the day after. quali accordi per governare?
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Re: the day after. quali accordi per governare?
pensierino della sera:
se non ci fossero quei caxxoni dei 5 stelle staremmo godendo come matti:
-Prodi al quirinale.
-Lega a pezzi.
-mummia cinese con 3 condanne sul groppone...
se non ci fossero quei caxxoni dei 5 stelle staremmo godendo come matti:
-Prodi al quirinale.
-Lega a pezzi.
-mummia cinese con 3 condanne sul groppone...
Re: the day after. quali accordi per governare?
Insomma, stando alla Meli, Renzi e D'Alema spingerebbero per Prodi al quirinale, mentre Bersani punta su Marini per avere il via libera dal caimano a palazzo Chigi.
Vediamo come va a finire, ma certo è che Bersani si sta rivelando una "sola".
RETROSCENA - ANCHE CASINI PRONTO AL VIA LIBERA, MA PESA IL NO DI FRANCESCHINI
Il fronte (da Renzi a D'Alema)
che punta su Prodi per il Colle
L'ok di Veltroni e la preoccupazione del segretario
Prodi (Ansa)
ROMA - Il primo, inequivocabile, indizio è la presenza quasi quotidiana di Arturo Parisi alla Camera e il suo insistere sul fatto che «all'Italia serve un De Gaulle». Il secondo è l'intervista di Graziano Delrio all' Unità , per spiegare che «Prodi al Quirinale sarebbe una figura di garanzia». Il terzo è rappresentato dalle parole di Matteo Renzi a Porta a Porta : «Prodi è uno dei candidati. Berlusconi farà di tutto pur di averne un altro, ma tutto dipende da un fatto: se si farà o meno l'accordo con il centrodestra». Il quarto lo fornisce sempre il sindaco di Firenze quando annuncia il suo «no» a Franco Marini. Insomma, per farla breve, lo scontro congressuale del Partito democratico si è spostato sul campo di battaglia del Quirinale: in questo momento si stanno confrontando due armate, una punta su Prodi, l'altra su Marini. E una cosa è certa: ci saranno morti e feriti.
Bersani, che l'altro ieri mattina ha sondato Veltroni e ieri D'Alema e Bindi, in questi giorni ha fatto il nome di Marini come quello di un possibile candidato condiviso con il Pdl. Ma Veltroni, che ha invitato il segretario a consultare maggiormente il Pd in questo frangente delicato, perché, altrimenti, per dirla con Ermete Realacci c'è il rischio che «i gruppi parlamentari non diano una risposta convinta alla proposta che verrà fatta», non pensa che Marini possa essere il candidato giusto, pur apprezzandolo e stimandolo. Anche D'Alema ha delle perplessità, legate all'identikit del futuro presidente della Repubblica. Secondo l'ex premier il nuovo capo dello Stato deve avere «credibilità internazionale». Fioroni e Franceschini, invece, non la pensano così: loro sono posizionati su Marini e non vorrebbero discostarsi di lì.
Ma ora che Renzi ha ufficializzato il suo «no» all'ex presidente del Senato, proprio dopo l'incontro con D'Alema, i giochi sono cambiati. L'ex premier sta cercando un candidato condiviso. Non con il Pdl. Ma prima di tutto dentro il Pd perché capisce che sennò non si va da nessuna parte. Perciò ha voluto parlare con Renzi e ha cercato di convincere Bersani a seguire un percorso più lineare. A D'Alema Prodi non dispiace. E nemmeno a Veltroni. Infatti Fioroni cerca di correre ai ripari: «Renzi e gli altri che vogliono un presidente divisivo non pensano all'interesse generale del Paese».
E Bersani, che pensa di Prodi? L'altro giorno Angelo Rughetti, neo deputato renziano, ragionava così con un capannello di colleghi di partito: «Mi pare che siamo alla "nuova" politica dei due forni. C'è il piano A, che prevede l'accordo con Berlusconi per Marini al Quirinale e un governo Bersani delle "quasi larghe intese". Poi c'è il piano B: accordo con il Movimento 5 Stelle per Rodotà o un personaggio simile, che garantirebbe l'incarico a Bersani, ma in questo caso gli sarebbe più difficile ottenere la fiducia». Le riflessioni ad alta voce di Rughetti sono condivise da molti. Ma la domanda che si fanno tutti o quasi è questa: «Come farà Bersani a dire pubblicamente no a Prodi?». Già, il progetto è di mettere il segretario con le spalle al muro e metterlo di fronte a un bivio: dire ufficialmente che in nome dell'accordo con Berlusconi preferisce sacrificare il leader fondatore dell'Ulivo o accettare la candidatura di Prodi? La novità in questo campo è anche un'altra: Casini, che ieri ha visto pure lui Bersani, si sta spostando su Renzi perché con il sindaco di Firenze candidato premier non avrebbe problemi a schierarsi con il centrosinistra. E il leader dell'Udc non disdegna l'idea di appoggiare Prodi.
Insomma, i giochi per il Quirinale in casa democratica sono complicati, anche se si sta lavorando per trovare un'unità interna su un nome (ma Matteo Orfini, per esempio, ancora ieri sparava sia su Prodi sia su Marini). E anche in questo campo Renzi ha introdotto la sua innovazione: «Non pugnalerò mai Bersani alle spalle e non vi saranno franchi tiratori». Insomma, il dissenso verrà reso pubblico, con gli effetti mediatici che ne conseguiranno. Alla luce di queste vicende l'esclusione del sindaco di Firenze dai grandi elettori operata da franceschiniani e bersaniani assume un significato prettamente politico, che non può essere derubricato a fatto locale.
Maria Teresa Meli
13 aprile 2013 | 7:48
http://www.corriere.it/politica/special ... 88da.shtml
Vediamo come va a finire, ma certo è che Bersani si sta rivelando una "sola".
