Don Andrea Gallo, 1928-2013

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camillobenso
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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Don Gallo, il tributo di Genova. Costituzione, Bibbia e bandiera rossa
Il cardinale Bagnasco officerà i funerali il 25 maggio alle 11.30 nella chiesa del Carmine dal quale l'allora vice parroco fu cacciato da Siri nel 1970. A salutarlo la "grande famiglia di Sanbe", la comunità di recupero per tossicodipendenti da lui fondata più di 40 anni fa. E poi le "sue" trans: "Chi prenderà il suo posto? Il futuro un po' ci spaventa"

di Elena Rosselli | 23 maggio 2013


L’edizione paolina della Bibbia aperta sul Qoelet. E la Costituzione, sottolineata a penna nei punti preferiti. E poi la bandiera della pace che avvolge l’estremità del feretro. Il cappello nero appoggiato sul vessillo rossoblù del Genoa, la squadra del cuore. Lo striscione del gruppo ‘Pé No Chão‘, gli “educatori di strada” di bambini e bambine delle favelas brasiliane.

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Don Gallo, il tributo di Genova. Costituzione, Bibbia e bandiera rossa
Il cardinale Bagnasco officerà i funerali il 25 maggio alle 11.30 nella chiesa del Carmine dal quale l'allora vice parroco fu cacciato da Siri nel 1970. A salutarlo la "grande famiglia di Sanbe", la comunità di recupero per tossicodipendenti da lui fondata più di 40 anni fa. E poi le "sue" trans: "Chi prenderà il suo posto? Il futuro un po' ci spaventa"

di Elena Rosselli | 23 maggio 2013Commenti (85)

Più informazioni su: Don Gallo, Droga, Genova, Morte, Tossicodipendenza, Trans.

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L’edizione paolina della Bibbia aperta sul Qoelet. E la Costituzione, sottolineata a penna nei punti preferiti. E poi la bandiera della pace che avvolge l’estremità del feretro. Il cappello nero appoggiato sul vessillo rossoblù del Genoa, la squadra del cuore. Lo striscione del gruppo ‘Pé No Chão‘, gli “educatori di strada” di bambini e bambine delle favelas brasiliane.

La maglietta del Giro d’Italia, la numero uno, con la scritta “Genova” sul fondo. Il drappo rosso dei partigiani della Valpolcevera. E fiori, caricature, messaggi, candele. Due registri pieni di firme e messaggi raccolti in meno di 24 ore.

E’ anche questo la camera ardente di don Andrea Gallo, anzi, del “Gallo”, morto a Genova il 22 maggio nella stanza dove da giorni era assistito dalla grande famiglia di “Sanbe”, la comunità di San Benedetto al porto, da lui fondata negli anni ’70 per accogliere tossici, prostitute, emarginati in generale, chiunque, drogato o meno, non si sentisse parte di una società esclusiva che respingeva al di fuori i suoi figli meno omologati.

Figli che oggi sfilano nella chiesa di San Benedetto per dire “io ci sono” con quel misto di riservatezza e fastidio per tanto clamore di flash attorno alla bara del Gallo. Sensazioni schive proprie dei genovesi o di chi Genova l’ha fatta sua vivendoci. Un uscio stretto con due scritte – “entrata” e “uscita” – a indicare la via al flusso continuo di persone venute a salutare “il don”.

Sfilano i volti scavati dall’eroina. Perché non c’è nessun’altra droga che rode così il corpo e i lineamenti di chi l’assume, mangiando giorno per giorno ogni eccesso di carne e lasciando sulla pelle il marchio perenne del “peccato”. “San Benedetto è la comunità più libera che esista. Non ci sono regole. Ci sei tu e il fuoco che hai dentro di tornare alla vita – spiega D. che con la ‘roba’ ha iniziato a 16 anni per poi smettere poco dopo, ma ricominciare a 28 e di nuovo smettere, questa volta “per sempre” a 32, “grazie al Gallo”, perché “Sanbe è la comunità più difficile dove io sia stato, ma anche l’unica che ha funzionato”. Perché “nessuno ti obbliga a entrare o uscire, ad avere dieci o venti sigarette, a fottere tutti i soldi della cassa comune e tornare a farti”. La porta, a Sanbe, è aperta. “Si entra che si è zero” e “si torna alla vita”. Si cade e ricade anche cento volte, ma “nessuno ti punta il dito contro”. Perché sei arrivato? Nessuno ti ha costretto. Vuoi andare? Vai. Vuoi restare? Resta. Insomma, “tu e solo tu decidi, è la tua partita, la tua vita”.

“Sono venuto per servire”, diceva sempre il Don. “E io mica l’ho mai capita questa frase”, racconta un’altra “amica della comunità”, come le piace definirsi. Ha il trucco pesante, un cerone da maschera di teatro, di chi è abituata all’oscurità dei bassi dove vivono le “princese”, le transessuali tanto care al Gallo. “Vedi quanta gente? C’è tutta la città. C’è Genova, ‘ianua’, la ‘porta del paradiso’ come la chiamava Andrea”. Un porta bifronte come Giano, il dio dai due volti simbolo della città che guarda contemporaneamente al passato e al futuro. “E al passato c’è don Gallo, cosa ci riserva il futuro non lo sappiamo. E un po’ ci spaventa”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... lo/603628/
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Solo Il Fatto Quotidiano ieri ha aperto con:

http://le-riviste.net/il-fatto-quotidiano-23-05-13/

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Don Gallo addio Con i suoi ragazzi fino alla fine
(Ferruccio Sansa).
23/05/2013 di triskel182


“SI VANTAVA DI NON ESSER MAI ENTRATO IN UNA FARMACIA PER 84 ANNI”, RACCONTANO TRA LE LACRIME ALLA COMUNITÀ SAN BENEDETTO AL PORTO.

Andrea è nel suo archivio”. Nella stanza di pochi metri quadrati, con quel quadro all’ingresso dove si intravvedono figure piegate dal dolore, ma anche uno squarcio di cielo. Con quella porta stretta che a migliaia hanno varcato per cercare consolazione. Come in un giorno qualsiasi, uno delle migliaia di questi 43 anni della comunità di San Benedetto al Porto. Ma oggi è l’ultimo giorno. Don Andrea Gallo se n’è andato. Dopo aver vissuto ogni minuto della sua esistenza in prima linea, ha deciso di partire con la massima discrezione. Come fosse un giorno qualunque.

