Quale governo ?
Re: Quale governo ?
ogni giorno ci sarà qualche motivo per cui il pidiellino di turno dirà: o così o il governo salta.
inutile perfino indignarsi e non c'è rimasta neanche la speranza di nuove elezioni .
è finita.
( scusate il pessimismo cosmico)
inutile perfino indignarsi e non c'è rimasta neanche la speranza di nuove elezioni .
è finita.
( scusate il pessimismo cosmico)
Re: Quale governo ?
(ANSA) - ROMA, 21 MAG -''Cosi' non va. Il disegno di legge del Pdl, che riduce la durata delle pene per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, e' un'ulteriore inaccettabile provocazione. Su questi temi vogliamo impegnare il Parlamento e non sull'ennesima legge ad personam, in questo caso a favore di Dell'Utri''. Lo dice il capogruppo del Pd in Commissione giustizia al Senato, Giuseppe Lumia.
il concetto di pacificazione per la pdl.
il concetto di pacificazione per la pdl.
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Re: Quale governo ?
Amadeus ha scritto:ogni giorno ci sarà qualche motivo per cui il pidiellino di turno dirà: o così o il governo salta.
inutile perfino indignarsi e non c'è rimasta neanche la speranza di nuove elezioni .
è finita.
( scusate il pessimismo cosmico)
è finita.
Più che "finita", questo è l'inizio................
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Re: Quale governo ?
Amadeus ha scritto:(ANSA) - ROMA, 21 MAG -''Cosi' non va. Il disegno di legge del Pdl, che riduce la durata delle pene per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, e' un'ulteriore inaccettabile provocazione. Su questi temi vogliamo impegnare il Parlamento e non sull'ennesima legge ad personam, in questo caso a favore di Dell'Utri''. Lo dice il capogruppo del Pd in Commissione giustizia al Senato, Giuseppe Lumia.
il concetto di pacificazione per la pdl.
il concetto di pacificazione per la pdl
E non ce lo sapevamo???
L'"Asilo Mariuccia" è solo un pallido ricordo.
Re: Quale governo ?
subito a pensare male noi....era una proposta a titolo personale !!!!
quelli della pdl sono rimasti scandalizzati ...che qualcuno se ne è accorto
"Il disegno di legge sul dimezzamento della pena massima prevista per il concorso esterno in associazione mafiosa è una proposta fatta a titolo personale dal senatore Compagna. Non può pertanto essere attribuita al gruppo del Pdl, con il quale non è stata mai discussa e concordata", ha scritto Schifani in una nota precisando di aver invitato Compagna "a ritirare il ddl sul concorso esterno in associazione mafiosa e ho avuto precise assicurazioni in questo senso".
quelli della pdl sono rimasti scandalizzati ...che qualcuno se ne è accorto
"Il disegno di legge sul dimezzamento della pena massima prevista per il concorso esterno in associazione mafiosa è una proposta fatta a titolo personale dal senatore Compagna. Non può pertanto essere attribuita al gruppo del Pdl, con il quale non è stata mai discussa e concordata", ha scritto Schifani in una nota precisando di aver invitato Compagna "a ritirare il ddl sul concorso esterno in associazione mafiosa e ho avuto precise assicurazioni in questo senso".
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Re: Quale governo ?
Come dice l'ex ministro Visco se questo governo non va bene al PDL si cambia, non bisogna mollare un bel niente a Berlusca, e ridimensionare le sue uscite , l'IMU per adesso è solo sospesa.
Il PDL ha tutto da perdere a far cadere il governo, quindi abbiano il coraggio di votare anche la non eleggibilità di Berlusca, chiara ,evidente , il comportamento passato è stato solo una truffa.
Il PDL ha tutto da perdere a far cadere il governo, quindi abbiano il coraggio di votare anche la non eleggibilità di Berlusca, chiara ,evidente , il comportamento passato è stato solo una truffa.
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Re: Quale governo ?
La Stampa 24.5.13
Pd-M5S: contatti tra i malpancisti. Rodotà: “Pronto a fare il premier”
L’idea nata nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica
I ribelli nel Movimento 5 Stelle si sono contati: sarebbero 20 alla Camera e 15 al Senato
Civati lavora alla mediazione. Progetto per tagliare fuori Berlusconi
di Andrea Malaguti
«D’Alema 2.0». O anche, più precisamente, «il partito di Rodotà». Che sembrano due cose diverse. E invece sono la stessa. Prima era un’idea confusa, presumibilmente figlia di una leggenda. Poi, nel corso delle settimane, è diventata uno strano sogno.
Una discussione tra un piccolo pezzo del Pd e una parte minoritaria del Movimento 5 Stelle che con Grillo non si trova più in sintonia.
Da ieri, dopo una telefonata, è diventato un minuscolo cantiere visionario, che vuole archiviare per sempre l’era berlusconiana, riconnettendo la sensibilità delusa della pancia del centrosinistra (a partire da OccupyPd) con la propria supposta classe dirigente.
«Professore, le piacerebbe farci da premier? ». Rodotà, a Berlino per un convegno, non si sarebbe fatto trovare impreparato.
Così si è schiuso l’embrione di un mondo. Un micro-universo parallelo, che fonda la sua esistenza su una domanda: se cade il governo, è inevitabile tornare a votare rischiando di riconsegnare l’Italia al Cavaliere?
Un passo indietro aiuta a capire il dibattito. Il punto di partenza è la leggenda. Una storia - infondata, secondo i presunti protagonisti - che ha galleggiato in transatlantico per settimane.
Sono i giorni imbarazzanti che precedono l’elezione del Presidente della Repubblica. Il Pd è allo sbando. Un arcipelago di isole velenose.
In una notte shakespeariana Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani si scontrano.
D’Alema chiede a Bersani di sostenere la candidatura Rodotà che porterebbe a un governo con l’appoggio dei 5 Stelle.
«D’Alema 2.0», appunto. La risposta di Bersani, dipinto come un uomo che si mette in posizione di preghiera con l’aria di chi vuole imporre un superlavoro al suo rosario, è piccata.
«Mai e poi mai». Fin qui il romanzo.
Poi comincia la vita vera, perché la mente è una minuziosa macchina da presa che entra in tutte le stanze del passato e ti costringe a rivedere le scelte fatte.
