Come se ne viene fuori ?

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Amadeus

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da Amadeus »

camillobenso ha scritto:
Amadeus ha scritto:
Zombie 1
Zombie 2
Zombie 3
Zombie 4
Zombie 5
:mrgreen:
guarda che i film sui vampiri sono in grande auge.
8-)
robert pattinson e kristen stewart sono richiestissimi e lei, quella patata lessa, è l'attrice più pagata a hollywood ,
ergo, anche il pd ce la può fare.
8-)


Quindi il Pd si trasferisce a Hollywood
o viceversa.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Quindi il Pd si trasferisce a Hollywood

o viceversa


*****

Hollywood al Nazareno?
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi




Come inizia una guerra civile – 257
La cruna dell’ago – 222
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 222
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 202
Cronaca di un affondamento annunciato - 202
In mezzo alla tempesta - 140


The house of the dead living - 3


I lettiani: Renzi vuol far cadere il premier
Il sindaco: vedo troppa democristianeria. Bindi, 44 firme contro la maggioranza



ROMA - Matteo Renzi è amico di Enrico Letta, un «amico vero» e non di quelli che si dicono tali e poi «zac, ti accoltellano». Ma il duello tra il sindaco e il premier è nelle cose e il futuro sfidante si porta avanti col lavoro. Bacchetta il presidente del Consiglio per qualche «eccesso di democristianeria», dice che il «film» delle larghe intese non gli piace e sprona Palazzo Chigi ad accelerare sulle riforme: «Dai ragazzi, lavorate... Non ne posso più dei piagnoni, diamoci una smossa! Letta è una persona seria, ma usciamo dalla sabbia mobile che sta bloccando tutto... I politici devono smetterla di giocare al Conte zio dei Promessi Sposi, con la logica del sopire e troncare».


Una botta che ha fatto scattare l'allarme a Palazzo Chigi, anche se Renzi promette che resterà al fianco di Letta «perché prima delle ambizioni personali c'è l'Italia». Staccherà la spina al premier? «Se il governo va bene io sono contento. Posso pure saltare un giro, l'importante è che non salti il Paese». La tregua nel Pd è durata un giorno. Guglielmo Epifani ha quasi pronto l'organigramma della sua segreteria e, in asse con Pier Luigi Bersani, ha deciso di non mettere la macchina organizzativa del Pd nelle mani di Renzi, che l'aveva chiesta per Luca Lotti. Ma il fronte rovente è la legge elettorale. La mozione di Roberto Giachetti sul Mattarellum è stata interpretata come una «mina» scagliata contro Palazzo Chigi. «Renzi vuole far cadere il governo», è la lettura dei lettiani e di tutti coloro che, nel Pd, tifano per le larghe intese. Il premier teme che mettendo il carro della legge elettorale davanti ai buoi il governo possa deragliare, ma Renzi derubrica il caso a «tecnicalità parlamentare». Intanto però terremota il Pd, dicendo che il governo, a cominciare dall'Imu, «ha messo a segno le richieste del centrodestra». Rinfaccia a Bersani l'«arroganza» con cui voleva «smacchiare il giaguaro» e tiene il fiato sul collo del premier. «L'unica preoccupazione - è l'affondo del sindaco intervistato da Lilli Gruber, su La7 - è che governo e maggioranza rinviino troppo, con il rischio di fare melina. Non vorrei che il governo delle larghe intese diventasse delle lunghe attese».


Giachetti nega di aver agito per conto di Renzi, che ieri a Roma ha visto i suoi a cena. Ma gli oppositori del sindaco leggono la conta con cui si è chiusa la tesa riunione del gruppo della Camera come la prova che la mina Mattarellum sia stata preparata col preciso intento di indebolire progressivamente il governo, proprio nel giorno in cui Letta sperava di incardinare solennemente la riforma costituzionale. Se così non fosse, è l'interpretazione dei filogovernativi, perché mai i renziani avrebbero votato compatti, o quasi, contro la decisione di respingere la mozione Giachetti? I voti in disaccordo con la linea del gruppo sono stati 34 e tra questi i parlamentari vicini a Renzi sono la grande maggioranza. Dal Pdl Fabrizio Cicchitto dice il sindaco «vuole liquidare in fretta l'esecutivo» e anche nel Pd sono in molti a pensarla così. Letta si fida di Renzi e ha messo in conto gli strappi, ma il premier (che ieri lo ha chiamato) non si aspettava un colpo così a due giorni dal voto nelle città.


Ma i razzi sul governo non partono soltanto dai democratici di fede renziana. Rosy Bindi ha raccolto 44 firme in calce a un documento di critica alla mozione di maggioranza: bindiani, dalemiani e prodiani, oltre a Pippo Civati, Laura Puppato e Walter Tocci. Un'altra fronda di allergici alle «divergenze parallele», come le chiama Gero Grassi, che pure ha votato secondo le indicazioni del capogruppo Roberto Speranza. La tensione è alta, dietro la tattica parlamentare si intravedono le manovre precongressuali, che presto verranno alla luce in un documento antigovernativo cui lavorano diverse anime del Pd. Renzi chiede di fissare la data delle assise. Massimo D'Alema, «con tutto il rispetto per Epifani», rilancia la candidatura di Gianni Cuperlo e si dice favorevole a «disgiungere le partite» di premiership e leadership. Quanto alla durata del governo, l'ex premier invita alla prudenza: «Berlusconi è uomo mutevole...».
Monica Guerzoni

Monica Guerzoni
30 maggio 2013 | 8:10
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http://www.corriere.it/politica/13_magg ... 5c16.shtml
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Come inizia una guerra civile – 258
La cruna dell’ago – 223
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 223
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 203
Cronaca di un affondamento annunciato - 203
In mezzo alla tempesta - 141


The house of the dead living - 4



Repubblica 30.5.13
Giachetti: Letta mi ha chiamato per chiedermi di ritirare la mozione, ma è lui che ci fa rischiare le larghe intese in eterno
Almeno una cinquantina tra prodiani e renziani hanno preferito non presentarsi piuttosto che votare contro la mia proposta
“L’hanno data vinta al Pdl, voteremo come in passato”
di C. L.

