Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Lacrime amare
lacrime_sardegna.jpg
Manuela Serra è la prima senatrice sarda della Storia repubblicana. Mentre raccontava in Senato i drammi dei suoi concittadini isolani abbandonati dalle istituzioni si è commossa e ha versato lacrime sincere quanto amare
"La situazione dello stabilimento di Vinylis di Porto Torres è drammatica: tutto è fermo da anni e gli operai da due giorni hanno abbandonato il presidio. Il 27 giugno ci sarà un commissariamento che porterà al fallimento dell'azienda. Una delegazione di 50 persone tra lavoratori e rappresentanti sindacali ha fatto presente al primo cittadino che le sostanze rimaste stoccate ormai da anni negli stabilimenti sono pericolose. Il sindaco aveva già allertato il prefetto e i vigili del fuoco e informato il governo chiedendo come si dovrà agire quando l'azienda fallirà. Gli operai non ricevono lo stipendio da febbraio, ieri i cassintegrati si sono autodenunciati in procura e hanno segnalato il disinteresse degli enti che dovrebbero garantire sicurezza. Mentre questa tragedia ambientale, sociale ed economica si consuma, i lavoratori dell'Alcoa hanno occupato simbolicamente l'assessorato del lavoro della Regione Sardegna. Centinaia di lavoratori che ricevono con mesi di ritardo l'indennità prevista dagli ammortizzatori sociali, altrettanti lavoratori rimarranno senza alcuna copertura a partire da luglio. Lo Stato ha il compito di studiare soluzioni e far sentire ai lavoratori e alle loro famiglie almeno una presa d'atto, un impegno. Intendiamo preparare un'interrogazione per il Ministro interessato." Manuela Serra, M5S Senato
http://www.youtube.com/watch?v=GW3KQ6IZK-I
...............................
Ciao
Paolo11
lacrime_sardegna.jpg
Manuela Serra è la prima senatrice sarda della Storia repubblicana. Mentre raccontava in Senato i drammi dei suoi concittadini isolani abbandonati dalle istituzioni si è commossa e ha versato lacrime sincere quanto amare
"La situazione dello stabilimento di Vinylis di Porto Torres è drammatica: tutto è fermo da anni e gli operai da due giorni hanno abbandonato il presidio. Il 27 giugno ci sarà un commissariamento che porterà al fallimento dell'azienda. Una delegazione di 50 persone tra lavoratori e rappresentanti sindacali ha fatto presente al primo cittadino che le sostanze rimaste stoccate ormai da anni negli stabilimenti sono pericolose. Il sindaco aveva già allertato il prefetto e i vigili del fuoco e informato il governo chiedendo come si dovrà agire quando l'azienda fallirà. Gli operai non ricevono lo stipendio da febbraio, ieri i cassintegrati si sono autodenunciati in procura e hanno segnalato il disinteresse degli enti che dovrebbero garantire sicurezza. Mentre questa tragedia ambientale, sociale ed economica si consuma, i lavoratori dell'Alcoa hanno occupato simbolicamente l'assessorato del lavoro della Regione Sardegna. Centinaia di lavoratori che ricevono con mesi di ritardo l'indennità prevista dagli ammortizzatori sociali, altrettanti lavoratori rimarranno senza alcuna copertura a partire da luglio. Lo Stato ha il compito di studiare soluzioni e far sentire ai lavoratori e alle loro famiglie almeno una presa d'atto, un impegno. Intendiamo preparare un'interrogazione per il Ministro interessato." Manuela Serra, M5S Senato
http://www.youtube.com/watch?v=GW3KQ6IZK-I
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Paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?
Oggi il presidente di Confindustria, Squinzi, ha dichiarato che abbiamo toccato il fondo
Personalmente sono d'accordo con lui.
E' dal 2008 che ce ne sbattiamo continuamente le balle.
E' dal 13 novembre 2008, a livello di forum, che abbiamo segnalato giorno dopo giorno che saremmo finiti male.
Il momento è arrivato.
Adesso che si fà?
Ritorna la domanda iniziale: Come se ne viene fuori ?
Ce ne sbattiamo le balle anche prossimamente qui su questo schermo?
Già dimenticata la poesia di Martin Niemöller :
Quando i nazisti sono venuti a prendere gli zingari
ho taciuto
anzi, ero contento
perchè rubacchiavano
Quando sono venuti a prendere gli ebrei
ho taciuto
perchè non ero ebreo
e mi stavano anche antipatici
Quando sono venuti a prendere gli omosessuali
ho taciuto
e ne fui sollevato...
perchè mi erano fastidiosi
Quando sono venuti a prendere i comunisti
ho taciuto
non ero certo un comunista!
E quando sono venuti a prendere...
me
non c'era rimasto
nessuno
che potesse protestare...
Personalmente sono d'accordo con lui.
E' dal 2008 che ce ne sbattiamo continuamente le balle.
E' dal 13 novembre 2008, a livello di forum, che abbiamo segnalato giorno dopo giorno che saremmo finiti male.
Il momento è arrivato.
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Ce ne sbattiamo le balle anche prossimamente qui su questo schermo?
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Quando i nazisti sono venuti a prendere gli zingari
ho taciuto
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Quando sono venuti a prendere gli ebrei
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Quando sono venuti a prendere i comunisti
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Re: Come se ne viene fuori ?
Corriere 28.6.13
Il fuoco concentrico e le metamorfosi del centrodestra
di Massimo Franco
Non si può dire che Enrico Letta sia stato aiutato dal Pdl al suo arrivo al vertice di Bruxelles. Le tensioni che ruotano intorno ai processi di Silvio Berlusconi e il conflitto che si riaffaccia sulla futura leadership e sul ritorno a Forza Italia sono stati scaricati rapidamente sul premier e sul governo. Così, mentre il presidente del Consiglio alzava ottimisticamente il pollice, augurandosi un esito positivo, da Roma arrivavano segnali diversi. Il capogruppo berlusconiano alla Camera, Renato Brunetta, tacciava il governo di «inadeguatezza». E sulla prima pagina del «Financial Times» campeggiava una sua dichiarazione devastante su una presunta opacità dei conti pubblici italiani.
Non ci sono rischi di crisi. E il Cavaliere è il primo a ribadirlo. L’ombra di precarietà e divisione che si proietta a intermittenza sulla maggioranza, però, è preoccupante. Il sospetto che il Pdl sia tentato di trattare l’attuale coalizione come fece col governo tecnico di Mario Monti alla fine del 2012, togliendogli la fiducia, esiste. Basta mettere in fila gli attacchi di un centrodestra «di governo e di opposizione contro Letta; ma implicitamente anche contro il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Per paradosso, oggi il meno disposto a far saltare questi equilibri sembra lo stesso Berlusconi, convinto che il dopo-Letta gli sia più ostile.
Ma le pressioni dall’interno del Pdl crescono. L’annuncio di una resurrezione di Forza Italia, il «marchio» del 1994, confermato ieri da Daniela Santanchè, prefigura un ritorno all’antico che sa di nostalgia e di tentativo di rivincita; e segna il fallimento dell’operazione Pdl. Bisognerà vedere che cosa significa non solo in termini di classe dirigente ma di linea politica. L’aggressività nei confronti di Palazzo Chigi comporta in prospettiva un pericolo concreto di destabilizzazione. L’operazione incrocia infatti l’ostilità dei non governativi nei confronti di Alfano, considerato troppo moderato per le esigenze di autodifesa del Cavaliere.
L’esaltazione di una successione dinastica va letta più come attacco al vicepremier e segretario del Pdl, che come investitura della figlia Marina nelle vesti erede politica di Berlusconi. E il martellamento su Letta affinché «batta i pugni» a Bruxelles e sfondi i parametri finanziari imposti dalle istituzioni europee, promette altri attacchi se il premier dovesse tornare dal vertice senza risultati vistosi: eventualità più che possibile, vista la crisi economica nel Vecchio Continente. «Quando ho invitato il premier a fare un braccio di ferro con la signora Merkel per correggere le storture più evidenti della politica europea e della moneta unica», assicura Berlusconi, «non intendevo sminuire il ruolo del nostro capo del governo, ma rafforzarlo».