Un gruppo di piddini cerca la parte dialogante del Movimento. A guidarli è Pippo Civati, convinto che le assemblee di piazza nate dalla candidatura Rodotà e i plateali mal di pancia dei militanti del suo partito per l’innaturale accordo con Berlusconi, non possano essere trascurati.
Si muove riscuotendo l’attenzione di un gruppo sempre più folto di Cinque Stelle sia alla Camera sia al Senato.
L’europarlamentare Sonia Alfano lo aiuta. E persino il sindaco di Napoli De Magistris non sarebbe estraneo alla partita.
Discorsi che cadono nel vuoto, un po’ perché l’impressione diffusa (e comprensibilmente molto forte) è che il governo non possa cadere perché sostenuto dal Quirinale, un po’ perché Civati ha bisogno di allargare la base del consenso interno e, infine, perché i grillinidialoganti non hanno la forza di contarsi fino a una cena chiarificatrice di poche sere fa.
Davanti a una pizza e a una birra si ritrova un gruppo di dodici persone - deputati e senatori - che comincia a usare il pallottoliere.
«Quanti di noi sarebbero disposti a fare un gruppo pronto ad appoggiare il Pd? ».
La replica è: venti a Montecitorio, quindici a Palazzo Madama. Stima eccessiva?
In ogni caso sono questi i numeri che vengono portati al Pd, dove anche qualche dalemiano ha fatto arrivare la propria adesione all’idea.
A questo punto viene contattato Rodotà.
E adesso? Civati la mette in questo modo: «Berlusconi sappia che se fa cadere il governo in modo strumentale - o ci costringe a prendere le distanze dall’esecutivo - potrebbero esserci conseguenze non banali.
C’è un fronte in Parlamento, e ancor più nel Paese, che non ha nessuna intenzione di regalare l’Italia a chi si dovesse dimostrare irresponsabile, per altro dopo esserlo stato per vent’anni».
È il primo abbozzo di Manifesto Costituivo. La voce gira. Il giovane turco Fausto Raciti, emergente ventinovenne siciliano, non crede tanto all’ipotesi di una crisi di governo.
Eppure dice: «Se esiste questo elemento di novità è bene che il Pdl ne tenga conto ed eviti i dispetti che abbiamo visto in questi giorni.
E forse tra i Cinque Stelle qualcuno ha i sensi di colpa perché si è reso conto che un accordo era possibile».
Era o è? E quanti sono davvero i grillini pronti a salutare i vecchi amici nella certezza che il rigore trasformato in gabbia di se stesso diventa rifiuto di contaminarsi con la vita reale?
Solo se Stefano Rodotà dovesse entrare ufficialmente in questo nuovo gioco arriverebbe la risposta.
Pd-M5S: contatti tra i malpancisti. Rodotà: “Pronto a fare il premier”
L’idea nata nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica
I ribelli nel Movimento 5 Stelle si sono contati: sarebbero 20 alla Camera e 15 al Senato
Civati lavora alla mediazione. Progetto per tagliare fuori Berlusconi
di Andrea Malaguti
«D’Alema 2.0». O anche, più precisamente, «il partito di Rodotà». Che sembrano due cose diverse. E invece sono la stessa. Prima era un’idea confusa, presumibilmente figlia di una leggenda. Poi, nel corso delle settimane, è diventata uno strano sogno.
Una discussione tra un piccolo pezzo del Pd e una parte minoritaria del Movimento 5 Stelle che con Grillo non si trova più in sintonia.
Da ieri, dopo una telefonata, è diventato un minuscolo cantiere visionario, che vuole archiviare per sempre l’era berlusconiana, riconnettendo la sensibilità delusa della pancia del centrosinistra (a partire da OccupyPd) con la propria supposta classe dirigente.
«Professore, le piacerebbe farci da premier? ». Rodotà, a Berlino per un convegno, non si sarebbe fatto trovare impreparato.
Così si è schiuso l’embrione di un mondo. Un micro-universo parallelo, che fonda la sua esistenza su una domanda: se cade il governo, è inevitabile tornare a votare rischiando di riconsegnare l’Italia al Cavaliere?
Un passo indietro aiuta a capire il dibattito. Il punto di partenza è la leggenda. Una storia - infondata, secondo i presunti protagonisti - che ha galleggiato in transatlantico per settimane.
Sono i giorni imbarazzanti che precedono l’elezione del Presidente della Repubblica. Il Pd è allo sbando. Un arcipelago di isole velenose.
In una notte shakespeariana Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani si scontrano.
D’Alema chiede a Bersani di sostenere la candidatura Rodotà che porterebbe a un governo con l’appoggio dei 5 Stelle.
«D’Alema 2.0», appunto. La risposta di Bersani, dipinto come un uomo che si mette in posizione di preghiera con l’aria di chi vuole imporre un superlavoro al suo rosario, è piccata.
«Mai e poi mai». Fin qui il romanzo.
Poi comincia la vita vera, perché la mente è una minuziosa macchina da presa che entra in tutte le stanze del passato e ti costringe a rivedere le scelte fatte.
Un gruppo di piddini cerca la parte dialogante del Movimento. A guidarli è Pippo Civati, convinto che le assemblee di piazza nate dalla candidatura Rodotà e i plateali mal di pancia dei militanti del suo partito per l’innaturale accordo con Berlusconi, non possano essere trascurati.
Si muove riscuotendo l’attenzione di un gruppo sempre più folto di Cinque Stelle sia alla Camera sia al Senato.
L’europarlamentare Sonia Alfano lo aiuta. E persino il sindaco di Napoli De Magistris non sarebbe estraneo alla partita.
Discorsi che cadono nel vuoto, un po’ perché l’impressione diffusa (e comprensibilmente molto forte) è che il governo non possa cadere perché sostenuto dal Quirinale, un po’ perché Civati ha bisogno di allargare la base del consenso interno e, infine, perché i grillinidialoganti non hanno la forza di contarsi fino a una cena chiarificatrice di poche sere fa.
Davanti a una pizza e a una birra si ritrova un gruppo di dodici persone - deputati e senatori - che comincia a usare il pallottoliere.
«Quanti di noi sarebbero disposti a fare un gruppo pronto ad appoggiare il Pd? ».
