Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli ultimi giorni di Salò - 32



Fa caldo in tutta la penisola in questo agosto del 2013. Caldo in tutti i sensi, meteorologico e politico.

Cento anni fa, di questi tempi si celebrava l’ultimo Ferragosto di pace.

Il 28 luglio dell’anno successivo con la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914 , iniziava la prima guerra mondiale.

Non siamo di certo a quei livelli ma il clima è bollente.

Con una traslazione di solo 8 giorni, il Duce del berlusconismo subisce una sorte simile a quella del Duce del fascismo.

Mussolini viene fatto fuori nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 dai suoi in una tumultuosa seduta del Gran Consiglio del Fascismo, mentre Berlusconi viene fatto fuori il 1° agosto 2013, settant’anni dopo, da una sentenza della magistratura. Un ventennio il primo e un ventennio il secondo. Ma come per Mussolini la storia di Berlusconi non finisce lì.

Mussolini finirà la sua corsa quasi due anni dopo a Piazzale Loreto. Cosa riserba il destino al Duce del berlusconismo è tutta ancora una storia da scrivere.

In questi giorni i pareri sul Duce di Hardcore e sulla sua fine sono molti, ma non tutti concordi.

Roberto D’Agostino fornisce oggi il suo punto di vista in un’intervista ad Andrea Scanzi per IFQ.

Si tratta però di luci ed ombre. Non tutto è condivisibile.

Paradossalmente, sembra più vicino alla realtà l’intervento di Giampaolo Pansa per Libero.


****




1. DAGO SUL “FATTO”: ‘’STIAMO VIVENDO IL FERRAGOSTO DEL TRAPASSO DI BERLUSCONI” –

2. “OGGI E’ LO SPREAD CHE CI DICE CHE BERLUSCONI È FINITO. NEL NOVEMBRE 2011, QUANDO MOLLO’ PALAZZO CHIGI, ERA A 575. OGGI È A 230: EPPURE IN ITALIA C’È IL RECORD DEL DEBITO PUBBLICO, LA DISOCCUPAZIONE È ALLE STELLE, LE BANCHE RISCHIANO IL FALLIMENTO. MA DI COLPO LO SPREAD È GUARITO. PERCHÉ? PERCHÉ L’EURO POWER HA DECISO CHE BERLUSCONI APPARTIENE DEFINITIVAMENTE AI GIORNALI DI IERI. MORTO” –

3. PANSA SU “LIBERO”: “FORSE PARLEREMO DI SILVIO ANCORA PER MESI. MA ESISTE UNA VERITÀ CHE VA DETTA SENZA RETICENZE DA SUPPORTER: BERLUSCONI NON HA PIÙ FUTURO. E COME CAPO POLITICO È FINITO. PER TUTTI I POLITICI CON UNA STORIA IMPORTANTE ALLE SPALLE ARRIVA IL MOMENTO DI RICONOSCERE CHE IL LORO CICLO SI È CONCLUSO” -


DAGO SUL “FATTO”: ‘’STIAMO VIVENDO IL FERRAGOSTO DEL TRAPASSO DI BERLUSCONI”


1. ROBERTO D'AGOSTINO: "SILVIO DEVE CAPIRE CHE È FINITA MA È STATO LO SPREAD"
Andrea Scanzi per Il Fattoquotidiano.it


‘'Stiamo vivendo il Ferragosto del trapasso di Berlusconi. Gli storici lo ricorderanno così". Roberto D'Agostino è a Sabaudia, "nella casa più bella del mondo, neanche 50 passi e dalla mia camera da letto arrivo al mare". Si diverte a immaginare il futuro politico, "anche se non c'è nulla da ridere. Però Berlusconi ci mancherà, soprattutto a noi cinici".

Perché?

Ogni estate la fabbrica del berlusconismo regalava abissi: bunga bunga, Apicella, Topolanek, bandana, Noemi, il vulcano che eruttava per gli ospiti. La fabbrica di cioccolato. Uno spettacolo unico, abietto, ignobile, unico al mondo.

E politicamente?

Tragedia assoluta. Che ora è finita. Ora tutti i nodi, anzi i nudi, vengono al pettine. È il finale di Berlusconi. Rimarrà, ma dietro le quinte: come leader non c'è già più. Ormai non sa più dove sbattere la testa asfaltata e catramata.

La nota di Napolitano non era così dura.

