Non è cosa vostra
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
A parte che vista l’aria che tira (dopo il 19 di giugno potrebbe cadere il governo), sembra la solita propaganda elettorale del solito Caimano attraverso il suo robottino preferito, Alf, rimane comunque una provocazione il fatto che al termine della parata del 2 giugno il robottino ritorni sul tema del presidenzialismo, dopo l’intervento del suo capo in materia, il giorno precedente.
Per cambiare una parte della Costituzione servono alcuni passaggi parlamentari e questo governo non ne ha affatto il tempo a disposizione.
Una cosa però è certa, che la Costituzione vigente è stata redatta da galantuomini.
Non è quindi minimamente accettabile che una modifica alla Costituzione sia fatta in collaborazione della criminalità organizzata di stampo politico.
Chi intende esporre le proprie le proprie ragioni sul presidenzialismo, prima cancelli Berlusconi e il berlusconismo dalla scena politica italiana, e solo dopo potrà esporre il proprio punto di vista.
Per cambiare una parte della Costituzione servono alcuni passaggi parlamentari e questo governo non ne ha affatto il tempo a disposizione.
Una cosa però è certa, che la Costituzione vigente è stata redatta da galantuomini.
Non è quindi minimamente accettabile che una modifica alla Costituzione sia fatta in collaborazione della criminalità organizzata di stampo politico.
Chi intende esporre le proprie le proprie ragioni sul presidenzialismo, prima cancelli Berlusconi e il berlusconismo dalla scena politica italiana, e solo dopo potrà esporre il proprio punto di vista.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
Libertà e Giustizia, in 5mila a Bologna “No al presidenzialismo, la Carta va difesa”
(Silvia Bignami).
03/06/2013 di triskel182
Rodotà: vogliono scaricare le loro incapacità sulla Costituzione. Zagrebelsky: in Italia diventa garanzia di corruzione.
BOLOGNA— Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Roberto Saviano. Sono solo alcuni tra gli intellettuali e i costituzionalisti che si sono ritrovati ieri a Bologna per la manifestazione organizzata da “Libertà e Giustizia” in difesa della Carta, e trasformatasi subito in un secco e corale no (c’erano almeno 5mila persone) a qualsiasi tentazione presidenzialista, «che sia un presidenzialismo intero o solo “semi” ». Nel giorno in cui il vicepremier Angelino Alfano sente il profumo di una intesa col Pd sulle riforme istituzionali, la sinistra alza le barricate: «La Costituzione non è cosa vostra».
Una manifestazione, affollatissima a Bologna dove ha appena vinto il referendum in difesa dell’articolo 33 della Costituzione contro il finanziamento pubblico delle scuole private paritarie, che vorrebbe forse diventare anche il punto d’avvio di una nuova “Cosa” a sinistra. «Non un nuovo partito » precisa Rodotà, ma una «rete», come pensa Zagrebelsky, o un «polo progressista costituzionale » come lo chiama Antonio Ingroia. O magari un «partito ovunque, dentro tutti gli altri partiti» suggerisce il docente Nando Dalla Chiesa. Una suggestione per ora, che però ieri ha trovato un punto di incontro nel no al presidenzialismo, che «in un paese dove c’è molta corruzione diventa garanzia della corruzione» scandisce Zagrebelsky. Tanto che «stupisce», rincara Rodotà, che persino un «politico accorto» come il premier Enrico Letta «abbia detto che il prossimo presidente della Repubblica non sarà eletto dai grandi elettori. Non sono riusciti ad eleggere un presidente e vogliono uscirne scaricando le loro incapacità sulla Costituzione».
Intellettuali e docenti sono sul palco, con la segretaria Cgil Susanna Camusso e il numero uno Fiom Maurizio Landini. I politici come Nichi Vendola, leader di Sel, una sparuta pattuglia Pd, tra cui l’ex presidente Rosi Bindi, Pippo Civati e la prodiana Sandra Zampa, e il leader di Azione Civile Antonio Ingroia, restano ad ascoltare. Non c’è Romano Prodi, nonostante fosse stato invitato e ieri girasse voce che proprio i prodiani potrebbero lasciare il Pd, se il congresso andasse male. «Per ora non succede nulla» assicura la Zampa, «prima vediamo il congresso. Forse si candida anche Matteo Renzi, vediamo». Intanto è proprio la Costituzione a unire tutti in piazza, «perché un conto è la buona manutenzione della Carta, un conto è invece stravolgerla » attacca Rodotà dal palco. Un fuoco di fila a difesa dell’attuale assetto costituzionale cui hanno partecipato anche Settis, che ha invitato a contrastare la deriva verso una «democrazia senza popolo», e Roberto Saviano, per cui «difendere la Costituzione significa difendere la democrazia dalle organizzazioni criminali». Piuttosto si cambi la legge elettorale, come è tornato a chiedere ieri anche il presidente Giorgio Napolitano. «Il Porcellum che non è democratico» dice Susanna Camusso, mentre Rodotà va al nocciolo del problema: «È una legge corruttrice e illegittima che sostiene le oligarchie. Non modificarla è un ricatto, un’arma nelle mani… indovinate di chi? Di chi poi deciderà di far cadere il governo al momento più opportuno, tornando a votare con questa legge».
Da La Repubblica del 03/06/2013.
(Silvia Bignami).
03/06/2013 di triskel182
Rodotà: vogliono scaricare le loro incapacità sulla Costituzione. Zagrebelsky: in Italia diventa garanzia di corruzione.
BOLOGNA— Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Roberto Saviano. Sono solo alcuni tra gli intellettuali e i costituzionalisti che si sono ritrovati ieri a Bologna per la manifestazione organizzata da “Libertà e Giustizia” in difesa della Carta, e trasformatasi subito in un secco e corale no (c’erano almeno 5mila persone) a qualsiasi tentazione presidenzialista, «che sia un presidenzialismo intero o solo “semi” ». Nel giorno in cui il vicepremier Angelino Alfano sente il profumo di una intesa col Pd sulle riforme istituzionali, la sinistra alza le barricate: «La Costituzione non è cosa vostra».
Una manifestazione, affollatissima a Bologna dove ha appena vinto il referendum in difesa dell’articolo 33 della Costituzione contro il finanziamento pubblico delle scuole private paritarie, che vorrebbe forse diventare anche il punto d’avvio di una nuova “Cosa” a sinistra. «Non un nuovo partito » precisa Rodotà, ma una «rete», come pensa Zagrebelsky, o un «polo progressista costituzionale » come lo chiama Antonio Ingroia. O magari un «partito ovunque, dentro tutti gli altri partiti» suggerisce il docente Nando Dalla Chiesa. Una suggestione per ora, che però ieri ha trovato un punto di incontro nel no al presidenzialismo, che «in un paese dove c’è molta corruzione diventa garanzia della corruzione» scandisce Zagrebelsky. Tanto che «stupisce», rincara Rodotà, che persino un «politico accorto» come il premier Enrico Letta «abbia detto che il prossimo presidente della Repubblica non sarà eletto dai grandi elettori. Non sono riusciti ad eleggere un presidente e vogliono uscirne scaricando le loro incapacità sulla Costituzione».
