembra però inevitabile.
Perché i giovani turchi sono fermi da settimane: «O Bersani ce la fa o si dà di nuovo la parola ai cittadini».
Anche i bersaniani non vedono alternative: «Governicchi con il Pdl non esistono. E se esistono, quanto durano? Sei mesi, otto mesi? Quello sì sarebbe perdere tempo. Ci va di mezzo il Paese».
L’eco di questo bivio cruciale si avvertirà già domani nella riunione dei gruppi parlamentari.
Dario Franceschini ha tracciato la strada: se fallisce il “governo del cambiamento” guidato da Bersani, non si può andare a votare subito.
Serve comunque un esecutivo di transizione che faccia la riforma elettorale cancellando il Porcellum e affronti l’emergenza sociale.
Fino a qualche giorno fa, questa era anche la posizione del sindaco di Firenze.
Poi, la rotta è stata modificata.
Renzi non sa se può permettersi di aspettare troppo “il suo momento”.
Vede i tentativi che si consumano a Roma per fermarne la corsa o rallentarla con lo stesso obiettivo finale: logorarlo.
Per questo ha rotto gli indugi chiedendo una scelta secca al segretario: o governissimo o voto.
L’alternativa di un accordo con il Pdl continua a non dispiacergli.
«Quello che io voglio evitare a tutti i costi è apparire un leader cooptato dal gruppo dirigente », ripete a tutti quelli che lo consultano.
E non sono pochi, anche tra i dirigenti più vicini a Bersani.
Dunque, la sua strada passa per primarie vere, aperte, non fatte in fretta e furia, davvero competitive, che non lascino il sospetto di un risultato già scritto grazie a un apparato convertito sulla via di Damasco.
Franceschini chiama Renzi sempre più spesso, i lettiani hanno un filo diretto, persino D’Alema ne sonda gli umori attraverso alcuni “ambasciatori” autorizzati che scambiano due chiacchiere con il sindaco davanti a un caffè a Firenze o nell’albergo romano dove dorme quando viene nella Capitale.
Questa diplomazia è un’arma in più per il primo cittadino, che nelle primarie precedenti scontò anche la sua distanza dal partito.
Gli danno la sicurezza di poter vincere la battaglia interna senza problemi.
“Adesso” resta il suo slogan anche nel passaggio delle prossime settimane, quelle in cui si decide il destino della legislatura.
Ma anche le ragioni del “no al voto subito” possono diventare le sue.
Si tiene aperte le due vie d’uscita.
Bersani è concentrato sulla partita del Quirinale, che giovedì o venerdì giocherà guardando negli occhi Silvio Berlusconi in un vertice atteso.
Eppure a Largo del Nazareno guardano al dopo voto sul capo dello Stato.
«Le elezioni a giugno sono un’opzione», dicono.
Il leader dei Giovani Turchi Matteo Orfini non ha dubbi: «Sapevamo fin dall’inizio che si sarebbe tornati al punto di partenza. Noi non molliamo».
Perciò la corrente di Orfini e Fassina avverte «tutti quelli che stanno cercando di attuare una tattica più morbida verso il centrodestra».
Se Bersani fallisce, si deve riunire la direzione e ci si conta sulle elezioni anticipate ».
In quest’ottica, appare come una coincidenza singolare la manifestazione contro la povertà convocata dal Pd a Roma per sabato.
Lo stesso giorno in cui Berlusconi sarà a Bari per un appuntamento che molti considerano ambivalente: o l’inizio della campagna elettorale o un semplice comizio. Dipende da come andrà il colloquio con Bersani.
È una lettura che vale anche per l’iniziativa dei democratici?
Il ritorno alle urne era una posizione largamente maggioritaria nel Pd fino a dieci giorni fa.
Oggi molto meno. Una posizione che rischia di uscire sconfitta nella “conta” sia in direzione sia nei gruppi parlamentari.
Basta leggere attentamente anche le parole di Nichi Vendola.
Che difende il tentativo Bersani, non vede altri governi all’orizzonte, rifiuta qualsiasi intesa con Berlusconi.
Ma dice che le elezioni subito «sarebbero una follia» e che la «gente inseguirebbe coi forconi i politici se non ci fosse un governo».
