Quale governo ?
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Re: Quale governo ?
il Fatto 12.6.13
Il risultato delle amministrative
I Letta hanno tifato fino all’ultimo, per il pareggio. Ma non è stato possibile e nonostante il Pd il centro sinistra vince. Con triplo salto mortale il Letta Presidente, commenta che il voto rafforza la coalizione. Non si è accorto che ha vinto il centro sinistra -nonostante lui e il suo inciuciante Pd - e che la maggioranza del Paese è fatta da centro sinistra più Movimento Cinque Stelle: l’altro governo possibile. Purché anche questi ultimi si rendano conto di aver vinto. Se così fosse, sarebbe questa la novità: la consapevolezza di essere maggioranza e dunque di avere la responsabilità di governare. Forse potrebbe addirittura diminuire la preoccupante maggioranza degli astensionisti che troverebbero nuove motivazioni di esprimersi e contare nelle scelte che il Paese deve affrontare per decidere il nostro futuro e che l’attuale “volemose bene” frustra irrimediabilmente.
Melquiades
Il risultato delle amministrative
I Letta hanno tifato fino all’ultimo, per il pareggio. Ma non è stato possibile e nonostante il Pd il centro sinistra vince. Con triplo salto mortale il Letta Presidente, commenta che il voto rafforza la coalizione. Non si è accorto che ha vinto il centro sinistra -nonostante lui e il suo inciuciante Pd - e che la maggioranza del Paese è fatta da centro sinistra più Movimento Cinque Stelle: l’altro governo possibile. Purché anche questi ultimi si rendano conto di aver vinto. Se così fosse, sarebbe questa la novità: la consapevolezza di essere maggioranza e dunque di avere la responsabilità di governare. Forse potrebbe addirittura diminuire la preoccupante maggioranza degli astensionisti che troverebbero nuove motivazioni di esprimersi e contare nelle scelte che il Paese deve affrontare per decidere il nostro futuro e che l’attuale “volemose bene” frustra irrimediabilmente.
Melquiades
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Re: Quale governo ?
Da pagina 2 del cartaceo di Repubblica
E’ scontro sull’aumento dell’Iva
il governo non garantisce lo stop
fischi dei commercianti a Zanonato
**
La recessione
Le stime della Confcommercio sulla perdita del potere di acquisto negli anni della crisi
Ogni famiglia ha perso 3400 euro
Ritorno alla normalità solo nel 2036
di Luisa Gironi
Note:
1) Il dato del 2036 potrebbe essere reale se tutto riprendesse i ritmi normali. Ma da come l’uomo bestia sta impostando l’economia mondiale molto prima ci sarà un patatrak.
2) Il sindaco “battutista” di Firenze, alla ricerca di consenso e applausi sul palco fiorentino della Festa delle idee de La Repubblica, ha dichiarato:
La CGIL fà terrorismo. Dice che tutto andrà a posto nel 2076.
Primo: La CGIL non ha mai citato il 2076. E’ stata una valutazione volutamente arbitraria del sindaco di Firenze. La stima dichiarata era di 13 anni.
Secondo: La stima CGIL oggi risulta di 10 anni inferiore alla stima Confcommercio.
Chissà a questo punto chi è che fa terrorismo solo per fare il piacione?
Al pubblico fiorentino la battuta è piaciuta.
Pagina 3
Tasse fino al 74% del reddito
così la pressione fiscale
affonda le piccole imprese
Servono 254 per pagarle. Record a Bologna
di Valentina Conte
Nota
Letta ieri ha dichiarato:
<<Senza lavoro non ci salviamo>>
*
Senza commento
***
Pagina 5
Il colloquio
“Le larghe intese non funzionano
Tra un anno il governo può cadere
così l’Italia stenterà a ripartire
Bersani: niente veti su Renzi ma non voglio padroni
Nota
L’Italia sta affondando con progressiva accelerazione da quando c’è stata la grande ammucchiata nel 2011.
E’ scontro sull’aumento dell’Iva
il governo non garantisce lo stop
fischi dei commercianti a Zanonato
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La recessione
Le stime della Confcommercio sulla perdita del potere di acquisto negli anni della crisi
Ogni famiglia ha perso 3400 euro
Ritorno alla normalità solo nel 2036
di Luisa Gironi
Note:
1) Il dato del 2036 potrebbe essere reale se tutto riprendesse i ritmi normali. Ma da come l’uomo bestia sta impostando l’economia mondiale molto prima ci sarà un patatrak.
2) Il sindaco “battutista” di Firenze, alla ricerca di consenso e applausi sul palco fiorentino della Festa delle idee de La Repubblica, ha dichiarato:
La CGIL fà terrorismo. Dice che tutto andrà a posto nel 2076.
Primo: La CGIL non ha mai citato il 2076. E’ stata una valutazione volutamente arbitraria del sindaco di Firenze. La stima dichiarata era di 13 anni.
Secondo: La stima CGIL oggi risulta di 10 anni inferiore alla stima Confcommercio.
Chissà a questo punto chi è che fa terrorismo solo per fare il piacione?
Al pubblico fiorentino la battuta è piaciuta.
Pagina 3
Tasse fino al 74% del reddito
così la pressione fiscale
affonda le piccole imprese
Servono 254 per pagarle. Record a Bologna
di Valentina Conte
Nota
Letta ieri ha dichiarato:
<<Senza lavoro non ci salviamo>>
*
Senza commento
***
Pagina 5
Il colloquio
“Le larghe intese non funzionano
Tra un anno il governo può cadere
così l’Italia stenterà a ripartire
Bersani: niente veti su Renzi ma non voglio padroni
Nota
L’Italia sta affondando con progressiva accelerazione da quando c’è stata la grande ammucchiata nel 2011.
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Re: Quale governo ?
Lievitulì, lievitulà - 1
Ci avevano detto 2 miliardi per l’Iva, adesso sono lievitati a 4 miliardi su base annua.
Saccomanni in difficoltà.
Tagli alle cosche Nooooooooooo………..Non se po’ dì,…non se po’ fa???????????????????????????????
SACCOMANNI INTERVIENE ALLA CAMERA
«Per Imu e Iva servono 8 miliardi»
Ma le risorse non sono «rinvenibili»
Il ministro Saccomanni sull'eliminazione delle imposte: «Servono tagli severi, tutte le ipotesi allo studio». Ma al momento non sembrano esserci alternative percorribili. Anche Zanonato conferma: «Non ci sono soldi»
http://www.corriere.it/economia/13_giug ... 64c6.shtml
Ci avevano detto 2 miliardi per l’Iva, adesso sono lievitati a 4 miliardi su base annua.
Saccomanni in difficoltà.
Tagli alle cosche Nooooooooooo………..Non se po’ dì,…non se po’ fa???????????????????????????????