La replica è: venti a Montecitorio, quindici a Palazzo Madama. Stima eccessiva?
In ogni caso sono questi i numeri che vengono portati al Pd, dove anche qualche dalemiano ha fatto arrivare la propria adesione all’idea.
A questo punto viene contattato Rodotà.
E adesso? Civati la mette in questo modo: «Berlusconi sappia che se fa cadere il governo in modo strumentale - o ci costringe a prendere le distanze dall’esecutivo - potrebbero esserci conseguenze non banali.
C’è un fronte in Parlamento, e ancor più nel Paese, che non ha nessuna intenzione di regalare l’Italia a chi si dovesse dimostrare irresponsabile, per altro dopo esserlo stato per vent’anni».
È il primo abbozzo di Manifesto Costituivo. La voce gira. Il giovane turco Fausto Raciti, emergente ventinovenne siciliano, non crede tanto all’ipotesi di una crisi di governo.
Eppure dice: «Se esiste questo elemento di novità è bene che il Pdl ne tenga conto ed eviti i dispetti che abbiamo visto in questi giorni.
E forse tra i Cinque Stelle qualcuno ha i sensi di colpa perché si è reso conto che un accordo era possibile».
Era o è? E quanti sono davvero i grillini pronti a salutare i vecchi amici nella certezza che il rigore trasformato in gabbia di se stesso diventa rifiuto di contaminarsi con la vita reale?
Solo se Stefano Rodotà dovesse entrare ufficialmente in questo nuovo gioco arriverebbe la risposta.
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Re: Quale governo ?
il Fatto 26.5.13
Vagone Letta
Ma questo è il governo delle larghe attese
di Furio Colombo
La stazione Italia da cui parte il treno Letta non ha folle o bandiere.
Il treno, diretto a salvare con urgenza il Paese dal precipizio (come è stato detto in uno dei tanti discorsi di auguri e saluti), ha molti vagoni, è piuttosto affollato.
Viaggiano tutti in classe di governo, sportelli chiusi e i fischi di annuncio si susseguono. Ma il treno non parte.
SE A QUALCUNO accade di attardarsi sul marciapiede (lo fanno in pochi) accade che sentano il fervore che percorre l'interno del treno, come se fossero i Mille decisi a cambiare il destino d'Italia.
Qua e là vi sono finestrini aperti (detti anche "twitter") da cui i più appassionati possono lanciare un messaggio di questa volontà forte di cambiamento.
Nel primo vagone siede, mischiato agli altri giovani passeggeri, anche il Capo del governo.
Data l'età parlano tutti insieme, commentando prima di tutto il fatto che il viaggio sarà lungo però veloce. Qui non sono tollerate fermate.
Il Capo lancia un messaggio che si propaga lungo corridoi e scompartimenti come un brivido: tagliare il finanziamento pubblico dei partiti, come da impegni presi.
È un annuncio, naturalmente, come vedi dai manifestini lanciati dal finestrino come se il treno fosse in corsa.
Ma è fermo.
Comunque – ti gridano come se fossero già travolti dall'alta velocità – qui non si fanno promesse a vuoto.
Il progetto è vago, senza dettagli, accolto da un brusìo di felicitazioni degli astanti.
Ma l'idea del provvedimento c'è.
Al resto penseranno le due Camere.
Nel secondo vagone la conversazione fervida è sul lavoro ai giovani a cui sarà trovata, adesso, quasi subito, la soluzione, perché non è possibile che il 24% dei ragazzi sotto i 30 anni non sia né al lavoro né a scuola.
Naturalmente qualcuno li sostiene in qualche modo perché ancora non ci sono bidonville di giovani nelle periferie.
E allora, nel treno fermo, il vagone è in effervescenza perché è stata trovata finalmente la soluzione.
Si chiama la "staffetta generazionale "in cui i più anziani passeranno una parte dei loro soldi ai più giovani.
=============================================
Se pensate a una patrimoniale sulla ricchezza siete sulla strada sbagliata.
=============================================
L'idea è più bella perché costa solo a qualche privilegiato e non tocca, come l'infame Imu, il resto del Paese.
LA PAROLA d'ordine è "pensioni d'oro". Ce ne sono, tutte legate alla funzione pubblica e dunque facilmente rintracciabili (i privati hanno bonus anche di dimensioni notevoli, ma va a sapere quanto e dove).
Il vagone brulica di obiezioni.
Per esempio: sono poche migliaia le vere, scandalose pensioni d'oro.
Perciò quando il ricavato di quella operazione viene portato accanto alla montagna della spesa pubblica, è come la polvere d'oro che resta sul pavimento di Fort Knox dopo avere spostato i carrelli di lingotti da una postazione all'altra.
Però niente paura. Ci sono altre pensioni, sempre meno d'oro, che fanno la loro figura, se confrontate con quelle sociali.
Non sono un privilegio corrispondono a lunghe vite di lavoro con buone retribuzioni e adeguati contributi.
Però sono tante e un bel taglio vuol dire un bel tesoretto. Ci sono due piccoli difetti: in moltissimi casi queste sono le pensioni che tengono in vita tribù di giovani senza impiego; e poi, tagliando qui, paura e squilibrio di tante vite bloccherà ancora di più i consumi.
Ma perché guardare tanto per il sottile quando puoi far passare il tutto come pacchetto "pensioni d'oro", lasciando intatta la ricchezza dei ricchi, mentre doni il ricavato alle imprese che si impegnano ad assumere giovani?
Nel terzo vagone, e nei numerosi vagoni che seguono, si affollano gli esperti: se mi dai finalmente altri soldi ottenuti dai cittadini, io so dirti in che modo questi soldi possono creare altro lavoro, oltre il boom delle pensioni d'oro...
Naturalmente si tratta di progetti al buio.
Figuratevi che neppure i grandi economisti classici hanno mai offerto una formula sul modo di trasformare automaticamente il danaro in lavoro, visto che il lavoro dipende in grande misura dalla spesa pubblica, e dallo slancio delle imprese che vedono il momento giusto per investire.
Fiat e Pirelli saranno ispirate ad assumere dal taglio delle pensioni, che renderà sempre più improbabili gli acquisti dei loro prodotti? Da uno dei vagoni ti giunge la voce che il lavoro non dipende solo dal taglio delle "pensioni d'oro" (che poi sono le pensioni e basta) ma dalla saggia formula
Fornero: beati i flessibili perchè saranno assunti.