Intellettuali e docenti sono sul palco, con la segretaria Cgil Susanna Camusso e il numero uno Fiom Maurizio Landini. I politici come Nichi Vendola, leader di Sel, una sparuta pattuglia Pd, tra cui l’ex presidente Rosi Bindi, Pippo Civati e la prodiana Sandra Zampa, e il leader di Azione Civile Antonio Ingroia, restano ad ascoltare. Non c’è Romano Prodi, nonostante fosse stato invitato e ieri girasse voce che proprio i prodiani potrebbero lasciare il Pd, se il congresso andasse male. «Per ora non succede nulla» assicura la Zampa, «prima vediamo il congresso. Forse si candida anche Matteo Renzi, vediamo». Intanto è proprio la Costituzione a unire tutti in piazza, «perché un conto è la buona manutenzione della Carta, un conto è invece stravolgerla » attacca Rodotà dal palco. Un fuoco di fila a difesa dell’attuale assetto costituzionale cui hanno partecipato anche Settis, che ha invitato a contrastare la deriva verso una «democrazia senza popolo», e Roberto Saviano, per cui «difendere la Costituzione significa difendere la democrazia dalle organizzazioni criminali». Piuttosto si cambi la legge elettorale, come è tornato a chiedere ieri anche il presidente Giorgio Napolitano. «Il Porcellum che non è democratico» dice Susanna Camusso, mentre Rodotà va al nocciolo del problema: «È una legge corruttrice e illegittima che sostiene le oligarchie. Non modificarla è un ricatto, un’arma nelle mani… indovinate di chi? Di chi poi deciderà di far cadere il governo al momento più opportuno, tornando a votare con questa legge».
Da La Repubblica del 03/06/2013.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
Libertà e Giustizia, in 5mila a Bologna “No al presidenzialismo, la Carta va difesa”
(Silvia Bignami).
03/06/2013 di triskel182
Rodotà: vogliono scaricare le loro incapacità sulla Costituzione. Zagrebelsky: in Italia diventa garanzia di corruzione.
BOLOGNA— Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Roberto Saviano. Sono solo alcuni tra gli intellettuali e i costituzionalisti che si sono ritrovati ieri a Bologna per la manifestazione organizzata da “Libertà e Giustizia” in difesa della Carta, e trasformatasi subito in un secco e corale no (c’erano almeno 5mila persone) a qualsiasi tentazione presidenzialista, «che sia un presidenzialismo intero o solo “semi” ». Nel giorno in cui il vicepremier Angelino Alfano sente il profumo di una intesa col Pd sulle riforme istituzionali, la sinistra alza le barricate: «La Costituzione non è cosa vostra».
Una manifestazione, affollatissima a Bologna dove ha appena vinto il referendum in difesa dell’articolo 33 della Costituzione contro il finanziamento pubblico delle scuole private paritarie, che vorrebbe forse diventare anche il punto d’avvio di una nuova “Cosa” a sinistra. «Non un nuovo partito » precisa Rodotà, ma una «rete», come pensa Zagrebelsky, o un «polo progressista costituzionale » come lo chiama Antonio Ingroia. O magari un «partito ovunque, dentro tutti gli altri partiti» suggerisce il docente Nando Dalla Chiesa. Una suggestione per ora, che però ieri ha trovato un punto di incontro nel no al presidenzialismo, che «in un paese dove c’è molta corruzione diventa garanzia della corruzione» scandisce Zagrebelsky. Tanto che «stupisce», rincara Rodotà, che persino un «politico accorto» come il premier Enrico Letta «abbia detto che il prossimo presidente della Repubblica non sarà eletto dai grandi elettori. Non sono riusciti ad eleggere un presidente e vogliono uscirne scaricando le loro incapacità sulla Costituzione».
Intellettuali e docenti sono sul palco, con la segretaria Cgil Susanna Camusso e il numero uno Fiom Maurizio Landini. I politici come Nichi Vendola, leader di Sel, una sparuta pattuglia Pd, tra cui l’ex presidente Rosi Bindi, Pippo Civati e la prodiana Sandra Zampa, e il leader di Azione Civile Antonio Ingroia, restano ad ascoltare. Non c’è Romano Prodi, nonostante fosse stato invitato e ieri girasse voce che proprio i prodiani potrebbero lasciare il Pd, se il congresso andasse male. «Per ora non succede nulla» assicura la Zampa, «prima vediamo il congresso. Forse si candida anche Matteo Renzi, vediamo». Intanto è proprio la Costituzione a unire tutti in piazza, «perché un conto è la buona manutenzione della Carta, un conto è invece stravolgerla » attacca Rodotà dal palco. Un fuoco di fila a difesa dell’attuale assetto costituzionale cui hanno partecipato anche Settis, che ha invitato a contrastare la deriva verso una «democrazia senza popolo», e Roberto Saviano, per cui «difendere la Costituzione significa difendere la democrazia dalle organizzazioni criminali». Piuttosto si cambi la legge elettorale, come è tornato a chiedere ieri anche il presidente Giorgio Napolitano. «Il Porcellum che non è democratico» dice Susanna Camusso, mentre Rodotà va al nocciolo del problema: «È una legge corruttrice e illegittima che sostiene le oligarchie. Non modificarla è un ricatto, un’arma nelle mani… indovinate di chi? Di chi poi deciderà di far cadere il governo al momento più opportuno, tornando a votare con questa legge».
Da La Repubblica del 03/06/2013.
(Silvia Bignami).
03/06/2013 di triskel182
Rodotà: vogliono scaricare le loro incapacità sulla Costituzione. Zagrebelsky: in Italia diventa garanzia di corruzione.
BOLOGNA— Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Roberto Saviano. Sono solo alcuni tra gli intellettuali e i costituzionalisti che si sono ritrovati ieri a Bologna per la manifestazione organizzata da “Libertà e Giustizia” in difesa della Carta, e trasformatasi subito in un secco e corale no (c’erano almeno 5mila persone) a qualsiasi tentazione presidenzialista, «che sia un presidenzialismo intero o solo “semi” ». Nel giorno in cui il vicepremier Angelino Alfano sente il profumo di una intesa col Pd sulle riforme istituzionali, la sinistra alza le barricate: «La Costituzione non è cosa vostra».
Una manifestazione, affollatissima a Bologna dove ha appena vinto il referendum in difesa dell’articolo 33 della Costituzione contro il finanziamento pubblico delle scuole private paritarie, che vorrebbe forse diventare anche il punto d’avvio di una nuova “Cosa” a sinistra. «Non un nuovo partito » precisa Rodotà, ma una «rete», come pensa Zagrebelsky, o un «polo progressista costituzionale » come lo chiama Antonio Ingroia. O magari un «partito ovunque, dentro tutti gli altri partiti» suggerisce il docente Nando Dalla Chiesa. Una suggestione per ora, che però ieri ha trovato un punto di incontro nel no al presidenzialismo, che «in un paese dove c’è molta corruzione diventa garanzia della corruzione» scandisce Zagrebelsky. Tanto che «stupisce», rincara Rodotà, che persino un «politico accorto» come il premier Enrico Letta «abbia detto che il prossimo presidente della Repubblica non sarà eletto dai grandi elettori. Non sono riusciti ad eleggere un presidente e vogliono uscirne scaricando le loro incapacità sulla Costituzione».