“PORTATEMI nel mio studio”, ha chiesto nei giorni scorsi tornando dall’ospedale. Sapeva, sentiva, che l’orizzonte era vicino. Ma nessun addio, nessuna frase solenne. E pensare che appena un mese fa era ancora lui. Certo, ormai sottile e trasparente come una foglia. “Poi all’improvviso ha detto che non dormiva più”, racconta Domenico Chionetti, il portavoce della Comunità di San Benedetto al Porto. L’acqua nei polmoni. In poche settimane il prete si è spento, lui che “in 84 anni non era mai entrato in una farmacia, non per sé, almeno”. Ha chiesto soltanto di essere sistemato nella stanza dove da decenni chi ha bisogno di lui sa di poterlo trovare. In una brandina nel suo studio, davanti agli occhi un’immagine della Madonna. In mezzo alle carte e ai libri di preghiera e di Gramsci. Accanto a quella scrivania dove ha passato una vita a parlare e ascoltare. Dalla finestra affacciata sul porto si vedono le navi, i gabbiani spinti a terra dal vento di libeccio che spazza via le nuvole. E si vede Genova cui Andrea Gallo è rimasto saldamente legato, nonostante i periodi passati nelle favelas del Brasile e nelle carceri. A guardarla di qui, dalla Comunità di San Benedetto, ti pare una giornata qualsiasi: il traffico, i passanti. Non sa ancora, la città, che don Gallo non c’è più. Ma lui ha voluto così. Che la notizia della malattia arrivasse all’ultimo, anche per la sua Genova. Che la morte fosse davvero un momento della vita, pure se l’ultimo.

Andrea è rimasto lì per giorni. Le mani sempre pronte a restituirti la stretta, ma gli occhi puntati verso un luogo sempre più inaccessibile. Come se tenesse aperta la porta, se mostrasse ai suoi amici che proseguire è possibile. Accanto c’erano i volti di sempre: Paola, Domenico, Giambattista, Cinzia. Soltanto più silenzio. E quello sguardo che fuggiva verso l’archivio, dove c’era Andrea con Lilli, con due i nipoti. Dove stava accadendo qualcosa di grande e terribile. “Vorrei piangere”, racconta Lucia sulla porta, “Vorrei, ma gli farei torto, a Gallo, che mi ha ridato la vita. Che mi ha insegnato a sperare”. Sì, Dio sembrava più vero attraverso le parole di Andrea: “Credevamo a Dio perché aveva Gallo come testimone”, prova a scherzare qualcuno. Don Andrea che si è sempre definito “prete”. Più che religioso, più che sacerdote. Proprio prete. Sono arrivati in tanti, anche il cardinale Angelo Bagnasco e don Andrea per riceverlo ha voluto essere vestito l’ultima volta. Ma soprattutto ci sono i ragazzi della Comunità. Si chiamano sempre così, “ragazzi”, anche se sono passati decenni da che sono entrati la prima volta dal portone. Se hanno magari sessant’anni, se i tatuaggi sui bicipiti sono deformati dall’età che svuota tutti. “Sai”, dice una donna che ti prende sottobraccio, “io tante volte in questi anni ho immaginato questo giorno. La morte di Andrea, intendo. Come avviene con il papà”. Padre, stupisce sentire tante volte questa parola per un sacerdote.

“Davvero Andrea ha avuto tanti figli. Lui prete li ha avuti attraverso di noi, i nostri bambini che sono nati perché Andrea ci ha tolti dalla strada e salvati. Senza Gallo non sarebbero mai nati”, racconta Daniela. Davvero è così: “C’erano anni che ogni settimana morivano dei giovani. Che cercavamo disperatamente comunità che li ospitassero per salvarli. Spesso era impossibile trovarne. Ma lui, don Gallo, apriva le porte a tutti. Sempre”, racconta un magistrato che conosceva Gallo da decenni. Oltre al personaggio pubblico don Andrea è stato anche, soprattutto, questo. I mobili di legno annerito, il pavimento con i disegni consumati. Una canonica come tante, ma di queste poche stanze don Gallo ha fatto uno dei centri di gravità di Genova. Città in crisi, di coscienza prima che economica, e però fino a ieri sapeva che c’era questo prete a prendersi cura di lei. Le alluvioni, il G8, gli scandali, don Gallo come i patriarchi delle famiglie era una di quelle figure che aiutano a non smarrirsi.

ORA DOVRÀ cavarsela da sola. Genova, ma anche la Comunità: “Siamo una grande famiglia, cinquanta dipendenti. Centinaia di volontari. Ce la faremo”, assicura Chionetti. Ma non sarà facile. Bisognerà trovare una nuova guida. Un sacerdote, forse, ma chi? Don Federico Rebora, il parroco che ha seguito Gallo per 42 anni, ha 85 anni. Andrea istrionico, incontenibile, Federico mite, riservato. Già, don Gallo doveva consolare, non ha avuto tempo per parlare di sé, della propria fine. Di quel passaggio ha lasciato soltanto un messaggio indiretto, nelle prediche dei tanti funerali che ha dovuto celebrare: “Non è facile imparare a morire. Non è facile obbedire fino alla morte e quindi fare obbedienza alla morte. Non è facile fare di essa un dono di amore per la famiglia e per gli amici”, disse in una predica riportata nel suo ultimo libro “In viaggio con Francesco”, uscito proprio in questi giorni. “Quando di sera tornavo a casa, sulla sopraelevata che attraversa il porto, guardavo verso la finestra di don Gallo. La vedevo spesso accesa. Ora Genova è più sola”, racconta Adriano.

Sono le 17,45 quando don Andrea lascia andare l’ultimo respiro. Qualcuno corre in chiesa. Altri lo cercano sul terrazzino pieno di gerani, di rosmarino. Una ragazza apre la finestra dello studio e la spalanca verso la città. Come raccontò don Andrea: “Gesù disse… Vi ho tenuta nascosta una cosa che ora non posso più nascondervi: devo proprio partire. Addio”.