Però come spiegare che, dopo Fornero, la disoccupazione giovane è aumentata? La discussione si fa in questo modo: da una parte dite subito sì alle idee più belle.
DALL'ALTRA eliminate i progetti "buoni ma per ora impossibili" e fate subito tagli drastici a ogni funzione pubblica che, con i suoi pregi e difetti, resta senza volanti, senza ambulanze senza qualcuno che risponda ai cittadini, lasciati in attesa del momento in cui precipiterà sulle case l' Imu, oppure la stessa tassa con un altro nome.
Intanto due ferme direttive percorrono il treno fermo: duro attacco all'evasione. Se tutti pagano, paghiamo meno.
Buone maniere con l'evasore: siate gentili, non spaventate. E pignorate poco e non subito.
In questo momento, annunciano, dal fondo del treno, l'aumento dell'Iva (un punto).
È una tassa egualitaria che non guarda in faccia ai ricchi o ai poveri.
Se andate alla stazione troverete che il treno è ancora lì.
Ma fervono discussioni e arrivano annunci.
Uno ogni ora, sulla nuova legge elettorale.
Sembra subire lo stesso destino del treno.
Vagone Letta
Ma questo è il governo delle larghe attese
di Furio Colombo
La stazione Italia da cui parte il treno Letta non ha folle o bandiere.
Il treno, diretto a salvare con urgenza il Paese dal precipizio (come è stato detto in uno dei tanti discorsi di auguri e saluti), ha molti vagoni, è piuttosto affollato.
Viaggiano tutti in classe di governo, sportelli chiusi e i fischi di annuncio si susseguono. Ma il treno non parte.
SE A QUALCUNO accade di attardarsi sul marciapiede (lo fanno in pochi) accade che sentano il fervore che percorre l'interno del treno, come se fossero i Mille decisi a cambiare il destino d'Italia.
Qua e là vi sono finestrini aperti (detti anche "twitter") da cui i più appassionati possono lanciare un messaggio di questa volontà forte di cambiamento.
Nel primo vagone siede, mischiato agli altri giovani passeggeri, anche il Capo del governo.
Data l'età parlano tutti insieme, commentando prima di tutto il fatto che il viaggio sarà lungo però veloce. Qui non sono tollerate fermate.
Il Capo lancia un messaggio che si propaga lungo corridoi e scompartimenti come un brivido: tagliare il finanziamento pubblico dei partiti, come da impegni presi.
È un annuncio, naturalmente, come vedi dai manifestini lanciati dal finestrino come se il treno fosse in corsa.
Ma è fermo.
Comunque – ti gridano come se fossero già travolti dall'alta velocità – qui non si fanno promesse a vuoto.
Il progetto è vago, senza dettagli, accolto da un brusìo di felicitazioni degli astanti.
Ma l'idea del provvedimento c'è.
Al resto penseranno le due Camere.
Nel secondo vagone la conversazione fervida è sul lavoro ai giovani a cui sarà trovata, adesso, quasi subito, la soluzione, perché non è possibile che il 24% dei ragazzi sotto i 30 anni non sia né al lavoro né a scuola.
Naturalmente qualcuno li sostiene in qualche modo perché ancora non ci sono bidonville di giovani nelle periferie.
E allora, nel treno fermo, il vagone è in effervescenza perché è stata trovata finalmente la soluzione.
Si chiama la "staffetta generazionale "in cui i più anziani passeranno una parte dei loro soldi ai più giovani.
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Se pensate a una patrimoniale sulla ricchezza siete sulla strada sbagliata.
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L'idea è più bella perché costa solo a qualche privilegiato e non tocca, come l'infame Imu, il resto del Paese.
LA PAROLA d'ordine è "pensioni d'oro". Ce ne sono, tutte legate alla funzione pubblica e dunque facilmente rintracciabili (i privati hanno bonus anche di dimensioni notevoli, ma va a sapere quanto e dove).
Il vagone brulica di obiezioni.
Per esempio: sono poche migliaia le vere, scandalose pensioni d'oro.
Perciò quando il ricavato di quella operazione viene portato accanto alla montagna della spesa pubblica, è come la polvere d'oro che resta sul pavimento di Fort Knox dopo avere spostato i carrelli di lingotti da una postazione all'altra.
Però niente paura. Ci sono altre pensioni, sempre meno d'oro, che fanno la loro figura, se confrontate con quelle sociali.
Non sono un privilegio corrispondono a lunghe vite di lavoro con buone retribuzioni e adeguati contributi.
Però sono tante e un bel taglio vuol dire un bel tesoretto. Ci sono due piccoli difetti: in moltissimi casi queste sono le pensioni che tengono in vita tribù di giovani senza impiego; e poi, tagliando qui, paura e squilibrio di tante vite bloccherà ancora di più i consumi.
Ma perché guardare tanto per il sottile quando puoi far passare il tutto come pacchetto "pensioni d'oro", lasciando intatta la ricchezza dei ricchi, mentre doni il ricavato alle imprese che si impegnano ad assumere giovani?
Nel terzo vagone, e nei numerosi vagoni che seguono, si affollano gli esperti: se mi dai finalmente altri soldi ottenuti dai cittadini, io so dirti in che modo questi soldi possono creare altro lavoro, oltre il boom delle pensioni d'oro...
Naturalmente si tratta di progetti al buio.
Figuratevi che neppure i grandi economisti classici hanno mai offerto una formula sul modo di trasformare automaticamente il danaro in lavoro, visto che il lavoro dipende in grande misura dalla spesa pubblica, e dallo slancio delle imprese che vedono il momento giusto per investire.
Fiat e Pirelli saranno ispirate ad assumere dal taglio delle pensioni, che renderà sempre più improbabili gli acquisti dei loro prodotti? Da uno dei vagoni ti giunge la voce che il lavoro non dipende solo dal taglio delle "pensioni d'oro" (che poi sono le pensioni e basta) ma dalla saggia formula
Fornero: beati i flessibili perchè saranno assunti.
Però come spiegare che, dopo Fornero, la disoccupazione giovane è aumentata? La discussione si fa in questo modo: da una parte dite subito sì alle idee più belle.