RETROSCENA - ANCHE CASINI PRONTO AL VIA LIBERA, MA PESA IL NO DI FRANCESCHINI
Il fronte (da Renzi a D'Alema)
che punta su Prodi per il Colle
L'ok di Veltroni e la preoccupazione del segretario
Prodi (Ansa)
ROMA - Il primo, inequivocabile, indizio è la presenza quasi quotidiana di Arturo Parisi alla Camera e il suo insistere sul fatto che «all'Italia serve un De Gaulle». Il secondo è l'intervista di Graziano Delrio all' Unità , per spiegare che «Prodi al Quirinale sarebbe una figura di garanzia». Il terzo è rappresentato dalle parole di Matteo Renzi a Porta a Porta : «Prodi è uno dei candidati. Berlusconi farà di tutto pur di averne un altro, ma tutto dipende da un fatto: se si farà o meno l'accordo con il centrodestra». Il quarto lo fornisce sempre il sindaco di Firenze quando annuncia il suo «no» a Franco Marini. Insomma, per farla breve, lo scontro congressuale del Partito democratico si è spostato sul campo di battaglia del Quirinale: in questo momento si stanno confrontando due armate, una punta su Prodi, l'altra su Marini. E una cosa è certa: ci saranno morti e feriti.
Bersani, che l'altro ieri mattina ha sondato Veltroni e ieri D'Alema e Bindi, in questi giorni ha fatto il nome di Marini come quello di un possibile candidato condiviso con il Pdl. Ma Veltroni, che ha invitato il segretario a consultare maggiormente il Pd in questo frangente delicato, perché, altrimenti, per dirla con Ermete Realacci c'è il rischio che «i gruppi parlamentari non diano una risposta convinta alla proposta che verrà fatta», non pensa che Marini possa essere il candidato giusto, pur apprezzandolo e stimandolo. Anche D'Alema ha delle perplessità, legate all'identikit del futuro presidente della Repubblica. Secondo l'ex premier il nuovo capo dello Stato deve avere «credibilità internazionale». Fioroni e Franceschini, invece, non la pensano così: loro sono posizionati su Marini e non vorrebbero discostarsi di lì.
Ma ora che Renzi ha ufficializzato il suo «no» all'ex presidente del Senato, proprio dopo l'incontro con D'Alema, i giochi sono cambiati. L'ex premier sta cercando un candidato condiviso. Non con il Pdl. Ma prima di tutto dentro il Pd perché capisce che sennò non si va da nessuna parte. Perciò ha voluto parlare con Renzi e ha cercato di convincere Bersani a seguire un percorso più lineare. A D'Alema Prodi non dispiace. E nemmeno a Veltroni. Infatti Fioroni cerca di correre ai ripari: «Renzi e gli altri che vogliono un presidente divisivo non pensano all'interesse generale del Paese».
E Bersani, che pensa di Prodi? L'altro giorno Angelo Rughetti, neo deputato renziano, ragionava così con un capannello di colleghi di partito: «Mi pare che siamo alla "nuova" politica dei due forni. C'è il piano A, che prevede l'accordo con Berlusconi per Marini al Quirinale e un governo Bersani delle "quasi larghe intese". Poi c'è il piano B: accordo con il Movimento 5 Stelle per Rodotà o un personaggio simile, che garantirebbe l'incarico a Bersani, ma in questo caso gli sarebbe più difficile ottenere la fiducia». Le riflessioni ad alta voce di Rughetti sono condivise da molti. Ma la domanda che si fanno tutti o quasi è questa: «Come farà Bersani a dire pubblicamente no a Prodi?». Già, il progetto è di mettere il segretario con le spalle al muro e metterlo di fronte a un bivio: dire ufficialmente che in nome dell'accordo con Berlusconi preferisce sacrificare il leader fondatore dell'Ulivo o accettare la candidatura di Prodi? La novità in questo campo è anche un'altra: Casini, che ieri ha visto pure lui Bersani, si sta spostando su Renzi perché con il sindaco di Firenze candidato premier non avrebbe problemi a schierarsi con il centrosinistra. E il leader dell'Udc non disdegna l'idea di appoggiare Prodi.
Insomma, i giochi per il Quirinale in casa democratica sono complicati, anche se si sta lavorando per trovare un'unità interna su un nome (ma Matteo Orfini, per esempio, ancora ieri sparava sia su Prodi sia su Marini). E anche in questo campo Renzi ha introdotto la sua innovazione: «Non pugnalerò mai Bersani alle spalle e non vi saranno franchi tiratori». Insomma, il dissenso verrà reso pubblico, con gli effetti mediatici che ne conseguiranno. Alla luce di queste vicende l'esclusione del sindaco di Firenze dai grandi elettori operata da franceschiniani e bersaniani assume un significato prettamente politico, che non può essere derubricato a fatto locale.
Maria Teresa Meli
13 aprile 2013 | 7:48
http://www.corriere.it/politica/special ... 88da.shtml
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Re: the day after. quali accordi per governare?
da Il Fatto Quotidiano
La Banda degli Stolti: inciucio sulla giustizia e denari ai partiti
di Peter Gomez | 12 aprile 2013
Come volevasi dimostrare: i 10 supposti saggi di Giorgio Napolitano si sono smascherati da soli. E quello che c’è sotto non è bello da vedere.