ROMA — «Intempestivo io? E certo, dopo aver atteso anni per cambiare il Porcellum, di questo passo ne attenderemo altri dieci. Addio, hanno preferito bocciare la mia mozione e darla vinta al Pdl. La riforma elettorale è rimandata alle calende greche».
E ora, Roberto Giachetti, vicepresidente democratico della Camera?
«E ora, in qualsiasi momento dovesse andare in crisi il governo, è chiaro che andremo a votare nuovamente con la legge di Calderoli. Chissà se la Consulta si pronuncerà e in che modo. A quel punto, larghe intese tutta la vita».
Il premier Letta ha provato a dissuaderla?
«Mi ha chiamato in mattinata, mi ha chiesto in modo molto amichevole di ritirare la mozione. Gli ho spiegato che non potevo farlo, che era una battaglia per la quale ho messo a repentaglio la mia salute, che mi ero limitato a mettere per iscritto 15 giorni fa quanto lui e il governo avevano sostenuto fino all’altro ieri. Cioè che il Porcellum andava cancellato. Non ha insistito, mi conosce bene».
Poi, in aula, l’ha accusata di mettere il carro davanti ai buoi per farlo deragliare.
«È il governo che si mette fuori strada da solo, su questa storia».
Il suo Pd l’ha lasciata solo.
«Falso. Settanta delle 98 firme alla mozione sono del Pd. E ne sono state ritirate solo 17. Andate a controllare gli assenti al voto: almeno una cinquantina tra prodiani e renziani hanno preferito non presentarsi piuttosto che votare contro il testo».
Confessi, ha sperato in una spaccatura del partito, sulla scia di quanto avvenuto
per l’elezione del capo dello Stato.
«Io sono tra coloro che ha votato con convinzione Prodi. Magari questo sospetto lo alimenta qualcuno che quel giorno ha fatto altre operazioni. Ho preso l’iniziativa della mozione in tempi non sospetti».
La Finocchiaro dice che il suo è stato un atto di prepotenza.
«Proprio lei che fino a pochi giorni fa aveva presentato un ddl per tornare al Mattarellum? So solo che dopo 123 giorni di sciopero della fame, l’anno scorso, quando ero sull’orlo di un’emorragia, l’unica persona che mi ha scritto è stato il presidente Napolitano. E anche in questi 15 giorni dalla presentazione della mozione, nessuno nel Pd si è preoccupato di aprire un confronto».
Si è ribellato. Teme ripercussioni interne?
«Per niente. Mi inventerò qualcosa per riprovarci. Figurarsi se mi arrendo. È il mio contributo per il bene del Pd. E dei suoi elettori, stanchi di andare al voto con questo sistema».
Accusano lei, renziano, di agire per conto del sindaco. A proposito, lo ha sentito?
«Accusa ridicola. Tra i firmatari c’è di tutto. Mi ha chiamato martedì sera, mi ha chiesto spiegazioni. Ha compreso le mie ragioni. Tutto è finito lì».
E infine in aula è diventato bandiera del M5s, che ha votato a favore.
«Sì, dopo loro molteplici giravolte sul tema. Astuzie e tatticismi che non mi interessano. Sono e resto democratico».




E Brunetta, naturalmente, approva caldamente all’obbedienza del Pd
Repubblica 30.5.13
Brunetta: “Da Giachetti era venuto un vulnus alla maggioranza. Sembrava la prova generale di un’alleanza con Sel e 5Stelle”

“Per la prima volta i Democrat rispettano i patti”
intervista di Alberto D’Argenio

ROMA — Onorevole Brunetta, oggi il governo sulla mozione Giachetti ha tremato. Da capogruppo del Pdl alla Camera
come l’ha vissuta?
«Come si era presentata era assolutamente inaccettabile e pericolosa. Vedere un vicepresidente della Camera del Pd predisporre una mozione che impegna il Parlamento in direzione opposta alla risoluzione della maggioranza è un vulnus alla maggioranza stessa, era un elemento di stress per le regole del gioco. Era la prova generale per un’altra maggioranza con Sel e M5S su una materia assolutamente dirimente e delicata».
Ma poi le cose sono andate diversamente.
«C’è stata una correttezza estrema di Franceschini e Letta che ha impegnato il governo dando parere negativo alla mozione Giachetti. E poi chapeau al Pd che ha fatto un’assemblea per discutere il punto. Assemblea dove i sostenitori di Giachetti sono andati in minoranza e dopo la quale tutti i parlamentari, tranne lo stesso Giachetti, hanno seguito la disciplina di partito votando la risoluzione del governo. La cosa ci ha confortato perché dopo quello che avevamo visto nel Pd tra Marini, Prodi e Nitto Palma è la prima volta che si rispettano regole e impegni».
Dunque le fibrillazioni sono rientrate?
«Oggi abbiamo assistito al primo vero gol vero di Letta e Alfano e siamo fieri di essere stati determinanti nel confezionare il risultato. Abbiamo sminato l’inutile dibattito tra Porcellum e Porcellinum dicendo che la safety net, la clausola di salvaguardia, va fatta ma una volta partito il processo costituente e sarà la pura e semplice messa in sicurezza della legge elettorale rispetto agli eventuali pronunciamenti della Corte Costituzionale».
Una volta avviato però il processo costituzionale va riempito di contenuti.
«Ci sarà un confronto leale con le altre forze. Il mio sogno è di arrivare a un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo sul modello francese e con un premier sempre alla francese. E poi avere una legge elettorale coerente con quel modello, ovvero il doppio turno di collegio».
Oggi è ottimista sul futuro del governo. Ma ci sono altri temi, come l’economia, che possono disturbarne la navigazione.
«Certo, ci sono le riforme ma l’altra faccia della medaglia è il pacchetto shock per l’economia. Ci vuole un pacchetto unico che tenga insieme Imu, Iva, occupazione giovanile, sburocratizzazione ed Equitalia. E sono convinto che ce la possiamo fare. L’Imu sulla prima casa costa 4 miliardi, il non aumento dell’Iva 2, il piano per l’occupazione giovanile potrebbe non costare nulla se riuscissimo a compensare le coperture con il maggior reddito prodotto. Così come la sburocratizzazione ed Equitalia non costano nulla. Se aggiungiamo che il pagamento dei debiti della Pa produrranno Pil e che con la fine della procedura per deficit lo spread potrebbe scendere ulteriormente, il decreto choc lo possiamo coprire».
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Seduti sopra una polveriera pronta ad esplodere - 5



30 mag 17:28
1. FELTRI, FERRARA E “IL FATTO” SU BISIGNANI, IL GIORNO DOPO: VELENI E OMISSIONI -

2. L’ELEFANTINO: “ALBERTO STATERA DI ‘’REPUBBLICA’’ DA ANNI MI RIMPROVERA DI AVER PRESENTATO UN ROMANZO DI BISI ALL’ELISEO, CON GIULIO ANDREOTTI (ANNI OTTANTA). ORA BISI SI RICORDA DI LUI, GIUSTIZIERE CON I FIOCCHI, PERCHÉ CHIESE E OTTENNE UN APPUNTAMENTO, DICIAMO DI LAVORO, CON UMBERTO ORTOLANI (EDITORE RIZZOLI DEL TEMPO, P2). E LUI, STRONCANDO IL LIBRO, NEANCHE LO RICORDA SU “REPUBBLICA”” -