DALL'ALTRA eliminate i progetti "buoni ma per ora impossibili" e fate subito tagli drastici a ogni funzione pubblica che, con i suoi pregi e difetti, resta senza volanti, senza ambulanze senza qualcuno che risponda ai cittadini, lasciati in attesa del momento in cui precipiterà sulle case l' Imu, oppure la stessa tassa con un altro nome.
Intanto due ferme direttive percorrono il treno fermo: duro attacco all'evasione. Se tutti pagano, paghiamo meno.
Buone maniere con l'evasore: siate gentili, non spaventate. E pignorate poco e non subito.
In questo momento, annunciano, dal fondo del treno, l'aumento dell'Iva (un punto).
È una tassa egualitaria che non guarda in faccia ai ricchi o ai poveri.
Se andate alla stazione troverete che il treno è ancora lì.
Ma fervono discussioni e arrivano annunci.
Uno ogni ora, sulla nuova legge elettorale.
Sembra subire lo stesso destino del treno.
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Re: Quale governo ?
Repubblica 26.5.13
Il patto segreto tra Letta e Alfano “Non ci devono essere conseguenze”
Il timore che la sconfitta di Pd o Pdl possa scaricarsi sul governo
di Francesco Bei
UN’INTESA politica tra i due quarantenni al timone di palazzo Chigi per sterilizzare in anticipo le prevedibili scosse in arrivo, con due partiti — Pd e Pdl — stretti nel sostegno al governo ma costretti a darsele con vigore nella sfida per le città.
Per questo nelle stanze del governo si guarda con crescente preoccupazione al voto romano. I segnali di un crollo dell’affluenza ci sono tutti. E a farne le spese potrebbe essere soprattutto il candidato del centrosinistra, Ignazio Marino, con conseguenze imprevedibili per la tenuta della maggioranza. Perché è chiaro che soltanto il voto della Capitale ha un peso tale da poter influire sugli assetti nazionali. «Con tutte le liste civiche che ci sono — riflette Walter Veltroni — sarà difficile capire se i singoli partiti hanno vinto o hanno perso». Insomma, i dati aggregati a livello nazionale — che mettono insieme Isernia con Ancona, Viterbo con Siena — stavolta contano poco. L’importante è sapere chi vince la posta al ballottaggio. A Roma più di ogni altra città.
Il flop di piazza San Giovanni, il luogo simbolo della sinistra scelto apposta per la chiusura della campagna elettorale, è stato solo l’ultimo dei campanelli d’allarme. Per non parlare del confronto in tv tra i quattro candidati, organizzato su Sky, con un deludente seguito di appena 39 mila telespettatori, la metà di quanti si erano sintonizzati sulla stessa rete per il match tra i “campioni” per le primarie romane del Pd. Lo stesso segretario Epifani, che si è trovato sotto al palco di San Giovanni, è stato costretto ad ammettere il disinteresse che circonda lo scontro Marino-Alemanno. Lo scollamento del popolo di centrosinistra è chiaramente quello su cui punta Alemanno, dato per sconfitto senza appello fino a un mese e in rimonta grazie al traino del Pdl. Un testa a testa Marino-Alemanno avrebbe un effetto sconvolgente sul centrosinistra. E ridarebbe fiato alle truppe demotivate del sindaco. «La vera posta in gioco è al ballottaggio tra quindici giorni — confida Paolo Gentiloni, il candidato renziano sconfitto da Marino — e sarà comunque una partita difficile per noi. Se vinciamo lo daranno per scontato, se perdiamo... sarebbe un brutto colpo per un partito già malconcio». A quel punto tutti se la prenderebbero con il governissimo, sconfessando le larghe intese e allargando ancora di più le distanze tra il Nazareno e palazzo Chigi.
Ma visto che le brutte notizie non arrivano mai da sole, paradossalmente anche una vittoria di Marino potrebbe avere conseguenze negative per il governo e la tenuta del Pd. «Il problema a sinistra è enorme — spiega una fonte interessata come Andrea Augello, capo della campagna di Alemanno — perché Marino è un candidato
eccentrico rispetto alla scelta del governo di larghe intese fatta dal Pd. Se vince, vince da solo. Se perde, perde il Pd». In effetti Marino ha fatto di tutto per prendere le
distanze da Enrico Letta. Non ha votato la fiducia al suo governo, dopo aver già disobbedito alle indicazioni del partito votando Rodotà al Quirinale. Non ha voluto
sostegni in campagna elettorale, tranne quello di Zingaretti. E l’intervista concessa a l’Espresso in edicola ha un titolo incontrovertibile: «Che errore le larghe intese».
La speranza a cui si aggrappano i “governativi” — quelli del Pd ma anche quelli del Pdl — è che stavolta le urne potrebbero riservare un’amara sorpresa per Beppe Grillo. La campagna di Marcello De Vito, il giovane avvocato grillino, è stata tutt’altro che travolgente e questo fa ipotizzare un risultato molto al di sotto dell’incredibile 27% conquistato alle politiche. «Centrosinistra e centrodestra — fa notare Gentiloni — si presentano entrambi con molte liste civiche di contorno. Quindi un eventuale risultato deludente dei partiti può essere compensato dal voto alle civiche. Il M5S invece va da solo, con tutti i rischi del caso».
Il patto segreto tra Letta e Alfano “Non ci devono essere conseguenze”
Il timore che la sconfitta di Pd o Pdl possa scaricarsi sul governo
di Francesco Bei
UN’INTESA politica tra i due quarantenni al timone di palazzo Chigi per sterilizzare in anticipo le prevedibili scosse in arrivo, con due partiti — Pd e Pdl — stretti nel sostegno al governo ma costretti a darsele con vigore nella sfida per le città.
Per questo nelle stanze del governo si guarda con crescente preoccupazione al voto romano. I segnali di un crollo dell’affluenza ci sono tutti. E a farne le spese potrebbe essere soprattutto il candidato del centrosinistra, Ignazio Marino, con conseguenze imprevedibili per la tenuta della maggioranza. Perché è chiaro che soltanto il voto della Capitale ha un peso tale da poter influire sugli assetti nazionali. «Con tutte le liste civiche che ci sono — riflette Walter Veltroni — sarà difficile capire se i singoli partiti hanno vinto o hanno perso». Insomma, i dati aggregati a livello nazionale — che mettono insieme Isernia con Ancona, Viterbo con Siena — stavolta contano poco. L’importante è sapere chi vince la posta al ballottaggio. A Roma più di ogni altra città.