Tesi opinabile, anche perché viene accreditata nel giorno in cui il suo partito decide di forzare la mano sulla riforma della giustizia, inserendola a forza tra le riforme costituzionali: un contraccolpo dei processi. Oltre tutto, i malumori si saldano con quelli di una parte della sinistra, incalzata dai militanti che soffrono ancora di più l’alleanza tra Pd e Berlusconi dopo l’ultima condanna del tribunale di Milano; e da un Beppe Grillo che attacca il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, perfino per il solo fatto di avere ricevuto in udienza l’altro ieri l’ex premier: un incontro organizzato per capire le intenzioni berlusconiane nei confronti di Palazzo Chigi; e per verificare se fosse vera l’irritazione del fondatore del Pdl, che si era sentito non difeso a sufficienza. Si va avanti, ma il nervosismo rischia di consumare qualunque prospettiva.
Il fuoco concentrico e le metamorfosi del centrodestra
di Massimo Franco
Non si può dire che Enrico Letta sia stato aiutato dal Pdl al suo arrivo al vertice di Bruxelles. Le tensioni che ruotano intorno ai processi di Silvio Berlusconi e il conflitto che si riaffaccia sulla futura leadership e sul ritorno a Forza Italia sono stati scaricati rapidamente sul premier e sul governo. Così, mentre il presidente del Consiglio alzava ottimisticamente il pollice, augurandosi un esito positivo, da Roma arrivavano segnali diversi. Il capogruppo berlusconiano alla Camera, Renato Brunetta, tacciava il governo di «inadeguatezza». E sulla prima pagina del «Financial Times» campeggiava una sua dichiarazione devastante su una presunta opacità dei conti pubblici italiani.
Non ci sono rischi di crisi. E il Cavaliere è il primo a ribadirlo. L’ombra di precarietà e divisione che si proietta a intermittenza sulla maggioranza, però, è preoccupante. Il sospetto che il Pdl sia tentato di trattare l’attuale coalizione come fece col governo tecnico di Mario Monti alla fine del 2012, togliendogli la fiducia, esiste. Basta mettere in fila gli attacchi di un centrodestra «di governo e di opposizione contro Letta; ma implicitamente anche contro il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Per paradosso, oggi il meno disposto a far saltare questi equilibri sembra lo stesso Berlusconi, convinto che il dopo-Letta gli sia più ostile.
Ma le pressioni dall’interno del Pdl crescono. L’annuncio di una resurrezione di Forza Italia, il «marchio» del 1994, confermato ieri da Daniela Santanchè, prefigura un ritorno all’antico che sa di nostalgia e di tentativo di rivincita; e segna il fallimento dell’operazione Pdl. Bisognerà vedere che cosa significa non solo in termini di classe dirigente ma di linea politica. L’aggressività nei confronti di Palazzo Chigi comporta in prospettiva un pericolo concreto di destabilizzazione. L’operazione incrocia infatti l’ostilità dei non governativi nei confronti di Alfano, considerato troppo moderato per le esigenze di autodifesa del Cavaliere.
L’esaltazione di una successione dinastica va letta più come attacco al vicepremier e segretario del Pdl, che come investitura della figlia Marina nelle vesti erede politica di Berlusconi. E il martellamento su Letta affinché «batta i pugni» a Bruxelles e sfondi i parametri finanziari imposti dalle istituzioni europee, promette altri attacchi se il premier dovesse tornare dal vertice senza risultati vistosi: eventualità più che possibile, vista la crisi economica nel Vecchio Continente. «Quando ho invitato il premier a fare un braccio di ferro con la signora Merkel per correggere le storture più evidenti della politica europea e della moneta unica», assicura Berlusconi, «non intendevo sminuire il ruolo del nostro capo del governo, ma rafforzarlo».
Tesi opinabile, anche perché viene accreditata nel giorno in cui il suo partito decide di forzare la mano sulla riforma della giustizia, inserendola a forza tra le riforme costituzionali: un contraccolpo dei processi. Oltre tutto, i malumori si saldano con quelli di una parte della sinistra, incalzata dai militanti che soffrono ancora di più l’alleanza tra Pd e Berlusconi dopo l’ultima condanna del tribunale di Milano; e da un Beppe Grillo che attacca il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, perfino per il solo fatto di avere ricevuto in udienza l’altro ieri l’ex premier: un incontro organizzato per capire le intenzioni berlusconiane nei confronti di Palazzo Chigi; e per verificare se fosse vera l’irritazione del fondatore del Pdl, che si era sentito non difeso a sufficienza. Si va avanti, ma il nervosismo rischia di consumare qualunque prospettiva.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Repubblica 28.3.13
Il Cavaliere pronto a giocare l’ultima carta “Enrico non può fare finta di niente”
La mediazione dei ministri. Vertice di maggioranza la prossima settimana
di Francesco Bei e Liana Milella
ROMA — «Letta non può fare finta di niente». Nella storia di un emendamento contano sempre i tempi. Il momento in cui è stato presentato. Cosa è avvenuto immediatamente prima. E cosa dopo. Silvio Berlusconi lo sa e il suo messaggio infatti era indirizzato direttamente al presidente del consiglio. Nella delicata e difficile battaglia processuale, il Cavaliere vuole mettere sul tavolo della “strana maggioranza” più strumenti di trattativa. Un modo per dire: «Se mi bocciate questa proposta, allora dovete accogliere quest’altra». Un pò come ha fatto nei giorni scorsi nel corso dei contatti e poi nel colloquio con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che però non ha accolto le sue richieste.
Di questa tattica si è subito accorto il democratico Felice Casson che la battezzava come una «bella pugnalata» del Pdl sulle riforme. Elementi da un lato rivelatori e che dall’altro ne confermano l’obiettivo politicamente devastante. Un fatto è certo. L’emendamento 2.12, con sole due righe, è riuscito a far perdere le staffe ad Anna Finocchiaro, la presidente Pd della commissione Affari costituzionali del Senato, che in un attimo ha visto crollare il suo lavorio alla Napolitano per riforme condivise. Quando, scorrendo il malloppo delle modifiche, se l’è trovato davanti, quasi automaticamente ha vergato un no in vista della discussione, salvo rendersi conto solo dopo della portata distruttiva del nostro 2.12.
E dunque raccontiamo come e quando è spuntato il 2.12. A svelare i dettagli sono gli stessi berlusconiani, mentre cercano, non si sa bene se con ingenuità vera o malcelata malizia, di convincere tutti che dietro «non c’è niente di male, solo normale amministrazione». Eppure la prossima settimana, proprio per evitare fratture maggiori si terrà a Palazzo Chigi con il premier un vertice di maggioranza.
L’emendamento che riapre lo scontro sulla giustizia e che fa subito tremare i giudici nasce giovedì 20 giugno. Al Senato si riunisce il gruppo Pdl - Bruno, Bonaiuti, Bernini, Casellati e altri e discute l’idea. La approva. Deposita il testo. Il giorno prima la Consulta ha bocciato il legittimo impedimento per Mediaset e ha fatto cadere le ultime speranze di Berlusconi che quella sentenza (quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici) possa cadere per un vizio di forma. I suoi sono furibondi. Meditano sfracelli. Sanno bene che la tempesta è solo all’inizio. Pochi giorni e arriva un’altra sentenza, quella di Ruby.
Come chiosa adesso un uomo del Cavaliere «questo emendamento si può definire di profilassi ». Proprio così, è una pillola d’avvertimento, durante il governo di Silvio si sarebbe detto una pistola fumante sul tavolo. Un berlusconiano lo dice in malo modo a un collega del Pd impegnato nella battaglia sulle riforme: «Non dovete sempre ostacolarci. Noi sosteniamo il governo, noi subiamo i colpi dei magistrati, ma voi dovete lasciarci lo spazio per fare la nostra politica, per discutere in Parlamento quello che sta scritto nel nostro programma elettorale. Separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, un diverso Csm. Perché non dovremmo parlarne adesso, e nell’ambito delle riforme? Lasciateci almeno discutere».