SACCOMANNI INTERVIENE ALLA CAMERA
«Per Imu e Iva servono 8 miliardi»
Ma le risorse non sono «rinvenibili»
Il ministro Saccomanni sull'eliminazione delle imposte: «Servono tagli severi, tutte le ipotesi allo studio». Ma al momento non sembrano esserci alternative percorribili. Anche Zanonato conferma: «Non ci sono soldi»
http://www.corriere.it/economia/13_giug ... 64c6.shtml
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Re: Quale governo ?
Nomine e Iva, grossi guai per Letta
(Stefano Feltri).
13/06/2013 di triskel182
I COMMERCIANTI FISCHIANO IL MINISTRO ZANONATO, SCONTRO SULLA NORMA SALVA-BOIARDI.
Fischi e nomine pubbliche: in un giorno solo il governo Letta deve affrontare due problemi non piccoli. Il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato si presenta davanti alla platea della Confcommercio che non gradisce le sue parole: “Mi piacerebbe essere qua a dirvi che l’Iva non aumenta, vorrei ma non lo posso fare”. Il ministro è onesto: nonostante quanto promette il Pdl con il capogruppo alla Camera Rena-to Brunetta, al governo nessuno ha idea di dove si possono trovare i soldi (un paio di miliardi nel 2013 per rinviare il problema e poi 4 miliardi all’anno dal 2014). L’aumento dell’aliquota Iva dal 21 al 22 per cento a luglio pare scontato. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni prova a limitare i danni spostando beni da un’aliquota all’altra (ce ne sono tre, 4, 10 e 21 per cento), ma non è certo la panacea. Anche perchè Enrico Letta e i suoi ministri temono che, promettendo interventi senza coperture, il coordinamento dei ministri economici dell’area euro, l’Ecofin, possa avere qualche obiezione sulla proposta della Commissione europea di chiudere la procedura d’infrazione per deficit eccessivo. E allora sì che sarebbero problemi, soprattutto sui mercati finanziari, ma anche al prossimo Consiglio europeo di fine giugno in cui il premier cerca fondi per l’occupazione.
I COMMERCIANTI sono ben consapevoli dell’impatto che questo aumento delle liquote -e quindi dei prezzi – avrà sui consumi (i livelli pre crisi, dicono con una stima un po’ grezza ma efficace, li vedremo di nuovo nel 2036). E quindi fischiano Zanonato. Solo applausi per Enrico Letta, invece, al congresso della Cisl: il segretario Raffaele Bonanni chiede “uno choc fiscale”, cioè un drastico taglio delle tasse. Letta applaude. È d’accordo che la priorità sia il lavoro e dice che le parole di Bonanni “le sento profondamente radicate nel cuore e nella testa”. Ma anche qui sarà difficile andare oltre le promesse.
Alla Camera invece le cose sono piuttosto concrete perché si parla di nomine nelle società partecipate dal Tesoro: Fin-meccanica, Eni, Enel, in totale 190 poltrone. Raccontano che il viceministro Stefano Fassina (Pd) si sia infuriato quando ha visto come era cambiata la cosiddetta “mozione Tomaselli” (non vincolante per il governo, ma che funge da base per le nuove regole sulle nomine) era stata modificata, complice un vertice tra Luigi Zanda (Pd) e Renato Schifani (Pdl). Nella prima versione c’era il “comma C” che prevedeva di introdurre “limiti di età” (70 anni) e il numero di mandati (3) nella stessa azienda, limiti a cui si poteva derogare solo dimostrando che sul mercato non c’era proprio nessuno adatto al ruolo. Nella nuova versione della mozione il comma C è completamente diverso , addio ai limiti. Fassina non ha gradito. Perché è chiaro nell’interesse di chi è stato fatto il cambiamento: l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni sta completando il terzo mandato, idem Mauro Moretti alle Ferrovie dello Stato e Fulvio Conti dell’Enel, per non parlare di Massimo Sarmi a Poste Italiane. Il limite di età avrebbe potuto penalizzare l’ambasciatore Gianni Castellaneta (71 anni) che è uno dei papabili per la presidenza di Fin-meccanica. In alcuni casi gli statuti delle società controllate dal Tesoro vietano già il terzo mandato, ma meglio non rischiare introducendo pericolosi precedenti. Il Pdl in particolare si sarebbe speso per far sparire il comma C, sperando di poter dare un contributo decisivo alla scelta di chi dovrà occupare (o continuare a occupare) le poltrone più potenti.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/06/2013.
(Stefano Feltri).
13/06/2013 di triskel182
I COMMERCIANTI FISCHIANO IL MINISTRO ZANONATO, SCONTRO SULLA NORMA SALVA-BOIARDI.
Fischi e nomine pubbliche: in un giorno solo il governo Letta deve affrontare due problemi non piccoli. Il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato si presenta davanti alla platea della Confcommercio che non gradisce le sue parole: “Mi piacerebbe essere qua a dirvi che l’Iva non aumenta, vorrei ma non lo posso fare”. Il ministro è onesto: nonostante quanto promette il Pdl con il capogruppo alla Camera Rena-to Brunetta, al governo nessuno ha idea di dove si possono trovare i soldi (un paio di miliardi nel 2013 per rinviare il problema e poi 4 miliardi all’anno dal 2014). L’aumento dell’aliquota Iva dal 21 al 22 per cento a luglio pare scontato. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni prova a limitare i danni spostando beni da un’aliquota all’altra (ce ne sono tre, 4, 10 e 21 per cento), ma non è certo la panacea. Anche perchè Enrico Letta e i suoi ministri temono che, promettendo interventi senza coperture, il coordinamento dei ministri economici dell’area euro, l’Ecofin, possa avere qualche obiezione sulla proposta della Commissione europea di chiudere la procedura d’infrazione per deficit eccessivo. E allora sì che sarebbero problemi, soprattutto sui mercati finanziari, ma anche al prossimo Consiglio europeo di fine giugno in cui il premier cerca fondi per l’occupazione.
I COMMERCIANTI sono ben consapevoli dell’impatto che questo aumento delle liquote -e quindi dei prezzi – avrà sui consumi (i livelli pre crisi, dicono con una stima un po’ grezza ma efficace, li vedremo di nuovo nel 2036). E quindi fischiano Zanonato. Solo applausi per Enrico Letta, invece, al congresso della Cisl: il segretario Raffaele Bonanni chiede “uno choc fiscale”, cioè un drastico taglio delle tasse. Letta applaude. È d’accordo che la priorità sia il lavoro e dice che le parole di Bonanni “le sento profondamente radicate nel cuore e nella testa”. Ma anche qui sarà difficile andare oltre le promesse.