Il flop di piazza San Giovanni, il luogo simbolo della sinistra scelto apposta per la chiusura della campagna elettorale, è stato solo l’ultimo dei campanelli d’allarme. Per non parlare del confronto in tv tra i quattro candidati, organizzato su Sky, con un deludente seguito di appena 39 mila telespettatori, la metà di quanti si erano sintonizzati sulla stessa rete per il match tra i “campioni” per le primarie romane del Pd. Lo stesso segretario Epifani, che si è trovato sotto al palco di San Giovanni, è stato costretto ad ammettere il disinteresse che circonda lo scontro Marino-Alemanno. Lo scollamento del popolo di centrosinistra è chiaramente quello su cui punta Alemanno, dato per sconfitto senza appello fino a un mese e in rimonta grazie al traino del Pdl. Un testa a testa Marino-Alemanno avrebbe un effetto sconvolgente sul centrosinistra. E ridarebbe fiato alle truppe demotivate del sindaco. «La vera posta in gioco è al ballottaggio tra quindici giorni — confida Paolo Gentiloni, il candidato renziano sconfitto da Marino — e sarà comunque una partita difficile per noi. Se vinciamo lo daranno per scontato, se perdiamo... sarebbe un brutto colpo per un partito già malconcio». A quel punto tutti se la prenderebbero con il governissimo, sconfessando le larghe intese e allargando ancora di più le distanze tra il Nazareno e palazzo Chigi.
Ma visto che le brutte notizie non arrivano mai da sole, paradossalmente anche una vittoria di Marino potrebbe avere conseguenze negative per il governo e la tenuta del Pd. «Il problema a sinistra è enorme — spiega una fonte interessata come Andrea Augello, capo della campagna di Alemanno — perché Marino è un candidato
eccentrico rispetto alla scelta del governo di larghe intese fatta dal Pd. Se vince, vince da solo. Se perde, perde il Pd». In effetti Marino ha fatto di tutto per prendere le
distanze da Enrico Letta. Non ha votato la fiducia al suo governo, dopo aver già disobbedito alle indicazioni del partito votando Rodotà al Quirinale. Non ha voluto
sostegni in campagna elettorale, tranne quello di Zingaretti. E l’intervista concessa a l’Espresso in edicola ha un titolo incontrovertibile: «Che errore le larghe intese».
La speranza a cui si aggrappano i “governativi” — quelli del Pd ma anche quelli del Pdl — è che stavolta le urne potrebbero riservare un’amara sorpresa per Beppe Grillo. La campagna di Marcello De Vito, il giovane avvocato grillino, è stata tutt’altro che travolgente e questo fa ipotizzare un risultato molto al di sotto dell’incredibile 27% conquistato alle politiche. «Centrosinistra e centrodestra — fa notare Gentiloni — si presentano entrambi con molte liste civiche di contorno. Quindi un eventuale risultato deludente dei partiti può essere compensato dal voto alle civiche. Il M5S invece va da solo, con tutti i rischi del caso».
Re: Quale governo ?
questo governo Letta è una botta di vita per molte creature del sottobosco
http://www.huffingtonpost.it/2013/05/29 ... _ref=italy
“Non si chiamano matrimoni come in Francia, ma è solo un fatto semantico. Sono previste forti analogie al matrimonio per quanto riguarda diritti e doveri, perché i gay devono essere cittadini come tutti”.
La legge sulle unioni gay è pronta. Giancarlo Galan la presenterà domani. Ha già incassato il sostegno dei “laici” del Pdl, da Stefania Prestigiacomo a Laura Ravetto, da Sandro Bondi a Daniele Capezzone. Ma anche il gelo dei cattolici, Carlo Giovanardi e Maurizio Sacconi, e il silenzio di Alfano.
Nel suo studio a Montecitorio sta limando con gli uffici tecnici gli ultimi dettagli. Per ora non sono previste le adozioni: “Fosse per me - spiega - le avrei messe, ma adesso la priorità è far passare il principio. Non è detto che non interverremo successivamente”. Ma assicura che si tratta solo di un fatto di opportunità, non di un cedimento: “Guardi, la normativa sulle adozioni è un casino anche per le coppie eterosessuali, andrebbe cambiata prima la normativa nel suo complesso. Se la conosce converrà con me che ad esempio sulle adozioni internazionali presenta zone opache”.
Ecco, il matrimonio gay è solo il primo passo. E non solo nella direzione delle adozioni. Giancarlo Galan, fedelissimo di Berlusconi sin da quando lo conobbe nell’86, liberale puro, è convinto che serva uno shock sui diritti. E all’HuffPost annuncia: “Sono favorevole alla fecondazione assistita e all’eutanasia. Nelle prossime settimane ci muoveremo anche su questo. Come ai tempi dell’aborto il paese è più avanti del Palazzo, e su queste norme non c’è vincolo di partito”.
Galan, la sua proposta si chiama “Gay and lesbian partnership”, ovvero “unioni omoaffettive”. Non era meglio chiamarla matrimonio?
Non è un fatto di nomi. I nomi sono diversi, ma la sostanza è simile. Come può vedere ci sono analoghi diritti e doveri del matrimonio previsto dal nostro codice civile. È, di fatto, la stessa cosa: abbiamo evitato di impiccarci all’aspetto più mediatico e di andare al dunque, prevedendo delle procedure semplificate. In questa fase è importante il principio. Mi ha fatto piacere, ad esempio, che una come Paola Concia, che non ha un approccio ideologico condivida la mia iniziativa.
Però sulle adozioni non è uguale al matrimonio.
La normativa sulle adozioni è un disastro anche per gli eterosessuali, soprattutto per le adozioni internazionali, dove si mescolano interessi opachi e non chiari. Tuttavia stiamo facendo il primo passo. Io sono favorevole alle adozioni da parte dei gay.
È un fatto di civiltà?