Intellettuali e docenti sono sul palco, con la segretaria Cgil Susanna Camusso e il numero uno Fiom Maurizio Landini. I politici come Nichi Vendola, leader di Sel, una sparuta pattuglia Pd, tra cui l’ex presidente Rosi Bindi, Pippo Civati e la prodiana Sandra Zampa, e il leader di Azione Civile Antonio Ingroia, restano ad ascoltare. Non c’è Romano Prodi, nonostante fosse stato invitato e ieri girasse voce che proprio i prodiani potrebbero lasciare il Pd, se il congresso andasse male. «Per ora non succede nulla» assicura la Zampa, «prima vediamo il congresso. Forse si candida anche Matteo Renzi, vediamo». Intanto è proprio la Costituzione a unire tutti in piazza, «perché un conto è la buona manutenzione della Carta, un conto è invece stravolgerla » attacca Rodotà dal palco. Un fuoco di fila a difesa dell’attuale assetto costituzionale cui hanno partecipato anche Settis, che ha invitato a contrastare la deriva verso una «democrazia senza popolo», e Roberto Saviano, per cui «difendere la Costituzione significa difendere la democrazia dalle organizzazioni criminali». Piuttosto si cambi la legge elettorale, come è tornato a chiedere ieri anche il presidente Giorgio Napolitano. «Il Porcellum che non è democratico» dice Susanna Camusso, mentre Rodotà va al nocciolo del problema: «È una legge corruttrice e illegittima che sostiene le oligarchie. Non modificarla è un ricatto, un’arma nelle mani… indovinate di chi? Di chi poi deciderà di far cadere il governo al momento più opportuno, tornando a votare con questa legge».
Da La Repubblica del 03/06/2013.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
Grillo
"Presidenzialismo? Idea di B, che vuole diventare duce d'Italia". Mezzo Pd si oppone alla riforma
****
Su questo punto grillo ha ragione.
E' il solito Caimano a spingere per questa soluzione da sempre.
Chi fa paura è la metà del Pd che è d'accordo che il banana diventi Duce
"Presidenzialismo? Idea di B, che vuole diventare duce d'Italia". Mezzo Pd si oppone alla riforma
****
Su questo punto grillo ha ragione.
E' il solito Caimano a spingere per questa soluzione da sempre.
Chi fa paura è la metà del Pd che è d'accordo che il banana diventi Duce
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
La fabbrica degli imbecilli - 1
Il 28 febbraio 2013, la DSPMC (Direzione Strategica Per la Manipolazione dei Cervelli), ha impartito ordini ben precisi.
La strategia del dopo voto del Pdl doveva orientarsi verso due direttive:
1) Le caterinette e i bucanieri che venissero a contatto con qualsiasi tipo di media avrebbero dovuto propagandare la necessità primaria ed assoluta di un governo Pd – Pdl.
2) Questo perché le priorità assolute del Paese erano e sono, il lavoro, le imprese, le famiglie.
Il governo Pd – Pdl è stato realizzato ma nei successivi 40 giorni, la priorità lavoro, imprese, famiglie, non ha minimamente trovato posto.
La situazione è ovviamente gravissima ma al governo Berlusconi – Letta, che la situazione possa esplodere da un giorno con l’altro interessa relativamente.
Come la corte di Versailles nell’estate del 1789, anche ora si dimenticano le necessità popolari e non solo.
La casta di allora si comportò in modo identico alla casta di oggi.
Un breve passaggio de “La Rivoluzione francese” tratto da Wikipedia:
Nel maggio del 1788 a Grenoble le proteste delle famiglie, toccate profondamente dalla crisi economica, aumentarono notevolmente. L'esercito fu obbligato ad intervenire il 7 giugno, venendo accolto da tegole lanciate dai cittadini saliti sui tetti. Conseguentemente a questo avvenimento, ricordato come Giornata delle Tegole, il 21 luglio un'assemblea formata da nobiltà, clero e terzo stato si riunì al Castello di Vizille (vicino a Grenoble), dove decise di mettere in atto lo sciopero delle imposte. Incapace di ristabilire l'ordine, Luigi XVI l'8 agostoannunciò la convocazione degli Stati Generali per il 5 maggio 1789 (prima volta dal 1614
La situazione era già gravissima nel novembre 2011, ma lo è decisamente di più ora perché alla situazione di “zero lavoro” del mercato interno italiano, si aggiunge la recessione europea. Il mercato interno europeo è in crisi.
Persone normali, avrebbero dovuto prendere il coraggio a due mani e dare fondo a tutte le risorse italiane prima di oltrepassare il punto di non ritorno.
Ma dato che nella zona casta e istituzioni, di persone normali non si vede l’ombra, oltrepassare il punto di non ritorno è stato un gioco da ragazzi.
Gattopardescamente si è mutato l’assetto del governo, che risulta fortemente inadeguato rispetto al governo dei tecnici.
Ma ognuno ha i suoi interessi da portare avanti.
Il Caimano sente il fiato sul collo della magistratura e cerca tutte le strade per evitare di essere impigliato nella rete e messo in condizioni di non nuocere più.
Letta Enrico non ci sta a fare la figura dell’incapace alla sua prima esperienza alla guida del governo. E’ una questione personale.
Ed ecco che la fabbrica degli imbecilli è costretta a abbassare temporaneamente la maschera.
**
Presidenzialismo, Brunetta: “B. è il nostro candidato per il Colle”
Presidenzialismo, il capogruppo PdL alla Camera dei Deputati, Renato Brunettaafferma che: “Con la riforma Presidenziale Berlusconi è il nostro candidato vincente e chi ha paura di lui, ha paura della democrazia, mi fanno ridere quelle valutazioni che dicono no al presidenzialismo altrimenti viene eletto Berlusconi, che visione della democraziahanno costoro?”, chiede Brunetta, secondo il quale “la guerra civile non è mai dipesa dall’ex premier, ma da una parte della magistratura politicizzata che da quando ilCavaliere è sceso in campo l’ha demonizzato e l’ha sottoposto a mille processi sbagliati, inutili, fuorvianti”. Sul pronunciamento della Consulta atteso per ilarissimo 19 giugno su un leggittimo impedimento in merito ad un udienza del processo Mediaset che potrebbe annullare la condanna, Brunetta è certo: “La Corte Costituzionale si pronuncerà a favore del legittimo impedimento e darà torto ai giudici di Milano” di Manolo Lanaro
5 giugno 2013
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/ ... ia/235514/
In fondo sanno molto bene come manipolare i cervelli.