3. “IL FATTO”: “LIBERO” E ‘’GIORNALE’’ DIMENTICANO LE RIVELAZIONI DI BISIGNANI SULLA MANCATA FUSIONE TRA I DUE HOUSEORGAN BERLUSCONIANI, SU CUI LAVORÒ LA SANTANCHÉ, OGGI COMPAGNA DI SALLUSTI MA IN PRECEDENZA INTIMA DEL FACCENDIERE” -

4. FELTRI: “L’AUTOREVOLE BURATTINAIO, SOLO PERCHÉ CONSIDERATO FUORI DALLA STANZA DEI BOTTONI, DECLASSATO A PORTINAIO DEL PALAZZO. UN’OPERAZIONE SQUALLIDA” -



1. LETTERA AL "FOGLIO"
Al direttore - Ma lei non c'è nel libro nero di Bisignani?
Vincenzo Mastrangelo



Risposta di Giuliano Ferrara
E me ne dispiace. Intanto perché non è un libro nero, è un racconto ricco di humour e uso di mondo, anche fresco e impasticciato, una specie di fiction felliniana con elementi di documentazione non troppo seriosi ma spesso accurati sulla Roma di sempre, indice di una memoria prodigiosa, di un gusto mondano del dettaglio e di un distacco che fanno onore a un molestato da media e giudici come lui (salvo una eccezione di ultradettaglio, di cui dopo dirò).

Grillo emerge per quel che è: la versione rozza e cazzona dell'eterno rapporto spionistico degli italiani molto medi con l'intelligence e la diplomazia americana, alla Di Pietro (so di che cosa parlo). Nessuno deve sentirsi offeso, nemmeno Geronzi o De Bortoli, sfruculiati con l'affetto rancoroso dell'ex: qualcuno si sentirà "pittato", come si dice a Napoli, e non è poi una tragedia nella vena socievole e affabilmente spiritosa di questo superconsulente politico di grandissima qualità e quantità, tra Italia Argentina e Vaticano.



Bisi, radici sudamericane che si vedono, è un altro che abbiamo preso con fortuna dalla fine del mondo. Due notazioni personali. Statera di Repubblica da anni mi rimprovera con petulanza sospetta di aver presentato, ciò che feci con piacere su richiesta del mio amico Jannuzzi, un romanzo di Bisi all'Eliseo, con Andreotti (anni Ottanta).

Ora Bisi si ricorda di lui, giustiziere con i fiocchi, perché chiese e ottenne un appuntamento, diciamo di lavoro, con Umberto Ortolani (editore Rizzoli del tempo, P2). E lui, stroncando il libro, neanche lo ricorda su Repubblica. Bisi poi ricorda che il Cav. negò a Cisnetto la direzione di Panorama perché aveva la pancetta. Voleva solo magri e ben rasati, dice. Al posto di Cisnetto, circostanza pudicamente omessa, fui nominato io. Pancetta? Barba?


2 - OPERE E OMISSIONI, I GIORNALONI NON LEGGONO IL LIBRO DI BISIGNANI
Fabrizio D'Esposito per Il Fatto


Molto probabilmente, Ferruccio de Bortoli continuerà a fare il direttore del Corriere della Sera. Anche dopo l'uscita dell'atteso libro di Luigi Bisignani, faccendiere dalla doppia condanna definitiva: Enimont, ai tempi di Tangentopoli, e scandalo P4, per cui sta scontando l'affidamento ai servizi sociali, non il carcere (un anno e sette mesi per associazione per delinquere, concussione e ricettazione).

Nel volume edito da Chiare-lettere, il pregiudicato Bisignani, intervistato da Paolo Madron, si sofferma lungamente sul suo rapporto con il direttore del Corsera, nato quando de Bortoli ritornò in via Solferino (aprile 2009) sull'onda di un berlusconismo soft alla Rcs garantito dalla "ditta" formata da Geronzi, Letta, Scaroni e Bisignani, che aveva chiesto e ottenuto la testa di Paolo Mieli. E così, dopo le anticipazioni di ieri, qualcuno (Dagospia, per esempio) ipotizzava che a de Bortoli, in vista della delicata assemblea Rcs di oggi, potessero essere fatali le imbarazzanti rivelazioni di questo "cuoco" del potere prima alle dipendenze del clan andreottiano, durante il regime democristiano, poi a quelle di Gianni Letta, il gran visir del Cavaliere. Invece non sarà così, giurano ai piani alti di via Solferino.

Il segnale più forte a favore di de Bortoli arriva dalla lettura della rassegna stampa sul libro. Il rimbombo mediatico non è stato granché sui quotidiani dei poteri forti. In particolare sulla Stampa di Torino, il quotidiano della Fiat diretto da Mario Calabresi, il più accreditato all'eventuale successione di de Bortoli. La Stampa, contrariamente a quello che pronosticavano i più maliziosi, non ha dato ampio risalto alle anticipazioni del libro. Anzi, uno striminzito colonnino a pagina 11  . Tutto qui. Paradossalmente, c'è più spazio per L'uomo che sussurra ai potenti sul Corsera dello stesso de Bortoli, anche se l'ampio articolo è relegato nel basso di pagina 26, con una recensione "oggettiva" che dà conto dell'amicizia tra "Ferruccio" e "Luigi".

Tra i conti regolati dal faccendiere c'è poi anche una doppia e velenosa citazione che riguarda Repubblica: Eugenio Scalfari e Alberto Statera, una delle firme di punte. Il primo avrebbe chiamato Bisignani, all'epoca portavoce di un ministro democristiano, per avere scoop da "ripagare" con bottiglie di champagne. Il secondo per essere raccomandato su un progetto editoriale. A rispondere è lo stesso Statera che liquida le rivelazioni come "piccola spazzatura" e precisa: "Posso garantire che il mio direttore Scalfari (all'Espresso, ndr) parlava direttamente col ministro".

I quotidiani della destra, Libero (editori gli Angelucci) e Giornale di Sallusti dedicano al libro l'apertura della prima pagina, ma entrambi dimenticano le rivelazioni di Bisignani sulla mancata fusione tra i due houseorgan berlusconiani, su cui lavorò Daniela Santanché, oggi compagna di Sallusti ma in precedenza intima dello stesso faccendiere. Racconta Bisignani a Madron: "Una possibile fusione tra Libero e il Giornale avrebbe dato vita a un unico importante quotidiano del centrodestra, con Ostellino e Sergio Romano strappati al Corriere. Berlusconi ne fece cenno anche ad Antonio e Giampaolo Angelucci, in qualità di proprietari della testata Libero, durante una colazione a Palazzo Grazioli alla quale ho partecipato. Progetti, business plan, ipotesi di contratti pubblicitari non si realizzarono mai perché le contingenze politiche non ammettevano la forte riduzione di personale che sarebbe risultata da quel matrimonio".