Alla Camera invece le cose sono piuttosto concrete perché si parla di nomine nelle società partecipate dal Tesoro: Fin-meccanica, Eni, Enel, in totale 190 poltrone. Raccontano che il viceministro Stefano Fassina (Pd) si sia infuriato quando ha visto come era cambiata la cosiddetta “mozione Tomaselli” (non vincolante per il governo, ma che funge da base per le nuove regole sulle nomine) era stata modificata, complice un vertice tra Luigi Zanda (Pd) e Renato Schifani (Pdl). Nella prima versione c’era il “comma C” che prevedeva di introdurre “limiti di età” (70 anni) e il numero di mandati (3) nella stessa azienda, limiti a cui si poteva derogare solo dimostrando che sul mercato non c’era proprio nessuno adatto al ruolo. Nella nuova versione della mozione il comma C è completamente diverso , addio ai limiti. Fassina non ha gradito. Perché è chiaro nell’interesse di chi è stato fatto il cambiamento: l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni sta completando il terzo mandato, idem Mauro Moretti alle Ferrovie dello Stato e Fulvio Conti dell’Enel, per non parlare di Massimo Sarmi a Poste Italiane. Il limite di età avrebbe potuto penalizzare l’ambasciatore Gianni Castellaneta (71 anni) che è uno dei papabili per la presidenza di Fin-meccanica. In alcuni casi gli statuti delle società controllate dal Tesoro vietano già il terzo mandato, ma meglio non rischiare introducendo pericolosi precedenti. Il Pdl in particolare si sarebbe speso per far sparire il comma C, sperando di poter dare un contributo decisivo alla scelta di chi dovrà occupare (o continuare a occupare) le poltrone più potenti.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/06/2013.
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Re: Quale governo ?
L’aumento di un punto dell’Iva
Caso 1
Ammettiamo di andare ad acquistare un cocomero direttamente dal contadino
In quel caso il prezzo lievita in base al punto di aumento dell’Iva
Caso 2
Ci sono prodotti che a causa di una serie di trasformazioni e trasporti sommano il punto dell’aumento Iva.
Ci possono essere fino a 6 passaggi.
Ergo,l’utilizzatore finale (che non è Berlusconi) si ritroverà con sei aumenti in un colpo solo.
Hai voglia a far calare i consumi.
Caso 1
Ammettiamo di andare ad acquistare un cocomero direttamente dal contadino
In quel caso il prezzo lievita in base al punto di aumento dell’Iva
Caso 2
Ci sono prodotti che a causa di una serie di trasformazioni e trasporti sommano il punto dell’aumento Iva.
Ci possono essere fino a 6 passaggi.
Ergo,l’utilizzatore finale (che non è Berlusconi) si ritroverà con sei aumenti in un colpo solo.
Hai voglia a far calare i consumi.
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Re: Quale governo ?
Ma non siamo senza soldi????????????????????????????????????????????????
F-35, di nascosto il Governo ne ordina altri sette (e fanno dieci)
di Toni De Marchi |
13 giugno 2013Commenti (63)
Più informazioni su: Difesa, F35, Giampaolo Di Paola, Giappone, Governo Letta, Lockheed Martin, Ministero della Difesa, ordini, Parlamento.
Zitto zitto, quatto quatto. Ve li ricordati i fumetti? Paperino, mi pare. Oppure il Gatto Silvestro? Ogni tanto spuntava questo articolato fonosimbolismo e uno non poteva non immaginare il nostro mentre strisciava pancia a terra mentre preparava qualcosa di innominabile.
Bene, pare che qualche appassionato di fumetti che sta (o stava) al Governo abbia fatto lo stesso con l’F-35 e nei mesi (settimane?, non si sa) scorsi abbia ordinato alla chetichella altri sette F-35 oltre ai tre che già sapevamo. La cosa è ufficialissima, non un’indiscrezione: è infatti un comunicato inviato ai giornalisti il 13 giugno dalla Lockheed Martin che ce lo racconta. Secondo la ditta statunitense oltre ai tre esemplari appartenenti alla cosiddetta LRIP-6 (Low Rate Initial Production, produzione iniziale a basso rateo) della versione F-35A a decollo convenzionale, ne sono già stati ordinati altri 3 della LRIP-7 e 4 della LRIP-8, sempre della stessa versione destinata all’Aeronautica Militare.
Sarà che mi è sfuggito qualche passaggio, e attendo smentite in questo caso, ma a me risultavano solo tre ordini. Lo disse anche il generale di squadra aerea Claudio Debertolis, Segretario generale della Difesa, il 1° febbraio 2012 alla commissione Difesa della Camera: “Noi intendiamo stipulare un contratto per tre aerei che ci serviranno a validare la FACO e per dimostrare che riusciamo a realizzare la produzione” (Resoconto stenografico dell’audizione, pagina 15). Ma gli aerei adesso sono dieci, quando la FACO ancora non ha cominciato a produrre. Dunque che validazione è stata fatta con i primi tre? Nessuna. Un’altra delle tante cose inventate e buttate là al Parlamento sperando che si accontenti, a cominciare dai fantomatici 80 milioni di dollari per aereo che lo stesso Debertolis disse sarebbe stato il costo degli F-35 comperati dall’Italia, salvo poi essere smentito pochi mesi dopo.
È vero che l’ammiraglio-ministro Di Paola disse che avremmo comperato 91 F-35 delle varie versioni, ma nessuno aveva mai detto che l’intenzione si stava tramutando in ordini. Rendendo così inutile e vuoto il dibattito che c’è da mesi in Parlamento sulla questione. Perché, se gli ordini sono stati fatti, tutto diventa più difficile. Non si potranno annullare se non pagando forti penalità, mentre finora non c’erano impegni definiti e dunque nessuna penale eventualmente da pagare nel caso si fosse cambiato idea.
Tra l’altro la notizia arriva mentre il Giappone, proprio in questi giorni, sta ripensando all’acquisto perché i prezzi sono aumentati troppo, mentre l’Olanda deve decidere se ridurre il suo ordine e il Canada ha rinviato di un bel po’ ogni decisione.
Inoltre, ordinandoli oggi li paghiamo ai prezzi di oggi, cioè attorno ai 200 milioni di dollari a esemplare. Ci hanno raccontato, nei mesi scorsi, che i costi erano destinati a diminuire nei prossimi anni e noi avremmo comperato aerei che sarebbero costati molto meno di quello che costano oggi. Credo servano risposte, subito, e fatti certi. Il Parlamento deve chiedere di vedere i contratti e sapere chi li ha firmati e autorizzati.
F-35, di nascosto il Governo ne ordina altri sette (e fanno dieci)
di Toni De Marchi |
13 giugno 2013Commenti (63)
Più informazioni su: Difesa, F35, Giampaolo Di Paola, Giappone, Governo Letta, Lockheed Martin, Ministero della Difesa, ordini, Parlamento.
Zitto zitto, quatto quatto. Ve li ricordati i fumetti? Paperino, mi pare. Oppure il Gatto Silvestro? Ogni tanto spuntava questo articolato fonosimbolismo e uno non poteva non immaginare il nostro mentre strisciava pancia a terra mentre preparava qualcosa di innominabile.