Francesco Paolo Sisto, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non si meraviglia affatto. Sottoscrive l’emendamento. «Non ne ho discusso. Lo leggo adesso. Ma posso ben dichiarare che non è affatto un salva-Berlusconi». Nel Pd la pensano all’opposto, al Senato la tensione nel gruppo si taglia a fette, come dimostra l’allarme di Casson. Quell’emendamento è valutato come la risposta, alcuni dicono «la ritorsione », allo scontro che si è appena aperto sull’ineleggibilità. Anche questa, di certo, non una casuale coincidenza.
Da Berlusconi in persona e dal suo entourage più stretto non viene affatto disconosciuto il progetto di mettere mano al titolo quarto della Costituzione. Era il tema della «grande grande grande riforma della giustizia» firmata dall’ex Guardasigilli Angelino Alfano prima che cadesse il governo Berlusconi. Fa molto gioco adesso che il Cavaliere è alle prese, furente come sempre, con l’ultima giornata di pressing per via dei processi, Napoli con la compravendita dei senatori e Roma con il lodo Mondadori. Due avvocati che lo chiamano di continuo, Ghedini da Napoli e Vaccarella dalla Cassazione. Ovunque cattive notizie. Almeno il blitz del 2.12 riesce a strappargli qualche risata di soddisfazione.
Il Cavaliere pronto a giocare l’ultima carta “Enrico non può fare finta di niente”
La mediazione dei ministri. Vertice di maggioranza la prossima settimana
di Francesco Bei e Liana Milella
ROMA — «Letta non può fare finta di niente». Nella storia di un emendamento contano sempre i tempi. Il momento in cui è stato presentato. Cosa è avvenuto immediatamente prima. E cosa dopo. Silvio Berlusconi lo sa e il suo messaggio infatti era indirizzato direttamente al presidente del consiglio. Nella delicata e difficile battaglia processuale, il Cavaliere vuole mettere sul tavolo della “strana maggioranza” più strumenti di trattativa. Un modo per dire: «Se mi bocciate questa proposta, allora dovete accogliere quest’altra». Un pò come ha fatto nei giorni scorsi nel corso dei contatti e poi nel colloquio con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che però non ha accolto le sue richieste.
Di questa tattica si è subito accorto il democratico Felice Casson che la battezzava come una «bella pugnalata» del Pdl sulle riforme. Elementi da un lato rivelatori e che dall’altro ne confermano l’obiettivo politicamente devastante. Un fatto è certo. L’emendamento 2.12, con sole due righe, è riuscito a far perdere le staffe ad Anna Finocchiaro, la presidente Pd della commissione Affari costituzionali del Senato, che in un attimo ha visto crollare il suo lavorio alla Napolitano per riforme condivise. Quando, scorrendo il malloppo delle modifiche, se l’è trovato davanti, quasi automaticamente ha vergato un no in vista della discussione, salvo rendersi conto solo dopo della portata distruttiva del nostro 2.12.
E dunque raccontiamo come e quando è spuntato il 2.12. A svelare i dettagli sono gli stessi berlusconiani, mentre cercano, non si sa bene se con ingenuità vera o malcelata malizia, di convincere tutti che dietro «non c’è niente di male, solo normale amministrazione». Eppure la prossima settimana, proprio per evitare fratture maggiori si terrà a Palazzo Chigi con il premier un vertice di maggioranza.
L’emendamento che riapre lo scontro sulla giustizia e che fa subito tremare i giudici nasce giovedì 20 giugno. Al Senato si riunisce il gruppo Pdl - Bruno, Bonaiuti, Bernini, Casellati e altri e discute l’idea. La approva. Deposita il testo. Il giorno prima la Consulta ha bocciato il legittimo impedimento per Mediaset e ha fatto cadere le ultime speranze di Berlusconi che quella sentenza (quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici) possa cadere per un vizio di forma. I suoi sono furibondi. Meditano sfracelli. Sanno bene che la tempesta è solo all’inizio. Pochi giorni e arriva un’altra sentenza, quella di Ruby.
Come chiosa adesso un uomo del Cavaliere «questo emendamento si può definire di profilassi ». Proprio così, è una pillola d’avvertimento, durante il governo di Silvio si sarebbe detto una pistola fumante sul tavolo. Un berlusconiano lo dice in malo modo a un collega del Pd impegnato nella battaglia sulle riforme: «Non dovete sempre ostacolarci. Noi sosteniamo il governo, noi subiamo i colpi dei magistrati, ma voi dovete lasciarci lo spazio per fare la nostra politica, per discutere in Parlamento quello che sta scritto nel nostro programma elettorale. Separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, un diverso Csm. Perché non dovremmo parlarne adesso, e nell’ambito delle riforme? Lasciateci almeno discutere».
Francesco Paolo Sisto, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non si meraviglia affatto. Sottoscrive l’emendamento. «Non ne ho discusso. Lo leggo adesso. Ma posso ben dichiarare che non è affatto un salva-Berlusconi». Nel Pd la pensano all’opposto, al Senato la tensione nel gruppo si taglia a fette, come dimostra l’allarme di Casson. Quell’emendamento è valutato come la risposta, alcuni dicono «la ritorsione », allo scontro che si è appena aperto sull’ineleggibilità. Anche questa, di certo, non una casuale coincidenza.
Da Berlusconi in persona e dal suo entourage più stretto non viene affatto disconosciuto il progetto di mettere mano al titolo quarto della Costituzione. Era il tema della «grande grande grande riforma della giustizia» firmata dall’ex Guardasigilli Angelino Alfano prima che cadesse il governo Berlusconi. Fa molto gioco adesso che il Cavaliere è alle prese, furente come sempre, con l’ultima giornata di pressing per via dei processi, Napoli con la compravendita dei senatori e Roma con il lodo Mondadori. Due avvocati che lo chiamano di continuo, Ghedini da Napoli e Vaccarella dalla Cassazione. Ovunque cattive notizie. Almeno il blitz del 2.12 riesce a strappargli qualche risata di soddisfazione.
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Re: Come se ne viene fuori ?
La Stampa 28.6.13
In autunno la resa dei conti
di Marcello Sorgi
Siglata tra Palazzo Chigi e il Quirinale dove il condannato Berlusconi era stato solennemente ricevuto all’indomani della pesante sentenza per il caso Ruby - e alla vigilia dell’udienza in Cassazione sul lodo Mondadori e della probabile incriminazione per la compravendita di senatori in epoca ultimo governo Prodi - è durata appena 24 ore la tregua che doveva consentire al governo di riprendere fiato e a Letta di presentarsi al vertice europeo senza tenere l’orecchio incollato al cellulare per ricevere cattive notizie dall’Italia. Il presidente del consiglio ha avuto appena il tempo di concentrarsi per qualche ora sui delicati dossier che sono al centro dell’incontro tra i leader, che subito la sua attenzione è stata richiamata in Italia dal nuovo scontro apertosi nella maggioranza sulla giustizia e sui provvedimenti per l’occupazione. Va detto che con la levata di scudi contro l’emendamento del Pdl, che punta a ridisegnare, in caso di riforme istituzionali, il ruolo del Consiglio superiore della magistratura, il Pd ha voluto mettere le mani avanti e far sentire il crepitio di un fuoco di avvertimento. Se davvero - e sarà da vedersi, in questo clima - il Parlamento dovesse mettere mano ai poteri della Camera e del Senato, come si propone di fare, e se un lavoro del genere, anche senza cambiare del tutto l’aspetto costituzionale del nostro sistema, comportasse un rafforzamento della figura del premier o addirittura l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, non si capisce come da una ristrutturazione del genere potrebbe restare escluso l’organo di autogoverno dei giudici. Ma tant’è: i rapporti tra i due principali partiti della maggioranza sono improntati a un tale clima di sospetto che al minimo stormir di fronde si incrociano raffiche di polemiche.