Dovevano partorire un elenco di 4 o 5 cose da fare subito per fronteggiare la crisi economica e politica. Un breve documento attorno al quale mettere in piedi un governo di scopo che, una volta approvata la nuova legge elettorale, riportasse il paese alle elezioni. Invece, dai loro 10 giorni di lavoro, sono saltate fuori 130 pagine in cui di chiaro ci sono solo due passaggi. Quelli in cui i prescelti dal futuro ex Presidente della seconda nazione più corrotta d’Europa indicano, con dovizia di particolari, i provvedimenti con cui depotenziare le intercettazioni telefoniche, abbreviare i tempi d’indagine, mettere una mordacchia alla stampa, intimorire i magistrati (c’è la creazione di una sorta di Csm di secondo grado i cui membri sono nominati un terzo dal parlamento e un terzo dal Capo dello Stato), abolire in caso di assoluzione l’appello e salvare i soldi della partitocrazia.
I rappresentanti (solo maschi) della partitocrazia che ha portato il Paese allo sfascio hanno infatti stabilito – ovviamente con saggezza- che il risultato del referendum del ’93 sull’abolizione finanziamento pubblico ai partiti non conta. E che non conta nemmeno l’opinione degli attuali elettori schierati (secondo tutti i sondaggi) per la cancellazione dei (finti) rimborsi elettorali. O quella del Movimento 5 stelle, dei parlamentari renziani, di quelli di Scelta Civica e persino del Pdl , chiamati al momento della candidatura a impegnarsi in questo senso per iscritto.
La cosa però non turba il saggio senatore Pdl, Gaetano Quagliariello, che preferisce giustamente ricordare come “il capitolo nel quale più significativa è risultata la piena legittimazione di importanti posizioni fin qui oggetto di pregiudizio è quello della giustizia”. E poi elenca felice tutti i punti dell’accordo, compresi il “più stretto controllo dei provvedimenti cautelari, i rapporti tra magistratura e mezzi di comunicazione, i limiti alla giurisprudenza creativa”. Come dire: ladri di partito, colletti bianchi, tirate un sospiro di sollievo, ci saranno meno indagini, meno galera e meno cattiva stampa per tutti.
Ovviamente per fare una riforma simile ci vogliono mesi. Ma è stata trovata una soluzione. Sulla fondamentale legge elettorale, indicata fino a ieri come un’urgenza, salta fuori l’ennesima ipotesi pastrocchio un po’ proporzionale e un po’ maggioritaria. L’idea che, per fare in fretta, si potesse copiare in toto le norme di un altro paese (magari la Francia) non ha sfiorato i rispettati esponenti della Casta che hanno redatto questo eccellente programma dell’inciucio. E anzi, giusto per far capire che se la cosa si fa durerà cinque anni, sono state previste in parallelo una serie di riforme costituzionali, ovviamente lunghissime da approvare.
Così almeno ci sarà il tempo di capire quali provvedimenti prendere davvero sull’economia. Nell’agenda dell’inciucio di indicazioni concrete, tra mille principi spesso condivisibili, non ve ne sono. Tutto è fumoso, come nella migliore tradizione dei partiti di italica concezione, e giusto per dimostrare al mondo che non si è capito nemmeno in quale anno si vive la parola internet, in 89 pagine, non compare mai. C’è però un accenno molto vintage alla trasparenza degli atti della pubblica amministrazione da ottenere “anche grazie all’uso del web”.
Povera italia, verrebbe da dire. L’hanno umiliata e offesa. E adesso la vogliono uccidere.
E' quello che Napolitano voleva ? credo di sì.
La Banda degli Stolti: inciucio sulla giustizia e denari ai partiti
di Peter Gomez | 12 aprile 2013
Come volevasi dimostrare: i 10 supposti saggi di Giorgio Napolitano si sono smascherati da soli. E quello che c’è sotto non è bello da vedere.
Dovevano partorire un elenco di 4 o 5 cose da fare subito per fronteggiare la crisi economica e politica. Un breve documento attorno al quale mettere in piedi un governo di scopo che, una volta approvata la nuova legge elettorale, riportasse il paese alle elezioni. Invece, dai loro 10 giorni di lavoro, sono saltate fuori 130 pagine in cui di chiaro ci sono solo due passaggi. Quelli in cui i prescelti dal futuro ex Presidente della seconda nazione più corrotta d’Europa indicano, con dovizia di particolari, i provvedimenti con cui depotenziare le intercettazioni telefoniche, abbreviare i tempi d’indagine, mettere una mordacchia alla stampa, intimorire i magistrati (c’è la creazione di una sorta di Csm di secondo grado i cui membri sono nominati un terzo dal parlamento e un terzo dal Capo dello Stato), abolire in caso di assoluzione l’appello e salvare i soldi della partitocrazia.
I rappresentanti (solo maschi) della partitocrazia che ha portato il Paese allo sfascio hanno infatti stabilito – ovviamente con saggezza- che il risultato del referendum del ’93 sull’abolizione finanziamento pubblico ai partiti non conta. E che non conta nemmeno l’opinione degli attuali elettori schierati (secondo tutti i sondaggi) per la cancellazione dei (finti) rimborsi elettorali. O quella del Movimento 5 stelle, dei parlamentari renziani, di quelli di Scelta Civica e persino del Pdl , chiamati al momento della candidatura a impegnarsi in questo senso per iscritto.
La cosa però non turba il saggio senatore Pdl, Gaetano Quagliariello, che preferisce giustamente ricordare come “il capitolo nel quale più significativa è risultata la piena legittimazione di importanti posizioni fin qui oggetto di pregiudizio è quello della giustizia”. E poi elenca felice tutti i punti dell’accordo, compresi il “più stretto controllo dei provvedimenti cautelari, i rapporti tra magistratura e mezzi di comunicazione, i limiti alla giurisprudenza creativa”. Come dire: ladri di partito, colletti bianchi, tirate un sospiro di sollievo, ci saranno meno indagini, meno galera e meno cattiva stampa per tutti.