Possono spingersi a tanto perché sanno che non ci sarà nessuna reazione da parte degli italiani alla loro evidente provocazione. Non ha importanza che gli abbiano sciacquato il cervello per 3 mesi con la priorità del lavoro, delle imprese, delle famiglie.
Oggi sono perfettamente in grado in una situazione gravissima come questa di poter imporre la vera priorità dei bucaneros. Salvare il soldato Silvio.
Il presidenzialismo è uno dei mezzi per raggiungere lo scopo.
Il 28 febbraio 2013, la DSPMC (Direzione Strategica Per la Manipolazione dei Cervelli), ha impartito ordini ben precisi.
La strategia del dopo voto del Pdl doveva orientarsi verso due direttive:
1) Le caterinette e i bucanieri che venissero a contatto con qualsiasi tipo di media avrebbero dovuto propagandare la necessità primaria ed assoluta di un governo Pd – Pdl.
2) Questo perché le priorità assolute del Paese erano e sono, il lavoro, le imprese, le famiglie.
Il governo Pd – Pdl è stato realizzato ma nei successivi 40 giorni, la priorità lavoro, imprese, famiglie, non ha minimamente trovato posto.
La situazione è ovviamente gravissima ma al governo Berlusconi – Letta, che la situazione possa esplodere da un giorno con l’altro interessa relativamente.
Come la corte di Versailles nell’estate del 1789, anche ora si dimenticano le necessità popolari e non solo.
La casta di allora si comportò in modo identico alla casta di oggi.
Un breve passaggio de “La Rivoluzione francese” tratto da Wikipedia:
Nel maggio del 1788 a Grenoble le proteste delle famiglie, toccate profondamente dalla crisi economica, aumentarono notevolmente. L'esercito fu obbligato ad intervenire il 7 giugno, venendo accolto da tegole lanciate dai cittadini saliti sui tetti. Conseguentemente a questo avvenimento, ricordato come Giornata delle Tegole, il 21 luglio un'assemblea formata da nobiltà, clero e terzo stato si riunì al Castello di Vizille (vicino a Grenoble), dove decise di mettere in atto lo sciopero delle imposte. Incapace di ristabilire l'ordine, Luigi XVI l'8 agostoannunciò la convocazione degli Stati Generali per il 5 maggio 1789 (prima volta dal 1614
La situazione era già gravissima nel novembre 2011, ma lo è decisamente di più ora perché alla situazione di “zero lavoro” del mercato interno italiano, si aggiunge la recessione europea. Il mercato interno europeo è in crisi.
Persone normali, avrebbero dovuto prendere il coraggio a due mani e dare fondo a tutte le risorse italiane prima di oltrepassare il punto di non ritorno.
Ma dato che nella zona casta e istituzioni, di persone normali non si vede l’ombra, oltrepassare il punto di non ritorno è stato un gioco da ragazzi.
Gattopardescamente si è mutato l’assetto del governo, che risulta fortemente inadeguato rispetto al governo dei tecnici.
Ma ognuno ha i suoi interessi da portare avanti.
Il Caimano sente il fiato sul collo della magistratura e cerca tutte le strade per evitare di essere impigliato nella rete e messo in condizioni di non nuocere più.
Letta Enrico non ci sta a fare la figura dell’incapace alla sua prima esperienza alla guida del governo. E’ una questione personale.
Ed ecco che la fabbrica degli imbecilli è costretta a abbassare temporaneamente la maschera.
**
Presidenzialismo, Brunetta: “B. è il nostro candidato per il Colle”
Presidenzialismo, il capogruppo PdL alla Camera dei Deputati, Renato Brunettaafferma che: “Con la riforma Presidenziale Berlusconi è il nostro candidato vincente e chi ha paura di lui, ha paura della democrazia, mi fanno ridere quelle valutazioni che dicono no al presidenzialismo altrimenti viene eletto Berlusconi, che visione della democraziahanno costoro?”, chiede Brunetta, secondo il quale “la guerra civile non è mai dipesa dall’ex premier, ma da una parte della magistratura politicizzata che da quando ilCavaliere è sceso in campo l’ha demonizzato e l’ha sottoposto a mille processi sbagliati, inutili, fuorvianti”. Sul pronunciamento della Consulta atteso per ilarissimo 19 giugno su un leggittimo impedimento in merito ad un udienza del processo Mediaset che potrebbe annullare la condanna, Brunetta è certo: “La Corte Costituzionale si pronuncerà a favore del legittimo impedimento e darà torto ai giudici di Milano” di Manolo Lanaro
5 giugno 2013
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/ ... ia/235514/
In fondo sanno molto bene come manipolare i cervelli.
Possono spingersi a tanto perché sanno che non ci sarà nessuna reazione da parte degli italiani alla loro evidente provocazione. Non ha importanza che gli abbiano sciacquato il cervello per 3 mesi con la priorità del lavoro, delle imprese, delle famiglie.
Oggi sono perfettamente in grado in una situazione gravissima come questa di poter imporre la vera priorità dei bucaneros. Salvare il soldato Silvio.
Il presidenzialismo è uno dei mezzi per raggiungere lo scopo.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
Un Paese allo sbando - 1
Presidenzialismo un’idea mia.Napolitano e Letta vinceranno
(Marco Dolcetta).
07/06/2013 di triskel182
===============================================================
Ho scritto lo Schema di massima per un risanamento generale del Paese, detto anche Schema R nell’agosto 1975 insieme a Randolfo Pacciardi. Il piano di Rinascita, invece, lo abbiamo elaborato insieme nell’inverno del 1976”.
===============================================================
Chi parla è Licio Gelli ricordando come l’allora presidente Giovanni Leone gli avesse personalmente commissionato questo piano che prevedeva fra le varie voci un abbozzo di repubblica presidenziale molto simile a quello che, in questi giorni, sembrerebbe prendere forma in Italia.
“Già nel 1975 da certe carte che ho visto anni fa, Napolitano insieme a Arrigo Boldrini e ad altri, preparò un piano insurrezionale di stampo comunista che aveva poco a che fare con il sistema democratico che suscitò l’allora presidente Giovanni Leone, che ne era a conoscenza. Al piano di insurrezione, venne da me creato un contro piano, per opporsi al desiderio di insurrezione che maturò in Italia. Nel 1971 Leone ebbe una mano da parte della P2 che fu da me nobilitata a livello di elettori per eleggerlo, in tutti i partiti e divenne così presidente della Repubblica . Ebbe inizialmente una forma di riconoscenza nei mie confronti, poi dopo avergli presentato, come da sua richiesta il Piano R, ebbe un ripensamento e non volle più ricevermi”.
Risulta che subito dopo questo avvenimento Camilla Cederna fu spesso vista a Villa Wanda e sappiamo dopo cosa accadde a Leone e alla sua famiglia…
“Il Piano R consiste, fra l’altro, nella revisione della Costituzione del ’48 per trasformare l’Italia da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale; si prevede quindi la proclamazione di uno stato di “armistizio sociale” per un periodo non inferioreai due anni”.