Non è stata da meno anche l’accoglienza che il Pdl, non tutto, ma a un certo livello, ha tributato ai provvedimenti usciti da Palazzo Chigi mercoledì. Il capogruppo dei deputati Brunetta ha sostenuto che la sospensione dell’aumento dell’Iva è stata adottata senza trasparenza sulle coperture (attacco al ministro dell’Economia Saccomanni), mentre la sua vice Gelmini spiegava che il decreto sul l’occupazione giovanile realizzava solo in parte una proposta lanciata durante la campagna elettorale dal centrodestra. Per evitare che il consiglio dei ministri preparato con tanta cura, e tenuto alla vigilia del vertice di Bruxelles anche per dimostrare la capacità riformatrice del proprio governo, apparisse come una specie di gioco delle tre carte, Letta è dovuto intervenire personalmente dall’estero per difendere Saccomanni e reagire alle accuse di Brunetta.
Ora, a parte i risultati che potrà conseguire con la sua missione europea (segnata, come sempre, da un avvio interlocutorio e da un veto del primo ministro inglese Cameron che non fa ben sperare), ci si chiede quanto potrà andare avanti ancora il governo su una strada così accidentata. Il problema non è la durata (sulla quale, in mancanza di alternative, sia Berlusconi sia Epifani si sono impegnati fino all’altro ieri), ma la possibilità e la capacità di realizzare il programma su cui era nato l’accordo delle larghe intese. Un elenco ambizioso di riforme improcrastinabili, dall’economia alle istituzioni, non prive di conseguenze sociali, che solo un accordo tra (ex?) avversari poteva consentire di varare, suddividendone i costi politici e preparandosi a incassarne i dividendi al momento dell’uscita dell’Italia dalla crisi. Invece, finora, s’è preferito procedere di rinvio in rinvio, dall’Imu all’Iva alla Grande Riforma, spostando all’autunno il momento della vera resa dei conti e dell’eventuale, in caso di rottura, ritorno alle urne.
Pressati in questa gimcana dai rispettivi partiti - uno, il Pd, in corsa verso il congresso, l’altro, il Pdl, precipitato verso una rifondazione del marchio e dello spirito «rivoluzionario» di Forza Italia - Letta e Alfano hanno dimostrato fin qui una personale e straordinaria abilità a districarsi tra i veti incrociati e a tenere in piedi un esecutivo, nato traballante, e alle prese con un’opposizione trasversale e strisciante che attraversa tutta la larga maggioranza di cui dispone. Ma alla vigilia della lunga estate in cui una volta e per tutte si giocherà la sopravvivenza, forse è lecito chiedersi se un governo come questo può accontentarsi di tirare a campare. E soprattutto di campare così.
In autunno la resa dei conti
di Marcello Sorgi
Siglata tra Palazzo Chigi e il Quirinale dove il condannato Berlusconi era stato solennemente ricevuto all’indomani della pesante sentenza per il caso Ruby - e alla vigilia dell’udienza in Cassazione sul lodo Mondadori e della probabile incriminazione per la compravendita di senatori in epoca ultimo governo Prodi - è durata appena 24 ore la tregua che doveva consentire al governo di riprendere fiato e a Letta di presentarsi al vertice europeo senza tenere l’orecchio incollato al cellulare per ricevere cattive notizie dall’Italia. Il presidente del consiglio ha avuto appena il tempo di concentrarsi per qualche ora sui delicati dossier che sono al centro dell’incontro tra i leader, che subito la sua attenzione è stata richiamata in Italia dal nuovo scontro apertosi nella maggioranza sulla giustizia e sui provvedimenti per l’occupazione. Va detto che con la levata di scudi contro l’emendamento del Pdl, che punta a ridisegnare, in caso di riforme istituzionali, il ruolo del Consiglio superiore della magistratura, il Pd ha voluto mettere le mani avanti e far sentire il crepitio di un fuoco di avvertimento. Se davvero - e sarà da vedersi, in questo clima - il Parlamento dovesse mettere mano ai poteri della Camera e del Senato, come si propone di fare, e se un lavoro del genere, anche senza cambiare del tutto l’aspetto costituzionale del nostro sistema, comportasse un rafforzamento della figura del premier o addirittura l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, non si capisce come da una ristrutturazione del genere potrebbe restare escluso l’organo di autogoverno dei giudici. Ma tant’è: i rapporti tra i due principali partiti della maggioranza sono improntati a un tale clima di sospetto che al minimo stormir di fronde si incrociano raffiche di polemiche.
Non è stata da meno anche l’accoglienza che il Pdl, non tutto, ma a un certo livello, ha tributato ai provvedimenti usciti da Palazzo Chigi mercoledì. Il capogruppo dei deputati Brunetta ha sostenuto che la sospensione dell’aumento dell’Iva è stata adottata senza trasparenza sulle coperture (attacco al ministro dell’Economia Saccomanni), mentre la sua vice Gelmini spiegava che il decreto sul l’occupazione giovanile realizzava solo in parte una proposta lanciata durante la campagna elettorale dal centrodestra. Per evitare che il consiglio dei ministri preparato con tanta cura, e tenuto alla vigilia del vertice di Bruxelles anche per dimostrare la capacità riformatrice del proprio governo, apparisse come una specie di gioco delle tre carte, Letta è dovuto intervenire personalmente dall’estero per difendere Saccomanni e reagire alle accuse di Brunetta.
Ora, a parte i risultati che potrà conseguire con la sua missione europea (segnata, come sempre, da un avvio interlocutorio e da un veto del primo ministro inglese Cameron che non fa ben sperare), ci si chiede quanto potrà andare avanti ancora il governo su una strada così accidentata. Il problema non è la durata (sulla quale, in mancanza di alternative, sia Berlusconi sia Epifani si sono impegnati fino all’altro ieri), ma la possibilità e la capacità di realizzare il programma su cui era nato l’accordo delle larghe intese. Un elenco ambizioso di riforme improcrastinabili, dall’economia alle istituzioni, non prive di conseguenze sociali, che solo un accordo tra (ex?) avversari poteva consentire di varare, suddividendone i costi politici e preparandosi a incassarne i dividendi al momento dell’uscita dell’Italia dalla crisi. Invece, finora, s’è preferito procedere di rinvio in rinvio, dall’Imu all’Iva alla Grande Riforma, spostando all’autunno il momento della vera resa dei conti e dell’eventuale, in caso di rottura, ritorno alle urne.
Pressati in questa gimcana dai rispettivi partiti - uno, il Pd, in corsa verso il congresso, l’altro, il Pdl, precipitato verso una rifondazione del marchio e dello spirito «rivoluzionario» di Forza Italia - Letta e Alfano hanno dimostrato fin qui una personale e straordinaria abilità a districarsi tra i veti incrociati e a tenere in piedi un esecutivo, nato traballante, e alle prese con un’opposizione trasversale e strisciante che attraversa tutta la larga maggioranza di cui dispone. Ma alla vigilia della lunga estate in cui una volta e per tutte si giocherà la sopravvivenza, forse è lecito chiedersi se un governo come questo può accontentarsi di tirare a campare. E soprattutto di campare così.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Forza Italia, Silvio Berlusconi rade al suolo Angelino Alfano e la nomenklatura Pdl
(VIDEO)
Pubblicato: 28/06/2013 21:41 CEST | Aggiornato: 28/06/2013 21:53 CEST
Forza Italia, entro luglio, cavilli permettendo. E comunque il più presto possibile.
C’è un motivo se Silvio Berlusconi ha deciso di accelerare.
Senza discutere più di tanto: “Si fa come dice, ne ha piene le scatole di questi del partito. Niente discussioni, niente congressi” sussurra chi è vicino all’operazione.
Ed è legato all’ultima settimana da incubo.
Al calvario giudiziario: “Alfano – prosegue – non lo ha difeso come avrebbe dovuto, e si è capito che una parte del Pdl, quelli che fecero con Angelino Italia popolare stanno facendo lo stesso gioco di allora.
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Aspettano il cadavere giudiziario di Berlusconi blindandosi nel governo Letta”.
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Ecco, prima ancora del fatto che il Pdl è costoso, prima ancora del fatto che il “marchio non tira” c’è che, per il Cavaliere, non è più uno strumento nelle mani del Capo.