Ovviamente per fare una riforma simile ci vogliono mesi. Ma è stata trovata una soluzione. Sulla fondamentale legge elettorale, indicata fino a ieri come un’urgenza, salta fuori l’ennesima ipotesi pastrocchio un po’ proporzionale e un po’ maggioritaria. L’idea che, per fare in fretta, si potesse copiare in toto le norme di un altro paese (magari la Francia) non ha sfiorato i rispettati esponenti della Casta che hanno redatto questo eccellente programma dell’inciucio. E anzi, giusto per far capire che se la cosa si fa durerà cinque anni, sono state previste in parallelo una serie di riforme costituzionali, ovviamente lunghissime da approvare.
Così almeno ci sarà il tempo di capire quali provvedimenti prendere davvero sull’economia. Nell’agenda dell’inciucio di indicazioni concrete, tra mille principi spesso condivisibili, non ve ne sono. Tutto è fumoso, come nella migliore tradizione dei partiti di italica concezione, e giusto per dimostrare al mondo che non si è capito nemmeno in quale anno si vive la parola internet, in 89 pagine, non compare mai. C’è però un accenno molto vintage alla trasparenza degli atti della pubblica amministrazione da ottenere “anche grazie all’uso del web”.
Povera italia, verrebbe da dire. L’hanno umiliata e offesa. E adesso la vogliono uccidere.
E' quello che Napolitano voleva ? credo di sì.
Re: the day after. quali accordi per governare?
Nell'analisi di Scalfari e nella strada da lui indicata c'è un grande assente: il caimano con la sua ingombrante carica eversiva. E' una macroscopica omissione che lo accomuna a tanti altri commentatori politici.
Chi saranno i nuovi capi dello Stato e del governo
di EUGENIO SCALFARI
Giorgio Napolitano ha preso ufficialmente congedo dalla sua carica nel momento stesso in cui il comitato dei "saggi" da lui nominato gli ha consegnato il documento con le proposte su alcuni problemi da lui stesso indicati per risolvere questioni economiche, sociali e istituzionali che saranno trasmesse al suo successore come eventuali linee-guida nella misura in cui il nuovo inquilino del Quirinale vorrà tenerne conto.
Ero andato a salutarlo un paio di giorni prima; spero di vederlo più spesso quando tra poco sarà senatore a vita. Ci conosciamo da molti anni e siamo da tempo legati da sentimenti di amicizia. Ho ancora una volta tentato di fargli cambiare opinione su una eventuale prorogatio del suo mandato, ma mi ha elencato molte e solide ragioni per le quali riteneva impossibile accettarla: avrebbe profondamente turbato l'ordinamento costituzionale senza produrre alcun concreto vantaggio per uscire dallo stallo che stiamo attraversando. Le sue motivazioni mi hanno convinto e tuttavia non sarà facile riempire il vuoto che la scadenza del suo settennato lascerà.
Napolitano è uno dei pochissimi presidenti della nostra Repubblica ad essere stato, dal momento della sua elezione, rigorosamente super partes. Nessuno degli altri, salvo Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, lo è stato. Non lo fu Gronchi e neppure Segni né Saragat né Leone né Pertini né Cossiga e neppure Scalfaro.
Napolitano sì, lo è stato ed ha instaurato un metodo di ascolto non soltanto delle forze politiche ma anche di quelle sociali e della pubblica opinione e un'attenzione all'Europa, alle potenze internazionali, alla cultura in tutte le sue manifestazioni, che ha scarsi riscontri nei suoi predecessori.
Non sarà facile sostituirlo ma per fortuna non impossibile.
Basterà trovare una persona che non abbandoni quel metodo che fa del capo dello Stato un punto di riferimento capace non solo di rappresentare l'unità nazionale nel senso pieno del termine, ma in particolare delle ragioni dei ceti più deboli, degli esclusi, dei giovani, delle minoranze, garantendo a tutti la libertà, l'eguaglianza dei punti di partenza, l'interesse generale, l'indipendenza delle istituzioni, la separazione dei poteri costituzionali.
Cioè la presenza e il rafforzamento della nostra ancora gracile democrazia.
Questo è stato Giorgio Napolitano. Auguriamoci che il suo successore proceda nel segno della continuità.
* * *
Nelle attuali circostanze il compito primario e urgente del nuovo Presidente è di dar vita ad un governo dotato di una solida maggioranza; un governo di scopo e di lunga durata, capace di mantenere la nostra credibilità internazionale, di collaborare ad un mutamento della politica economica europea per uscire dalla recessione e soprattutto di stimolare la crescita economica e l'occupazione.
L'Italia soffre in questa fase della nostra storia d'una crisi di fiducia della politica. Il popolo disprezza i partiti ed anche le istituzioni da essi indebitamente occupate. C'è una sfiducia profonda che crea un distacco assai pericoloso tra il paese reale e quello cosiddetto legale. Questo distacco è in parte motivato ma in parte va al di là del giusto accomunando tutti i partiti in un medesimo giudizio negativo che non corrisponde alla realtà.
Questo è comunque il dato di fatto che va superato attraverso riforme importanti e sostanziali cambiamenti. Bisogna che avvenga in modo evidente la "disoccupazione" delle istituzioni da parte dei partiti. Fu uno degli obiettivi di Enrico Berlinguer nei primi anni Ottanta del secolo scorso, ma non ebbe alcuna attuazione. Sono trascorsi trent'anni da allora e la situazione è addirittura peggiorata. Ho visto con piacere che Fabrizio Barca ripropone quell'obiettivo come il principale per uscire dal pantano della corruzione e superare la sfiducia nella politica. Ha ragione, purché alle parole questa volta corrispondano i fatti.
Nel frattempo - non sembri un paradosso perché non lo è - né al Quirinale né alla guida d'un governo di scopo vadano dirigenti di partito. Credo che queste siano le due condizioni indispensabili affinché i partiti riacquistino la fiducia, anch'essa indispensabile affinché la democrazia funzioni nella sua pienezza, le istituzioni tornino a riscuotere consenso dal popolo e i partiti riprendano a svolgere il ruolo prezioso di raccordo tra il popolo sovrano e i poteri costituzionali.