Una linea che la presidente della Camera Laura Boldrini ha subito sposato.
Da La Repubblica del 08/04/2013.
Le inutili guerre di potere che nulla hanno a che vedere con la realtà italiana, in attesa del crac finale. - 1
L’ultimo scontro tra i democratici “Se salta Pierluigi si vota a giugno”
(Goffredo de Marchis).
08/04/2013 di triskel182
ROMA— Le elezioni a giugno possono diventare la miccia che fa esplodere il Pd.
«Il punto è sempre quello», dicono a Largo del Nazareno.
Dal 26 febbraio, in fondo, la situazione non è cambiata.
Ma sono cambiate le forze in campo.
Perché il “partito” del no al voto sta crescendo e tiene dentro un fronte trasversale con Veltroni, Franceschini, Letta, D’Alema e Renzi che ha anche il suo piano B: tornare alle urne e conquistare la candidatura a Palazzo Chigi senza grandi avversari.
Il braccio di ferro interno sembra però inevitabile.
Perché i giovani turchi sono fermi da settimane: «O Bersani ce la fa o si dà di nuovo la parola ai cittadini».
Anche i bersaniani non vedono alternative: «Governicchi con il Pdl non esistono. E se esistono, quanto durano? Sei mesi, otto mesi? Quello sì sarebbe perdere tempo. Ci va di mezzo il Paese».
L’eco di questo bivio cruciale si avvertirà già domani nella riunione dei gruppi parlamentari.
Dario Franceschini ha tracciato la strada: se fallisce il “governo del cambiamento” guidato da Bersani, non si può andare a votare subito.
Serve comunque un esecutivo di transizione che faccia la riforma elettorale cancellando il Porcellum e affronti l’emergenza sociale.
Fino a qualche giorno fa, questa era anche la posizione del sindaco di Firenze.
Poi, la rotta è stata modificata.
Renzi non sa se può permettersi di aspettare troppo “il suo momento”.
Vede i tentativi che si consumano a Roma per fermarne la corsa o rallentarla con lo stesso obiettivo finale: logorarlo.
Per questo ha rotto gli indugi chiedendo una scelta secca al segretario: o governissimo o voto.
L’alternativa di un accordo con il Pdl continua a non dispiacergli.
«Quello che io voglio evitare a tutti i costi è apparire un leader cooptato dal gruppo dirigente », ripete a tutti quelli che lo consultano.
E non sono pochi, anche tra i dirigenti più vicini a Bersani.
Dunque, la sua strada passa per primarie vere, aperte, non fatte in fretta e furia, davvero competitive, che non lascino il sospetto di un risultato già scritto grazie a un apparato convertito sulla via di Damasco.
Franceschini chiama Renzi sempre più spesso, i lettiani hanno un filo diretto, persino D’Alema ne sonda gli umori attraverso alcuni “ambasciatori” autorizzati che scambiano due chiacchiere con il sindaco davanti a un caffè a Firenze o nell’albergo romano dove dorme quando viene nella Capitale.
Questa diplomazia è un’arma in più per il primo cittadino, che nelle primarie precedenti scontò anche la sua distanza dal partito.
Gli danno la sicurezza di poter vincere la battaglia interna senza problemi.
“Adesso” resta il suo slogan anche nel passaggio delle prossime settimane, quelle in cui si decide il destino della legislatura.
Ma anche le ragioni del “no al voto subito” possono diventare le sue.
Si tiene aperte le due vie d’uscita.
Bersani è concentrato sulla partita del Quirinale, che giovedì o venerdì giocherà guardando negli occhi Silvio Berlusconi in un vertice atteso.
Eppure a Largo del Nazareno guardano al dopo voto sul capo dello Stato.
«Le elezioni a giugno sono un’opzione», dicono.
Il leader dei Giovani Turchi Matteo Orfini non ha dubbi: «Sapevamo fin dall’inizio che si sarebbe tornati al punto di partenza. Noi non molliamo».
Perciò la corrente di Orfini e Fassina avverte «tutti quelli che stanno cercando di attuare una tattica più morbida verso il centrodestra».