Nella fase della guerra finale con le procure, serve altro.
Serve, spiegano fonti vicine al dossier, un partito che, se il Capo vuole tirare giù il governo, obbedisce senza battere ciglio. Per questo va fatto, e subito.
Il tema dei soldi è il grimaldello che imporre l’operazione. Ma il vero obiettivo, ora che non ci sono elezioni in vista, (per ora) è politico: radere al suolo il quartier generale, Alfano&Co. Che l’ex premier considera dannoso nella nuova fase. E di cui “ne ha piene le scatole”.
Non è un caso che Berlusconi da settimane ha iniziato un’opera di terrorismo psicologico verso la nomenklatura. Il “pizzino” recapitato da Bisignani ai traditori “Alfano” e “Schifani” a cui è arrivata la solidarietà di Bonaiuti oltre ventiquattrore dopo.
E poi il tormentone di Marina, nome usato dai falchi come una clava da sbattere sulla testa di quelli, Alfano&Co, che volevano seppellire Berlusconi con le primarie a novembre.
Quelli che a Grazioli chiamano “gli Olimpici” visto che la Convention di Italia Popolare fu fatta al teatro Olimpico.
E ancora Sandro Bondi, il più autentico interprete del Berlusconi pensiero che lancia Daniela Santanchè come coordinatore.
E ancora, Daniela che annuncia la rinascita di Forza Italia, d’intesa con Berlusconi e Verdini che, dopo mesi di silenzio, affida al Corriere lo spiffero sul voto a ottobre.
E’ chiaro il punto di caduta: la decapitazione di un intero gruppo dirigente.
Per avere mani libere.
E uno strumento duttile tra le mani.
Perché lo statuto di Forza Italia parla chiaro: non c’è segretario, i dirigenti sono tutti nominati. C’è solo il “presidente”.
E un coordinatore, cioè Verdini. Addio vertici, riunioni, uffici di presidenza, dibattiti, frenate.
Cancellato il segretario senza quid con un regolamento.
Un’operazione che Berlusconi sta portando avanti con segretezza, alimentando sospetti sulla grande purga.
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In un clima pesante: “Una situazione così tesa – dicono a via dell’Umiltà – non si è mai vista. Sono due partiti in uno”. Da un lato i falchi. Dall’altro Alfano e la nomenklatura. Oramai non ci si parla più.
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Dalle parti dei falchi l’operazione viene così vissuta: “Alfano è morto”.
Dalle parti di Alfano, il cui nervosismo viene descritto come incalcolabile, raccontano che il segretario ha consegnato ai suoi giudizi irripetibili sulla Santanché.
Non è il solo. Basti pensare che un moderato come Gaetano Quagliariello chiami lei e Sallusti “i coniugi Goebbels”.
Altri, rimanendo nella metafora nazista, diminuiscono le stellette sulla divisa: “Sallusti e Santanchè? Quelli di Italia Popolare li chiamano SS”.
Una convivenza considerata insostenibile.
Di fronte alla quale sono iniziati i movimenti dei separati in casa.
Alfano è impietrito dalla paura.
Ma chi gli è vicino sta immaginando un’operazione spericolata: un partito di centro che puntelli il governo Letta, consentendogli di sopravvivere allo tsunami giudiziario del Cavaliere.
Detta in modo semplice: se il governo svalica l’interdizione del Cavaliere è fatta.
Ma per essere fatta la manovra deve avere un padre politico che non è Angelino Alfano, che anche questa volta avrebbe il semplice ruolo di esecutore.
Il segnale sarebbe la nomina di Gianni Letta senatore a vita.
Insomma, Napolitano che dà al nuovo centro un punto di riferimento, mentre le procure fanno a pezzi Berlusconi.
C’è già chi ci sta lavorando.
Ed è così che si spiega la soluzione finale verso le nomeklature: “Ora – dice chi ha parlato con Berlusconi – il presidente si riprende il partito, poi si vedrà il governo”.
Nelle intenzioni, il Cavaliere dentro Forza Italia vuole portarsi tutti.
Ma senza trattare su nulla. Per la serie, chi non vuole, quella è la porta.
Sia sul partito che sul governo. Perché è certo che “quando uno lancia un nuovo marchio – dicono nella cerchia ristretta – significa che si pensa al voto”.
http://www.huffingtonpost.it/2013/06/28 ... _ref=italy
(VIDEO)
Pubblicato: 28/06/2013 21:41 CEST | Aggiornato: 28/06/2013 21:53 CEST
Forza Italia, entro luglio, cavilli permettendo. E comunque il più presto possibile.
C’è un motivo se Silvio Berlusconi ha deciso di accelerare.
Senza discutere più di tanto: “Si fa come dice, ne ha piene le scatole di questi del partito. Niente discussioni, niente congressi” sussurra chi è vicino all’operazione.
Ed è legato all’ultima settimana da incubo.
Al calvario giudiziario: “Alfano – prosegue – non lo ha difeso come avrebbe dovuto, e si è capito che una parte del Pdl, quelli che fecero con Angelino Italia popolare stanno facendo lo stesso gioco di allora.
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Aspettano il cadavere giudiziario di Berlusconi blindandosi nel governo Letta”.
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Ecco, prima ancora del fatto che il Pdl è costoso, prima ancora del fatto che il “marchio non tira” c’è che, per il Cavaliere, non è più uno strumento nelle mani del Capo.
Nella fase della guerra finale con le procure, serve altro.
Serve, spiegano fonti vicine al dossier, un partito che, se il Capo vuole tirare giù il governo, obbedisce senza battere ciglio. Per questo va fatto, e subito.
Il tema dei soldi è il grimaldello che imporre l’operazione. Ma il vero obiettivo, ora che non ci sono elezioni in vista, (per ora) è politico: radere al suolo il quartier generale, Alfano&Co. Che l’ex premier considera dannoso nella nuova fase. E di cui “ne ha piene le scatole”.
Non è un caso che Berlusconi da settimane ha iniziato un’opera di terrorismo psicologico verso la nomenklatura. Il “pizzino” recapitato da Bisignani ai traditori “Alfano” e “Schifani” a cui è arrivata la solidarietà di Bonaiuti oltre ventiquattrore dopo.
E poi il tormentone di Marina, nome usato dai falchi come una clava da sbattere sulla testa di quelli, Alfano&Co, che volevano seppellire Berlusconi con le primarie a novembre.
Quelli che a Grazioli chiamano “gli Olimpici” visto che la Convention di Italia Popolare fu fatta al teatro Olimpico.
E ancora Sandro Bondi, il più autentico interprete del Berlusconi pensiero che lancia Daniela Santanchè come coordinatore.
E ancora, Daniela che annuncia la rinascita di Forza Italia, d’intesa con Berlusconi e Verdini che, dopo mesi di silenzio, affida al Corriere lo spiffero sul voto a ottobre.
E’ chiaro il punto di caduta: la decapitazione di un intero gruppo dirigente.
Per avere mani libere.
E uno strumento duttile tra le mani.
Perché lo statuto di Forza Italia parla chiaro: non c’è segretario, i dirigenti sono tutti nominati. C’è solo il “presidente”.
E un coordinatore, cioè Verdini. Addio vertici, riunioni, uffici di presidenza, dibattiti, frenate.
Cancellato il segretario senza quid con un regolamento.
Un’operazione che Berlusconi sta portando avanti con segretezza, alimentando sospetti sulla grande purga.
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In un clima pesante: “Una situazione così tesa – dicono a via dell’Umiltà – non si è mai vista. Sono due partiti in uno”. Da un lato i falchi. Dall’altro Alfano e la nomenklatura. Oramai non ci si parla più.
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Dalle parti dei falchi l’operazione viene così vissuta: “Alfano è morto”.
Dalle parti di Alfano, il cui nervosismo viene descritto come incalcolabile, raccontano che il segretario ha consegnato ai suoi giudizi irripetibili sulla Santanché.
Non è il solo. Basti pensare che un moderato come Gaetano Quagliariello chiami lei e Sallusti “i coniugi Goebbels”.