Da Il Fatto Quotidiano del 23/05/2013.
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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’A LANTERNA (Antonio Padellaro).
23/05/2013 di triskel182
Ricordo una tenera sera di giugno a Genova, Don Andrea Gallo seduto a tavola, Gesù allegro e intorno la compagnia dei suoi ragazzi, apostoli raccolti laceri e perduti sulla strada che si erano fatti cuochi e sommelier nella straordinaria trattoria ’A Lanterna, che avrebbe potuto avere come insegna: entra, la mia fede li ha salvati. Era un nostro grande amico, il Don. Ci aveva battezzati quando nessuno scommetteva sul nostro piccolo giornale un euro bucato. E un po’ ci prendeva in giro recitando beffardo un paternoster tutto suo: “e dacci oggi il nostro Fatto Quotidiano”. Era una festa Don Gallo, e a chi era cresciuto nella plumbea scuola dei preti normali, delle omelie sulle nuvole, del peccato incombente, delle penitenze biascicate, gli apriva proprio il cuore questo prete così diverso da non essere prete, ma fratello, amico, confidente, consolatore come il Cristo che ti apre le braccia e mai ti giudica. Ama e fai ciò che vuoi: non recitava Sant’Agostino, ma lo viveva Don Gallo quell’amore non capriccio ma bene assoluto per il prossimo. E nella Comunità, caotica spelonca tenuta insieme da caritatevoli collinette di pacchi alimentari e di vestiti smessi e di libri consumati e di fatture da pagare, aspettavano tranquilli i trans senza parrucca e i tossici dagli occhi stanchi. Aspettavano di essere ammessi dove un sorriso ornato da un mezzo sigaro spento li avrebbe fatti sentire di nuovo umani. Ti aspettavamo anche noi, Don, alle nostre feste, tu instancabile sul palco, su e giù a parlare di Resistenza e di Costituzione, il tutto impastato di Vangelo, Bella Ciao e qualche irriverenza sui cardinaloni perché, dicevi, alla fin fine è questo il nostro sillabario. Ti devo quella sera a Genova, Don, e altre sere ancora a parlare del senso della vita. Ricordi De Andrè? Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.

Da Il Fatto Quotidiano del 23/05/2013.
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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Don Andrea Gallo è morto. Don Gallo Andrea vive

di Paolo Farinella | 22 maggio 2013Commenti (185)


Genova, mercoledì 22 maggio 2013, ore 17,56, squilla il cellulare mentre sono in chiesa per un incontro. E’ Paola de Il Fatto Quotidiano che da Roma mi dice: «Ti porto brutte notizie da Genova: è morto don Gallo». Le prometto un pensiero mio che è questo.

La morte di don Andrea Gallo ci coglie di sorpresa, nonostante fossimo in attesa che accadesse. La verità è che non volevamo che morisse perché ci teneva sulle sue ginocchia e ci consolava, ci coccolava. In un tempo di papi e di gerarchie fissati su un’idea di Dio astratta, don Andrea ci fa vedere un Dio con le mani sporche di umanità, ansioso di sporcarsi e stare con la gente, fuori del tempio isolato da un muro d’incenso e d’ipocrisia. Lo scorso anno a Palazzo Ducale di Genova, alla presentazione del mio romanzo «Habemus papam», in cui preconizzavo la necessità di un papa di nome Francesco, si entusiasmò e, prendendomi da parte, mi disse: «Sarebbe ora, mi piacerebbe esserci». Ora sono contento che ha visto l’arrivo di papa Francesco e ha fatto appena in tempo a pubblicare l’ultimo suo libro «In cammino con Francesco», quasi assaporando il cambio di marcia tanto desiderato.

Don Andrea Gallo, nella mia esperienza di amicizia e di affetto, è un uomo e un profeta di Dio, nato e cresciuto «strabico» per natura e per vocazione. Sì, era strabico come Mosè nell’esperienza del Sinai. Ebbe sempre una doppia stella polare: un occhio volto sempre al popolo e uno a Dio, mai separati. Strabico, ma non scisso. Per lui Dio e il suo popolo di poveri, di beati, di umili, di emarginati, «gli ultimi» sono la stessa cosa e se, per caso, non lo erano, in lui si fondevano e si identificavano.

Don Andrea Gallo, ha costruito ponti, nella chiarezza dei fondamenti della Costituzione italiana che, nell’era del vergognoso berlusconismo, ha difeso con ardore e passione da Partigiano, e nella linearità ideale del Vangelo che ha vissuto «sine glossa» perché il Vangelo è vita donata e ricevuta senza avere in cambio nulla. Non ha una vita sua e tanto meno privata: uomo di tutti, uomo sempre accogliente e disponibile. Per questo don Gallo è un prete a 360° senza pizzi e merletti, ma vestito dell’umanità malata e carica di voglia di esserci. Quando incontra una persona, la guarda con quegli occhi profondi e gli trasmette il messaggio che lei e solo lei è importante e vale la pena «perdere tempo» per lei.

Ora don Andrea Gallo è morto. Ora don Gallo vive perché, se da un lato ci lascia più soli, dall’altro lascia a noi un impegno e un compito: essere coerenti come ci ha insegnato in vita e in morte. Per me, che lui chiamava affabilmente «il mio teologo preferito», inizia un cammino di solitudine ecclesiale ancora più intensa perché quando c’era lui, bastava un incontro, una telefonata per rincuorarci a vicenda e confidarci cose da preti. Ora resto solo, ma con la certezza che averlo conosciuto, amato, difeso, condiviso è uno dei regali più grandi che Dio mi ha fatto e di cui sono grato. Non piango la morte di don Gallo, piango per la gioia di essere stato considerato degno di averlo avuto come amico e padre.

Ciao, Partigiano, aiutami a essere sempre più vero e sempre più coerente come mi hai insegnato con il tuo esempio e la tua dedizione di prete da marciapiede. Ti vedo in cielo attorniato dai poveri e dalle prostitute, sì quelle che ci precedono nel Regno di Dio.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... ve/602882/
camillobenso
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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Quel prete ribelle mai giudice e sempre fratello
(Loris Mazzetti).
23/05/2013 di triskel182


ImmagineFUORI DALLE RIGHE SIN DAL PRIMO INCARICO AL RIFORMATORIO, EDUCAVA I RAGAZZI ALLA LIBERTÀ E ALL’AUTONOMIA. ANIMATORE DELLA PARROCCHIA DEL CARMINE, FU TRASFERITO PIÙ VOLTE, FINO ALLA FONDAZIONE DELLA SUA COMUNITÀ.