Se Bersani fallisce, si deve riunire la direzione e ci si conta sulle elezioni anticipate ».
In quest’ottica, appare come una coincidenza singolare la manifestazione contro la povertà convocata dal Pd a Roma per sabato.
Lo stesso giorno in cui Berlusconi sarà a Bari per un appuntamento che molti considerano ambivalente: o l’inizio della campagna elettorale o un semplice comizio. Dipende da come andrà il colloquio con Bersani.
È una lettura che vale anche per l’iniziativa dei democratici?
Il ritorno alle urne era una posizione largamente maggioritaria nel Pd fino a dieci giorni fa.
Oggi molto meno. Una posizione che rischia di uscire sconfitta nella “conta” sia in direzione sia nei gruppi parlamentari.
Basta leggere attentamente anche le parole di Nichi Vendola.
Che difende il tentativo Bersani, non vede altri governi all’orizzonte, rifiuta qualsiasi intesa con Berlusconi.
Ma dice che le elezioni subito «sarebbero una follia» e che la «gente inseguirebbe coi forconi i politici se non ci fosse un governo».
Una linea che la presidente della Camera Laura Boldrini ha subito sposato.
Da La Repubblica del 08/04/2013.
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Re: quo vadis PD ????
08 APR 17:24
CASSANDRA CACCIARI: LA REPUBBLICA DI WEIMAR È VIVA E LOTTA INSIEME A NOI
’La storia del Pd impedisce a questo partito un accordo col Pdl che non ne comporti il suicidio; il Pdl lo sa benissimo,e soltanto per questo lo propone. E i grillini vincitori non riescono a vedere quale utilità potrebbero trarre da alleanze di qualsiasi tipo con forze chiaramente decotte’’…
Massimo Cacciari per "l'Espresso"
Che cosa accade in questo Paese? Davvero gli dèi hanno deciso di perderci? In qualsiasi altro luogo, di fronte a una crisi di tali proporzioni, nel pieno di un declino che pare inarrestabile, le forze politiche avrebbero cercato un compromesso, prodotto un accordo di qualche tipo. Alla regola del primum vivere non sarebbero venute meno.
Situazioni analoghe, di partiti con l'acqua ormai sopra la testa, incapaci di liberarsi delle catene che essi stessi si sono stretti addosso, non si conoscevano dall'avvento al potere di fascisti e nazisti. La stessa impotenza a rinnovarsi, a liberarsi da arcaici steccati ideologici, ad affrontare il "salto d'epoca". Lo stesso testardo insistere su ciò che separa, lo stesso caparbio ostinarsi nell'illusione di poter conservare le proprie rendite di posizione. Per fortuna nessun Hitler è alle porte, nè lo sarà mai più.
Ma la figura che i nostri eroi fanno è del tutto paragonabile a quella di comunisti, socialisti, partiti conservatori e partiti cattolici della sventurata Repubblica di Weimar.
E il dramma è che davvero, allora come ora, queste forze non possono trovare un punto di mediazione.
La storia del Pd impedisce a questo partito un accordo col Pdl che non ne comporti il suicidio; il Pdl lo sa benissimo,e soltanto per questo lo propone.
E i grillini vincitori? Forse ignorano il motto "guai ai vincitori!", ma forse anche, ragionando di politica, non riescono a vedere quale utilità potrebbero trarre da alleanze di qualsiasi tipo con forze chiaramente decotte.
Se il Pd si fosse presentato all'appuntamento inequivocabilmente sulla via del rinnovamento, il discorso sarebbe forse potuto essere un altro. Ma ora?
Anche i grillini appaiono prigionieri di se stessi. Il nostro Fool (Matto) ha mostrato per intero la follia del Re e la sua impotenza a governare, ma accade ora che nessuno si mostra in grado di ereditare il regno. Nessun fool è stato mai così matto da pensare di potersi lui da solo sostituire al Re impazzito.
Naturalmente, nessun matto è più matto di quel Re che abdica da ogni sua funzione, che si rivela drammaticamente impotente e che pure pretende di continuare a regnare. Ma la situazione non potrà mai essere quella di una successione da parte del più o meno saggio fool, che aveva denunciato la follia del Re.