Bene, pare che qualche appassionato di fumetti che sta (o stava) al Governo abbia fatto lo stesso con l’F-35 e nei mesi (settimane?, non si sa) scorsi abbia ordinato alla chetichella altri sette F-35 oltre ai tre che già sapevamo. La cosa è ufficialissima, non un’indiscrezione: è infatti un comunicato inviato ai giornalisti il 13 giugno dalla Lockheed Martin che ce lo racconta. Secondo la ditta statunitense oltre ai tre esemplari appartenenti alla cosiddetta LRIP-6 (Low Rate Initial Production, produzione iniziale a basso rateo) della versione F-35A a decollo convenzionale, ne sono già stati ordinati altri 3 della LRIP-7 e 4 della LRIP-8, sempre della stessa versione destinata all’Aeronautica Militare.
Sarà che mi è sfuggito qualche passaggio, e attendo smentite in questo caso, ma a me risultavano solo tre ordini. Lo disse anche il generale di squadra aerea Claudio Debertolis, Segretario generale della Difesa, il 1° febbraio 2012 alla commissione Difesa della Camera: “Noi intendiamo stipulare un contratto per tre aerei che ci serviranno a validare la FACO e per dimostrare che riusciamo a realizzare la produzione” (Resoconto stenografico dell’audizione, pagina 15). Ma gli aerei adesso sono dieci, quando la FACO ancora non ha cominciato a produrre. Dunque che validazione è stata fatta con i primi tre? Nessuna. Un’altra delle tante cose inventate e buttate là al Parlamento sperando che si accontenti, a cominciare dai fantomatici 80 milioni di dollari per aereo che lo stesso Debertolis disse sarebbe stato il costo degli F-35 comperati dall’Italia, salvo poi essere smentito pochi mesi dopo.
È vero che l’ammiraglio-ministro Di Paola disse che avremmo comperato 91 F-35 delle varie versioni, ma nessuno aveva mai detto che l’intenzione si stava tramutando in ordini. Rendendo così inutile e vuoto il dibattito che c’è da mesi in Parlamento sulla questione. Perché, se gli ordini sono stati fatti, tutto diventa più difficile. Non si potranno annullare se non pagando forti penalità, mentre finora non c’erano impegni definiti e dunque nessuna penale eventualmente da pagare nel caso si fosse cambiato idea.
Tra l’altro la notizia arriva mentre il Giappone, proprio in questi giorni, sta ripensando all’acquisto perché i prezzi sono aumentati troppo, mentre l’Olanda deve decidere se ridurre il suo ordine e il Canada ha rinviato di un bel po’ ogni decisione.
Inoltre, ordinandoli oggi li paghiamo ai prezzi di oggi, cioè attorno ai 200 milioni di dollari a esemplare. Ci hanno raccontato, nei mesi scorsi, che i costi erano destinati a diminuire nei prossimi anni e noi avremmo comperato aerei che sarebbero costati molto meno di quello che costano oggi. Credo servano risposte, subito, e fatti certi. Il Parlamento deve chiedere di vedere i contratti e sapere chi li ha firmati e autorizzati.
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Re: Quale governo ?
L'EX PREMIER
Iva, Berlusconi attacca i patti dell' Ue
Letta: «Riflessi al G8? Nessuna eco»
L'ex premier: «Sforiamo i vincoli di bilancio, tanto
non ci cacciano. Inaccettabile che non si trovino i fondi»
«Congelare» l'aumento dell'Iva è fondamentale. E per farlo il governo deve «sforare» il limite del 3% del rapporto deficit/Pil, nonostante gli impegni presi con l'Ue, «tanto non ci cacciano». Sono le parole pronunciate dall'ex premier Silvio Berlusconi che è intervenuto all'inaugurazione di una casa di cura sui Colli di Pontida, in provincia di Bergamo. «Si dice che il Governo stia affannosamente cercando 8 miliardi - ha detto il Cavaliere - ma quale azienda, non si possono tagliare i costi dell'1%? È veramente una cosa non accettabile che non si riescano a trovare questi fondi». «Il governo non potrà mai creare lavoro - ha aggiunto Berlusconi - il lavoro lo possono creare solo gli imprenditori, dobbiamo sostenere questi capitani coraggiosi che oggi dobbiamo chiamare eroi».
PATTI UE - Silvio Berlusconi ha quindi parlato di Ue e di fiscal compact. Appena insediato il governo Letta ha infatti confermato l'impegno a mantenere il deficit entro il 2,9% del Pil nel 2013 per non compromettere l'uscita dalla procedura per deficit eccessivo decisa dalla Commissione europea il 29 maggio. «Si dice che l'Unione europea non lo consente perchè superiamo il 3% del debito - ha detto il Cavaliere sempre a proposito del taglio dei costi - Andiamo sopra il Patto fiscale, il Fiscal compact e il debito. Bisogna che qualcuno nel governo abbia il coraggio e l'autorità di andare a Bruxelles e di dire a quei signori: noi siamo in queste condizioni perchè ci avete cacciato voi con la vostra dannata politica di austerità. Dobbiamo rimettere a posto le cose, da qui in avanti il limite del 3% del Fiscal compact ve lo potete dimenticare». Berlusconi è tornato più volte, nel corso del suo intervento, sull'atteggiamento da tenere in Europa. «Bisogna che chi va su non sbatta i tacchi di fronte a queste autorità di Bruxelles che, per nove anni di esperienza che ho io - ha detto il Cavaliere - a trattare a Bruxelles sono sempre quelli che tutti i Paesi mandano lì perchè li vogliono mandare via».
LETTA - Quasi immediata la risposta di Palazzo Chigi: rispetteremo gli impegni di bilancio, la nostra posizione resta la stessa ed è stata ribadita anche nell'incontro di sabato con il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. Poi in serata anche l'intervento di Enrico Letta che sta partecipando al summit del G8 in Irlanda del Nord. «Nella sessione sull'economia ho ribadito l'impegno a mantenere i patti con l'Unione europea, in particolare la regola del 3%», ha detto il premier, secondo quanto viene riferito, a conclusione dell'incontro tra gli Otto grandi sulla crisi economica. «Sulle affermazioni di Berlusconi - ha aggiunto Letta - dentro la sala non c'è stata nessuna eco, nessun rilievo, non ne hanno parlato neanche. Probabilmente non sono stati neppure informati».
ROTTAMAZIONE - Il Cavaliere inizialmente non voleva prendere la parola, ma poi ha ceduto all'invito dei presenti e ha iniziato a parlare a braccio proprio con la battuta sulla sua «rottamazione». «Tutti mi vogliono rottamare ed io ho portato qui le mie cose perchè sono il primo ospite di questa struttura», ha scherzato il Cavaliere. Il tema della sua «rottamazione» lo ha poi ripreso alla fine del discorso, dopo aver parlato di politica ed economia, per sorridere di chi a suo dire lo vuole rottamare, spiegando che la casa di cura che ha inaugurato sarebbe la cornice ideale per trasferirsi. Berlusconi ha anche garantito di non essere «una mummia», come sostiene Beppe Grillo e ha metaforicamente invitato a toccarlo: «Non sono truccato - ha garantito -, sono bello di natura così. Devo ringraziare solo mamma e papà».