È esattamente quello che dice oggi Berlusconi quando lui parla di fine di guerra civile fra i partiti e di necessaria militarizzazione delle periferie urbane. Gelli: “Nomina e insediamento di un ‘Comitato di coordinamento’ composto da non più di 11 membri, che dovrà avere pieni poteri per poter procedere al riesame di tutta la legislazione in vigore”.
Come non ricordare il Comitato dei saggi di Napolitano e quello nuovo del primo Ministro Enrico Letta.
CONTINUA: “Fra le altre cose da fare il ripristino dell’autorità del prefetto. Il ripristino del fermo di polizia, revisione e restrizione dei poteri della Corte costituzionale, l’impiego dell’esercito in operazioni di ordine pubblico, limitazione generalizzata del diritto di sciopero, riduzione del numero di quotidiani, settimanali e periodici, cosa che avviene anche per la crisi della pubblicità, fra l’altro, si prevede anche l’abolizione della prostituzione nei luoghi pubblici”.
Forse quest’ultimo provvedimento sarà di più difficile applicazione. Gelli procede dicendo, che “è necessaria più che mai oggi, procedere nella suddivisione dei poteri della giustizia, dividendo le pertinenze fra Gip e Pm e insite anche nel dover annualmente ed obbligatoriamente sottoporre anche a perizia psichica, così come si fa oggi per i piloti di aerei, così da prevenire casi di schizofrenia che secondo lui sono frequenti con ingenti danni per il cittadino inerme che cade in situazioni non controllabili e non bilanciate, visto che la suddivisione dei poteri giudiziari oggi non esiste”.
Gelli termina così: “Già dai tempi di Craxi, in cui fra Craxi e Napolitano esisteva un concreto asse di solidarietà, si tendeva in maniera mascherata a creare i presupposti di una repubblica presidenziale. Napolitano ci ha riprovato con Monti nei tempidell’imposizione dell’incauto tecnocrate alla presidenza del Consiglio, dopo averlo fatto senatore a vita in pochi minuti e dopo averlo in parte sponsorizzato nella suicida campagna elettorale dello scorso inverno. Oggi l’asse che pare vincente ha un solo cognome: Letta, magnificamente trasversale”.
Da La Repubblica del 07/06/2013.
Presidenzialismo un’idea mia.Napolitano e Letta vinceranno
(Marco Dolcetta).
07/06/2013 di triskel182
===============================================================
Ho scritto lo Schema di massima per un risanamento generale del Paese, detto anche Schema R nell’agosto 1975 insieme a Randolfo Pacciardi. Il piano di Rinascita, invece, lo abbiamo elaborato insieme nell’inverno del 1976”.
===============================================================
Chi parla è Licio Gelli ricordando come l’allora presidente Giovanni Leone gli avesse personalmente commissionato questo piano che prevedeva fra le varie voci un abbozzo di repubblica presidenziale molto simile a quello che, in questi giorni, sembrerebbe prendere forma in Italia.
“Già nel 1975 da certe carte che ho visto anni fa, Napolitano insieme a Arrigo Boldrini e ad altri, preparò un piano insurrezionale di stampo comunista che aveva poco a che fare con il sistema democratico che suscitò l’allora presidente Giovanni Leone, che ne era a conoscenza. Al piano di insurrezione, venne da me creato un contro piano, per opporsi al desiderio di insurrezione che maturò in Italia. Nel 1971 Leone ebbe una mano da parte della P2 che fu da me nobilitata a livello di elettori per eleggerlo, in tutti i partiti e divenne così presidente della Repubblica . Ebbe inizialmente una forma di riconoscenza nei mie confronti, poi dopo avergli presentato, come da sua richiesta il Piano R, ebbe un ripensamento e non volle più ricevermi”.
Risulta che subito dopo questo avvenimento Camilla Cederna fu spesso vista a Villa Wanda e sappiamo dopo cosa accadde a Leone e alla sua famiglia…
“Il Piano R consiste, fra l’altro, nella revisione della Costituzione del ’48 per trasformare l’Italia da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale; si prevede quindi la proclamazione di uno stato di “armistizio sociale” per un periodo non inferioreai due anni”.
È esattamente quello che dice oggi Berlusconi quando lui parla di fine di guerra civile fra i partiti e di necessaria militarizzazione delle periferie urbane. Gelli: “Nomina e insediamento di un ‘Comitato di coordinamento’ composto da non più di 11 membri, che dovrà avere pieni poteri per poter procedere al riesame di tutta la legislazione in vigore”.
Come non ricordare il Comitato dei saggi di Napolitano e quello nuovo del primo Ministro Enrico Letta.
CONTINUA: “Fra le altre cose da fare il ripristino dell’autorità del prefetto. Il ripristino del fermo di polizia, revisione e restrizione dei poteri della Corte costituzionale, l’impiego dell’esercito in operazioni di ordine pubblico, limitazione generalizzata del diritto di sciopero, riduzione del numero di quotidiani, settimanali e periodici, cosa che avviene anche per la crisi della pubblicità, fra l’altro, si prevede anche l’abolizione della prostituzione nei luoghi pubblici”.
Forse quest’ultimo provvedimento sarà di più difficile applicazione. Gelli procede dicendo, che “è necessaria più che mai oggi, procedere nella suddivisione dei poteri della giustizia, dividendo le pertinenze fra Gip e Pm e insite anche nel dover annualmente ed obbligatoriamente sottoporre anche a perizia psichica, così come si fa oggi per i piloti di aerei, così da prevenire casi di schizofrenia che secondo lui sono frequenti con ingenti danni per il cittadino inerme che cade in situazioni non controllabili e non bilanciate, visto che la suddivisione dei poteri giudiziari oggi non esiste”.
Gelli termina così: “Già dai tempi di Craxi, in cui fra Craxi e Napolitano esisteva un concreto asse di solidarietà, si tendeva in maniera mascherata a creare i presupposti di una repubblica presidenziale. Napolitano ci ha riprovato con Monti nei tempidell’imposizione dell’incauto tecnocrate alla presidenza del Consiglio, dopo averlo fatto senatore a vita in pochi minuti e dopo averlo in parte sponsorizzato nella suicida campagna elettorale dello scorso inverno. Oggi l’asse che pare vincente ha un solo cognome: Letta, magnificamente trasversale”.
Da La Repubblica del 07/06/2013.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
Presidenzialismo: L’idea di Licio Gelli prende corpo.
07/06/2013 di triskel182

07/06/2013 di triskel182

-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
UNO STRAPPO ALLA CARTA
(Stefano Rodotà).
07/06/2013 di triskel182
NEL tempo ingannevole della “pacificazione”, il conflitto giunge nel cuore del sistema e mette in discussione la stessa Costituzione. Una politica debole, da anni incapace di riflettere sulla propria crisi, compie una pericolosa opera di rimozione e imputa tutte le attuali difficoltà al testo costituzionale. Le forze presenti in Parlamento non ce la fanno a sciogliere i nodi tutti politici che hanno reso impossibile una decisione sull’elezione del Presidente della Repubblica? Colpa della Costituzione. “Je suis tombé par terre, c’est la faute à Voltaire”.