Il capo dello Stato deve avere piena conoscenza della Costituzione, tutelare la separazione dei poteri ed una leale collaborazione tra di loro, avere la necessaria credibilità internazionale, capacità di ascolto, intuizione politica, forza di carattere e di iniziativa. Non serve un notaio al Quirinale, ma un uomo di garanzia e di equilibrio. Ce n'è più d'uno che possiede questi requisiti e una biografia che li documenta. Ce ne sono in particolare tra i membri della Corte costituzionale, nelle accademie delle scienze ed anche in quelle figure (purtroppo ormai pochissime) che sono ritenute "riserve della Repubblica".
Le forze politiche che siedono in Parlamento trovino l'intelligenza di scegliere la persona più adatta al compito e mettano da parte i loro interessi particolari. Se sapranno e vorranno farlo questo sarà il primo passo verso la loro necessaria rigenerazione.
* * *
Il governo delle larghe intese auspicato da Napolitano non solo è possibile ma necessario. Bisogna tuttavia intendersi su che cosa significano le larghe intese.
Bersani è stato molto chiaro su questo aspetto della questione, distinguendo le intese su riforme istituzionali e costituzionali da quelle propriamente politiche. Proprio da questo punto di vista ho scritto prima che anche il governo che dovrà essere al più presto insediato non potrà essere guidato da un dirigente di partito. Ci vorrà anche lì una persona, uomo o donna che sia, proveniente dalla società civile. L'esempio Ciampi del 1993 si attaglia anche in questo caso ad essere imitato. Potrà avere, quel governo, nella sua composizione anche qualche personaggio politico come ministro, ma non come premier. È dunque necessario che sia un governo del Presidente. Un governo politico (non esistono governi tecnici perché hanno bisogno di ottenere la fiducia duratura del Parlamento) che sia votato per il suo programma di scopo e duri fintantoché lo scopo non sarà stato raggiunto.
Maurizio Crozza in una sua recente trasmissione ha mimato un duetto tra Bersani e Berlusconi (video), ritmato da due frasi: Berlusconi dice "ti compro l'anima" e Bersani risponde "ma non te la vendo". È così. Un governissimo è impossibile.
Il voto di fiducia ciascun partito lo darà a quel programma fatto di punti concreti che, essendogli stati affidati dal capo dello Stato, non comportano uno schieramento politico e non raffigurano una grande alleanza. Si chiamarono un tempo "convergenze parallele" e di questo infatti si tratterà.
Una volta realizzati gli obiettivi, ma soltanto allora, il capo dello Stato potrà sciogliere le Camere per indire nuove elezioni, essendovi già - tra gli scopi realizzati - una nuova legge elettorale.
Il percorso è dunque chiaro sia per quanto riguarda la persona adeguata da eleggere tra quattro giorni al Quirinale, sia per il governo nominato dal nuovo capo dello Stato dopo le consultazioni che riterrà di fare.
Grillo e il suo movimento. Stando ai sondaggi di Mannheimer, i 5 Stelle sono in leggero ma costante declino. I sondaggi fotografano l'esistente, sia pure con incerta attendibilità, ma è un fatto che gli eletti grillini in Parlamento non sono più un monolite e lo saranno sempre di meno.
Potranno però essere - e l'hanno già dimostrato per il fatto stesso di esserci - uno stimolo potente al cambiamento se daranno anch'essi una mano per attuarlo.
Potrebbero per esempio condividere l'elezione d'un presidente della Repubblica proveniente dalla società civile e perfino un premier di analoga provenienza votando almeno su alcuni provvedimenti da essi condivisi o proposti. I parlamentari 5 Stelle non possono rinchiudersi nell'autosufficienza, il Parlamento comporta inevitabilmente una partecipazione altrimenti tanto sarebbe valso per i grillini scegliere l'astensione dal voto anziché un movimento-partito. Anche Grillo lo capirà, anzi da qualche indizio sembra lo stia già capendo. Nelle cose giuste che a volte dice e sostiene, merita d'essere ascoltato; il resto sarà la realtà a suggerirgli di cambiare. Nessuno vuole comprargli l'anima, partecipare non significa venderla.
Quanto al Pd, esso rappresenta allo stato dei fatti il solo partito che abbia tuttora un'anima e un corpo, ammaccati tutti e due ma tuttora vivi e operanti. Purtroppo quell'anima e quel corpo, in questa fase di crisi, si sono decomposti in varie correnti. Punti di vista diversi possono essere una ricchezza, correnti organizzate attorno ad interessi di potere sono invece l'anticamera della dissoluzione.
Se Bersani sarà il promotore sia d'un capo dello Stato con le caratteristiche sopra indicate e sia d'un governo del Presidente, lui e il suo partito ne usciranno rafforzati.
Emergono nel frattempo le personalità di Barca e di Renzi e questo è un altro segno di cambiamento, ma non sono i soli emergenti e si vedrà al prossimo congresso di quel partito.
Qualche osservatore obietta che si sente odore di centralismo democratico, cioè di vecchio comunismo. Occorre però analizzare la sostanza del centralismo democratico che ha due modi di essere praticato: uno è il tentativo d'una nomenclatura oligarchica di trasmettere slogan e ordini obbligatori da eseguire alla base dei militanti. L'altro è un movimento che viene dal basso, che elabora e indica i temi che la società richiede e li trasmette agli organi centrali del partito affinché diano a quei temi aspetto concreto ed entrino a comporre la visione del bene comune di quel partito. Questo è l'aspetto positivo e augurabile.