Redazione Online
17 giugno 2013 | 21:12
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http://www.corriere.it/politica/13_giug ... b462.shtml
Iva, Berlusconi attacca i patti dell' Ue
Letta: «Riflessi al G8? Nessuna eco»
L'ex premier: «Sforiamo i vincoli di bilancio, tanto
non ci cacciano. Inaccettabile che non si trovino i fondi»
«Congelare» l'aumento dell'Iva è fondamentale. E per farlo il governo deve «sforare» il limite del 3% del rapporto deficit/Pil, nonostante gli impegni presi con l'Ue, «tanto non ci cacciano». Sono le parole pronunciate dall'ex premier Silvio Berlusconi che è intervenuto all'inaugurazione di una casa di cura sui Colli di Pontida, in provincia di Bergamo. «Si dice che il Governo stia affannosamente cercando 8 miliardi - ha detto il Cavaliere - ma quale azienda, non si possono tagliare i costi dell'1%? È veramente una cosa non accettabile che non si riescano a trovare questi fondi». «Il governo non potrà mai creare lavoro - ha aggiunto Berlusconi - il lavoro lo possono creare solo gli imprenditori, dobbiamo sostenere questi capitani coraggiosi che oggi dobbiamo chiamare eroi».
PATTI UE - Silvio Berlusconi ha quindi parlato di Ue e di fiscal compact. Appena insediato il governo Letta ha infatti confermato l'impegno a mantenere il deficit entro il 2,9% del Pil nel 2013 per non compromettere l'uscita dalla procedura per deficit eccessivo decisa dalla Commissione europea il 29 maggio. «Si dice che l'Unione europea non lo consente perchè superiamo il 3% del debito - ha detto il Cavaliere sempre a proposito del taglio dei costi - Andiamo sopra il Patto fiscale, il Fiscal compact e il debito. Bisogna che qualcuno nel governo abbia il coraggio e l'autorità di andare a Bruxelles e di dire a quei signori: noi siamo in queste condizioni perchè ci avete cacciato voi con la vostra dannata politica di austerità. Dobbiamo rimettere a posto le cose, da qui in avanti il limite del 3% del Fiscal compact ve lo potete dimenticare». Berlusconi è tornato più volte, nel corso del suo intervento, sull'atteggiamento da tenere in Europa. «Bisogna che chi va su non sbatta i tacchi di fronte a queste autorità di Bruxelles che, per nove anni di esperienza che ho io - ha detto il Cavaliere - a trattare a Bruxelles sono sempre quelli che tutti i Paesi mandano lì perchè li vogliono mandare via».
LETTA - Quasi immediata la risposta di Palazzo Chigi: rispetteremo gli impegni di bilancio, la nostra posizione resta la stessa ed è stata ribadita anche nell'incontro di sabato con il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. Poi in serata anche l'intervento di Enrico Letta che sta partecipando al summit del G8 in Irlanda del Nord. «Nella sessione sull'economia ho ribadito l'impegno a mantenere i patti con l'Unione europea, in particolare la regola del 3%», ha detto il premier, secondo quanto viene riferito, a conclusione dell'incontro tra gli Otto grandi sulla crisi economica. «Sulle affermazioni di Berlusconi - ha aggiunto Letta - dentro la sala non c'è stata nessuna eco, nessun rilievo, non ne hanno parlato neanche. Probabilmente non sono stati neppure informati».
ROTTAMAZIONE - Il Cavaliere inizialmente non voleva prendere la parola, ma poi ha ceduto all'invito dei presenti e ha iniziato a parlare a braccio proprio con la battuta sulla sua «rottamazione». «Tutti mi vogliono rottamare ed io ho portato qui le mie cose perchè sono il primo ospite di questa struttura», ha scherzato il Cavaliere. Il tema della sua «rottamazione» lo ha poi ripreso alla fine del discorso, dopo aver parlato di politica ed economia, per sorridere di chi a suo dire lo vuole rottamare, spiegando che la casa di cura che ha inaugurato sarebbe la cornice ideale per trasferirsi. Berlusconi ha anche garantito di non essere «una mummia», come sostiene Beppe Grillo e ha metaforicamente invitato a toccarlo: «Non sono truccato - ha garantito -, sono bello di natura così. Devo ringraziare solo mamma e papà».
Redazione Online
17 giugno 2013 | 21:12
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Re: Quale governo ?
20 GIU 2013 17:22
- - ITALIA, PROBLEMI IN DIFESA: IL MINISTRO MAURO VUOLE ALTRI 40 CACCIA MA CHI FINISCE BOMBARDATO E’ IL PD -
Contrordine sugli F-35! Il ministro “tecnico” Di Paola aveva ridotto l’ordine da 131 a 90 aerei ma Mario Mauro risale a quota 131 - La spesa salirebbe da 12 a 16 miliardi di euro per la gioia di Lockheed Martin e Finmeccanica - Un affare che nasconde intrecci e ombre e spacca il Pd…
Daniele Martini per il "Fatto quotidiano"
Contrordine: per gli F-35 la Difesa cambia idea per la seconda volta. Ed è un ripensamento del ripensamento che ha il sapore della beffa. Ridotto dal ministro precedente da 131 a 90 esemplari, l'ordine d'acquisto per i supercacciabombardieri della Lockheed Martin ora torna d'incanto alla cifra originaria con il nuovo ministro, Mario Mauro.
In visita all'annuale fiera aeronautica parigina di Le Bourget, reduce da un incontro con i manager Lockheed e nel corso di colloqui allo stand della Finmeccanica, azienda italiana che partecipa al megaprogetto per gli F-35 in qualità di partner di secondo livello, come se niente fosse il responsabile della Difesa del governo Letta ha detto che il taglio di 41 aerei annunciato dal suo predecessore, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, non è irrevocabile, anzi, si può tranquillamente tornare alla cifra originaria.
Come si trattasse di quisquilie e di mezzo non ci fossero miliardi di euro di differenza. Novanta esemplari di F-35 costano circa 12 miliardi, mentre per 131 ci sarebbe bisogno di 4 miliardi in più.
Che cosa sia successo di sostanziale dall'annuncio del taglio al controannuncio di oggi, non è dato sapere. Non risulta siano repentinamente cambiate le esigenze delle nostre forze armate, né che si sia appalesata un'improvvisa minaccia militare contro il nostro paese tale da imporre il rafforzamento dei programmi di armamento né che gli alleati Nato ci chiedano ulteriori sforzi strategici.
E non risulta neppure che il governo abbia improvvisamente scovato altri quattrini da buttare per gli armamenti. All'origine del ribaltone del ministro Mauro ci sarebbe la convinzione che sotto una certa soglia di esemplari ordinati dall'Italia, il lavoro di supporto della Finmeccanica al progetto internazionale (la costruzione delle ali e di parte della fusoliera) non sarebbe economicamente conveniente.