Imboccando questa strada, non si dedica la minima attenzione all’esperienza degli anni passati, alle manipolazioni istituzionali che, sbandierate come la soluzione d’ogni male, hanno aggravato i problemi che dicevano di voler risolvere, rendendo così la crisi sempre più aggrovigliata. Ho davanti a me le dichiarazioni di politici e commentatori, i saggi e i libri di politologi che, all’indomani della riforma elettorale del 1993, sostenevano che l’instaurato bipolarismo, con l’alternanza nel governo, avrebbe assicurato assoluta stabilità governativa, cancellato le pessime abitudini della Prima Repubblica con i suoi vertici di maggioranza e giochi di correnti, eliminato la corruzione. E tutto questo avveniva in un clima che svalutava la funzione rappresentativa delle Camere, attribuendo alle elezioni sostanzialmente la funzione di investire un governo e accentuando così la personalizzazione della politica e le inevitabili derive populiste.
Sappiamo come è andata a finire. E gli autori e i fautori di quella riforma oggi si limitano a lamentare il bipolarismo “rissoso” o “conflittuale”, senza un filo non dirò di autocritica, parola impropria, ma neppure di analisi seria e responsabile di quel che è accaduto. Eppure quel rischio era stato segnalato proprio nel momento in cui si imboccava la via referendaria alla riforma, suggerendo altre soluzioni. Ma non si volle riflettere intorno all’ambiente politico e istituzionale in cui quella riforma veniva calata, sulla dissoluzione in corso del vecchio sistema dei partiti e sulla inevitabile conflittualità che sarebbe derivata da una riforma che, invece di accompagnare una transizione difficile, esasperava proprio la logica del conflitto.
Oggi sembra tornare il tempo degli apprendisti stregoni e di una ingegneria costituzionale che, di nuovo, appare ignara del contesto in cui la riforma dovrebbe funzionare. Che cosa diranno gli odierni sostenitori di variegate forme di presidenzialismo quando, in un domani non troppo lontano, il “leaderismo carismatico” renderà palesi le sue conseguenze accentratrici, oligarchiche, autoritarie? Diranno che si trattava di effetti inattesi?
Questo ci porta al modo in cui si è voluto strutturare il processo di riforma. Si è abbandonata la procedura prevista dall’articolo 138 per la revisione costituzionale, norma di garanzia che dovrebbe sempre essere tenuta ferma proprio per evitare che la Costituzione possa essere cambiata per esigenze congiunturali e strumentali. Compaiono nuovi soggetti – una supercommissione parlamentare e una incredibile e pletorica commissione di esperti, con componenti a pieno titolo e “relatori”. Il Parlamento viene ritenuto inidoneo per affrontare il tema della riforma e così, consapevoli o meno, si è imboccata una strada tortuosa che finisce con il configurare una sorta di potere “costituente”, del tutto estraneo alla logica della revisione costituzionale, concepita e regolata come parte del sistema “costituito”. Sono rivelatrici le parole adoperate nella risoluzione parlamentare: “una procedura straordinaria di revisione costituzionale”. L’abbandono della linea indicata dalla Costituzione è dunque dichiarato.
Si entra così in una dimensione di dichiarata “discontinuità”, che apre ulteriori questioni. Quando si incide profondamente sulla forma di governo, come si dichiara di voler fare, si finisce con l’incidere anche sulla forma di Stato, come hanno messo in evidenza molti studiosi del diritto costituzionale. E, di fronte alla modifica della forma di governo e di Stato, si può porre un altro interrogativo. Queste modifiche sono compatibili con l’articolo 139 della Costituzione, dove si stabilisce che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”? Originata dalla volontà di impedire una restaurazione monarchica, questa norma è stata poi letta per definire quali siano gli elementi costitutivi della forma repubblicana così come è stata disegnata dall’insieme del testo costituzionale. Ne conseguirebbe che la modifica o l’eliminazione di uno di questi elementi sarebbe preclusa alla stessa revisione costituzionale. Sono nodi problematici, certamente. Che, tuttavia, non possono essere ignorati nel momento in cui si vuole intervenire sulla Costituzione abbandonando il modello di democrazia rappresentativa intorno al quale è stata costruita.
Ha osservato giustamente Gustavo Zagrebelsky che l’introduzione del presidenzialismo nel nostro paese “si risolverebbe in una misura non democratica, ma oligarchica. L’investitura d’un uomo solo al potere non è precisamente l’idea di una democrazia partecipativa che sta scritta nella Costituzione”. Il riferimento al “nostro paese” risponde proprio a quella necessità di valutare ogni riforma costituzionale nel contesto in cui è destinata ad operare. Sì che ha poco senso l’obiezione che il semipresidenzialismo, ad esempio, è adottato in un paese sicuramente democratico come la Francia. Questa obiezione, anzi, obbliga a riflettere sul fatto che la compatibilità di quel sistema con la democrazia è strettamente legata a un dato istituzionale – l’assenza in Francia di gravi fattori distorsivi, come il conflitto d’interessi o il controllo di una parte rilevantissima del sistema dei media; e a un dato politico — il rifiuto di usare il partito di Le Pen come stampella di uno dei due schieramenti in campo, mentre in Italia pure la destra estrema è stata arruolata sotto le bandiere di una coalizione pur di vincere.
Più sostanziale, tuttavia, è la contraddizione con il modello della democrazia partecipativa. Proprio nel momento in cui la necessità di questo modello si manifesta prepotentemente per le richieste dei cittadini e il mutamento continuo dello scenario tecnologico, finisce con l’apparire una pulsione suicida l’allontanarsi da esso, con evidenti effetti di delegittimazione ulteriore delle istituzioni e di conflitti che tutto ciò comporterebbe. Una revisione condotta secondo la logica costituzionale, e non contro di essa, esige proprio la valorizzazione di tutti gli strumenti della democrazia partecipativa già presenti nella Costituzione, tirando un filo che va dai referendum alle petizioni, alle proposte di legge di iniziativa popolare. Le proposte già ci sono, per quelle sull’iniziativa legislativa popolare basta una modifica dei regolamenti parlamentari, e questo aprirebbe canali di comunicazione con i cittadini dai quali la stessa democrazia rappresentativa si gioverebbe grandemente. Altrettanto chiare sono le proposte sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul superamento del bicameralismo paritario, su forme ragionevoli di rafforzamento della stabilità del governo attraverso strumenti come la sfiducia costruttiva. Si tratta di proposte largamente condivise, che potrebbero essere rapidamente approvate con benefici per l’efficienza del sistema senza curvature autoritarie. E che potrebbero essere affidate a singoli provvedimenti di riforma, senza ricorrere ad un unico “pacchetto” di riforme, più farraginoso per l’approvazione e che distorcerebbe il referendum popolare al quale la riforma dovrà essere sottoposta, che esige quesiti chiari e omogenei.