I veri matti lo sanno benissimo. Ma arrivano momenti in cui debbono fingere di non saperlo, illudendosi così di potersi salvare dalla catastrofe generale. Shakespeare insegna che invece ciò non si dà.
MORALE DELLA METAFORA? Vogliamo per una volta guardare in faccia la realtà? Vogliamo prendere lezione da tutti gli ultimi avvenimenti o almeno, per chi ha la memoria corta, dal mandato a Monti da parte di Napolitano? Il Paese è in condizioni drammatiche, la mancanza di governo non riguarda questo o quel Governo, ma il crollo di rappresentatività e funzionalità di ogni istituzione. I partiti usciranno dalla loro crisi chissà quando e chissà come. Se ci siamo salvati finora è per l'energia del Capo dello Stato.
Ma non si tratta del "ruolo della personalità nella storia".
È chiaro, invece, che la natura stessa della crisi impone di ripensare alla figura e al ruolo del Presidente. Che cosa significa, dopo i vani tentativi di questi giorni, che Napolitano personalmente verificherà gli orientamenti dei diversi gruppi? Significa che, per le ragioni indicate all'inizio, le forze politiche,nella loro normale dialettica, non ce la fanno a governare la situazione.
Non si tratta di un semplice passaggio. Da trent'anni è così. Riconosciamolo finalmente: la logica di questa seconda, fallita Repubblica impone nuove forme di parlamento e di governo. E il governo, in Italia, va pensato in una prospettiva presidenzialistica.
C'è chi lo dice da Tangentopoli, c'è chi ne ha spiegato la necessità anche in un quadro di vera riforma federalistica. Ma come si fa a non comprenderlo ora, di fronte allo spettacolo cui siamo costretti ad assistere? Per il momento, che Napolitano cerchi di varare un altro governo delle "larghe intese", inventi un altro uomo (e questa volta magari anche un gabinetto) capace di farci sopravvivere.
E che Dio gli renda merito. Ma i pannicelli non servono per affrontare alla radice il problema del governo in Italia; non possiamo continuare a giocare alla "repubblica presidenziale", senza che un presidente democraticamente eletto ne abbia i poteri. Tirare avanti è ormai un modo per precipitare.
CASSANDRA CACCIARI: LA REPUBBLICA DI WEIMAR È VIVA E LOTTA INSIEME A NOI
’La storia del Pd impedisce a questo partito un accordo col Pdl che non ne comporti il suicidio; il Pdl lo sa benissimo,e soltanto per questo lo propone. E i grillini vincitori non riescono a vedere quale utilità potrebbero trarre da alleanze di qualsiasi tipo con forze chiaramente decotte’’…
Massimo Cacciari per "l'Espresso"
Che cosa accade in questo Paese? Davvero gli dèi hanno deciso di perderci? In qualsiasi altro luogo, di fronte a una crisi di tali proporzioni, nel pieno di un declino che pare inarrestabile, le forze politiche avrebbero cercato un compromesso, prodotto un accordo di qualche tipo. Alla regola del primum vivere non sarebbero venute meno.
Situazioni analoghe, di partiti con l'acqua ormai sopra la testa, incapaci di liberarsi delle catene che essi stessi si sono stretti addosso, non si conoscevano dall'avvento al potere di fascisti e nazisti. La stessa impotenza a rinnovarsi, a liberarsi da arcaici steccati ideologici, ad affrontare il "salto d'epoca". Lo stesso testardo insistere su ciò che separa, lo stesso caparbio ostinarsi nell'illusione di poter conservare le proprie rendite di posizione. Per fortuna nessun Hitler è alle porte, nè lo sarà mai più.
Ma la figura che i nostri eroi fanno è del tutto paragonabile a quella di comunisti, socialisti, partiti conservatori e partiti cattolici della sventurata Repubblica di Weimar.
E il dramma è che davvero, allora come ora, queste forze non possono trovare un punto di mediazione.
La storia del Pd impedisce a questo partito un accordo col Pdl che non ne comporti il suicidio; il Pdl lo sa benissimo,e soltanto per questo lo propone.