Quindi per fare un favore a Finmeccanica rendendo l'operazione vantaggiosa dal punto di vista dell'azienda italiana, il ministro si dice disposto non solo a sconfessare il suo precedessore che non era di certo un pacifista e probabilmente qualche conto se lo era fatto, ma a buttare nella fornace degli F-35 un altro bel po' di soldi pubblici.
Di certo rispetto al primo ripensamento ministeriale è cambiata aria. Non tanto perché sia scemata l'opposizione all'operazione F-35 che rimane forte e vigile in larghi strati dell'opinione pubblica e anzi cresce. Di recente, per esempio, un appello per la cancellazione della commessa è stato firmato da numerose personalità come don Luigi Ciotti, padre Alex Zanotelli, Umberto Veronesi, Chiara Ingrao, Cecilia Strada, Savino Pezzotta, Roberto Saviano, Riccardo Iacona, Gad Lerner.
La differenza è che nel frattempo ci sono state le elezioni e i partiti che prima del voto avevano promesso agli elettori un approccio più cauto e riflessivo al delicatissimo e popolare tema dei cacciabombardieri, ora probabilmente si sentono liberi di tornare ai vecchi amori.
Emblematico il caso del Pd che per bocca del suo segretario Pier Luigi Bersani in
campagna elettorale si era impegnato per ridurre ulteriormente l'impegno italiano per gli F-35. Quello stesso partito ora non sa che pesci prendere in vista del prossimo appuntamento parlamentare di lunedì e martedì alla Camera, quando si voterà in aula la mozione contro gli F-35.
Il documento è presentato da Sel e Movimento 5 Stelle ed è firmato anche da una ventina di deputati Pd, mentre il grosso del gruppone piddino ancora non riesce a decidersi come schierarsi. Idem al Senato dove una parte del Pd ha presentato una mozione simile (primo firmatario Felice Casson) che però è stata firmata solo da 18 senatori.
Le scelte del Pd diventano a questo punto determinanti. Se il gruppo della Camera decidesse di convergere in blocco sulla mozione anti F-35, il costoso e discusso programma dei cacciabombardieri sarebbe definitivamente cancellato e finirebbe una vicenda fin qui condotta all'insegna della scarsa trasparenza.
Il ripensamento del ministro Mauro non è che l'ultimo episodio di un comportamento opaco. A tutt'oggi, per esempio, non è chiaro neppure quanti aerei siano stati effettivamente già comprati dalle nostre forze armate. Secondo fonti ufficiali italiane sarebbero 3, ma citando fonti ugualmente ufficiali, però statunitensi, Toni De Marchi, blogger del Fatto Quotidiano ed esperto di questioni militari, sostiene siano 7 di più.
- - ITALIA, PROBLEMI IN DIFESA: IL MINISTRO MAURO VUOLE ALTRI 40 CACCIA MA CHI FINISCE BOMBARDATO E’ IL PD -
Contrordine sugli F-35! Il ministro “tecnico” Di Paola aveva ridotto l’ordine da 131 a 90 aerei ma Mario Mauro risale a quota 131 - La spesa salirebbe da 12 a 16 miliardi di euro per la gioia di Lockheed Martin e Finmeccanica - Un affare che nasconde intrecci e ombre e spacca il Pd…
Daniele Martini per il "Fatto quotidiano"
Contrordine: per gli F-35 la Difesa cambia idea per la seconda volta. Ed è un ripensamento del ripensamento che ha il sapore della beffa. Ridotto dal ministro precedente da 131 a 90 esemplari, l'ordine d'acquisto per i supercacciabombardieri della Lockheed Martin ora torna d'incanto alla cifra originaria con il nuovo ministro, Mario Mauro.
In visita all'annuale fiera aeronautica parigina di Le Bourget, reduce da un incontro con i manager Lockheed e nel corso di colloqui allo stand della Finmeccanica, azienda italiana che partecipa al megaprogetto per gli F-35 in qualità di partner di secondo livello, come se niente fosse il responsabile della Difesa del governo Letta ha detto che il taglio di 41 aerei annunciato dal suo predecessore, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, non è irrevocabile, anzi, si può tranquillamente tornare alla cifra originaria.
Come si trattasse di quisquilie e di mezzo non ci fossero miliardi di euro di differenza. Novanta esemplari di F-35 costano circa 12 miliardi, mentre per 131 ci sarebbe bisogno di 4 miliardi in più.
Che cosa sia successo di sostanziale dall'annuncio del taglio al controannuncio di oggi, non è dato sapere. Non risulta siano repentinamente cambiate le esigenze delle nostre forze armate, né che si sia appalesata un'improvvisa minaccia militare contro il nostro paese tale da imporre il rafforzamento dei programmi di armamento né che gli alleati Nato ci chiedano ulteriori sforzi strategici.
E non risulta neppure che il governo abbia improvvisamente scovato altri quattrini da buttare per gli armamenti. All'origine del ribaltone del ministro Mauro ci sarebbe la convinzione che sotto una certa soglia di esemplari ordinati dall'Italia, il lavoro di supporto della Finmeccanica al progetto internazionale (la costruzione delle ali e di parte della fusoliera) non sarebbe economicamente conveniente.
Quindi per fare un favore a Finmeccanica rendendo l'operazione vantaggiosa dal punto di vista dell'azienda italiana, il ministro si dice disposto non solo a sconfessare il suo precedessore che non era di certo un pacifista e probabilmente qualche conto se lo era fatto, ma a buttare nella fornace degli F-35 un altro bel po' di soldi pubblici.
Di certo rispetto al primo ripensamento ministeriale è cambiata aria. Non tanto perché sia scemata l'opposizione all'operazione F-35 che rimane forte e vigile in larghi strati dell'opinione pubblica e anzi cresce. Di recente, per esempio, un appello per la cancellazione della commessa è stato firmato da numerose personalità come don Luigi Ciotti, padre Alex Zanotelli, Umberto Veronesi, Chiara Ingrao, Cecilia Strada, Savino Pezzotta, Roberto Saviano, Riccardo Iacona, Gad Lerner.
La differenza è che nel frattempo ci sono state le elezioni e i partiti che prima del voto avevano promesso agli elettori un approccio più cauto e riflessivo al delicatissimo e popolare tema dei cacciabombardieri, ora probabilmente si sentono liberi di tornare ai vecchi amori.
Emblematico il caso del Pd che per bocca del suo segretario Pier Luigi Bersani in
campagna elettorale si era impegnato per ridurre ulteriormente l'impegno italiano per gli F-35. Quello stesso partito ora non sa che pesci prendere in vista del prossimo appuntamento parlamentare di lunedì e martedì alla Camera, quando si voterà in aula la mozione contro gli F-35.