Infatti non è stato lui a metterlo nel loculo, ma lo spread. Cos'è lo spread? Non è il termometro della salute economica di un paese, ma ciò che sancisce la differenza tra l'epoca della dittatura della lira e quella dell'euro. Oggi lo spread ci dice che Berlusconi è morto.

Spieghi.

Berlusconi si dimette a novembre 2011 non per il bene del paese, ma per salvarsi il culo. Mediaset perde in un giorno 12 punti. Letta, Confalonieri, Doris e i figli gli fanno capire che, se non si dimette, di lì a poco dovrà chiedere la legge Bacchelli.

E lo spread?

Nel momento delle dimissioni era a 575. Oggi è a 230: una cifra da paese normale, addirittura virtuoso. Eppure in Italia c'è il record del debito pubblico, la disoccupazione è alle stelle, le banche come Carige e MPS falliscono. Siamo prossimi al disastro , ma di colpo lo spread è guarito. Perché? Perché l'Europa ha deciso che Berlusconi è definitivamente il passato.

Quindi Letta andrà avanti?

Piace all'Eurozona ed è lei che decide. Dunque il governino Letta-Napo tocca tenerselo. Vige l'articolo quinto: chi ha i soldi ha vinto. E chi ha i soldi è la Germania, che guida il branco. Come dicono i coatti romani, non puoi avere la siringa piena e la moglie drogata.

La siringa piena ce l'hanno i falchi o le colombe?

Nessuno di loro. Costruiscono castelli di sabbia che il mare porta via. I Verdini e le Santadechè non sono falchi, ma catafalchi. Appartengono anche loro all'età della lira. Sono già dentro i loculi, come Berlusconi. Il trapasso è per tutti.

Anche per Alfano e Schifani? Dall'esclusione di Berlusconi guadagnerebbero spazio.

Dopo il casino kazako, Alfano non vedrà più un ministero neanche in tivù. Sarà per sempre l'uomo senza quid. Lui come gli altri sono dipendenti, figure minori di un movimento liquido.

Che succederà a settembre?

Nulla. Qualcuno regalerà a Berlusconi un Alka-Seltzer per digerire l'impossibilità della agibilità politica. Non ci sono grazie che possano salvarlo: è finita un'epoca. Napolitano non manderà mai al voto l'Italia senza legge elettorale, e proprio per questo nessuno farà mai la legge elettorale.

E se Berlusconi fa saltare il banco?

Napolitano fa un altro governino, stavolta di scopo, e si va avanti almeno fino al 2015. Nel frattempo il Pdl capisce che Berlusconi deve ritirarsi nel suo giardino dorato di Arcore e che, non avendo leader carismatici, deve affidarsi al mito della eredità del sangue.

Marina.


Sì. Così la dinastia Berlusconi va avanti. Come i Bush, come i Kennedy. Gli Anni Ottanta hanno sancito il culto del leader personalistico e la fine del comitato centrale di stampo comunista. Le dinastie sono mitiche a prescindere. I Kennedy mica erano geni. Erano depravati. JFK prima si scopava Marilyn, poi la fece uccidere dal mafioso che gli passava le donne.


Marina ha smentito

Lo ha fatto come favore a Napolitano. Ha già pronto anche il "negro", il ghostwriter che le scriverà i discorsi: Paolo Del Debbio. La vera rivelazione della tivù. Populista, furbo. Il padre aveva come consiglieri Letta e Confalonieri, Marina avrà Del Debbio.

E Renzi?

Il Pd, in quanto partito, fatica ad accettare la figura leaderistica. Renzi è il meno peggio, ma non è Berlinguer e potrebbe essere destabilizzato dalla dirigenza.

E Grillo?

Da buon italiano, è riuscito a portare in Parlamento dei rappresentanti mediocri e imbarazzanti, come Crimi o Lombardi. Davvero non c'era niente di meglio? Grillo e Casaleggio lo hanno fatto apposta, perché nessuno li offuscasse. Come Berlusconi. Anche i Di Battista e le Marta Grande sono già finiti.

Eppure lei passa per grillino.