E i grillini vincitori? Forse ignorano il motto "guai ai vincitori!", ma forse anche, ragionando di politica, non riescono a vedere quale utilità potrebbero trarre da alleanze di qualsiasi tipo con forze chiaramente decotte.
Se il Pd si fosse presentato all'appuntamento inequivocabilmente sulla via del rinnovamento, il discorso sarebbe forse potuto essere un altro. Ma ora?
Anche i grillini appaiono prigionieri di se stessi. Il nostro Fool (Matto) ha mostrato per intero la follia del Re e la sua impotenza a governare, ma accade ora che nessuno si mostra in grado di ereditare il regno. Nessun fool è stato mai così matto da pensare di potersi lui da solo sostituire al Re impazzito.
Naturalmente, nessun matto è più matto di quel Re che abdica da ogni sua funzione, che si rivela drammaticamente impotente e che pure pretende di continuare a regnare. Ma la situazione non potrà mai essere quella di una successione da parte del più o meno saggio fool, che aveva denunciato la follia del Re.
I veri matti lo sanno benissimo. Ma arrivano momenti in cui debbono fingere di non saperlo, illudendosi così di potersi salvare dalla catastrofe generale. Shakespeare insegna che invece ciò non si dà.
MORALE DELLA METAFORA? Vogliamo per una volta guardare in faccia la realtà? Vogliamo prendere lezione da tutti gli ultimi avvenimenti o almeno, per chi ha la memoria corta, dal mandato a Monti da parte di Napolitano? Il Paese è in condizioni drammatiche, la mancanza di governo non riguarda questo o quel Governo, ma il crollo di rappresentatività e funzionalità di ogni istituzione. I partiti usciranno dalla loro crisi chissà quando e chissà come. Se ci siamo salvati finora è per l'energia del Capo dello Stato.
Ma non si tratta del "ruolo della personalità nella storia".
È chiaro, invece, che la natura stessa della crisi impone di ripensare alla figura e al ruolo del Presidente. Che cosa significa, dopo i vani tentativi di questi giorni, che Napolitano personalmente verificherà gli orientamenti dei diversi gruppi? Significa che, per le ragioni indicate all'inizio, le forze politiche,nella loro normale dialettica, non ce la fanno a governare la situazione.
Non si tratta di un semplice passaggio. Da trent'anni è così. Riconosciamolo finalmente: la logica di questa seconda, fallita Repubblica impone nuove forme di parlamento e di governo. E il governo, in Italia, va pensato in una prospettiva presidenzialistica.
C'è chi lo dice da Tangentopoli, c'è chi ne ha spiegato la necessità anche in un quadro di vera riforma federalistica. Ma come si fa a non comprenderlo ora, di fronte allo spettacolo cui siamo costretti ad assistere? Per il momento, che Napolitano cerchi di varare un altro governo delle "larghe intese", inventi un altro uomo (e questa volta magari anche un gabinetto) capace di farci sopravvivere.
E che Dio gli renda merito. Ma i pannicelli non servono per affrontare alla radice il problema del governo in Italia; non possiamo continuare a giocare alla "repubblica presidenziale", senza che un presidente democraticamente eletto ne abbia i poteri. Tirare avanti è ormai un modo per precipitare.
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Re: quo vadis PD ????
Il problema sta' tutto qui!!! Ma quanti di noi (anche qui dentro) si sono affannati a far cambiar inidirizzo a questo PD?camillobenso ha scritto:Se il Pd si fosse presentato all'appuntamento inequivocabilmente sulla via del rinnovamento, il discorso sarebbe forse potuto essere un altro. Ma ora?
Certo, alcune domande stanno piu' che bene:
-Era possibile farlo tutto questo o valeva la pena di aspettare ad essere messi alle corde da Grillo?
-Se non era possibile farlo perche' ora viene proposto? Cosa lo impediva?
-Chi ha "vinto" all'interno del PD per aver proposto questi 8/10 punti?
-Che succedera' se SEL ora confluira nel PD mettendosi alla sua sinistra interna?
Sono solo alcune domandine che non possono essere prese alla spicciolata. Qui si potrebbe delineare un'inversione di marcia sempre che non succedano scissioni.