Don Andrea Gallo, per tutti noi il Don, è il compagno che vorremmo avere al nostro fianco in ogni momento della vita. Ci ha insegnato che il vizio capitale peggiore è l’ottavo: l’indifferenza. È stato un grande rivoluzionario. Quando glielo rammentavo, la risposta era sempre la stessa: “Io ho seguito solo le impronte lasciate dagli altri”. Sì, è stato un grande rivoluzionario, non solo per il bene che ha fatto, ma per la forza della sua parola, per l’esempio dato dal suo modo di vivere, in una società che distrugge i valori, dove morale ed etica sono diventati optional. Quante volte Don Gallo si è domandato: “Dov’è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov’è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose”.

Lui ha semplicemente messo in pratica gli insegnamenti del cristianesimo partendo dalla virtù che dovrebbe essere alla base della vita di un prete: la povertà, e che invece la Chiesa, quella conservatrice, quella dei tabù, gli ha sempre contestato, a volte trattandolo da eretico. Con la Chiesa il rapporto è stato difficile sin dall’inizio. “Chi vuol farsi obbedire deve prima riuscire a farsi amare”, sono le parole di Don Bosco che Andrea aveva fatto sue. Ordinato sacerdote il 1° luglio 1959, poco prima del suo trentunesimo compleanno. Il primo incarico, l’anno dopo, come cappellano alla nave scuola della Garaventa, noto riformatorio per minori. Il metodo che usava con i ragazzi (non aveva alla base l’espiazione della pena), non era gradito. Con lui fiducia e libertà prendono il posto della repressione. Lavora sulla responsabilità, consentendo ai ragazzi di uscire per andare al cinema e vivere momenti di auto gestione. Dopo tre anni fu rimosso dall’incarico senza nessuna spiegazione. Nel 1964 il Don decise di lasciare la congregazione salesiana per entrare nella diocesi genovese. “Mi impedivano di vivere pienamente la vocazione sacerdotale”, racconterà successivamente.

ALLA CHIESA HA SEMPRE CONTESTATO: la piramide gerarchica; la ricchezza; la mancanza del no totale alla guerra; la condanna nei confronti della laicità. Per Don Gallo la laicità ha rappresentato la difesa dei diritti dell’uomo. Nel 1965 la diocesi lo mandò come viceparroco alla chiesa del Carmine in un quartiere popolare di Genova. “Di portuali e operai, con abitazioni inagibili, un mercato rionale quasi indecente. Giravo nei vicoli, sostavo tra i banchi, passavo in edicola, discutevo con il salumiere che era convinto che mi piacesse il prosciutto ma comprassi la mortadella perché ero tirchio e volevo spendere meno”. Erano gli anni della fine del concilio Vaticano II. Gli anni in cui con papa Giovanni XXIII la Chiesa decise di leggere i segni dei tempi. La guerra del Vietnam. Facciamo l’amore e non la guerra, era lo slogan del movimento pacifista americano. Da noi, dopo la rivolta francese, nacque la contestazione, il movimento studentesco con la riforma della scuola, i giovani entrarono sempre più nel sociale. Alla messa di mezzogiorno Andrea trattava i temi di attualità, era nettamente schierato al fianco degli ultimi, cominciò a tenere due leggii: da una parte il Vangelo, dall’altra il giornale.

Nel 1970 la Chiesa, dopo averlo fatto spiare dal parroco che registrava di nascosto le sue prediche, decise di trasferirlo. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso e che aveva fatto scatenare l’indignazione dei benpensanti fu la predica all’indomani della scoperta di una fumeria di hashish nel quartiere. Il Don, invece di inveire contro chi rollava qualche spinello, ricordò che vi erano altre droghe ben più diffuse e pericolose, per esempio quella del linguaggio, che poteva tramutare il bombardamento di popolazione inerme in un’azione a difesa della libertà. Fu accusato di fare politica e di essere comunista. Don Gallo aveva trasformato la parrocchia del Carmine in un luogo di aggregazione, di confronto per giovani e adulti. “Mi hanno rubato il prete” è quello che disse un bambino a chi gli chiedeva perché stesse piangendo, seduto sulle scale della chiesa del Carmine il 2 luglio 1970 durante la manifestazione di solidarietà contro il trasferimento di Don Gallo voluto dall’arcivescovo di Genova, cardinale Siri. Quel giorno erano migliaia le persone che manifestarono a suo favore. Quel giorno segnò la sua identità, rappresentò il momento in cui Don Gallo prese coscienza di essere in relazione con gli altri, di essere prete e laico contemporaneamente.

Don Gallo rimarrà per sempre un simbolo della dignità e dell’uguaglianza tra gli uomini. Quel biglietto da visita che Gesù gli aveva consegnato non se l’è mai messo in tasca, lo ha stretto forte, forte per sempre nelle mani, il sale, il lievito, il chicco di grano sono stati sempre presenti in ogni sua azione. Nella sua vita c’è un altro momento fondamentale. L’8 settembre 1943 Andrea aveva quindici anni, suo fratello Dino, ufficiale del genio pontieri, era considerato disperso, invece era entrato nella Resistenza. A novembre tornò a casa per qualche giorno. Fu Dino a parlare ad Andrea per la prima volta di Resistenza, di lotta di Liberazione, di valori e libertà. “Aprii gli occhi sul nazifascismo. Per me fu facile scegliere da che parte stare. Su quei valori cominciò il mio percorso di vita”. Andrea decise di disertare e di seguire il fratello entrando nella Resistenza come staffetta con il nome di battaglia Nan, diminutivo di Nasan che in genovese significa nasone che era il soprannome che gli avevano dato a scuola, a causa del naso prominente. “Sono un miracolato, prima che da Dio, dal fascismo”.