La sensazione è che la bufera promessa dalla sue rivelazioni non ci sia stata. Colpa delle amnesie del faccendiere (Scaroni citato solo una volta, Montezemolo mai, e poi tutti i buchi sulla golden age berlusconiana) e della sua sorprendente auto-celebrazione. Il Moretti di Habemus papam lo chiamerebbe "deficit di accudimento primario". Caduto in disgrazia, oggi Bisignani si fa le coccole da solo, perché nessuno più lo accarezza come una volta.



3. BISIGNANI, DA BURATTINAIO A CIALTRONE
Vittorio Feltri per Il Giornale

L'ho già scritto su questo giornale, ma ribadisco: mai conosciuto di persona Luigi Bisignani, e un po' me ne dispiace perché deve essere un tipo interessante. Gli parlai una sola volta, al telefono, quando lavoravo a Libero . Conversazione brillante, nono-stante l'argomento: gli intestini; il suo e il mio, afflitti da un disturbo, diverticolosi. Lui mi suggerì un farmaco risolutivo: Normix, miracoloso. Facendo gli scongiuri, sono guarito.

Esaurita la premessa viscerale, utile a precisare che Bisignani non è mio amico e quindi mi è consentito difenderlo, ammesso che egli abbia bisogno di un «avvocato» come me, vengo al sodo. I lettori sapranno: il signore in questione ha rilasciato una lunga intervista a Paolo Madron che ne ha ricavato un libro pubblicato da Chiarelettere. Mentre stendo il presente articolo, il volume non è ancora in vendita, lo sarà da oggi.

Tuttavia le anticipazioni divulgate dai quotidiani, incluso il nostro, hanno incendiato il Palazzo. Bisignani racconta cosucce pepate riguardanti uomini politici e di potere e costoro, indignati, si affrettano a smentire, ma con scarsa convinzione. Non pretendo di entrare nel merito di vicende di cui so poco o nulla. Rilevo soltanto una contraddizione stridente.

Nei giorni (relativamente lontani) in cui Luigi, definito impropriamente faccendiere con l'intento di sminuirlo, era sotto inchiesta della magistratura, i giornali gli dedicarono pagine e pagine, titoli e titoli, spiegando quanto questo personaggio fosse influente nel complicato mondo romano, dove la politica si intreccia con gli affari dando vita a battaglie sotterranee per la conquista di poltrone e poltroncine.

Stando alla vulgata, Bisignani era un'eminenza grigia che promuoveva e stroncava carriere più o meno luminose, tirava i fili di mille burattini che gli affidavano i loro destini, lo supplicavano di aiutarli, sovente in ginocchio, talvolta sdraiati (o sdraiate), gli chiedevano favori vari consapevoli che la sua parola era decisiva.

Un deus ex machina in grado di arrivare lassù e di dettare la linea da seguire indicando i nomi più adatti al raggiungimento dello«scopo»:il consolidamento del potere. Nessuno dubitava delle capacità del «faccendiere» di ottenere eccellenti risultati, tanto è vero che centinaia di persone ambivano alla sua protezione, affollavano la sua anticamera, brigavano per avere un appuntamento con lui.

Poi, è noto, egli è finito in disgrazia, nel senso che la magistratura gli ha messo la mordacchia e allora la sua corte (dei miracolati) si è squagliata. Vabbè, succede: la gratitudine è il sentimento della vigilia, mentre la vigliaccheria è l'inossidabile denominatore comune dell'umanità. Ma c'è un limite anche alla codardia. Nella presente circostanza è stato superato ampiamente.

Prima ancora che le sue memorie fossero giunte in libreria, un sacco di gente- compresa quella beneficata dall'abile manovratore - ha preso le distanze dal proprio benefattore. Leggere, per credere, gli articoli e i commenti che sono usciti ieri sui maggiori organi di stampa. Che dipingono Luigi quale figura di secondo piano, un intruso, una comparsa insignificante in vena di tardive vendettine.

La Repubblica , che pure si giovò delle sue confidenze, liquida la maxi intervista così: veleni e piccola spazzatura. Come se esistesse una spazzatura di alto lignaggio. Viene da sorridere. L'autorevole burattinaio che intratteneva rapporti coi vertici, condizionandone le scelte, all'improvviso, solo perché considerato fuori dalla stanza dei bottoni, è stato declassato a portinaio del Palazzo. Un'operazione squallida.

Addirittura chi ha riservato spazio alle confessioni di Bisignani, per esempio Il Giornale , è stato accusato di aver sovradimensionato la portata del libro. I nostri censori scordano che, all'epoca delle indagini sull'autore di quello che sarà un best seller, tutti i media cavalcarono la notizia e ne divulgarono i particolari senza risparmiare carta e inchiostro. Secondo i medesimi, oggi, dato che Bisignani vuota il sacco (non del tutto, penso), dovremmo sfumare, fingere che non sia accaduto nulla, non prenderlo sul serio, condannarlo in dieci righe invisibili.

L'uomo che sussurra ai potenti ( titolo del libro) va censurato: stia zitto, non abbia l'ardire di fiatare sui peccati altrui. Gli è concesso soltanto di riferire i propri. Altrimenti, all'inferno! Buffoni.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Romano Prodi




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Masaniello (1.0)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

http://it.wikipedia.org/wiki/Masaniello


Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello[1] (Napoli, 29 giugno 1620 – Napoli, 16 luglio 1647), fu il principale protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione civile della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Nella vita di questo personaggio non è sempre facile distinguere gli avvenimenti realmente accaduti da quelli elaborati dal mito.
Quella di Masaniello non fu una rivolta antispagnola e repubblicana[2], come avrebbe voluto la storiografia dell'Ottocento che, profondamente influenzata dai valori risorgimentali, vedeva in lui un patriota ribellatosi alla dominazione straniera[3]. Le cause degli eventi del luglio 1647 risiedono esclusivamente nella specificità politica, economica e sociale della Napoli spagnola nella prima metà del Seicento.
La rivolta fu scatenata dall'esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte dai governanti sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva 'o Rre 'e Spagna, mora 'o malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell'Ancien régime di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento sempre più dispotico e stravagante, Masaniello fu accusato di pazzia, tradito da una parte degli stessi rivoltosi ed assassinato.
Nonostante la breve durata, la ribellione da lui guidata indebolì il secolare dominio spagnolo sulla città, aprendo la strada per la proclamazione dell'effimera e filofrancese Real Repubblica Napoletana, avvenuta cinque mesi dopo la sua morte. Questi eventi, visti in un'ottica europea, riaccesero la tradizionale contesa tra Spagna e Francia per il possesso della corona di Napoli.................................................................................................................................................................................................................................
La rivolta [modifica]