Eppoi far riprendere la credibilita' non e' cosa da poco anche se veramente questo PD intendesse rinnovarsi . Ma come rinnovarsi?
To be or not to be. Questo e' il vero problema !!
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: quo vadis PD ????
paolo11 ha scritto:----------------------shiloh ha scritto:Ignazio Marino stravince le primarie a candidato sindaco di Roma.
il Pd esiste ancora...
Caro shiloh.Sono contento per lui se lo merita.Bersani pensava ad altri.Ciao
Paolo11
non credo proprio...
Re: quo vadis PD ????
Questa mattina ad Agorà un Bersani come al solito pragmatico e di buon senso.
Di errori, a mio giudizio, ne ha fatti prima e dopo le elezioni. Ma nella sostanza, le sue argomentazioni sono indiscutibili e disarmanti.
Di errori, a mio giudizio, ne ha fatti prima e dopo le elezioni. Ma nella sostanza, le sue argomentazioni sono indiscutibili e disarmanti.
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Re: quo vadis PD ????
Bersani di errori ne ha fatti prima delle elezioni quando con caparbietà si è fatto imbrigliare dall'ala destra del partito e dagli inciucisti (con casini e con monti tutti i costi) compresa la cassandra Cacciari che adesso addirittura è per il semi-presidenzialismo (pro berlusconi) .
il PD con Bersani forte dei 3 milioni di elettori che l'hanno votato, doveva dire cose di sinistra e non le ha dette, doveva essere più duro con Berlusconi e non l'ha fatto, non doveva firmare il finto decreto anticorruzione a firma alfano e l'ha firmato, non doveva approvare la riforma fornero e l'ha approvata, ha contribuito a svuotare l'art.18 prima delle elezioni ed ha detto che non l'avrebbe toccato dopo, non ha firmato il referendum Fiom 8 per il 18, e non ha difeso i lavoratori fiat di Pomigliano ingiustamente licenziati.
In poche parole non si può stare con un piede in due staffe, o stai con i lavoratori o stai con i padroni. Questa è la contraddizione del PD con in testa Renzi.
This is the Question.
Girarci attorno è inutile.
Bye
il PD con Bersani forte dei 3 milioni di elettori che l'hanno votato, doveva dire cose di sinistra e non le ha dette, doveva essere più duro con Berlusconi e non l'ha fatto, non doveva firmare il finto decreto anticorruzione a firma alfano e l'ha firmato, non doveva approvare la riforma fornero e l'ha approvata, ha contribuito a svuotare l'art.18 prima delle elezioni ed ha detto che non l'avrebbe toccato dopo, non ha firmato il referendum Fiom 8 per il 18, e non ha difeso i lavoratori fiat di Pomigliano ingiustamente licenziati.
In poche parole non si può stare con un piede in due staffe, o stai con i lavoratori o stai con i padroni. Questa è la contraddizione del PD con in testa Renzi.
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Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: quo vadis PD ????
"o stai con i lavoratori o stai con i padroni"
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sbagliato.
entrambe le categorie fanno parte del sistema paese e sono funzionali e indispensabili l'una all'altra.
la difficoltà sta appunto nel tutelare gli interessi di entrambe...il "bene comune" insomma.
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sbagliato.
entrambe le categorie fanno parte del sistema paese e sono funzionali e indispensabili l'una all'altra.
la difficoltà sta appunto nel tutelare gli interessi di entrambe...il "bene comune" insomma.
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Re: quo vadis PD ????
Peccato che chi va a votare in maggioranza sono lavoratori e tra il milione e mezzo di posti di lavoro persi nel 2012 chi li va intercettare, Grillo?shiloh ha scritto:"o stai con i lavoratori o stai con i padroni"
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sbagliato.
entrambe le categorie fanno parte del sistema paese e sono funzionali e indispensabili l'una all'altra.
la difficoltà sta appunto nel tutelare gli interessi di entrambe...il "bene comune" insomma.
Il PD non può schiacciare l'occhio ai padroni, ho scritto così prima non imprenditori, e poi volere i voti dei lavoratori da essi licenziati.
Sbagliato!
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