PER DON GALLO “L’INCONTRO” con Don Bosco arrivò a vent’anni. Un giorno mentre giocava a pallone conobbe il salesiano Piero Doveri, è lui che gli cambiò la vita. “La gioia di vivere con gli altri e per gli altri di questo prete mi ha completamente fulminato. E se diventassi anch’io un prete di Don Bosco? Diventando educatore posso stare al contatto con i ragazzi, cercando di aprire la loro anima, di aprire le loro potenzialità nella libertà, nella giustizia, nella democrazia nel benecomune, nella pace”. Così Don Gallo trovò la vocazione: “Don Bosco mi ha dato Gesù”. Un giorno gli chiesi il significato di queste parole e lui mi disse: “Io non son portato all’illuminazione o altro. L’incontro è come uno scambio di biglietti da visita. Gesù mi ha dato il suo biglietto: son venuto per servire e non per essere servito”. Dopo la cacciata dalla chiesa del Carmine, il Don capì che la diocesi non lo avrebbe mandato da nessuna parte. Grazie a un amico incontrò don Federico Re-bora, il parroco di San Benedetto. “Quando gli parlai la prima volta, mi rispose semplicemente: venite. Io e i miei ragazzi siamo accampati lì da quarantatré anni. Qualche anno dopo è nata la comunità di base San Benedetto al Porto”.

Don Gallo ha sempre ricordato che è ad essa che deve la sua maturazione come uomo, come cristiano, come prete. “Io so che devo rispondere alla mia coscienza di fede, ma è stando in comunità che ho capito che devo rispondere anche alla mia coscienza civica”. Ho scritto qualche anno fa dopo un nostro dibattito: “Peccato che il Don sia un prete, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro leader”. Ci hanno rubato il prete che parlava dell’amore, ci hanno rubato il prete che era monsignore.

Da Il Fatto Quotidiano del 23/05/2013.
erding
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

Messaggio da erding »

E' stato molto interessante e coinvolgente seguire ieri la diretta del funerale di don Gallo, dalla chiesa del Carmine di Genova.

Da quella chiesa da cui don Andrea, 43 anni fa, era stato allontanato “a forza”dall'arcivescovo Siri.

Ci torna salutato da immensa folla riuscendo ancora una volta, come ha sempre fatto, a unire le realtà più diverse, le sensibilità apparentemente più lontane di una umanità che rivendica fratellanza e appartenenza ad una Chiesa aperta a tutto il popolo di Dio.

Significativo è stato ieri vedere e sentire che, il contestato Bagnasco ha avuto bisogno di “donna Lilli” per poter continuare la sua omelia.

La segretaria Lilli, la persona più vicina a don Andrea, che placa la contestazione al gerarca Bagnasco, ha ribadito il valore, tanto caro a don Gallo, del diritto alla parola per tutti e all'attenzione dovuta a tutti. Grande lezione!
camillobenso
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

Messaggio da camillobenso »

Don Gallo e padre Puglisi La vera Chiesa degli ultimi

(Nando dalla Chiesa).
26/05/2013 di triskel182


Un sabato, due città di mare, due preti. Uno partigiano, l’altro antimafioso. Uno amatissimo dai giovani, l’altro dai bambini. Il secondo beatificato dalla chiesa, il primo beatificato sul campo dal suo popolo, in gran parte laico. Ci sono coincidenze che fanno sentire addosso il respiro profondo della storia. Era lei, la storia, a spingere la folla immensa che ha salutato e accompagnato don Gallo, dalla comunità di San Benedetto alla parrocchia del Carmine.

La storia di un prete quarantenne che cerca la chiesa del suo tempo negli anni della contestazione, e poi la lotta impari contro la droga, e le violenze del G8, e l’accoglienza ai migranti, e la storia senza data degli ultimi che chiedono una porta socchiusa da sospingere. Mai viste a un funerale tante creature così segnate, anche fisicamente, dalle loro sofferenze. Incapaci di trattenere il pianto della nostalgia e della gratitudine. Quasi sfilasse un mondo di fragili a salutare la propria scialuppa terrena. Uno per tutti: ormai ingrigito, i tratti segnati, veglia la bara quasi assopito su una sedia, pare un estraneo, ma d’improvviso apre occhi e bocca quando viene recitato l’eterno riposo per don Andrea. Si riassopisce e di nuovo scatta infuriato quando i telefonini iniziano a violare, per amore, la solennità del momento: “E smettetela con queste caXXo di foto”.

C’ERA LA STORIA del fratello comandante partigiano in quel “bella ciao” intonato in chiesa sottovoce e poi cantato senza timore prima di andare per strada verso l’ultima funzione. Che ha fatto scattare in piedi il ragazzo rasta con cane al guinzaglio e alla fine ha contagiato tutti i preti sull’altare, nessuno ha resistito a battere le mani a tempo, come si sentisse l’eco lontana della Genova che costrinse alla resa, unica città d’Italia, le truppe d’occupazione nazista. Mentre era più vicina l’eco di quell’ “Hasta siempre comandante Gallo, proseguiamo in direzione ostinata e contraria” portato da un gruppo di ventenni, pronti a inchinarsi all’autorità morale di chi ne ascoltava le rabbie e le inquietudini, anche quando venivano espresse oltrepassando i confini della legge.

E una storia grande, un’altra storia di liberazione partigiana, un’altra storia di Resistenza, ha portato nella stessa mattinata centomila persone a rendere onore a un altro prete nell’altra città di mare, la Palermo insanguinata dalla mafia. Si chiamava Pino Puglisi, e faceva il parroco schierando le parole del vangelo contro la cultura e la legge dei Graviano, luogotenenti dei corleonesi nel quartiere di Brancaccio. Anche lui eretico di fronte a una chiesa che per troppo tempo aveva negato (e abbracciato) la mafia, e che solo da dieci anni aveva fatto una scelta di campo, prima con la celebre omelia del cardinale Pappalardo, poi con il discorso della valle dei Templi di papa Wojtyla. Meno eretico dunque di don Gallo davanti alla gerarchia ecclesiastica, ma ancora più eretico, per necessità, davanti al sistema di potere, quello della violenza assassina dei clan. E che con la sua eresia aveva sfatato i luoghi comuni delle autorità – i preti facciano i preti, la lotta alla mafia è un affare delle forze dell’ordine e dei magistrati- ma anche quelli della sinistra “anticapitalista” – sai che paura gli fanno ai mafiosi le prediche nelle scuole. Aveva dimostrato che proprio chi fa le prediche per antonomasia, il parroco, il prete, può fare invece paura alla mafia fino alla condanna a morte. Centomila persone per don Pino. Solo due giorni dopo le decine di migliaia di giovani scesi in strada per l’anniversario di Giovanni Falcone, sono un’immensità, un vero fiume di storia.