Il documento è presentato da Sel e Movimento 5 Stelle ed è firmato anche da una ventina di deputati Pd, mentre il grosso del gruppone piddino ancora non riesce a decidersi come schierarsi. Idem al Senato dove una parte del Pd ha presentato una mozione simile (primo firmatario Felice Casson) che però è stata firmata solo da 18 senatori.
Le scelte del Pd diventano a questo punto determinanti. Se il gruppo della Camera decidesse di convergere in blocco sulla mozione anti F-35, il costoso e discusso programma dei cacciabombardieri sarebbe definitivamente cancellato e finirebbe una vicenda fin qui condotta all'insegna della scarsa trasparenza.
Il ripensamento del ministro Mauro non è che l'ultimo episodio di un comportamento opaco. A tutt'oggi, per esempio, non è chiaro neppure quanti aerei siano stati effettivamente già comprati dalle nostre forze armate. Secondo fonti ufficiali italiane sarebbero 3, ma citando fonti ugualmente ufficiali, però statunitensi, Toni De Marchi, blogger del Fatto Quotidiano ed esperto di questioni militari, sostiene siano 7 di più.
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Re: Quale governo ?
EDITORIALI
21/06/2013
Invincibili nell’arte di non scegliere
LUCA RICOLFI
Sul governo Letta le valutazioni possono essere molto diverse. Molti elettori, ad esempio, hanno apprezzato il mero fatto che - finalmente - l’Italia fosse riuscita a darsi un governo, dopo due mesi di balletti inconcludenti. Altri ne apprezzano lo stile pragmatico, l’attitudine al dialogo, la politica dei piccoli passi. Altri ancora, invece, sono profondamente delusi: specie le basi del Pdl e del Pd non hanno gradito quelli che possono apparire elementi di continuità con il governo Monti, come la deferenza verso l’Europa e un certo attendismo sulle scelte cruciali.
Ma come stanno le cose?
A me pare che, a due mesi dal suo insediamento, il governo Letta abbia già mostrato piuttosto chiaramente il suo volto. Nato dalla assenza di alternative, esso aveva di fronte due strade. Prima strada: governare cercando il massimo comun divisore fra le idee della destra e della sinistra, ovvero varare il maggior numero di provvedimenti capaci di mettere d’accordo destra e sinistra (a proposito: il massimo comun divisore fra 8 e 6 è 2).
Seconda strada: governare cercando il minimo comune multiplo fra le idee della destra e della sinistra, ovvero tentare di metterne in atto le idee più incisive (a proposito: il minimo comune multiplo fra 8 e 6 è 24).
Fra le due strade il nuovo governo ha scelto molto nettamente la prima, che poi è la cifra fondamentale di tutti i governi della seconda Repubblica, ivi compreso il governo Monti, specie nella parte finale della sua parabola. Governo del «fare», indubbiamente, ma inteso come fare pochino, rimandando al futuro tutte le scelte cruciali, quelle difficili e che possono creare conflitti. Prima del voto tutte le maggiori forze politiche in campo avevano dichiarato di saper come «reperire» svariati miliardi di «risorse», chi per abbattere l’Imu (più o meno integralmente), chi per rilanciare gli investimenti pubblici, chi addirittura per restituire l’Imu dell’anno scorso
Ora che si ritrovano tutte insieme nel medesimo governo, ora che appaiono miracolosamente d’accordo su alcune priorità (ad esempio bloccare l’aumento del l’Iva), ora che non possono accusare l’avversario politico di intralciare l’azione del governo, improvvisamente scoprono di non saper più come trovare quelle medesime risorse che in campagna elettorale consideravano a portata di mano. Con 400 miliardi di spesa pubblica extra-pensionistica e 150 miliardi di evasione fiscale, i nostri governanti ci dicono candidamente di non saper proprio come fare a recuperarne anche solo 4, quanti sarebbero necessari per evitare l’aumento dell’Iva.
Ed ecco allora la soluzione: chiedere all’Europa di fare più deficit, l’unico vero punto di contatto importante fra destra e sinistra. Era chiaro fin dai programmi elettorali di Pd e Pdl, è chiaro da come si stanno muovendo sullo scenario europeo i loro leader. L’unica vera differenza è che i dirigenti di centro-sinistra vogliono salvare le apparenze, negoziando con le autorità europee il permesso di sforare su determinate voci (investimenti pubblici, pagamenti della Pubblica Amministrazione), mentre Berlusconi ha meno peli sulla lingua e ogni tanto si lascia scappare quello che molti pensano, anche a sinistra: e cioè che un po’ di deficit fa bene, certo non lo si può annunciare spudoratamente e programmaticamente, e però sì, lo sappiamo perfettamente che l’anno prossimo, a conti fatti, ci troveremo con diversi decimali di deficit pubblico in più. Di qui un permanente navigare a vista, con molta retorica ma senza grandi progetti, con un campionario di buone intenzioni ma senza nessuna scelta forte.
Si poteva, si potrebbe fare diverso?
Verrebbe da rispondere: forse no, i nostri politici sono quello che sono, e dopotutto siamo italiani.
Ma, forse, si dovrebbe anche aggiungere: se non ora quando?
Detto in altre parole: a che serve un governo di Grosse Koalition, con destra e sinistra unite nel medesimo esecutivo, se non a fare, finalmente, quelle scelte difficili che da almeno venti anni vengono rimandate? Non è questo che ha fatto la Germania quando era lei il «malato d’Europa»? E non è forse per non aver fatto quelle scelte che ora il grande malato d’Europa siamo proprio noi, con la nostra attitudine a nascondere la testa sotto la sabbia, a rimandare le decisioni, a conservare tutto il conservabile? Perché continuiamo a cercare le cause dei nostri mali solo all’infuori di noi, nella Merkel, nell’Europa, nella speculazione? Perché la politica non vuole riconoscere che è la sua incapacità di decidere che ha portato il Paese al disastro? Perché non vogliamo capire che il nostro futuro dipende innanzitutto da noi stessi?
La risposta a questi dubbi, purtroppo, pare essere una sola. L’unica arte in cui i nostri politici non hanno rivali è l’arte del non governo. Neppure in un momento come questo, in cui la principale forza di opposizione, il movimento di Beppe Grillo, si sta autodistruggendo, destra e sinistra trovano in sé stesse la forza per sposare fino in fondo le proprie idee più audaci, facendo quello che una Grosse Koalition dovrebbe e potrebbe fare: aggredire sia l’evasione fiscale sia gli sprechi della Pubblica amministrazione, in una logica di «minimo comune multiplo», che dalla destra e dalla sinistra cerca di estrarre il meglio di ciascuna, anziché il meno peggio di entrambe.
Il fatto che, di fronte all’esigenza di scovare pochi miliardi per contenere le aliquote Imu o Iva i nostri governanti ci confessino che non hanno la minima idea di dove e come trovare i soldi, e che se li trovassero si tratterebbe di interventi «di estrema severità», ci dà la piena misura di quanto volino basso, di quanto poche cose pensino di poter fare anche in futuro, e tutto sommato anche di quanto poco siano attrezzati per guidare l’Italia. Una politica seria, dopo decenni di analisi, di studi, di ricerche, di denunce sull’evasione e sugli sprechi dovrebbe avere i cassetti pieni di soluzioni, di piani dettagliati, di progetti operativi, e non si farebbe prendere alla sprovvista appena ha l’opportunità di governare.