Certo. Ho visitato tanti orfanotrofi in Venezuela, Uruguay, Ucraina, Russia. Ho visto bambini che non hanno speranza di ricevere nella vita una carezza o un abbraccio, e magari destinati a finire in bordelli e nella delinquenza. È meglio questo o dare a loro la carezza di due papà o di due mamme? Vedremo nelle prossime settimane quello che si può fare.
Le sue parole suonano come una bestemmia nel suo partito.
E perché? Io sono un liberale. E il mio partito, cioè Forza Italia, di cui sono stato tra i fondatori è quello della rivoluzione liberale, quello che pensa che le libertà economiche, libertà sociali e libertà civili siano aspetti di un’unica modernizzazione del paese. Guardi, questo è un punto per me fondamentale. In tutti i grandi partiti occidentali ci sono sensibilità diverse sui diritti. Nel mio partito ci sono Giovanardi e Sacconi, sono felice che ci siano e li rispetto. Ma loro devono fare lo stesso con me.
Quindi, niente disciplina di partito.
Ma ci mancherebbe… Come ai tempi dell’aborto, la questione è trasversale. Ben venga se sulla mia proposta c’è una convergenza anche di Sel o Grillo. La verità sa quale è?
Quale?
Che i cittadini sono più avanti del Palazzo. È un paese che vuole essere libero, e vuole scegliere come amare e vivere. Solo qui dentro c’è l’ossessione del voto cattolico o dell’umore delle gerarchie. Suvvia, il voto cattolico, inteso come voto ideologico, non c’è più. I cattolici sono ovunque e votano dall’estrema destra all’estrema sinistra. E aggiungo: sa quale è la differenza tra la posizione mia e quella di Sacconi?
Prego, lei è un fiume in piena che si fa le domande e si dà le risposte…
Perché conosco le obiezioni. Sono le stesse da decenni. Io rispetto chi crede nel matrimonio tradizionale, rispetto anche il cattolico integralista e il suo stile di vita. Ma io dico: lo Stato deve garantire diritti e non negarli. Non può vietare a chi ha altre convinzioni di vivere come vuole. È questo il punto.
Le faccio un’altra obiezione classica. In questo momento, con la crisi, un governo di questo tipo, una situazione così delicata, la sua iniziativa destabilizza. Non è meglio occuparsi solo di economia?
Assolutamente no. I diritti sono sempre una priorità, non sono né antecedenti né successivi alle riforme economiche. E poi scusi, i gay le pagano o no le tasse? Sì, e allora perché devono avere meno diritti di una coppia sposata, inclusa reversibilità delle pensioni?
Questo comporta un aggravio di spesa.
Si troveranno le coperture. Ma questo è un punto importante della mia proposta di legge.
Dica la verità, Galan. Berlusconi è d’accordo con la sua iniziativa laica?
Non lo so, non ci ho parlato. Ma conosco Berlusconi e non ha mai negato a nessuno un diritto, men che meno il diritto alla felicità.
Dalla convinzione con cui esprime le cose, immagino che quella sul matrimonio è la prima di una serie di iniziative. Parliamo di eutanasia.
Volevo fare una proposta, ma c’è già quella dell’associazione Luca Coscioni che condivido e che sosterrò. Come la penso è molto semplice. Quando uno ha davanti un’unica strada, e cioè la fine, non capisco perché non può scegliere come addormentarsi per sempre. Questa libertà non può essere negata. Ricorda il gesto di Lucio Magri? Bene, io penso che si debba concedere il suicidio assistito.
Magri era consapevole, e non è il caso di Eluana su cui il suo partito fece una crociata ideologica.
Quello fu un errore, ma in tema di testamento il dibattito è più complesso. Garantiamo il suicidio assistito, come primo passo. Vale il discorso si prima. Capisco che qualcuno mi può dire: il suicidio è abominevole. Bene, scelga come morire, ma lasci scegliere a me la fine che penso sia per me più dignitosa.
Galan, insisto. Lei si rende conto che su queste posizioni, quando diventeranno iniziative legislative, avrà più sostegni a sinistra che nel suo partito?
Non son mica scemo. Ripeto: il tema dei diritti si affronta senza vincoli di partito.
Quindi non si sottrarrà nemmeno al tema della fecondazione assistita.
La legge 40 va rivista assolutamente. È arretrato il dibattito che c’è nel ceto politico in materia, a causa di una timidezza verso il Vaticano. Come possiamo non vedere che chi non la può fare in Italia va in Belgio o altrove? Possiamo far finta di non vedere il turismo dei diritti?
Bene, lei ci ha annunciato una rivoluzione sui diritti, conoscendo come la pensa il suo partito. Qualcuno le ha detto “fermati”?
Sì, ma non le dirò mai chi. Ma le dico che gli ho risposto: fino a febbraio non ero in Parlamento. Ci sono venuto per fare una battaglia liberale. E non ho intenzione di fermarmi.
http://www.huffingtonpost.it/2013/05/29 ... _ref=italy
“Non si chiamano matrimoni come in Francia, ma è solo un fatto semantico. Sono previste forti analogie al matrimonio per quanto riguarda diritti e doveri, perché i gay devono essere cittadini come tutti”.
La legge sulle unioni gay è pronta. Giancarlo Galan la presenterà domani. Ha già incassato il sostegno dei “laici” del Pdl, da Stefania Prestigiacomo a Laura Ravetto, da Sandro Bondi a Daniele Capezzone. Ma anche il gelo dei cattolici, Carlo Giovanardi e Maurizio Sacconi, e il silenzio di Alfano.
Nel suo studio a Montecitorio sta limando con gli uffici tecnici gli ultimi dettagli. Per ora non sono previste le adozioni: “Fosse per me - spiega - le avrei messe, ma adesso la priorità è far passare il principio. Non è detto che non interverremo successivamente”. Ma assicura che si tratta solo di un fatto di opportunità, non di un cedimento: “Guardi, la normativa sulle adozioni è un casino anche per le coppie eterosessuali, andrebbe cambiata prima la normativa nel suo complesso. Se la conosce converrà con me che ad esempio sulle adozioni internazionali presenta zone opache”.