Un sabato, due preti. Anche se ce n’è stato un terzo, don Luigi Ciotti, che ha tenuto tutto insieme. Evitando che l’amore per “il Gallo” e la coscienza diffusa delle umiliazioni a cui fu costretto si riversassero come schiuma bollente contro la gerarchia e la dottrina cattolica, rappresentate sull’altare dal cardinale Bagnasco.

E PARLANDO di mafia e droga. La droga con le sue turpitudini combattuta da don Gallo. La mafia con le sue turpitudini combattuta da padre Puglisi. Don Ciotti che nel luglio del 2010 celebrò proprio con don Gallo nel quartiere della Maddalena una “messa dei diritti” in cui vollero comunicarsi, come in un miracolo di fede, centinaia di fedeli. Don Ciotti sbarcato a Palermo giovedì mattina con la nave della legalità partita la sera prima da Napoli, carica di studenti in festa. Andato a Corleone e poi a concelebrare la messa per Giovanni Falcone, dopo il raduno intorno all’albero più simbolico che abbia oggi l’Italia civile, tabernacolo di questa religione laica cresciuta intorno agli eroi dell’antimafia, che ci ostiniamo a dire che fecero solo il loro dovere e che invece fecero molto di più.

Già, Falcone. Difficile non tornare con il pensiero all’aula bunker, dove giovedì mattina i ragazzini hanno commosso cantando insieme “Pensa”, diventato con “I cento passi” l’inno dell’antimafia delle nuovissime generazioni. E dove il 10 febbraio del 1986 iniziò un maxi-processo che avrebbe sovvertito il principio ultrasecolare dell’impunità mafiosa. Istruito da due giudici – ricordiamolo sempre, quando li celebriamo – costretti ad andare a scrivere la loro ordinanza di rinvio a giudizio nell’isola dell’Asinara e a cui lo Stato presentò poi il conto della trasferta, imparassero così a fare i turisti a sbafo. Porta lontano, la storia. Metti insieme un funerale, una beatificazione, un anniversario, e scopri quanto è ricca e popolata. E quanto è profonda, più del mare.

Da Il Fatto Quotidiano del 26/05/2013.
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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Perché la Chiesa-istituzione è lontana dalle persone

(Marco Politi).
26/05/2013 di triskel182


I fischi sono come la febbre. E la febbre sale quando il corpo è in preda ad un malessere. Le grida di Genova rimandano ad un fossato sotterraneo che da tempo si è creato tra una gran massa di credenti e la Chiesa-istituzione.

Non basta un’omelia per sanare le ferite inferte anno dopo anno al prete Andrea. Lui se le lasciava allegramente dietro le spalle, ma tanti che venivano a scaldarsi alla sua umanità di pastore, sono rimasti feriti per l’ostilità che ha circondato per decenni la sua opera.

LA CHIESA istituzionale ha sempre avversato il prete genovese e i preti (o le suore) come lui. Gli è stata ostile esplicitamente come il cardinale Siri – nome stridente sulla sua bara – o almeno lo ha sopportato a fatica, con gelido distacco, con minuscoli riconoscimenti archiviati rapidamente. La Chiesa istituzionale non ha mai voluto saperne di “tipi” come lui.

Ha detto il cardinale Bagnasco, poco prima di essere contestato, che don Gallo ha camminato tra due poli: l’amore a Genova e l’amore “a Gesù, al Vangelo e alla Chiesa”. Si fossero mai lette sull’Avvenire parole così essenziali.

E invece al mondo cattolico italiano è stato propinato che Gallo era un “prete vanitoso”, ripetitore di idee “squinternate e faziose”.

Il giorno della sua morte il giornale dei vescovi, senza un briciolo di partecipazione, lo ha definito farisaicamente un prete che “amava definirsi (cioè lui, autolodandosi, secondo l’Avvenire) a fianco degli ultimi”.

Per poi precipitarsi, sempre l’Avvenire, a sottolineare le sue prese di posizione “in aperto contrasto” con la Chiesa, le “perplessità” suscitate e quanto fosse stato un “sacerdote controverso”, autore di “un’ultima provocazione”: aver cantato in chiesa “Bella Ciao”.

Per Andreotti, invece, un titolo entrato nella leggenda delle adorazioni di regime.

“Andreotti, ora è solo luce”. Prima pagina dell’Avvenire. Direttamente dal Paradiso.

Con sfilza di interventi di personalità mai sfiorate dal minimo dubbio sull’eventualità che il divo Giulio possa anche essere corresponsabile di momenti oscuri della storia della Repubblica.

Contro questa Chiesa troppe volte strabica, fredda, con la testa rivolta dall’altra parte, a Genova hanno urlato “vergogna”.

La stessa Chiesa che ieri ha beatificato come martire di mafia padre Puglisi, ma che con il cardinale Ruffini proclamava nel dopoguerra che la “mafia non esiste”.

La stessa che fece mettere in sordina a Giovanni Paolo II, durante la sua prima visita a Palermo nel 1982, il tema della trinità di malaffare, malapolitica, criminalità organizzata. (E ci vorranno undici anni perché nel 1993 Wojtyla lanciasse il suo grande anatema contro i mafiosi ad Agrigento).

C’È UNA CHIESA istituzione, che non vuole capire nemmeno cosa è in gioco adesso al referendum di Bologna.

Non si tratta di negare un finanziamento, se e quando sia utile sostenere un istituto privato (confessionale o meno).

Non si tratta di avversione di principio agli istituti religiosi.

È semplicemente un riflesso di difesa per uno Stato allo stremo e un moto di rivolta contro la pretesa dell’istituzione ecclesiastica di mungere soldi allo Stato in ogni occasione.