Per Grillo è tutto un problema di ego. Il male dell'Italia non è l'economia, ma l'egonomia. Con me Grillo ha chiuso quando non ha appoggiato Prodi al Quirinale, insistendo con Rodotà. Se la sua linea politica è quella di Bartali, ‘L'è tutto da rifare', ero capace anch'io".
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli ultimi giorni di Salò - 33




2. PANSA: DICIAMO LA VERITÀ, BERLUSCONI NON HA FUTURO


Giampaolo Pansa per Libero quotidiano.it

Forse parleremo di Silvio Berlusconi ancora per mesi. (Questo è certo. Basta pensare i processi che ha in corso – ndt)

Forse il Cavaliere riuscirà a far cadere il governo Letta, sia pure senza ottenere le elezioni anticipate.
Forse i suoi tifosi continueranno a invocarlo come l'unico leader possibile del centrodestra.

Di certo resterà per molti un personaggio pubblico rispettato.

Però a mio avviso esiste una verità che va detta senza reticenze da supporter o ipocrite: Berlusconi non ha più futuro.

E come capo politico è finito.

Per tutti i politici con una storia importante alle spalle arriva il momento di riconoscere che il loro ciclo si è concluso.

Nella storia italiana del dopoguerra è accaduto a molti.

È sufficiente citare il nome più grande: Alcide De Gasperi.

Dopo aver guidato sette governi, nel luglio 1953 tentò di costituire l'ottavo, ma non ottenne la fiducia.

Lasciò il posto al governo monocolore democristiano di Giuseppe Pella e il 19 agosto 1954 morì, all'età di 73 anni.

Di certo Berlusconi camperà assai più a lungo di De Gasperi.

Il 29 settembre compirà 77 anni e ha l'aspetto e l'energia di un signore in ottima salute.

I suoi lati deboli, semmai, sono altri.

E adesso il Bestiario proverà a indicarne due, con bonarietà e senza nessuna intenzione provocatoria.

Sul versante giudiziario, il Cavaliere è messo male. Ha appena ricevuto dalla Cassazione la conferma di un condanna a quattro anni di carcere, di fatto ridotti a uno.

In più gli è stato inflitto un lungo periodo d'interdizione dai pubblici uffici, compresa una carica parlamentare.

Sino a oggi può sperare soltanto in un atto di clemenza del presidente della Repubblica.

Ma sarà lui a doverlo chiedere a Giorgio Napolitano.

È facile immaginare che il Cavaliere vivrebbe questa domanda come un'umiliazione.


Comunque, la situazione giudiziaria dell'ex premier risulta molto complicata.

Lo aspettano altri processi e forse nuove condanne.

Anche il più tignoso dei suoi avversari non può non riconoscere una verità: Berlusconi è il leader politico più processato in tutta la storia repubblicana.

È possibile che sia vittima di un complotto delle toghe rosse, ossia di magistrati militanti che lo avversano.

Ma se è così, bisogna ammettere che la congiura ha avuto successo.

Ne deriva una domanda inevitabile: un capo politico abbattuto da un complotto è ancora in grado di esercitare le proprie funzioni senza difficoltà?

Ecco un quesito che il centrodestra dovrebbe porsi.

Altrettanti problemi troviamo sul versante politico.

In questa metà d'agosto ha preso il via l'ennesima mutazione del centrodestra.

Il Cavaliere ha voluto ritornare alle origini.

Da Forza Italia a Forza Italia, passando per una serie complessa di sigle e di accorpamenti partitici-elettorali.

Questo salto nel passato mi sembra l'indizio più evidente di una debolezza esistenziale del Cavaliere. Parlo per esperienza personale.

Ho un anno più di Berlusconi.

E mi rendo conto che apparire sempre uguali a se stessi non è una civetteria da signori anziani.

È l'inevitabile antidoto psicologico contro l'avanzare della vecchiaia e la paura di morire.

A volte mi capita di osservare con attenzione una mia fotografia di qualche anno fa.

E se mi sembra di non essere cambiato troppo, mi sento soddisfatto.

Quando vinse la sua prima battaglia elettorale nel marzo 1994, Berlusconi aveva 57 anni e l'aspetto di un quarantenne.

È fatale che voglia fare un tuffo all'indietro nel tempo.

Purtroppo per lui, da quell'anno il mondo è cambiato, e insieme è cambiata l'Italia.

Per capirci, è sufficiente ricordare alcuni degli eventi accaduti nell'anno magico della sua vittoria d'esordio.

Nel 1994 morì Richard Nixon.

Nelson Mandela venne eletto presidente del Sudafrica.

La Federazione russa invase la Cecenia.