Vi è, dunque, un’altra linea di riforma istituzionale, sulla quale varrà la pena di insistere e già raccoglie un consenso vastissimo tra i cittadini, alla quale bisognerà offrire la possibilità di manifestarsi pienamente. Solo così potrà consolidarsi quella cultura costituzionale che oggi manca, ma che è assolutamente indispensabile, “capace di adeguare la Costituzione ma soprattutto di rispettarla”, come ha sottolineato opportunamente Ezio Mauro.
Da La Repubblica del 07/06/2013.
(Stefano Rodotà).
07/06/2013 di triskel182
NEL tempo ingannevole della “pacificazione”, il conflitto giunge nel cuore del sistema e mette in discussione la stessa Costituzione. Una politica debole, da anni incapace di riflettere sulla propria crisi, compie una pericolosa opera di rimozione e imputa tutte le attuali difficoltà al testo costituzionale. Le forze presenti in Parlamento non ce la fanno a sciogliere i nodi tutti politici che hanno reso impossibile una decisione sull’elezione del Presidente della Repubblica? Colpa della Costituzione. “Je suis tombé par terre, c’est la faute à Voltaire”.
Imboccando questa strada, non si dedica la minima attenzione all’esperienza degli anni passati, alle manipolazioni istituzionali che, sbandierate come la soluzione d’ogni male, hanno aggravato i problemi che dicevano di voler risolvere, rendendo così la crisi sempre più aggrovigliata. Ho davanti a me le dichiarazioni di politici e commentatori, i saggi e i libri di politologi che, all’indomani della riforma elettorale del 1993, sostenevano che l’instaurato bipolarismo, con l’alternanza nel governo, avrebbe assicurato assoluta stabilità governativa, cancellato le pessime abitudini della Prima Repubblica con i suoi vertici di maggioranza e giochi di correnti, eliminato la corruzione. E tutto questo avveniva in un clima che svalutava la funzione rappresentativa delle Camere, attribuendo alle elezioni sostanzialmente la funzione di investire un governo e accentuando così la personalizzazione della politica e le inevitabili derive populiste.
Sappiamo come è andata a finire. E gli autori e i fautori di quella riforma oggi si limitano a lamentare il bipolarismo “rissoso” o “conflittuale”, senza un filo non dirò di autocritica, parola impropria, ma neppure di analisi seria e responsabile di quel che è accaduto. Eppure quel rischio era stato segnalato proprio nel momento in cui si imboccava la via referendaria alla riforma, suggerendo altre soluzioni. Ma non si volle riflettere intorno all’ambiente politico e istituzionale in cui quella riforma veniva calata, sulla dissoluzione in corso del vecchio sistema dei partiti e sulla inevitabile conflittualità che sarebbe derivata da una riforma che, invece di accompagnare una transizione difficile, esasperava proprio la logica del conflitto.
Oggi sembra tornare il tempo degli apprendisti stregoni e di una ingegneria costituzionale che, di nuovo, appare ignara del contesto in cui la riforma dovrebbe funzionare. Che cosa diranno gli odierni sostenitori di variegate forme di presidenzialismo quando, in un domani non troppo lontano, il “leaderismo carismatico” renderà palesi le sue conseguenze accentratrici, oligarchiche, autoritarie? Diranno che si trattava di effetti inattesi?
Questo ci porta al modo in cui si è voluto strutturare il processo di riforma. Si è abbandonata la procedura prevista dall’articolo 138 per la revisione costituzionale, norma di garanzia che dovrebbe sempre essere tenuta ferma proprio per evitare che la Costituzione possa essere cambiata per esigenze congiunturali e strumentali. Compaiono nuovi soggetti – una supercommissione parlamentare e una incredibile e pletorica commissione di esperti, con componenti a pieno titolo e “relatori”. Il Parlamento viene ritenuto inidoneo per affrontare il tema della riforma e così, consapevoli o meno, si è imboccata una strada tortuosa che finisce con il configurare una sorta di potere “costituente”, del tutto estraneo alla logica della revisione costituzionale, concepita e regolata come parte del sistema “costituito”. Sono rivelatrici le parole adoperate nella risoluzione parlamentare: “una procedura straordinaria di revisione costituzionale”. L’abbandono della linea indicata dalla Costituzione è dunque dichiarato.
Si entra così in una dimensione di dichiarata “discontinuità”, che apre ulteriori questioni. Quando si incide profondamente sulla forma di governo, come si dichiara di voler fare, si finisce con l’incidere anche sulla forma di Stato, come hanno messo in evidenza molti studiosi del diritto costituzionale. E, di fronte alla modifica della forma di governo e di Stato, si può porre un altro interrogativo. Queste modifiche sono compatibili con l’articolo 139 della Costituzione, dove si stabilisce che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”? Originata dalla volontà di impedire una restaurazione monarchica, questa norma è stata poi letta per definire quali siano gli elementi costitutivi della forma repubblicana così come è stata disegnata dall’insieme del testo costituzionale. Ne conseguirebbe che la modifica o l’eliminazione di uno di questi elementi sarebbe preclusa alla stessa revisione costituzionale. Sono nodi problematici, certamente. Che, tuttavia, non possono essere ignorati nel momento in cui si vuole intervenire sulla Costituzione abbandonando il modello di democrazia rappresentativa intorno al quale è stata costruita.
Ha osservato giustamente Gustavo Zagrebelsky che l’introduzione del presidenzialismo nel nostro paese “si risolverebbe in una misura non democratica, ma oligarchica. L’investitura d’un uomo solo al potere non è precisamente l’idea di una democrazia partecipativa che sta scritta nella Costituzione”. Il riferimento al “nostro paese” risponde proprio a quella necessità di valutare ogni riforma costituzionale nel contesto in cui è destinata ad operare. Sì che ha poco senso l’obiezione che il semipresidenzialismo, ad esempio, è adottato in un paese sicuramente democratico come la Francia. Questa obiezione, anzi, obbliga a riflettere sul fatto che la compatibilità di quel sistema con la democrazia è strettamente legata a un dato istituzionale – l’assenza in Francia di gravi fattori distorsivi, come il conflitto d’interessi o il controllo di una parte rilevantissima del sistema dei media; e a un dato politico — il rifiuto di usare il partito di Le Pen come stampella di uno dei due schieramenti in campo, mentre in Italia pure la destra estrema è stata arruolata sotto le bandiere di una coalizione pur di vincere.