Ritratto della casa di Masaniello
Il peso delle tasse diminuì lievemente sotto il viceré Juan Alfonso Enríquez de Cabrera che revocò alcune imposte e che, sollecitato da Madrid a reperire un milione di ducati per finanziare la guerra contro la Francia, chiese a re Filippo IV di essere sostituito.[14] La situazione si aggravò quando il suo successore, Rodrigo Ponce de León, duca d'Arcos, descritto dai contemporanei come un uomo dedito alla vita mondana, frivolo e senza esperienza di governo, reintrodusse nel 1646 una gravosa gabella sulla frutta, all'epoca l'alimento più consumato dai ceti umili. Lo stesso provvedimento nel 1620, ai tempi di Genoino, aveva già scatenato gravi tumulti in città. La vigilia di Natale, uscendo dalla Basilica del Carmine, il duca d'Arcos fu circondato da un gruppo di lazzari che gli estorse la promessa di abolire le tasse sugli alimenti di necessario consumo. Tornato a Palazzo Reale, il viceré fu però convinto dai nobili, ai quali era stata affidata la riscossione delle tasse, a non abolire la gabella sulla frutta.[15] Il popolo, sempre più provato dalla prepotenza dei gabellieri, attese invano per sei mesi l'abolizione dell'imposta.
Alla situazione già esplosiva si aggiunse l'esempio della Sicilia, dove nel biennio 1646-1647 il malcontento popolare verso la forte tassazione provocò una serie di gravi tumulti cittadini. Il 24 agosto 1646, Messina fu la prima città siciliana sotto il dominio spagnolo ad insorgere contro le gabelle. Nel maggio dell'anno successivo scoppiarono poi i moti di Catania e Palermo, i cui buoni risultati contribuirono a spingere i popolani napoletani alla rivolta.[16]


Masaniello ritratto da Aniello Falcone, 1647.
Il 6 giugno 1647, alcuni popolani guidati da Masaniello e dal fratello Giovanni bruciarono i banchi del dazio a piazza del Mercato. Domenica 30 giugno, durante le prime celebrazioni per la festa della Madonna del Carmine, il giovane pescatore radunò un gruppo di lazzari vestiti da arabi ed armati di canne come lance, i cosiddetti alarbi, che durante la sfilata davanti al Palazzo Reale rivolsero ogni genere di imprecazione ai notabili spagnoli affacciati al balcone.
La domenica seguente, il 7 luglio, dopo essere stati incoraggiati da Genoino, un gruppo di lazzari si riunì nei pressi di Sant'Eligio allo scopo di sostenere il cognato di Masaniello, il puteolano Maso Carrese, che capeggiava un gruppo di fruttivendoli decisi a non pagare la gabella sulla frutta. Per calmare gli animi fu chiamato l'eletto del popolo Andrea Naclerio, un ricco mercante, che, nonostante il suo ruolo, si schierò dalla parte dei gabellieri. Ci fu quindi una zuffa tra il mercante e Carrese, che si concluse con la morte di quest'ultimo. Questa fu la scintilla che scatenò la ribellione, e Masaniello ed i suoi alarbi sollevarono la popolazione, ed al grido di: «Viva 'o Rre 'e Spagna, mora 'o malgoverno» la guidarono fino alla reggia dove, sbaragliati i soldati spagnoli ed i mercenari tedeschi di guardia, giunsero fino alle stanze della viceregina.[17]
Il duca d'Arcos, riuscito miracolosamente a salvarsi dall'aggressione di un popolano,[18] si rifugiò nel Convento di San Luigi[19] e da qui fece recapitare all'arcivescovo di Napoli, il cardinale Ascanio Filomarino, un messaggio in cui prometteva l'abolizione di tutte le imposte più gravose. Temendo ancora per la sua sorte, il viceré si spostò prima a Castel Sant'Elmo ed infine a Castel Nuovo.


Il cardinale Filomarino ritratto in un affresco di Giovan Battista Calandra, 1642, Chiesa dei Santi Apostoli, Napoli.
Ottenuta l'abolizione di tutte le gabelle come voleva Masaniello, Genoino, che perseguiva un progetto rivoluzionario più ambizioso, chiese il riconoscimento di un vecchio privilegio concesso nel 1517 da Carlo V (popolarmente chiamato Colaquinto) al popolo napoletano. Il privilegio avrebbe dovuto sancire per il popolo una rappresentanza uguale a quella dei nobili, oltre alla riduzione ed equa ripartizione delle tasse tra le classi sociali. Il cardinale Filomarino, da sempre amico della plebe ed inviso alla nobiltà, si propose come mediatore per il riconoscimento del documento appoggiando apertamente le rivendicazioni dei rivoltosi.[20]
Nella notte tra il 7 e l'8 luglio furono puniti tutti coloro che erano ritenuti responsabili delle gabelle, primo fra tutti Girolamo Letizia, il colpevole dell'arresto della moglie di Masaniello, a cui fu bruciata la casa nei pressi di Portanova. Seguirono la stessa sorte diversi palazzi nobiliari, le case di ricchi mercanti e quelle di altri influenti oppressori, tra cui quella di Andrea Naclerio, che fu in seguito fucilato. Furono poi dati alle fiamme tutti i registri delle imposte e liberati dalle prigioni tutti coloro che erano stati incarcerati per evasione o contrabbando.
Ottenere i documenti chiesti da Genoino fu molto difficile: diverse volte il viceré ed i nobili sottoposero all'esame del vecchio prelato dei documenti falsi o inutili. Un tentativo fu fatto anche dal duca di Maddaloni Diomede V Carafa che, una volta smascherato, fu costretto a scappare per salvarsi dalla furia dei popolani. La stessa sorte toccò a Gregorio Carafa, priore della Roccella.[21] Il 9 luglio, mentre si aspettava la consegna del documento autentico, il giovane pescivendolo organizzò con successo la presa della Basilica di San Lorenzo e si impossessò di alcuni cannoni che erano custoditi nel chiostro. Finalmente una copia del privilegio autentico fu consegnata dagli spagnoli al cardinale Filomarino, che la consegnò a Masaniello, e quindi a Genoino. Il privilegio era in realtà stato concesso alla fedelissima città da Ferdinando il Cattolico, e poi confermato da suo nipote Carlo V nel 1517, al momento della sua investitura a Napoli da parte di papa Clemente VII.