Peccato, perché questa era un’occasione straordinaria. Probabilmente irripetibile, e quasi certamente l’ultima.
http://www.lastampa.it/2013/06/21/cultu ... agina.html
21/06/2013
Invincibili nell’arte di non scegliere
LUCA RICOLFI
Sul governo Letta le valutazioni possono essere molto diverse. Molti elettori, ad esempio, hanno apprezzato il mero fatto che - finalmente - l’Italia fosse riuscita a darsi un governo, dopo due mesi di balletti inconcludenti. Altri ne apprezzano lo stile pragmatico, l’attitudine al dialogo, la politica dei piccoli passi. Altri ancora, invece, sono profondamente delusi: specie le basi del Pdl e del Pd non hanno gradito quelli che possono apparire elementi di continuità con il governo Monti, come la deferenza verso l’Europa e un certo attendismo sulle scelte cruciali.
Ma come stanno le cose?
A me pare che, a due mesi dal suo insediamento, il governo Letta abbia già mostrato piuttosto chiaramente il suo volto. Nato dalla assenza di alternative, esso aveva di fronte due strade. Prima strada: governare cercando il massimo comun divisore fra le idee della destra e della sinistra, ovvero varare il maggior numero di provvedimenti capaci di mettere d’accordo destra e sinistra (a proposito: il massimo comun divisore fra 8 e 6 è 2).
Seconda strada: governare cercando il minimo comune multiplo fra le idee della destra e della sinistra, ovvero tentare di metterne in atto le idee più incisive (a proposito: il minimo comune multiplo fra 8 e 6 è 24).
Fra le due strade il nuovo governo ha scelto molto nettamente la prima, che poi è la cifra fondamentale di tutti i governi della seconda Repubblica, ivi compreso il governo Monti, specie nella parte finale della sua parabola. Governo del «fare», indubbiamente, ma inteso come fare pochino, rimandando al futuro tutte le scelte cruciali, quelle difficili e che possono creare conflitti. Prima del voto tutte le maggiori forze politiche in campo avevano dichiarato di saper come «reperire» svariati miliardi di «risorse», chi per abbattere l’Imu (più o meno integralmente), chi per rilanciare gli investimenti pubblici, chi addirittura per restituire l’Imu dell’anno scorso
Ora che si ritrovano tutte insieme nel medesimo governo, ora che appaiono miracolosamente d’accordo su alcune priorità (ad esempio bloccare l’aumento del l’Iva), ora che non possono accusare l’avversario politico di intralciare l’azione del governo, improvvisamente scoprono di non saper più come trovare quelle medesime risorse che in campagna elettorale consideravano a portata di mano. Con 400 miliardi di spesa pubblica extra-pensionistica e 150 miliardi di evasione fiscale, i nostri governanti ci dicono candidamente di non saper proprio come fare a recuperarne anche solo 4, quanti sarebbero necessari per evitare l’aumento dell’Iva.
Ed ecco allora la soluzione: chiedere all’Europa di fare più deficit, l’unico vero punto di contatto importante fra destra e sinistra. Era chiaro fin dai programmi elettorali di Pd e Pdl, è chiaro da come si stanno muovendo sullo scenario europeo i loro leader. L’unica vera differenza è che i dirigenti di centro-sinistra vogliono salvare le apparenze, negoziando con le autorità europee il permesso di sforare su determinate voci (investimenti pubblici, pagamenti della Pubblica Amministrazione), mentre Berlusconi ha meno peli sulla lingua e ogni tanto si lascia scappare quello che molti pensano, anche a sinistra: e cioè che un po’ di deficit fa bene, certo non lo si può annunciare spudoratamente e programmaticamente, e però sì, lo sappiamo perfettamente che l’anno prossimo, a conti fatti, ci troveremo con diversi decimali di deficit pubblico in più. Di qui un permanente navigare a vista, con molta retorica ma senza grandi progetti, con un campionario di buone intenzioni ma senza nessuna scelta forte.
Si poteva, si potrebbe fare diverso?
Verrebbe da rispondere: forse no, i nostri politici sono quello che sono, e dopotutto siamo italiani.
Ma, forse, si dovrebbe anche aggiungere: se non ora quando?
Detto in altre parole: a che serve un governo di Grosse Koalition, con destra e sinistra unite nel medesimo esecutivo, se non a fare, finalmente, quelle scelte difficili che da almeno venti anni vengono rimandate? Non è questo che ha fatto la Germania quando era lei il «malato d’Europa»? E non è forse per non aver fatto quelle scelte che ora il grande malato d’Europa siamo proprio noi, con la nostra attitudine a nascondere la testa sotto la sabbia, a rimandare le decisioni, a conservare tutto il conservabile? Perché continuiamo a cercare le cause dei nostri mali solo all’infuori di noi, nella Merkel, nell’Europa, nella speculazione? Perché la politica non vuole riconoscere che è la sua incapacità di decidere che ha portato il Paese al disastro? Perché non vogliamo capire che il nostro futuro dipende innanzitutto da noi stessi?
La risposta a questi dubbi, purtroppo, pare essere una sola. L’unica arte in cui i nostri politici non hanno rivali è l’arte del non governo. Neppure in un momento come questo, in cui la principale forza di opposizione, il movimento di Beppe Grillo, si sta autodistruggendo, destra e sinistra trovano in sé stesse la forza per sposare fino in fondo le proprie idee più audaci, facendo quello che una Grosse Koalition dovrebbe e potrebbe fare: aggredire sia l’evasione fiscale sia gli sprechi della Pubblica amministrazione, in una logica di «minimo comune multiplo», che dalla destra e dalla sinistra cerca di estrarre il meglio di ciascuna, anziché il meno peggio di entrambe.
Il fatto che, di fronte all’esigenza di scovare pochi miliardi per contenere le aliquote Imu o Iva i nostri governanti ci confessino che non hanno la minima idea di dove e come trovare i soldi, e che se li trovassero si tratterebbe di interventi «di estrema severità», ci dà la piena misura di quanto volino basso, di quanto poche cose pensino di poter fare anche in futuro, e tutto sommato anche di quanto poco siano attrezzati per guidare l’Italia. Una politica seria, dopo decenni di analisi, di studi, di ricerche, di denunce sull’evasione e sugli sprechi dovrebbe avere i cassetti pieni di soluzioni, di piani dettagliati, di progetti operativi, e non si farebbe prendere alla sprovvista appena ha l’opportunità di governare.
Peccato, perché questa era un’occasione straordinaria. Probabilmente irripetibile, e quasi certamente l’ultima.
http://www.lastampa.it/2013/06/21/cultu ... agina.html
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