E l’otto per mille. E il conteggio truffaldino per accaparrarsi le somme anche di chi non “vota” per l’otto per mille. E i soldi agli oratori (quando già c’è otto per mille). E i soldi per l’edilizia ecclesiastica (quando già c’è l’otto per mille). E i soldi alle private (quando il miliardo di euro dell’otto per mille potrebbe coprire le loro necessità). E le sovvenzioni con la legge mille-mance .

Papa Francesco è diventato di colpo così popolare perché lascia intravvedere una Chiesa, che diventa più povera sul serio e non è arcigna con chi canta fuori dal coro.

Ma finché il mutamento di pelle non sarà avvenuto, le contestazioni segnaleranno la malattia non guarita.

Da Il Fatto Quotidiano del 26/05/2013.
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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L’ULTIMO CORTEO DI DON GALLO

(Ferruccio Sansa).
26/05/2013 di triskel182


GENOVA, I FUNERALI DEL PRETE DI STRADA: CONTESTAZIONE AL CARDINALE, “BELLA CIAO”, APPLAUSI E LACRIME. SCIARPA ROSSA E CAPPELLO SULLA BARA.

Il cardinale Angelo Bagnasco contestato in chiesa. Durante l’omelia per il funerale del sacerdote più amato. Nella sua città, davanti a diecimila persone.

Ci sarebbe voluto lui ieri alla chiesa del Carmine.

Don Andrea che non faceva sconti, ma perdonava tutti. Che rispettava le gerarchie e sapeva che quelle vere non hanno bisogno di gradi.

Don Gallo che faceva parlare idee e vite opposte.

Ma don Andrea non può più parlare, altri hanno preso la parola e l’atmosfera di dolore si è riempita di rabbia, di urla. Minuti di tensione invece che di commozione.

La miccia sono alcune frasi di Bagnasco. Aveva voluto essere lui a celebrare il funerale, era venuto al Carmine, prima parrocchia di don Gallo. Segnali che erano stati interpretati come di amicizia verso questo prete scomodo, innamorato della sua chiesa e proprio per questo pronto a riprenderla. Un discorso delicato.

TRA LA FOLLA si è fatto silenzio quando Bagnasco ha cominciato a parlare, con un tono che non lasciava trapelare emozioni: “Fratelli e sorelle, autorità…”.

Ma i passaggi più difficili sono arrivati dopo: “Nel 1964 bussò alla porta del cardinale di Genova, Giuseppe Siri, per chiedere di essere accolto come sacerdote”, ha detto Bagnasco. E subito nella chiesa, tra le migliaia di persone assiepate fuori, si è alzato un mormorio.

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“Ma perché ricordi proprio il cardinale Siri che aveva allontanato il Gallo da questa parrocchia?”, chiede ad alta voce una donna. Bagnasco continua a leggere, senza incertezze: “Don Andrea lo considerava un padre e un benefattore”. Le parole si diffondono nell’aria come una scintilla in una sala piena di gas. Nelle prime file un colpo di tosse, poi un altro. E la chiesa, la piazza sembrano esplodere. Urla, “vergogna”, “falsità”, cori di “Bella Ciao”. Bagnasco, impassibile, prosegue, ma alla fine deve interrompersi.

“Cardinale, tu non sei venuto come gesto di umiltà, ma per ribadire la tua supremazia” , urla Anna fuori dalla chiesa. “È una provocazione”, la gente applaude. Bagnasco deve tacere.
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CI VUOLE Lilli, l’angelo custode della Comunità, che ha condiviso ogni giorno con don Gallo. Dal microfono, con voce rotta, chiede, implora: “Ragazzi! Voi in questo modo non rispettate Andrea. Lui credeva nell’essere prete, sapeva che la Chiesa senza testa non funziona. Aveva un grosso rispetto per il proprio vescovo . Se volete bene al Gallo dovete ascoltare ogni voce”. E pensare che don Andrea, morendo, era riuscito in un miracolo (anche se magari non gli varrà la beatificazione). Aveva unito una città in difficoltà intorno a parole grandi, quelle beatitudini lette al funerale, ma prima vissute: “Beati i poveri,beati voi che avete fame di giustizia”. Aveva richiamato gente di ogni estrazione in quella minuscola chiesa affacciata sul porto: San Benedetto. Già, il vero ricordo di don Andrea è stata la veglia di venerdì sera: i ragazzi di don Gallo, gli abitanti dei quartieri ricchi e delle periferie diversi nei vestiti, ma per un momento uguali. Poi prostitute, disperati, calciatori, il sindaco Marco Doria confuso nella folla in fondo alla chiesa mentre si cantava “Creuza de ma” davanti all’altare. Tutta Genova. È stato così anche ieri mattina, mentre la bara veniva accompagnata al suono dei tamburi da migliaia di persone verso il funerale: crocifissi insieme con bandiere rosse e no tav, chiesa e politica, le due fedi di don Gallo. In tutto il centro di Genova ieri c’era un movimento diverso dal solito: persone, gruppi, intere classi di ragazzi che come tanti rivi affluivano alla chiesa del Carmine.