L'uccisione di Don Giuseppe Carafa, Micco Spadaro, 1647 ca.[11]
Il 10 luglio, la quarta giornata di rivolta, Masaniello si era procurato già molti nemici. Il duca di Maddaloni allo scopo di attentare alla sua vita fece introdurre trecento banditi nella Basilica del Carmine, ritrovo dei rivoltosi. I banditi in realtà, servendo la nobiltà ai danni dei più umili, erano molto più simili ai bravi manzoniani che a dei semplici fuorilegge. Dopo la lettura in pubblico dei capitoli del privilegio, i sicari si avventarono contro il capopopolo, ma l'attentato fallì. La folla inferocita catturò ed uccise il noto bandito Domenico Perrone, ed anche altri furono rincorsi e linciati, tra cui un certo Antimo Grasso che prima di morire confessò di essere al soldo del duca di Maddaloni. La plebe allora si vendicò sul fratello del duca, don Giuseppe Carafa, che dopo essere stato ucciso fu decapitato affinché si potesse portare la sua testa in trionfo da Masaniello.
Lo stesso giorno si addentrarono nel golfo di Napoli le galee spagnole di stanza a Genova agli ordini dell'ammiraglio Giannettino Doria. Temendo uno sbarco, Masaniello ordinò che la flotta stesse lontana almeno un miglio dalla terra ferma, costringendo l'ammiraglio Doria ad inviargli un messaggero per ottenere almeno la possibilità di fare scorta di viveri per gli equipaggi. Il messaggero supplicò il pescatore di Vico Rotto, a cui si rivolse chiamandolo «Sua Signoria illustrissima», di concedere vettovaglie alla flotta e Masaniello accettò ordinando di provvedere alla richiesta con quattrocento palate (pezzi) di pane.[22.....................................................................................................................................................Il brevissimo "regno" di Masaniello [modifica]

Giovedì 11 luglio, dopo la ratifica dei capitoli del privilegio nella Basilica del Carmine da parte di un'assemblea popolare, Masaniello cavalcò tra le acclamazioni ed i festeggiamenti dei popolani, insieme al cardinale Filomarino ed al nuovo eletto del popolo Francesco Antonio Arpaja, fino a Palazzo Reale per incontrare il viceré. Alla presenza del duca d'Arcos, a causa di un improvviso malore, perse i sensi e svenne iniziando a manifestare i primi sintomi di quell'instabilità mentale che gli avrebbe poi procurato l'accusa di pazzia. Durante l'incontro, dopo un infruttuoso tentativo di corruzione, il pescatore fu nominato Capitano generale del fedelissimo popolo napoletano. Filomarino, scrivendo a papa Innocenzo X, lo descrisse così:


« Questo Masaniello è pervenuto a segno tale di autorità, di comando, di rispetto e di ubbidienza, in questi pochi giorni, che ha fatto tremare tutta la città con li suoi ordini, li quali sono stati eseguiti da' suoi seguaci con ogni puntualità e rigore: ha dimostrato prudenza, giudizio e moderazione; insomma era divenuto un re in questa città, e il più glorioso e trionfante che abbia avuto il mondo. Chi non l'ha veduto, non può figurarselo nell'idea; e chi l'ha veduto non può essere sufficiente a rappresentarlo perfettamente ad altri. Non vestiva altro abito che una camicia e calzoni di tela bianca ad uso di pescatore, scalzo e senza alcuna cosa in testa; né ha voluto mutar vestito, se non nella gita dal Viceré.[23] »


Iniziò da questo momento a frequentare la corte spagnola e fu coperto di onori dai nobili e dallo stesso duca d'Arcos. I suoi abiti non erano più quelli di un pescivendolo ma quelli di un nobiluomo, e sotto la sua casa a Vico Rotto venne eretto un palco dal quale poteva legiferare a suo piacimento in nome del re di Spagna. Fu più volte ricevuto a Palazzo Reale con la moglie Bernardina, che si presentò come "viceregina delle popolane" alla duchessa d'Arcos,[24] e la sorella Grazia.
La tradizione vuole che la presunta pazzia di Masaniello fu causata dalla roserpina, un potente allucinogeno somministratogli durante un banchetto nella reggia. Probabilmente il comportamento di Masaniello era improvvisamente mutato a causa dell'improvvisa ascesa al potere, e gli "atti di follia" che commise erano in realtà causati dall'incapacità di gestire grandi responsabilità di comando. Al culmine del potere i segni di squilibrio che manifestò furono numerosi: il lancio del coltello tra la folla; le interminabili galoppate; i tuffi notturni nel mare; e l'insistere nel progetto strampalato di trasformare piazza del Mercato in un porto, e di costruirvi un ponte per collegare Napoli alla Spagna.[25]
Il 12 luglio iniziò inoltre ad ordinare diverse esecuzioni sommarie dei suoi oppositori, compresa quella di un bandito verso il quale Genoino gli chiese di essere clemente.[26] Ormai il vecchio prete era consapevole di aver perso ogni influenza sul capopopolo e sulla rivoluzione. La popolazione cominciò a non vedere di buon occhio il fatto che un popolano pretendesse simile obbedienza e rispetto, ed iniziò a credere alle voci sulla pazzia del suo protettore. Cominciò anche a diffondersi la voce che Masaniello fosse un pederasta, e che intrattenesse una relazione omosessuale con il sedicenne Marco Vitale, suo amico e segretario.[27]
Il 13 luglio il viceré giurò solennemente sui capitoli del privilegio nel Duomo di Napoli: il popolo era alla fine riuscito ad imporre le proprie rivendicazioni al governo spagnolo. Questo successo, a cui Masaniello aveva contribuito più di tutti, non lo risparmiò dall'ostilità di alcuni suoi ex-compagni di lotta, tra cui Genoino che di nascosto tramava la sua eliminazione.
Il tradimento e la morte [modifica]

Il 16 luglio, ricorrenza della Madonna del Carmine, affacciato da una finestra di casa sua, cercò inutilmente di difendersi dalle accuse di pazzia e tradimento che provenivano dalla strada. Il capopopolo, il cui fisico era ormai debilitato dalla malattia, accusò i suoi detrattori di ingratitudine e ricordandogli le condizioni in cui versavano prima della rivolta, pronunciò la frase rimasta proverbiale:«tu ti ricordi, popolo mio, come eri ridotto?».[28][29] Sentendosi braccato cercò rifugio nella Basilica del Carmine, e qui, interrompendo la celebrazione della messa, pregò l'arcivescovo Filomarino di poter partecipare prima di morire, insieme a lui, al viceré ed alle altre autorità della città, alla tradizionale cavalcata in onore della Vergine.[30] Poi salì sul pulpito per tenere il suo ultimo discorso:


(NAP)
« Amice miei, popolo mio, gente: vuie ve credite ca io sò pazzo e forze avite raggione vuie: io sò pazze overamente. Ma nunn'è colpa da mea, so state lloro che m'hanno fatto'ascì afforza n'fantasia! Io ve vulevo sulamente bbene e forze sarrà chesta 'a pazzaria ca tengo 'ncapa. Vuie primme eravate munnezza e mò site libbere. Io v'aggio fatto libbere. Ma quanto pò durà sta libbertà? Nu juorno?! Duie juorne?! E già pecché po' ve vene 'o suonno e ve jate tutte quante 'a cuccà. E facite bbuone: nun se pò campà tutta a vita cu na scuppetta 'mmano. Facite comm'a Masaniello: ascite pazze, redite e vuttateve 'nterra, ca site pat' 'e figlie. Ma si ve vulite tenere 'a libbertà, nun v'addurmite! Nun pusate ll'arme! 'O vedite? A me m'hanno avvelenate e mò me vonno pure accidere. E ci 'hanno raggione lloro quanno diceno ca nu pisciavinnolo nun pò addeventà generalissimo d'a pupulazione a nu mumento a n'ato. Ma io nun vulevo fa niente 'e male e manco niente voglio. Chi me vo' bbene overamente dicesse sulo na preghiera pe me: nu requia-materna e basta pé quanno moro. P' 'o rriesto v' 'o torno a dì: nun voglio niente. Annudo so' nato e annudo voglio murì. Guardate!![31] »

(IT)
« Amici miei, popolo mio, gente: voi credete che io sia pazzo e forse avete ragione voi: io sono pazzo veramente. Ma non è colpa mia, sono stati loro che per forza mi hanno fatto impazzire! Io vi volevo solo bene e forse sarà questa la pazzia che ho nella testa. Voi prima eravate immondizia ed adesso siete liberi. Io vi ho resi liberi. Ma quanto può durare questa vostra libertà? Un giorno?! Due giorni?! Eh già, perché poi vi viene il sonno e vi andate tutti a coricare. E fate bene: non si può vivere tutta la vita con un fucile in mano. Fate come Masaniello: impazzite, ridete e buttatevi a terra, perché siete padri di figli. Ma se invece volete conservare la libertà, non vi addormentate! Non posate le armi! Lo vedete? A me hanno dato il veleno e adesso mi vogliono anche uccidere. Ed hanno ragione loro quando dicono che un pescivendolo non può diventare generalissimo del popolo da un momento all'altro. Ma io non volevo far niente di male e nemmeno niente voglio. Chi mi vuol bene veramente dica per me solo una preghiera: un requiem soltanto quando sarò morto. Per il resto ve lo ripeto: non voglio niente. Nudo sono nato e nudo voglio morire. Guardate!! »


Dopo essersi spogliato ed essere stato deriso dai presenti fu invitato a calmarsi dall'arcivescovo e fatto accompagnare in una delle celle del convento. Qui venne raggiunto da alcuni capitani delle ottine corrotti dagli spagnoli: Carlo e Salvatore Catania, Andrea Rama, Andrea Cocozza e Michelangelo Ardizzone. Sentita la voce amica di quest'ultimo, Masaniello aprì la porta della cella e fu freddato con una serie di archibugiate. Il corpo fu decapitato, trascinato per le strade del Lavinaio, e gettato in un fosso tra Porta del Carmine e Porta Nolana vicino ai rifiuti, mentre la testa fu portata al viceré come prova della sua morte.
I capitani delle ottine coinvolti nella congiura, come rivelano alcuni documenti conservati nell'Archivo General a Simancas, furono ampiamente ricompensati dalla Corona di Spagna. Carlo Catania chiese la capitania a guerra della città di Napoli e cinquecento scudi; Salvatore Catania, la carica di Percettore di Terra di Lavoro; Andrea Cocozza, la capitania a guerra di Nicastro ed una pensione di trecento scudi per il figlio. Le loro aspirazioni furono coronate il 17 giugno 1648, quando ricevettero tutti il privilegio di nobiltà ed il compito di governare per sei anni, rispettivamente, i territori di Modugno, Cava e Catanzaro, con venticinque scudi mensili di pensione ad incarico compiuto.[32]
Giulio Genoino fu invece premiato con le nomine, conferitegli il giorno dopo la fucilazione di Masaniello, a Presidente Decano della Sommaria ed a Presidente del Collegio dei Dottori, trovandosi così al vertice dell'ordinamento forense del regno.[33] Il servigio reso alla monarchia iberica non risparmiò l'anziano prete quando, procuratosi di nuovo l'ostilità degli spagnoli, fu arrestato per l'ultima volta. Genoino morì a Mahón sull'isola di Minorca, durante il viaggio verso la prigione di Malaga.
L'arcivescovo Filomarino, il cui sostegno verso il capopopolo era venuto a mancare a causa della «temerità, furore e tirannide» dimostrata dopo il 13 luglio, si recò con il duca d'Arcos a rendere grazie «a Dio Benedetto, alla Beatissima Vergine, ed al glorioso S. Gennaro» per avere «estinto il perturbatore, e restituita la perduta quiete» alla città di Napoli.[34]


Dannazione e riabilitazione [modifica]

Il giorno dopo il popolo si accorse che con la morte del pescatore i tanto sofferti miglioramenti ottenuti durante la rivolta erano svaniti. La mattina, le donne del Mercato che si recarono a comprare la palata di pane, trovarono che essendo stata reintrodotta la gabella sulla farina, la palata, il cui peso era stato fissato da Masaniello a trentadue once, era tornata a pesare trenta once. Ben presto si incominciò a sentire la mancanza di colui che era riuscito, anche se per pochissimo tempo, a migliorare le condizioni di vita della popolazione, finché un gruppo di persone ne recuperò pietosamente il corpo e la testa, che dopo essere stati lavati con l'acqua del Sebeto furono ricuciti insieme.[35]
Le autorità spagnole, temendo l'infuriare di una nuova sommossa, ordinarono di assecondare tutte le manifestazioni di devozione verso il capopopolo assassinato. Il cardinale Filomarino, supplicato di celebrare i funerali, scrisse al papa:
« Da questo incidente del pane n'è risultato, che dove la morte del Masaniello non era stata sentita più che tanto, né avea fatta grande impressione negli animi de' suoi seguaci (perché con la sua pazzia s'era reso a tutti esoso); il mercoledì l'incominciarono a piangere, a sospirare, esaltare e preconizzare; e desiderando la sua sepoltura, di cui prima non si curavano, vennero a chiedermela in grazia, timorosi che per gli uffici fatti io non fossi per concedercela; ma gliela concedei di buona voglia, e prontamente.[36] »
Dopo aver accettato, Filomarino ordinò che tutti i preti sotto la sua giurisdizione partecipassero il 18 luglio alla celebrazione. Il corteo funebre, uscito dalla Basilica del Carmine due ore prima del tramonto, era seguito da decine di migliaia di persone,[37] mentre da tutte le finestre venivano esposte coperte e lumi come tributo d'onore. Il feretro, avvolto in un lenzuolo di seta bianco ed in una coltre di velluto nero, con alla destra una spada ed alla sinistra il bastone di capitano generale, fu portato in processione per tutta la città quasi si trattasse delle spoglie di un santo. Attraversò tutti i sei seggi di giustizia della città, seguendo l'itinerario della rituale cavalcata che i viceré tenevano al momento dell'insediamento.[38] Dopo aver attraversato via Toledo, passando di fronte al Palazzo Reale, il duca d'Arcos ordinò di abbassare le bandiere spagnole in segno di lutto.[39]