Altri, rimanendo nella metafora nazista, diminuiscono le stellette sulla divisa: “Sallusti e Santanchè? Quelli di Italia Popolare li chiamano SS”.
Una convivenza considerata insostenibile.
Di fronte alla quale sono iniziati i movimenti dei separati in casa.
Alfano è impietrito dalla paura.
Ma chi gli è vicino sta immaginando un’operazione spericolata: un partito di centro che puntelli il governo Letta, consentendogli di sopravvivere allo tsunami giudiziario del Cavaliere.
Detta in modo semplice: se il governo svalica l’interdizione del Cavaliere è fatta.
Ma per essere fatta la manovra deve avere un padre politico che non è Angelino Alfano, che anche questa volta avrebbe il semplice ruolo di esecutore.
Il segnale sarebbe la nomina di Gianni Letta senatore a vita.
Insomma, Napolitano che dà al nuovo centro un punto di riferimento, mentre le procure fanno a pezzi Berlusconi.
C’è già chi ci sta lavorando.
Ed è così che si spiega la soluzione finale verso le nomeklature: “Ora – dice chi ha parlato con Berlusconi – il presidente si riprende il partito, poi si vedrà il governo”.
Nelle intenzioni, il Cavaliere dentro Forza Italia vuole portarsi tutti.
Ma senza trattare su nulla. Per la serie, chi non vuole, quella è la porta.
Sia sul partito che sul governo. Perché è certo che “quando uno lancia un nuovo marchio – dicono nella cerchia ristretta – significa che si pensa al voto”.
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 301
La cruna dell’ago – 266
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 266
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 246
Cronaca di un affondamento annunciato - 246
In mezzo alla tempesta - 184
Romanzo criminale - 11
Piano piano i giochi vengono alla luce. Come si usa dire con lessico popolare “Il tempo è galantuomo”.
Il punto di arrivo é questo, anche se la partenza avviene da lontano.
Aspettano il cadavere giudiziario di Berlusconi blindandosi nel governo Letta”.
Anche Antonello Caporale su IFQ di stamani arriva alle stesse conclusioni.
Questo però ha bisogno della traduzione dal politichese che molti giornalisti non intendono ancora fare.
E’ la ricomposizione della Diccì “De fatto”.
E’ possibile che dietro tutta questa manovra ci sia la solita mente che dirige l’orchestra, che pianifica strategie e indirizzi.
Quello che però lascia molto, molto, molto perplessi, è la base del popolo di sinistra che non comprende cosa sta accadendo.
Crede sempre che i bambini li porti la cicogna, che gli asini volano, che se si sta ben attenti almeno una volta l’anno scende la manna dal cielo, che la befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, tra il 5 e 6 di gennaio. Crede che Giuliano Ferrara è riuscito nel salto in alto quando l’asticella è stata portata a 2,2 m, e mentre spiccava il salto si metteva il rossetto per urlare che siamo tutti puttane.
Tanto è vero che molti giornalisti parlano del Pd come se fosse la sinistra italiana.
Ma quello che è peggio è che la stessa identificazione la fanno a livello popolare eccellenti osservatori della politica italiana del tutto scafati e profondi conoscitori dei fatti e misfatti della politica e dei fatti della vita.
E’ stupefacente sentire ancora in queste ore affermare: “ Ma la sinistra………”, facendo riferimento al Pd.
La sinistra italiana non esiste più da molto tempo ed è stata fatta fuori con molta abilità, bisogna riconoscerlo, sia dagli ex democristiani, sia dagli ex Pci, a cui è stato fatto intendere molto chiaramente che se volevano frequentare le sale del potere dovevano cancellare la sinistra.
Nelle sfere alte la sinistra con il suo bagaglio di valori non è gradita.
Chi lo ha capito molto bene è Romano Prodi che al mondo della politica ha detto definitivamente basta proprio questa settimana.
A Romano gli ci sono voluti 35 anni per capirlo, per capire come funziona l’ambaradan, ma alla fine ci è arrivato da solo a furia di calci sui denti.
Continua
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 301
La cruna dell’ago – 266
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 266
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 246
Cronaca di un affondamento annunciato - 246
In mezzo alla tempesta - 184
Romanzo criminale - 11
Piano piano i giochi vengono alla luce. Come si usa dire con lessico popolare “Il tempo è galantuomo”.
Il punto di arrivo é questo, anche se la partenza avviene da lontano.
Aspettano il cadavere giudiziario di Berlusconi blindandosi nel governo Letta”.
Anche Antonello Caporale su IFQ di stamani arriva alle stesse conclusioni.
Questo però ha bisogno della traduzione dal politichese che molti giornalisti non intendono ancora fare.
E’ la ricomposizione della Diccì “De fatto”.
E’ possibile che dietro tutta questa manovra ci sia la solita mente che dirige l’orchestra, che pianifica strategie e indirizzi.
Quello che però lascia molto, molto, molto perplessi, è la base del popolo di sinistra che non comprende cosa sta accadendo.
Crede sempre che i bambini li porti la cicogna, che gli asini volano, che se si sta ben attenti almeno una volta l’anno scende la manna dal cielo, che la befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, tra il 5 e 6 di gennaio. Crede che Giuliano Ferrara è riuscito nel salto in alto quando l’asticella è stata portata a 2,2 m, e mentre spiccava il salto si metteva il rossetto per urlare che siamo tutti puttane.
Tanto è vero che molti giornalisti parlano del Pd come se fosse la sinistra italiana.
Ma quello che è peggio è che la stessa identificazione la fanno a livello popolare eccellenti osservatori della politica italiana del tutto scafati e profondi conoscitori dei fatti e misfatti della politica e dei fatti della vita.
E’ stupefacente sentire ancora in queste ore affermare: “ Ma la sinistra………”, facendo riferimento al Pd.
La sinistra italiana non esiste più da molto tempo ed è stata fatta fuori con molta abilità, bisogna riconoscerlo, sia dagli ex democristiani, sia dagli ex Pci, a cui è stato fatto intendere molto chiaramente che se volevano frequentare le sale del potere dovevano cancellare la sinistra.
Nelle sfere alte la sinistra con il suo bagaglio di valori non è gradita.
Chi lo ha capito molto bene è Romano Prodi che al mondo della politica ha detto definitivamente basta proprio questa settimana.
A Romano gli ci sono voluti 35 anni per capirlo, per capire come funziona l’ambaradan, ma alla fine ci è arrivato da solo a furia di calci sui denti.
Continua
Re: Come se ne viene fuori ?
L'Huffington Post sempre più spesso mi sembra la versione educata di dagospia.... molto gossip da gola profonda e pochissimi fatti concreti...ma tant'è.
se è vero quanto prospettato ...minchia povero alfano cornuto e mazziato.
per senatore a vita gianni letta non so .... almeno sa suonare qualche strumento musicale ?
Senatori a vita, il rebus di Napolitano
Mercoledì, 26 giugno 2013 - 13:45:00
http://www.affaritaliani.it/politica/se ... 60613.html
Dopo la scomparsa di Emilio Colombo ne sono rimasti solo tre: uno di diritto perche' ex presidente della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi) e due di nomina presidenziale (Mario Monti e lo stesso Giorgio Napolitano). Secondo la Costituzione, in uno dei suoi articoli piu' variamente interpretati, i senatori a vita di nomina presidenziale devono essere al massimo cinque. Recita l'articolo 59: "Il Presidente della Repubblica puo' nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Per anni, a cominciare con la presidenza Pertini e poi con quella Cossiga, la norma e' stata interpretata in maniera estensiva. Vale a dire: ogni Presidente puo' nominarne fino a cinque.
Per ristabilire un'equilibrio parlamentare che altrimenti poteva risultare compromesso, Oscar Luigi Scalfaro non ne nomino' nemmeno uno. Alla cifra di cinque si torna invece con la presidenza Ciampi (Luzi, Rita Levi Montalcini, Pininfarina lo stesso Napolitano e Colombo, scomparso ieri). Oggi Napolitano si trova con il problema contrario a quello di Scalfaro: tenere attivo un istituto di rilievo costituzionale che in questo momento e' vicino alla cancellazione de facto.