Il futuro dirà quale strada sarà percorsa. Molto dipende dal Bersani dei prossimi giorni e dal partito nei prossimi mesi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA(14 APRILE 2013)
http://www.repubblica.it/speciali/polit ... ref=HREA-1
Chi saranno i nuovi capi dello Stato e del governo
di EUGENIO SCALFARI
Giorgio Napolitano ha preso ufficialmente congedo dalla sua carica nel momento stesso in cui il comitato dei "saggi" da lui nominato gli ha consegnato il documento con le proposte su alcuni problemi da lui stesso indicati per risolvere questioni economiche, sociali e istituzionali che saranno trasmesse al suo successore come eventuali linee-guida nella misura in cui il nuovo inquilino del Quirinale vorrà tenerne conto.
Ero andato a salutarlo un paio di giorni prima; spero di vederlo più spesso quando tra poco sarà senatore a vita. Ci conosciamo da molti anni e siamo da tempo legati da sentimenti di amicizia. Ho ancora una volta tentato di fargli cambiare opinione su una eventuale prorogatio del suo mandato, ma mi ha elencato molte e solide ragioni per le quali riteneva impossibile accettarla: avrebbe profondamente turbato l'ordinamento costituzionale senza produrre alcun concreto vantaggio per uscire dallo stallo che stiamo attraversando. Le sue motivazioni mi hanno convinto e tuttavia non sarà facile riempire il vuoto che la scadenza del suo settennato lascerà.
Napolitano è uno dei pochissimi presidenti della nostra Repubblica ad essere stato, dal momento della sua elezione, rigorosamente super partes. Nessuno degli altri, salvo Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, lo è stato. Non lo fu Gronchi e neppure Segni né Saragat né Leone né Pertini né Cossiga e neppure Scalfaro.
Napolitano sì, lo è stato ed ha instaurato un metodo di ascolto non soltanto delle forze politiche ma anche di quelle sociali e della pubblica opinione e un'attenzione all'Europa, alle potenze internazionali, alla cultura in tutte le sue manifestazioni, che ha scarsi riscontri nei suoi predecessori.
Non sarà facile sostituirlo ma per fortuna non impossibile.
Basterà trovare una persona che non abbandoni quel metodo che fa del capo dello Stato un punto di riferimento capace non solo di rappresentare l'unità nazionale nel senso pieno del termine, ma in particolare delle ragioni dei ceti più deboli, degli esclusi, dei giovani, delle minoranze, garantendo a tutti la libertà, l'eguaglianza dei punti di partenza, l'interesse generale, l'indipendenza delle istituzioni, la separazione dei poteri costituzionali.
Cioè la presenza e il rafforzamento della nostra ancora gracile democrazia.
Questo è stato Giorgio Napolitano. Auguriamoci che il suo successore proceda nel segno della continuità.
* * *
Nelle attuali circostanze il compito primario e urgente del nuovo Presidente è di dar vita ad un governo dotato di una solida maggioranza; un governo di scopo e di lunga durata, capace di mantenere la nostra credibilità internazionale, di collaborare ad un mutamento della politica economica europea per uscire dalla recessione e soprattutto di stimolare la crescita economica e l'occupazione.
L'Italia soffre in questa fase della nostra storia d'una crisi di fiducia della politica. Il popolo disprezza i partiti ed anche le istituzioni da essi indebitamente occupate. C'è una sfiducia profonda che crea un distacco assai pericoloso tra il paese reale e quello cosiddetto legale. Questo distacco è in parte motivato ma in parte va al di là del giusto accomunando tutti i partiti in un medesimo giudizio negativo che non corrisponde alla realtà.
Questo è comunque il dato di fatto che va superato attraverso riforme importanti e sostanziali cambiamenti. Bisogna che avvenga in modo evidente la "disoccupazione" delle istituzioni da parte dei partiti. Fu uno degli obiettivi di Enrico Berlinguer nei primi anni Ottanta del secolo scorso, ma non ebbe alcuna attuazione. Sono trascorsi trent'anni da allora e la situazione è addirittura peggiorata. Ho visto con piacere che Fabrizio Barca ripropone quell'obiettivo come il principale per uscire dal pantano della corruzione e superare la sfiducia nella politica. Ha ragione, purché alle parole questa volta corrispondano i fatti.
Nel frattempo - non sembri un paradosso perché non lo è - né al Quirinale né alla guida d'un governo di scopo vadano dirigenti di partito. Credo che queste siano le due condizioni indispensabili affinché i partiti riacquistino la fiducia, anch'essa indispensabile affinché la democrazia funzioni nella sua pienezza, le istituzioni tornino a riscuotere consenso dal popolo e i partiti riprendano a svolgere il ruolo prezioso di raccordo tra il popolo sovrano e i poteri costituzionali.
Il capo dello Stato deve avere piena conoscenza della Costituzione, tutelare la separazione dei poteri ed una leale collaborazione tra di loro, avere la necessaria credibilità internazionale, capacità di ascolto, intuizione politica, forza di carattere e di iniziativa. Non serve un notaio al Quirinale, ma un uomo di garanzia e di equilibrio. Ce n'è più d'uno che possiede questi requisiti e una biografia che li documenta. Ce ne sono in particolare tra i membri della Corte costituzionale, nelle accademie delle scienze ed anche in quelle figure (purtroppo ormai pochissime) che sono ritenute "riserve della Repubblica".
Le forze politiche che siedono in Parlamento trovino l'intelligenza di scegliere la persona più adatta al compito e mettano da parte i loro interessi particolari. Se sapranno e vorranno farlo questo sarà il primo passo verso la loro necessaria rigenerazione.
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Il governo delle larghe intese auspicato da Napolitano non solo è possibile ma necessario. Bisogna tuttavia intendersi su che cosa significano le larghe intese.