Più sostanziale, tuttavia, è la contraddizione con il modello della democrazia partecipativa. Proprio nel momento in cui la necessità di questo modello si manifesta prepotentemente per le richieste dei cittadini e il mutamento continuo dello scenario tecnologico, finisce con l’apparire una pulsione suicida l’allontanarsi da esso, con evidenti effetti di delegittimazione ulteriore delle istituzioni e di conflitti che tutto ciò comporterebbe. Una revisione condotta secondo la logica costituzionale, e non contro di essa, esige proprio la valorizzazione di tutti gli strumenti della democrazia partecipativa già presenti nella Costituzione, tirando un filo che va dai referendum alle petizioni, alle proposte di legge di iniziativa popolare. Le proposte già ci sono, per quelle sull’iniziativa legislativa popolare basta una modifica dei regolamenti parlamentari, e questo aprirebbe canali di comunicazione con i cittadini dai quali la stessa democrazia rappresentativa si gioverebbe grandemente. Altrettanto chiare sono le proposte sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul superamento del bicameralismo paritario, su forme ragionevoli di rafforzamento della stabilità del governo attraverso strumenti come la sfiducia costruttiva. Si tratta di proposte largamente condivise, che potrebbero essere rapidamente approvate con benefici per l’efficienza del sistema senza curvature autoritarie. E che potrebbero essere affidate a singoli provvedimenti di riforma, senza ricorrere ad un unico “pacchetto” di riforme, più farraginoso per l’approvazione e che distorcerebbe il referendum popolare al quale la riforma dovrà essere sottoposta, che esige quesiti chiari e omogenei.
Vi è, dunque, un’altra linea di riforma istituzionale, sulla quale varrà la pena di insistere e già raccoglie un consenso vastissimo tra i cittadini, alla quale bisognerà offrire la possibilità di manifestarsi pienamente. Solo così potrà consolidarsi quella cultura costituzionale che oggi manca, ma che è assolutamente indispensabile, “capace di adeguare la Costituzione ma soprattutto di rispettarla”, come ha sottolineato opportunamente Ezio Mauro.
Da La Repubblica del 07/06/2013.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Non è cosa vostra
Un Paese allo sbando - 2
IL MONARCA CAPRICCIOSO
(Antonio Padellaro).
07/06/2013 di triskel182
Il vero problema di Giorgio Napolitano sono i giornali.
Quelli (quasi tutti) che lo incensano da mane a sera, sempre pronti a mettere il violino automatico qualsiasi banalità scaturisca dalle auguste meningi, ma così abbagliati dal verbo del Colle da non vedere l’enormità di certe affermazioni dell’anziano presidente bis.
Lunedì 3 giugno infatti (quasi) tutta la stampa italiana ha scolpito sulle prime pagine la frase sul “governo a termine” pronunciata dal supremo monitore nei giardini del Quirinale.
Si trattava evidentemente di uno sconfinamento del tutto arbitrario del capo dello Stato dalle sue funzioni, ma (quasi) nessuno obiettò qualcosa, poiché – grazie ai giureconsulti di palazzo che tutto ingoiano in cambio di un gettone di presenza in qualche commissione – la Costituzione, come dice Camilleri, è bella che andata in vacca.
Tra le forze parlamentari ha reagito soltanto Grillo, chiedendo a che titolo Napolitano possa fissare un limite temporale al governo Letta, trattato come uno yogurt, ma la cosa è stata liquidata come la solita mattana dell’ex comico.
Il Fatto, però, non è stato zitto e ha chiesto il parere autorevole di Barbara Spinelli che, alla domanda di Silvia Truzzi sulla data di scadenza del governo (“una cosa mai vista”), ha risposto che Napolitano ha “forzato” la Carta e che ormai “il presidenzialismo c’è già”.
A questo punto, tre giorni dopo i titoli dei quotidiani mai smentiti, si sveglia il Quirinale, dice che si continua ad “accreditare il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente alla durata dell’attuale governo” e, udite udite, se la prende con la domanda della giornalista del Fatto, non avendo neppure il coraggio di contestare la risposta della Spinelli. C’è poco da aggiungere.
Che Napolitano si comporti come un monarca capriccioso non può sorprendere, visto che il governo delle larghe intese lo ha inventato lui miracolando Pd e Pdl che alle ultime elezioni hanno perso insieme dieci milioni di voti.
Idem per (quasi) tutta la stampa italiana che, a furia di sviolinate ai potenti, in cinque anni ha perso un milione di copie e svariati milioni di lettori e ora, col cappello in mano, elemosina nuovi contributi e incentivi.
P.S. Titolo di ieri sul sito del Corriere della Sera (che lunedì come gli altri aveva annunciato il governo a termine): “Il Quirinale smentisce il Fatto”. Più chiaro di così.
Da Il Fatto Quotidiano del 07/06/2013.
IL MONARCA CAPRICCIOSO
(Antonio Padellaro).
07/06/2013 di triskel182
Il vero problema di Giorgio Napolitano sono i giornali.
Quelli (quasi tutti) che lo incensano da mane a sera, sempre pronti a mettere il violino automatico qualsiasi banalità scaturisca dalle auguste meningi, ma così abbagliati dal verbo del Colle da non vedere l’enormità di certe affermazioni dell’anziano presidente bis.
Lunedì 3 giugno infatti (quasi) tutta la stampa italiana ha scolpito sulle prime pagine la frase sul “governo a termine” pronunciata dal supremo monitore nei giardini del Quirinale.
Si trattava evidentemente di uno sconfinamento del tutto arbitrario del capo dello Stato dalle sue funzioni, ma (quasi) nessuno obiettò qualcosa, poiché – grazie ai giureconsulti di palazzo che tutto ingoiano in cambio di un gettone di presenza in qualche commissione – la Costituzione, come dice Camilleri, è bella che andata in vacca.
Tra le forze parlamentari ha reagito soltanto Grillo, chiedendo a che titolo Napolitano possa fissare un limite temporale al governo Letta, trattato come uno yogurt, ma la cosa è stata liquidata come la solita mattana dell’ex comico.
Il Fatto, però, non è stato zitto e ha chiesto il parere autorevole di Barbara Spinelli che, alla domanda di Silvia Truzzi sulla data di scadenza del governo (“una cosa mai vista”), ha risposto che Napolitano ha “forzato” la Carta e che ormai “il presidenzialismo c’è già”.
A questo punto, tre giorni dopo i titoli dei quotidiani mai smentiti, si sveglia il Quirinale, dice che si continua ad “accreditare il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente alla durata dell’attuale governo” e, udite udite, se la prende con la domanda della giornalista del Fatto, non avendo neppure il coraggio di contestare la risposta della Spinelli. C’è poco da aggiungere.
Che Napolitano si comporti come un monarca capriccioso non può sorprendere, visto che il governo delle larghe intese lo ha inventato lui miracolando Pd e Pdl che alle ultime elezioni hanno perso insieme dieci milioni di voti.
Idem per (quasi) tutta la stampa italiana che, a furia di sviolinate ai potenti, in cinque anni ha perso un milione di copie e svariati milioni di lettori e ora, col cappello in mano, elemosina nuovi contributi e incentivi.
P.S. Titolo di ieri sul sito del Corriere della Sera (che lunedì come gli altri aveva annunciato il governo a termine): “Il Quirinale smentisce il Fatto”. Più chiaro di così.
Da Il Fatto Quotidiano del 07/06/2013.
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Amazon [Bot], Semrush [Bot] e 31 ospiti