Oggi non e' certo la giornata adatta per esercitare pressioni a riguardo: dal Colle si fa sapere che l'impegno semmai e' per il lutto per Emilio Colombo, un padre costituente, piu' volte ministro degli esteri e presidente del Consiglio nonche' internazionalmente riconosciuto come uno dei grandi europeisti del secodo dopoguerra. Con lui, ha voltuo ricordare Napolitano, "scompare l'ultima figura di spicco di quella straordinaria esperienza fondativa della nuova democrazia italiana che fu l'Assemblea Costituente. Insieme con le innumerevoli occasioni di discussione e di amichevole confronto che ho avuto con lui nel corso di oltre mezzo secolo desidero ricordare con sincero apprezzamento gli anni piu' recenti nei quali l'ho visto all'opera con straordinaria dedizione, assiduita' e dignita' come Senatore a vita piu' che mai legato a una tradizione di autentico rispetto delle istituzioni democratiche".
La questione della nomina di nuovi senatori a vita, comunque, pare destinata ad emergere nelle prossime settimane, o piu' probabilmente dopo la pausa estiva. Napolitano, infatti, ha bisogno che decanti l'attuale fase di fribilizzazione politica. Ancora nelle passate settimane la faccenda era andata intrecciandosi a quella del destino personale, politico e indirettamente anche giudiziario di Silvio Berlusconi. Piu' volte, da parte del Pdl, e' stata avanzata l'ipotesi di una nomina a senatore a vita per il fondatore del partito, anche in concomitanza con l'assegnazione dello stesso tipo di laticlavio a Romano Prodi. Ipotesi sfumata, se mai e' stata ritenuta concreta.
Anche perche' la seconda parte del suddetto articolo 59 della Costituzione precisa che la nomina riguarda benemeriti in "campo sociale, scientifico, artistico o letterario". Il campo politico non viene citato, e Napolitano sembra tendere a indirizzarsi verso nomine piu' facilmente identificabili con la societa' civile. Grandi direttori d'orchestra, scrittori, intellettuali.
se è vero quanto prospettato ...minchia povero alfano cornuto e mazziato.
per senatore a vita gianni letta non so .... almeno sa suonare qualche strumento musicale ?
Senatori a vita, il rebus di Napolitano
Mercoledì, 26 giugno 2013 - 13:45:00
http://www.affaritaliani.it/politica/se ... 60613.html
Dopo la scomparsa di Emilio Colombo ne sono rimasti solo tre: uno di diritto perche' ex presidente della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi) e due di nomina presidenziale (Mario Monti e lo stesso Giorgio Napolitano). Secondo la Costituzione, in uno dei suoi articoli piu' variamente interpretati, i senatori a vita di nomina presidenziale devono essere al massimo cinque. Recita l'articolo 59: "Il Presidente della Repubblica puo' nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Per anni, a cominciare con la presidenza Pertini e poi con quella Cossiga, la norma e' stata interpretata in maniera estensiva. Vale a dire: ogni Presidente puo' nominarne fino a cinque.
Per ristabilire un'equilibrio parlamentare che altrimenti poteva risultare compromesso, Oscar Luigi Scalfaro non ne nomino' nemmeno uno. Alla cifra di cinque si torna invece con la presidenza Ciampi (Luzi, Rita Levi Montalcini, Pininfarina lo stesso Napolitano e Colombo, scomparso ieri). Oggi Napolitano si trova con il problema contrario a quello di Scalfaro: tenere attivo un istituto di rilievo costituzionale che in questo momento e' vicino alla cancellazione de facto.
Oggi non e' certo la giornata adatta per esercitare pressioni a riguardo: dal Colle si fa sapere che l'impegno semmai e' per il lutto per Emilio Colombo, un padre costituente, piu' volte ministro degli esteri e presidente del Consiglio nonche' internazionalmente riconosciuto come uno dei grandi europeisti del secodo dopoguerra. Con lui, ha voltuo ricordare Napolitano, "scompare l'ultima figura di spicco di quella straordinaria esperienza fondativa della nuova democrazia italiana che fu l'Assemblea Costituente. Insieme con le innumerevoli occasioni di discussione e di amichevole confronto che ho avuto con lui nel corso di oltre mezzo secolo desidero ricordare con sincero apprezzamento gli anni piu' recenti nei quali l'ho visto all'opera con straordinaria dedizione, assiduita' e dignita' come Senatore a vita piu' che mai legato a una tradizione di autentico rispetto delle istituzioni democratiche".
La questione della nomina di nuovi senatori a vita, comunque, pare destinata ad emergere nelle prossime settimane, o piu' probabilmente dopo la pausa estiva. Napolitano, infatti, ha bisogno che decanti l'attuale fase di fribilizzazione politica. Ancora nelle passate settimane la faccenda era andata intrecciandosi a quella del destino personale, politico e indirettamente anche giudiziario di Silvio Berlusconi. Piu' volte, da parte del Pdl, e' stata avanzata l'ipotesi di una nomina a senatore a vita per il fondatore del partito, anche in concomitanza con l'assegnazione dello stesso tipo di laticlavio a Romano Prodi. Ipotesi sfumata, se mai e' stata ritenuta concreta.
Anche perche' la seconda parte del suddetto articolo 59 della Costituzione precisa che la nomina riguarda benemeriti in "campo sociale, scientifico, artistico o letterario". Il campo politico non viene citato, e Napolitano sembra tendere a indirizzarsi verso nomine piu' facilmente identificabili con la societa' civile. Grandi direttori d'orchestra, scrittori, intellettuali.
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Re: Come se ne viene fuori ?
il Fatto 29.6.13
Intervista a Gino Strada
“La Repubblica non esiste più, l’han privatizzata”
di Sandra Amurri
Ascoltare Gino Strada, fondatore con la moglie Teresa Sarti di Emergency presieduta dalla figlia Cecilia, è come immergersi in un mondo smarrito in cui le parole riacquistano la loro umanità.
Con quell'aria apparentemente stanca, quasi assente, scapigliato, quando parla cattura l'attenzione perchè il suo dire è passione e pratica di vita.
Apostrofato dai giornali berlusconiani come “visionario, venditore di fumo, comunista”.
È Amato da migliaia di volontarie e volontari e da quella sinistra in cerca di casa.
E indicato dal popolo web di Grillo come candidato per il Quirinale.
Strada è a Livorno per il XII Incontro di Emergency: “Diritti o Privilegi”.
Punto di domanda volutamente assente nel titolo?
Ovvio. Non dovremmo più chiamarci Repubblica italiana ma Paese privato. La messa in dubbio della sostenibilità della sanità, dell'acqua, della scuola pubblica. Ormai è al di fuori della politica. La Costituzione sta diventando la più grottesca del mondo, non siamo più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sui licenziamenti.
Deluso da Grillo?
Il M5S è stato e resta un segnale forte per i “signori della politica”.
Il problema non è M5S, ma questa nuova formazione bulgara che ci governa: la messa in pratica o meglio la conclusione di un processo che dura da decenni.
Destra, sinistra, al di là del codice stradale vuol dire guerra o pace, pubblico o privato e tante altre cose. Quando una parola come la sinistra viene stuprata meglio cambiar parola.
Ne ha una nuova?
No, serve a poco. Non sono ottimista sul fatto che le cose cambieranno.
Il che non significa che bisogna smettere di parlare di certi valori, di promuoverli, di fare delle cose giuste che cambiano la vita delle persone.
Più delle coglionate dei politici.
Se siamo in tanti ci troveremo in una società migliore.
In questo sono ottimista.
Pentito di non aver accettato la candidatura al Colle proposta dal popolo di Grillo?
Era una proposta-provocazione, il Presidente lo eleggono i grandi elettori e siccome lì dentro ci sono condannati, papponi, pedofili...
Però il ministro della Sanità lo avrebbe fatto...
Intanto è il premier che forma il governo ma se uno qualsiasi, non importa chi, me lo chiedesse seriamente risponderei: il mio programma è questo: fuori il profitto dalla sanità, nessun soldo pubblico deve più finire nelle tasche del privato, via le convenzioni.