Ecco, il matrimonio gay è solo il primo passo. E non solo nella direzione delle adozioni. Giancarlo Galan, fedelissimo di Berlusconi sin da quando lo conobbe nell’86, liberale puro, è convinto che serva uno shock sui diritti. E all’HuffPost annuncia: “Sono favorevole alla fecondazione assistita e all’eutanasia. Nelle prossime settimane ci muoveremo anche su questo. Come ai tempi dell’aborto il paese è più avanti del Palazzo, e su queste norme non c’è vincolo di partito”.
Galan, la sua proposta si chiama “Gay and lesbian partnership”, ovvero “unioni omoaffettive”. Non era meglio chiamarla matrimonio?
Non è un fatto di nomi. I nomi sono diversi, ma la sostanza è simile. Come può vedere ci sono analoghi diritti e doveri del matrimonio previsto dal nostro codice civile. È, di fatto, la stessa cosa: abbiamo evitato di impiccarci all’aspetto più mediatico e di andare al dunque, prevedendo delle procedure semplificate. In questa fase è importante il principio. Mi ha fatto piacere, ad esempio, che una come Paola Concia, che non ha un approccio ideologico condivida la mia iniziativa.
Però sulle adozioni non è uguale al matrimonio.
La normativa sulle adozioni è un disastro anche per gli eterosessuali, soprattutto per le adozioni internazionali, dove si mescolano interessi opachi e non chiari. Tuttavia stiamo facendo il primo passo. Io sono favorevole alle adozioni da parte dei gay.
È un fatto di civiltà?
Certo. Ho visitato tanti orfanotrofi in Venezuela, Uruguay, Ucraina, Russia. Ho visto bambini che non hanno speranza di ricevere nella vita una carezza o un abbraccio, e magari destinati a finire in bordelli e nella delinquenza. È meglio questo o dare a loro la carezza di due papà o di due mamme? Vedremo nelle prossime settimane quello che si può fare.
Le sue parole suonano come una bestemmia nel suo partito.
E perché? Io sono un liberale. E il mio partito, cioè Forza Italia, di cui sono stato tra i fondatori è quello della rivoluzione liberale, quello che pensa che le libertà economiche, libertà sociali e libertà civili siano aspetti di un’unica modernizzazione del paese. Guardi, questo è un punto per me fondamentale. In tutti i grandi partiti occidentali ci sono sensibilità diverse sui diritti. Nel mio partito ci sono Giovanardi e Sacconi, sono felice che ci siano e li rispetto. Ma loro devono fare lo stesso con me.
Quindi, niente disciplina di partito.
Ma ci mancherebbe… Come ai tempi dell’aborto, la questione è trasversale. Ben venga se sulla mia proposta c’è una convergenza anche di Sel o Grillo. La verità sa quale è?
Quale?
Che i cittadini sono più avanti del Palazzo. È un paese che vuole essere libero, e vuole scegliere come amare e vivere. Solo qui dentro c’è l’ossessione del voto cattolico o dell’umore delle gerarchie. Suvvia, il voto cattolico, inteso come voto ideologico, non c’è più. I cattolici sono ovunque e votano dall’estrema destra all’estrema sinistra. E aggiungo: sa quale è la differenza tra la posizione mia e quella di Sacconi?
Prego, lei è un fiume in piena che si fa le domande e si dà le risposte…
Perché conosco le obiezioni. Sono le stesse da decenni. Io rispetto chi crede nel matrimonio tradizionale, rispetto anche il cattolico integralista e il suo stile di vita. Ma io dico: lo Stato deve garantire diritti e non negarli. Non può vietare a chi ha altre convinzioni di vivere come vuole. È questo il punto.
Le faccio un’altra obiezione classica. In questo momento, con la crisi, un governo di questo tipo, una situazione così delicata, la sua iniziativa destabilizza. Non è meglio occuparsi solo di economia?
Assolutamente no. I diritti sono sempre una priorità, non sono né antecedenti né successivi alle riforme economiche. E poi scusi, i gay le pagano o no le tasse? Sì, e allora perché devono avere meno diritti di una coppia sposata, inclusa reversibilità delle pensioni?
Questo comporta un aggravio di spesa.
Si troveranno le coperture. Ma questo è un punto importante della mia proposta di legge.
Dica la verità, Galan. Berlusconi è d’accordo con la sua iniziativa laica?
Non lo so, non ci ho parlato. Ma conosco Berlusconi e non ha mai negato a nessuno un diritto, men che meno il diritto alla felicità.
Dalla convinzione con cui esprime le cose, immagino che quella sul matrimonio è la prima di una serie di iniziative. Parliamo di eutanasia.
Volevo fare una proposta, ma c’è già quella dell’associazione Luca Coscioni che condivido e che sosterrò. Come la penso è molto semplice. Quando uno ha davanti un’unica strada, e cioè la fine, non capisco perché non può scegliere come addormentarsi per sempre. Questa libertà non può essere negata. Ricorda il gesto di Lucio Magri? Bene, io penso che si debba concedere il suicidio assistito.
Magri era consapevole, e non è il caso di Eluana su cui il suo partito fece una crociata ideologica.
Quello fu un errore, ma in tema di testamento il dibattito è più complesso. Garantiamo il suicidio assistito, come primo passo. Vale il discorso si prima. Capisco che qualcuno mi può dire: il suicidio è abominevole. Bene, scelga come morire, ma lasci scegliere a me la fine che penso sia per me più dignitosa.
Galan, insisto. Lei si rende conto che su queste posizioni, quando diventeranno iniziative legislative, avrà più sostegni a sinistra che nel suo partito?
Non son mica scemo. Ripeto: il tema dei diritti si affronta senza vincoli di partito.
Quindi non si sottrarrà nemmeno al tema della fecondazione assistita.
La legge 40 va rivista assolutamente. È arretrato il dibattito che c’è nel ceto politico in materia, a causa di una timidezza verso il Vaticano. Come possiamo non vedere che chi non la può fare in Italia va in Belgio o altrove? Possiamo far finta di non vedere il turismo dei diritti?
Bene, lei ci ha annunciato una rivoluzione sui diritti, conoscendo come la pensa il suo partito. Qualcuno le ha detto “fermati”?
Sì, ma non le dirò mai chi. Ma le dico che gli ho risposto: fino a febbraio non ero in Parlamento. Ci sono venuto per fare una battaglia liberale. E non ho intenzione di fermarmi.
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