Lapide commemorativa nella Basilica del Carmine.
Un anonimo poeta compose:
« È muorto chi lu Nobile ha smaccato,
È muorto chi ha cresciuto li panelle,
È muorto chi ha strette li Gabelle,
È muorto chi nu Regno ha sorzellato.
Napole scuso tene e derropato
Chi l'ha fatto saglì 'ncopp' a li stelle;
L'accise co na mano de rebbelle
Nu panettiere[40] suggeco frustrato.
Che sbarione! S'amma stammatina,
Sta sera s'odia e se le fa gran guerra.
Mprimma s'onora, appriesso s'assassina.
Hoje se vede senza capa 'nterra,
Pe tutta la cetate se trascina;
Craje da Generalissimo s'attera.[41] »
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi




Come inizia una guerra civile – 261
La cruna dell’ago – 226
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 226
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 206
Cronaca di un affondamento annunciato - 206
In mezzo alla tempesta - 144


Seduti sopra una polveriera pronta ad esplodere - 7


La ruota della macina della storia sta mietendo le sue vittime.

La prima è quella di Masaniello 2.0
La seconda è quella dei defunti, defuntis, defuntorum.


La rivoluzione di Masaniello 2.0 si è fermata ieri a causa del suo istrione. Ieri ha messo in evidenza tutti i suoi limiti sbeffeggiando Rodotà.

Era già andato fuori dalle righe con la Gabanelli, che aveva proposto più un mese prima addirittura come candidata alla presidenza della Repubblica.

La sua reazione al servizio della giornalista di Report è stato esagerato e debordante, anche se nella tempistica delle messa in onda della puntata qualche ombra non cancellabile rimane.

La Gabanelli è persona troppo intelligente per non capire che quel servizio mandato in onda sotto elezioni avrebbe contribuito a mettere in ginocchio il M5S.

Lo stesso errore lo ha precedentemente commesso nei confronti di Di Pietro.

Ha ragione la Gabanelli quando si difende chiedendo se c’era qualcosa di sbagliato nell’impianto del servizio, ma proprio perché è persona decisamente intelligente, non poteva non sapere che dal punto di vista temporale avrebbe messo in croce i destinatari dal punto di vista del consenso. E così è stato.

Anche perché la televisione, anche con un'attenuazione minore rispetto ai primi tempi, per una vasta fetta di popolazione rappresenta la Madonna.

Quello che dice la televisione è la verità rivelata.

Nei confronti di Pd e Pdl la Gabanelli non avrebbe mai osato tanto, anche se in materia inerente le storture del sistema i due partiti della casta potrebbero riempire un’intera nuova Treccani delle puttanate.

La reazione violenta nei confronti di Rodotà invece mette allo scoperto i limiti dell’istrione genovese.

Grillo é un vulcano in piena eruzione da quando ha iniziato la sua attività di comico per quanto riguarda la denuncia dei fatti e difetti altrui, ma adesso abbiamo scoperto che non sopporta critiche al suo operato.

La mente umana è un vero mistero per quanto riguarda l’uso dell’intelligenza.

In materia di critiche la lezione ci arriva da Andreotti.

Andreotti presidente del Consiglio, viene messo al corrente dalle forze dell’ordine che al Gianicolo i soliti buontemponi della sinistra, suoi naturali avversari, hanno piazzato un pupazzo con le sue sembianze con addosso una serie di cartelli provocatori e sbeffeggianti.

Le forze dell’ordine che si erano recate a rapporto a Palazzo Chigi chiedono istruzioni: <<Dobbiamo intervenire presidente????>>

<<No,…assolutamente no,…ci penso io…>>

Infatti, più tardi, Giulio Andreotti si reca di persona al Gianicolo, stringe sorridente la mano a tutti gli autori del dileggio complimentandosi della beffa.

A quel punto diventa evidente che tutto l’impianto messo in piedi per sbeffeggiare il presidente del Consiglio si sgonfia di colpo. Cade l’obiettivo, perché è il diretto interessato a complimentarsi con molta educazione con gli autori del dileggio.

E’ un vero peccato che un intelligenza come quella di Andreotti si sia rivolta prevalentemente al male.

Dal punto di vista della comunicazione l’attacco a Rodotà significa uno stop definitivo alla sua fonte primaria di successo alla guida del M5S.

Cosa succederà prossimamente del Movimento è tutto nel ventre di Giove.

I partiti come al solito ci hanno capito ben poco per quanto riguarda il fenomeno M5S. Con una mente strutturata ben precisa in cui il punto di arrivo delle carriere politiche è il far parte della casta a tutti i costi, da destra alla sinistra Dc, erano convinti, che si trattasse del solo fenomeno messo in atto per raggiungere per altra via la casta.

Per loro vale sempre la regola eterna: “ A fra’,..che te serve?”

Tutto si compra e si vende come al Foro Boario. E’ la regola inossidabile che vige dal dopo De Gasperi.

Tutti hanno un prezzo, tutto ha un prezzo.


Continua
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi



Come inizia una guerra civile – 262
La cruna dell’ago – 227
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 227
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 207
Cronaca di un affondamento annunciato - 207
In mezzo alla tempesta - 145


The house of the dead living - 5

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/05/ ... ri/234342/


Anche Zagrebelsky a volte può dire cazzate.

Veltroni porta a sostegno della sua tesi quanto dichiarato qualche giorno prima su Berlusconi:

<<Stiamo attenti che Berlusconi monti su questa cosa, provochi le elezioni anticipate facendo il mestiere che sa meglio fare, la vittima, spostando a destra il Paese.


Ora solo i ciechi possono non vedere che Berlusconi sta rosolando a fuoco lento i suoi alleati democristiani.

Poi alla fine, quando i dati daranno i defunti non più in grado di risollevarsi sarà il momento di staccare la spina, possibilmente su di un argomento con cui potrà incolpare il Pd per tutta la campagna elettorale, ed andare ad elezioni e vincerle.

I defunti sono comunque spacciati sia in un senso che nell’altro. Solo che l’amore sviscerato per la poltrona li induce ad osservare la massima andreottiana: “E’ meglio tirare a campare piuttosto che tirare le cuoia”.

E dato che stanno completamente a zero come classe dirigente, tirano a campare il più a lungo possibile.
Amadeus

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da Amadeus »

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