IL SALUTO a don Andrea è nelle loro parole. In quelle di Enrico, pensionato Italsider, che guarda la bara e come parlando a se stesso sussurra: “Deve aver sofferto, povero Andrea. Ma pochi uomini possono dire di essere stati così amati”. Erano in tanti a pensarlo ieri, con invidia quasi, con la sua variante affettuosa, l’ammirazione. Pochi hanno la sorte – ma un destino costruito con le proprie mani, giorno dopo giorno – di essere salutati così. Con un dolore che non misuri soltanto dalla quantità di persone, ma dall’intensità di ogni singolo sguardo. Poi la messa, le contestazioni. Quelle preghiere dei fedeli pronunciate davanti a Bagnasco, il presidente della Cei: “La santità di don Gallo sarà riconosciuta da una Chiesa che saprà rinnovarsi, staccandosi la testa e mettendosene una nuova”. Infine tornano la calma. E il dolore: “Andrea era per la Chiesa che non dimentica la dottrina, ma che non permette diventi più importante dell’attenzione agli ultimi”, dice don Luigi Ciotti. Ecco, le due anime di don Gallo, che lui sapeva far convivere, pur senza compromessi. Non un eretico, come qualcuno vorrebbe dipingerlo, ma l’opposto: un cristiano allo stato puro. Un minuto di applausi accoglie le parole del sacerdote che potrebbe, secondo alcuni, prendere in mano le sorti della Comunità di don Gallo. Poi Moni Ovadia e il sindaco Doria: “Don Gallo riusciva a essere prete, uomo e cittadino” e tra queste tre dimensioni c’era “grande coerenza”. Doria che ricorda: la giustizia dipende da chi ci governa, ma anche da ognuno di noi. “Peccato che sia andata così”, sospira una delle persone più vicine a don Andrea. Si tiene la testa tra le mani: “Ora tutti ricorderanno le polemiche”. Ma no, no, quelle passano presto. Le parole di don Gallo devono restare: lui che amava gli ultimi, ma anche i primi. E questo forse gli era costato tanta più fatica. Ricordare le parole di don Andrea, quando non ci sarà più la sua voce a pronunciarle: questa sarà la sfida di Genova, città rimasta senza uno dei suoi padri.

Da Il Fatto Quotidiano del 26/05/2013.
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Re: Don Andrea Gallo, 1928-2013

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il Fatto 26.5.13

Bagnasco “salvato” da Lilli dà la comunione a Luxuria
La trans: “Guardandolo negli occhi ho capito che potevo”

di Elena Rosselli


Lo sguardo gelido fisso sul microfono. Gli occhi del cardinale Bagnasco sembrano chiusi e invece sono solo abbassati. La bocca è stretta in una smorfia. Non si scompone. Anche se migliaia di persone, accalcate fuori dalla chiesa di Nostra Signora del Carmine a Genova per l’ultimo saluto a don Gallo, lo stanno fischiando. I ripetitori hanno appena portato all’esterno una frase che colpisce i presenti dritta nello stomaco come un cazzotto. “Nel 1964 don Andrea bussò alla porta dell’arcivescovo di Genova, il cardinale Giuseppe Siri – che ha sempre considerato un padre e un benefattore – per chiedere di essere accolto come sacerdote diocesano. E così avvenne”. “Vergogna, bugiardo, vattene”. Quello che all’inizio dell’omelia è ancor meno del tipico mugugno genovese, dopo il riferimento a Siri diventa un vero coro di sdegno.
IL PUNTO della contesa risale al 1970 quando l’allora arcivescovo Siri, molto conservatore, allontana don Gallo dal Carmine. Le sue prediche hanno contenuti “non religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti”, il suo modo di fare è troppo sopra le righe. “La predicazione di Andrea irritava una parte di fedeli e preoccupava i teologi della Curia, a cominciare dallo stesso cardinale” si legge sulla biografia ufficiale di don Gallo, sul sito della comunità di San Benedetto, il luogo che accoglierà Andrea dopo la “cacciata” e dove lui rimarrà fino alla fine, per 43 anni.
Bagnasco potrebbe evitare quel passaggio, sorvolare sul rapporto tra il “Gallo” e Siri. E invece no. Non solo lo rievoca, ma ne dà una lettura precisa, in verità già accennata il giorno prima: “Ho letto – racconta il presidente della Cei – che il cardinale avrebbe emarginato don Gallo, lo avrebbe punito, che sarebbe stato sulla strada perché abbandonato: è tutto falso. Don Gallo era viceparroco alla chiesa del Carmine e poi è stato spostato alla parrocchia di San Benedetto al Porto, dove era parroco don Federico, e con lui ha impiantato e fatto crescere la comunità di accoglienza”. Insomma, nessuno scontro di idee, ma semplice avvicendamento. Bagnasco ci crede e lo ripete davanti al popolo del Gallo. Che si rivolta e fischia.
Interviene “la Lilli”. Liliana Zaccarelli, 73 anni, storica assistente del prete genovese, chiede rispetto “per il vescovo”. Sale a fatica i due gradini che la separano dall’altare, la voce rotta, le stampelle a sorreggere il passo incerto. “Se vogliamo bene al Gallo, impariamo a rispettare tutte le voci, come lui avrebbe ascoltato noi”. Dentro alla chiesa gli applausi, fuori, ancora la ribellione. I ragazzi della comunità e i lavoratori del porto continuano a cantare “Bella ciao”, a scandire cori – “Andrea uno di noi” – qualche fischio osa coprire la voce della Lilli, un’autorità alla pari del Don. Sembra che nemmeno le sue parole siano sufficienti a stemperare la rabbia di chi è venuto a salutare Andrea.
IL CARDINALE Bagnasco sorride, o come fa notare chi gli è vicino, ha uno sguardo “sereno e appagato”. Dalla sommità della chiesa non può sentire le voci della piazza. “Se ne andrà dal retro, come è venuto”, dice una signora con i capelli scuri aggrappata alle transenne fuori dal sagrato. “Già, non avrà il coraggio di mostrare la sua faccia qui fuori”, commenta la donna a fianco. E in effetti nessuno vedrà uscire il cardinale Bagnasco, scortato alla macchina dall’ingresso posteriore. Al suo posto, a fianco alla bara un altro prete degli ultimi, don Luigi Ciotti. Non fa in tempo ad accompagnare il feretro all’auto che il fondatore di Libera già si è mescolato con la folla lasciando il microfono al ricordo degli amici: il sindaco Marco Doria, ultimo miracolo politico del Gallo, Moni Ovadia, eletto “consigliere spirituale” del Don benché ebreo. E i suoi “drogati”, come li chiamava lui.
C’è Vladimir Luxuria: “Grazie don Gallo di averci fatto sentire tutte noi creature transgender figlie di Dio, volute da Dio e amate da Dio”. Il mascara sciolto dalle lacrime. I lineamenti induriti dal dolore. Ma negli occhi un fondo di gioia. “Non facevo la comunione da quando avevo 17 anni, ma ho guardato Bagnasco negli occhi e ho sentito che era d’accordo anche lui”. Un piccolo miracolo. Ripetuto con l’altra trans Regina pochi attimi dopo. Nel nome di don Gallo.
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