Bersani è stato molto chiaro su questo aspetto della questione, distinguendo le intese su riforme istituzionali e costituzionali da quelle propriamente politiche. Proprio da questo punto di vista ho scritto prima che anche il governo che dovrà essere al più presto insediato non potrà essere guidato da un dirigente di partito. Ci vorrà anche lì una persona, uomo o donna che sia, proveniente dalla società civile. L'esempio Ciampi del 1993 si attaglia anche in questo caso ad essere imitato. Potrà avere, quel governo, nella sua composizione anche qualche personaggio politico come ministro, ma non come premier. È dunque necessario che sia un governo del Presidente. Un governo politico (non esistono governi tecnici perché hanno bisogno di ottenere la fiducia duratura del Parlamento) che sia votato per il suo programma di scopo e duri fintantoché lo scopo non sarà stato raggiunto.
Maurizio Crozza in una sua recente trasmissione ha mimato un duetto tra Bersani e Berlusconi (video), ritmato da due frasi: Berlusconi dice "ti compro l'anima" e Bersani risponde "ma non te la vendo". È così. Un governissimo è impossibile.
Il voto di fiducia ciascun partito lo darà a quel programma fatto di punti concreti che, essendogli stati affidati dal capo dello Stato, non comportano uno schieramento politico e non raffigurano una grande alleanza. Si chiamarono un tempo "convergenze parallele" e di questo infatti si tratterà.
Una volta realizzati gli obiettivi, ma soltanto allora, il capo dello Stato potrà sciogliere le Camere per indire nuove elezioni, essendovi già - tra gli scopi realizzati - una nuova legge elettorale.
Il percorso è dunque chiaro sia per quanto riguarda la persona adeguata da eleggere tra quattro giorni al Quirinale, sia per il governo nominato dal nuovo capo dello Stato dopo le consultazioni che riterrà di fare.
Grillo e il suo movimento. Stando ai sondaggi di Mannheimer, i 5 Stelle sono in leggero ma costante declino. I sondaggi fotografano l'esistente, sia pure con incerta attendibilità, ma è un fatto che gli eletti grillini in Parlamento non sono più un monolite e lo saranno sempre di meno.
Potranno però essere - e l'hanno già dimostrato per il fatto stesso di esserci - uno stimolo potente al cambiamento se daranno anch'essi una mano per attuarlo.
Potrebbero per esempio condividere l'elezione d'un presidente della Repubblica proveniente dalla società civile e perfino un premier di analoga provenienza votando almeno su alcuni provvedimenti da essi condivisi o proposti. I parlamentari 5 Stelle non possono rinchiudersi nell'autosufficienza, il Parlamento comporta inevitabilmente una partecipazione altrimenti tanto sarebbe valso per i grillini scegliere l'astensione dal voto anziché un movimento-partito. Anche Grillo lo capirà, anzi da qualche indizio sembra lo stia già capendo. Nelle cose giuste che a volte dice e sostiene, merita d'essere ascoltato; il resto sarà la realtà a suggerirgli di cambiare. Nessuno vuole comprargli l'anima, partecipare non significa venderla.
Quanto al Pd, esso rappresenta allo stato dei fatti il solo partito che abbia tuttora un'anima e un corpo, ammaccati tutti e due ma tuttora vivi e operanti. Purtroppo quell'anima e quel corpo, in questa fase di crisi, si sono decomposti in varie correnti. Punti di vista diversi possono essere una ricchezza, correnti organizzate attorno ad interessi di potere sono invece l'anticamera della dissoluzione.
Se Bersani sarà il promotore sia d'un capo dello Stato con le caratteristiche sopra indicate e sia d'un governo del Presidente, lui e il suo partito ne usciranno rafforzati.
Emergono nel frattempo le personalità di Barca e di Renzi e questo è un altro segno di cambiamento, ma non sono i soli emergenti e si vedrà al prossimo congresso di quel partito.
Qualche osservatore obietta che si sente odore di centralismo democratico, cioè di vecchio comunismo. Occorre però analizzare la sostanza del centralismo democratico che ha due modi di essere praticato: uno è il tentativo d'una nomenclatura oligarchica di trasmettere slogan e ordini obbligatori da eseguire alla base dei militanti. L'altro è un movimento che viene dal basso, che elabora e indica i temi che la società richiede e li trasmette agli organi centrali del partito affinché diano a quei temi aspetto concreto ed entrino a comporre la visione del bene comune di quel partito. Questo è l'aspetto positivo e augurabile.
Il futuro dirà quale strada sarà percorsa. Molto dipende dal Bersani dei prossimi giorni e dal partito nei prossimi mesi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA(14 APRILE 2013)
http://www.repubblica.it/speciali/polit ... ref=HREA-1
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Re: the day after. quali accordi per governare?
.......................shiloh ha scritto:pensierino della sera:
se non ci fossero quei caxxoni dei 5 stelle staremmo godendo come matti:
-Prodi al quirinale.
-Lega a pezzi.
-mummia cinese con 3 condanne sul groppone...
Caro shiloh.Pensiero del pomeriggio. Se grillo avesse fatto un partito tradizionale e non un movimento.Ora sarebbe successo quello che hai citato.
Ma io l'ho votato per non averne più a che fare con questi partiti e soliti personaggi.
E per cambiare questo sistema.
Il Senato ora stanga i suoi ex presidenti: basta privilegi a vita
D'ora in poi benefici solo per due legislature. Ma c'è la deroga per i predecessori di Schifani
ndrea Cuomo - Mer, 29/02/2012 - 09:41
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Gli ex presidenti del Senato non continueranno a godere dei benefit legati alla carica anche dopo aver lasciato Palazzo Madama. O meglio, potranno continuare a contare su una stanza al Senato, segreteria, collaboratori in numero di quattro, auto blu e via beneficiando ma solo per le successive due legislature, e quindi per massimo dieci anni. Una decisione fortemente voluta dall’attuale presidente Renato Schifani e decisa all’unanimità il consiglio di presidenza del Senato, che ieri ha approvato ieri la normativa di attuazione dell’articolo 4 del decreto-legge di luglio 2011 sulla temporaneità dei benefit delle alte cariche.