Emergency dal 2006 opera anche in Italia.
Chi l'avrebbe mai detto?
Stiamo mettendo in piedi ambulatori mobili.
Strutture di alta qualità e gratuite come da diritto costituzionale per chi, e sono tanti, non può più permettersi di essere curato.
Stiamo costruendo una sanità non profit contro quella profit.
Sanità che è stata rovinata con l'introduzione del concetto di azienda che risponde alla domanda: quanto bisogna spendere?
Quanto serve, non un euro in più.
Qualcuno ci dice che noi spendiamo 35 miliardi meno della Germania e della Francia ottenendo risultati migliori e che abbiamo tecnologie superiori ad altri Paesi ma non le usiamo? Però ci dicono che il sistema è in crisi.
E il cittadino paga un ticket superiore a quello che pagherebbe in una struttura privata.
Mi chiedo dov'è l'aggettivo pubblico? Cosa vuol dire ticket?
Da quando in qua bisogna pagare i propri diritti?
Il sistema resiste grazie alla volontà di tanti medici e infermieri che operano contro le politiche sanitarie.
Teoria ineccepibile. In pratica?
Basterebbe non firmare piu nessuna convenzione, riesaminare quelle esistenti e tagliare quelle senza senso ma non c'è la volontà politica perchè la casta ha profondi intrecci con la cricca del settore della sanità.
Perché gli ospedali comperano lo stesso prodotto di Emergency e lo pagano 3,5,10 volte di più?
Perchè nel gonfiare i prezzi c'è spazio per le mazzette.
Secondo l'Oms il maggior determinante della salute è la giustizia sociale.
La sanità non riguarda solo ospedali e ambulatori, ha a che fare con la difesa dell'ambiente.
E vogliamo parlare delle malattie costruite a tavolino?
Parliamone.
Veicolazione della malattia vuol dire assicurarsi che vengano consumati sempre più farmaci da persone sane convinte di essere malate per fare soldi.
Dicono che se hai la glicemia alta hai il diabete. Se il livello di normalità della glicemia prima era 125, la abbassano a 110. Uguale per il colesterolo, l'ipertensione... Parte una nuova campagna e si vendono i farmaci. Porcherie con il coinvolgimento dei medici.
Torniamo alla politica lei è molto critico però non vota da 35 anni.
Non voterò mai chi non mi garantisce che non mi porti in guerra, non ho bisogno dell'art 11 della Costituzione mi basta la mia coscienza civile.
So che fino a che ci sarà questa casta politica non sarà possibile costruire un sistema etico, un sentire comune con regole certe.
Invece di una società stiamo costruendo una grande giungla.
Nello statuto dei diritti umani si dice che gli uomini debbono comportarsi in spirito di fratellanza, se siamo insieme il rispetto per gli altri è il rispetto per noi stessi, cioè un bene comune.
Intervista a Gino Strada
“La Repubblica non esiste più, l’han privatizzata”
di Sandra Amurri
Ascoltare Gino Strada, fondatore con la moglie Teresa Sarti di Emergency presieduta dalla figlia Cecilia, è come immergersi in un mondo smarrito in cui le parole riacquistano la loro umanità.
Con quell'aria apparentemente stanca, quasi assente, scapigliato, quando parla cattura l'attenzione perchè il suo dire è passione e pratica di vita.
Apostrofato dai giornali berlusconiani come “visionario, venditore di fumo, comunista”.
È Amato da migliaia di volontarie e volontari e da quella sinistra in cerca di casa.
E indicato dal popolo web di Grillo come candidato per il Quirinale.
Strada è a Livorno per il XII Incontro di Emergency: “Diritti o Privilegi”.
Punto di domanda volutamente assente nel titolo?
Ovvio. Non dovremmo più chiamarci Repubblica italiana ma Paese privato. La messa in dubbio della sostenibilità della sanità, dell'acqua, della scuola pubblica. Ormai è al di fuori della politica. La Costituzione sta diventando la più grottesca del mondo, non siamo più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sui licenziamenti.
Deluso da Grillo?
Il M5S è stato e resta un segnale forte per i “signori della politica”.
Il problema non è M5S, ma questa nuova formazione bulgara che ci governa: la messa in pratica o meglio la conclusione di un processo che dura da decenni.
Destra, sinistra, al di là del codice stradale vuol dire guerra o pace, pubblico o privato e tante altre cose. Quando una parola come la sinistra viene stuprata meglio cambiar parola.
Ne ha una nuova?
No, serve a poco. Non sono ottimista sul fatto che le cose cambieranno.
Il che non significa che bisogna smettere di parlare di certi valori, di promuoverli, di fare delle cose giuste che cambiano la vita delle persone.
Più delle coglionate dei politici.
Se siamo in tanti ci troveremo in una società migliore.
In questo sono ottimista.
Pentito di non aver accettato la candidatura al Colle proposta dal popolo di Grillo?
Era una proposta-provocazione, il Presidente lo eleggono i grandi elettori e siccome lì dentro ci sono condannati, papponi, pedofili...
Però il ministro della Sanità lo avrebbe fatto...
Intanto è il premier che forma il governo ma se uno qualsiasi, non importa chi, me lo chiedesse seriamente risponderei: il mio programma è questo: fuori il profitto dalla sanità, nessun soldo pubblico deve più finire nelle tasche del privato, via le convenzioni.
Emergency dal 2006 opera anche in Italia.
Chi l'avrebbe mai detto?
Stiamo mettendo in piedi ambulatori mobili.
Strutture di alta qualità e gratuite come da diritto costituzionale per chi, e sono tanti, non può più permettersi di essere curato.
Stiamo costruendo una sanità non profit contro quella profit.
Sanità che è stata rovinata con l'introduzione del concetto di azienda che risponde alla domanda: quanto bisogna spendere?
Quanto serve, non un euro in più.
Qualcuno ci dice che noi spendiamo 35 miliardi meno della Germania e della Francia ottenendo risultati migliori e che abbiamo tecnologie superiori ad altri Paesi ma non le usiamo? Però ci dicono che il sistema è in crisi.
E il cittadino paga un ticket superiore a quello che pagherebbe in una struttura privata.
Mi chiedo dov'è l'aggettivo pubblico? Cosa vuol dire ticket?
Da quando in qua bisogna pagare i propri diritti?
Il sistema resiste grazie alla volontà di tanti medici e infermieri che operano contro le politiche sanitarie.
Teoria ineccepibile. In pratica?
Basterebbe non firmare piu nessuna convenzione, riesaminare quelle esistenti e tagliare quelle senza senso ma non c'è la volontà politica perchè la casta ha profondi intrecci con la cricca del settore della sanità.
Perché gli ospedali comperano lo stesso prodotto di Emergency e lo pagano 3,5,10 volte di più?
Perchè nel gonfiare i prezzi c'è spazio per le mazzette.
Secondo l'Oms il maggior determinante della salute è la giustizia sociale.
La sanità non riguarda solo ospedali e ambulatori, ha a che fare con la difesa dell'ambiente.
E vogliamo parlare delle malattie costruite a tavolino?
Parliamone.
Veicolazione della malattia vuol dire assicurarsi che vengano consumati sempre più farmaci da persone sane convinte di essere malate per fare soldi.
Dicono che se hai la glicemia alta hai il diabete. Se il livello di normalità della glicemia prima era 125, la abbassano a 110. Uguale per il colesterolo, l'ipertensione... Parte una nuova campagna e si vendono i farmaci. Porcherie con il coinvolgimento dei medici.
Torniamo alla politica lei è molto critico però non vota da 35 anni.
Non voterò mai chi non mi garantisce che non mi porti in guerra, non ho bisogno dell'art 11 della Costituzione mi basta la mia coscienza civile.
So che fino a che ci sarà questa casta politica non sarà possibile costruire un sistema etico, un sentire comune con regole certe.
Invece di una società stiamo costruendo una grande giungla.
Nello statuto dei diritti umani si dice che gli uomini debbono comportarsi in spirito di fratellanza, se siamo insieme il rispetto per gli altri è il rispetto per noi stessi, cioè un bene comune.
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