Come detto la notizia interessa direttamente quattro persone. Tanti infatti sono gli ex presidenti del Senato in vita che attualmente godono di queste facilities. I due che in teoria già da domani dovrebbero perderle, essendo trascorse le due legislature di proroga, sono Carlo Scognamiglio, che sedette sullo scranno più alto di palazzo Madama nella XII legislatura, dal 1994 al 1996, e Nicola Mancino, che prese il suo posto nella XIII legislatura, durata dal 1996 al 2001. Una norma transitoria consente però loro di mantenere i auto blu, segreteria eccetera fino alla fine di questa legislatura. A Marcello Pera, terzultimo presidente del Senato, e a Franco Marini, penultimo, sono stati concessi dieci anni cuscinetto dal termine del loro mandato. Quindi Pera lascerà i benefit il 27 aprile 2016, e Marini il 29 aprile 2018. Poi, da Schifani in poi, tutti si atterranno alle nuove regole.
Quella che riguarda gli ex presidenti non è l’unica decisione presa ieri dal consiglio di presidenza, che su proposta del presidente Schifani ha approvato le linee guida per la redazione di un regolamento interno della rappresentanza di interessi, i cosiddetti lobbisti, al fine di «disciplinare i rapporti tra senatori e portatori di istanze della realtà economica, sociale e culturale alla luce dei principi del pluralismo e della trasparenza», come recita una nota del Senato. Sarà istituito un apposito registro, suddiviso per settori di attività, che sarà pubblicato sul sito del Senato e nel quale saranno elencati gli enti e le associazioni che richiedono gli accrediti con l’indicazione delle persone fisiche abilitate all’accesso. Il regolamento definirà la disciplina delle presenze dei lobbisti nei giorni di seduta dell’assemblea e delle commissioni ed eventuali sanzioni per comportamenti ritenuti lesivi del libero esercizio del mandato parlamentare. «I lobbisti fanno il loro lavoro ma che non possono intralciare i lavori parlamentari come, purtroppo, è successo in questi giorni», spiega Schifani riferendosi all’affaccendarsi dei rappresentanti degli interessi delle categorie coinvolte nel pacchetto di liberalizzazioni in discussione in questi giorni. «Saremo celeri e tempestivi», promette Schifani.
http://www.ilgiornale.it/news/interni/s ... -vita.html
..............
E anche per gli ex presidenti della repubblica .
Ciao
Paolo 11
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Re: the day after. quali accordi per governare?
Renzi: ''Vorrei sfidare Berlusconi al voto''
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massì dai,adesso rimandiamo il paese al voto giusto giusto per capire chi tra Renzi e Berlusconi ce l'ha più lungo.
roba da matti...
bisognerebbe prendere peppekrillo,la mummia cinese e Matteino e farci il remake di :
"l'insostenibile leggerezza dell'essere 2.0."
che razza di immaturità....e che pena.
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massì dai,adesso rimandiamo il paese al voto giusto giusto per capire chi tra Renzi e Berlusconi ce l'ha più lungo.
roba da matti...
bisognerebbe prendere peppekrillo,la mummia cinese e Matteino e farci il remake di :
"l'insostenibile leggerezza dell'essere 2.0."
che razza di immaturità....e che pena.
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Re: the day after. quali accordi per governare?
invece di rispondere sempre con dei link e dei copia incolla,paolo11 ha scritto:.......................shiloh ha scritto:pensierino della sera:
se non ci fossero quei caxxoni dei 5 stelle staremmo godendo come matti:
-Prodi al quirinale.
-Lega a pezzi.
-mummia cinese con 3 condanne sul groppone...
Caro shiloh.Pensiero del pomeriggio. Se grillo avesse fatto un partito tradizionale e non un movimento.Ora sarebbe successo quello che hai citato.
Ma io l'ho votato per non averne più a che fare con questi partiti e soliti personaggi.
E per cambiare questo sistema.
Ciao
Paolo 11
prova a dirci cosa ci trovi di sbagliato nei 3 punti che ho scritto :
-Prodi al quirinale.
-Lega a pezzi.
-mummia cinese con 3 condanne sul groppone.
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Re: the day after. quali accordi per governare?
Sulla costituzionalità del movimento 5 stelle un arguto articolo del grande Giovanni Sartori:
sul corriere.it di oggi, titolo: La libertà degli eletti.
sul corriere.it di oggi, titolo: La libertà degli eletti.
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
Re: the day after. quali accordi per governare?
Piazza pulita
Orfini propone Renzi come presidente del consiglio.
Serracchiani: "a me sembra come dire: vai avanti tu che a me viene da ridere"
Orfini propone Renzi come presidente del consiglio.
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Re: the day after. quali accordi per governare?
Nichi Vendola:
"Un governo di larghe intese sarà il più clamoroso suicidio del centrosinistra.
E anche una sciagura per il Paese.
Io vado all'opposizione con l'Italia,
con quel paese che vomita quando la politica non è capace di uscire dai propri rituali,
dai meccanismi che la uccidono.
Noi dobbiamo costruire per quell'Italia profondamente delusa un nuovo punto di riferimento."
"Un governo di larghe intese sarà il più clamoroso suicidio del centrosinistra.
E anche una sciagura per il Paese.
Io vado all'opposizione con l'Italia,
con quel paese che vomita quando la politica non è capace di uscire dai propri rituali,
dai meccanismi che la uccidono.
Noi dobbiamo costruire per quell'Italia profondamente delusa un nuovo punto di riferimento."
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