Israele firmò la pace con la Giordania.

Indro Montanelli lasciò la direzione del Giornale da lui fondato.

Morì Giovanni Spadolini.

Venne ritirato il passaporto a Bettino Craxi che si trovava già in Tunisia.

Mi meraviglio che Berlusconi, sempre così versatile, capace di ardite fantasie e attento a non ripetersi, sottovaluti i rischi connessi a un passo a ritroso di vent'anni.

Non voglio ripetere il logoro adagio che, quando si ripresenta, la storia passa dalla tragedia alla farsa.

Ma il minuscolo aereo che sorvolava Forte dei Marmi trascinando lo striscione «Forza Italia, Forza Silvio» era un spettacolo penoso.

Berlusconi per primo sa di essere irripetibile.

Dunque ha dei doveri verso se stesso e nei confronti dei suoi elettori.

Dopo la vittoria del 1994 disse parole che non ho dimenticato.

Qualcuno gli osservò che aveva compiuto un miracolo.

E lui rispose: «Non ho fatto nessun miracolo. Mi sono limitato a offrire una casa a tanti elettori che l'avevano persa».

Si riferiva agli italiani che avevano votato per la Dc, per il Psi e per i partiti laici, distrutti dal terremoto di Tangentoli e di Mani pulite.

Oggi il Cavaliere ha lo stesso compito di allora.

Deve dare una nuova casa ai milioni di elettori del centrodestra che nelle elezioni del febbraio 2013 non hanno più votato per il Pdl.

E si sono rifugiati nell'astensione o hanno scelto il voto suicida per le Cinque stelle di Beppe Grillo.

Se rifiuta di farlo, tradisce la propria storia e verrà ricordato soltanto come un politico fallito.

Ma per tenere fede a questo impegno, Berlusconi deve rinunciare al suo status odierno di leader assoluto del centrodestra.

Per assumere il ruolo del costruttore, invece di quello del comandante in capo.

E poiché in quest'epoca, dominata dallo strapotere dei media, il successo elettorale di qualsiasi partito è legato alla figura di un leader, Berlusconi deve accettare la croce di cercarlo lui il nuovo numero uno di Forza Italia, se questa sigla da antiquariato sarà destinata a durare.

Conosco già l'obiezione: non esiste in natura nessun successore di Silvio.

Ma la risposta, non soltanto del Bestiario, bensì di molti elettori del centrodestra, recita con semplicità: non esiste perché non viene cercato.

E Berlusconi per primo non sembra avere interesse a cercarlo.

A causa della pulsione a durare di qui all'eternità che ho già descritto, dettata dall'angoscia di scomparire.

Non dimentico quel che accadde quando Angelino Alfano diventò il segretario del Pdl.

Come era sempre avvenuto, fu Berlusconi a sceglierlo, con una decisione del tutto personale.

Ma dopo averlo messo in sella, si precipitò a dichiarare che Alfano non possedeva il «quid» che distingue un leader da un buon dirigente.

Ed è qui che emerge l'ultima domanda, quella delle cento pistole come la chiamava un vecchio quiz televisivo: può sperare di vincere le elezioni un partito che rimane sempre lo stesso ed è guidato da un vecchio capo che rifiuta di trovare, d'accordo con il gruppo dirigente, un nuovo leader?

E ancora: la bandiera di Forza Italia è quella giusta per condurre alla riscossa i tanti moderati che esistono, a tutti i livelli, nella società italiana del 2013?

Confesso di non avere una risposta.
Però mi ha colpito il passo di un articolo di Francesco Bei, su Repubblica di sabato 17 agosto.

Sosteneva che Berlusconi aveva risposto ai falchi vogliosi di andare subito a elezioni anticipate, dicendo: «Anche se la sinistra è sotto di tre punti rispetto alla nostra coalizione, Matteo Renzi è sempre quindici punti avanti a me nei sondaggi.

Loro metterebbero subito da parte le divisioni.

E pur di batterci si ricompatterebbero sul sindaco di Firenze».

Dobbiamo credere a Repubblica, l'organo ufficiale del Ttb, Tutto tranne Berlusconi?

Per una volta si può farlo.

Ma lo deve fare soprattutto quel che rimane del centrodestra.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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2. PANSA: DICIAMO LA VERITÀ, BERLUSCONI NON HA FUTURO


Giampaolo Pansa per Libero quotidiano.it

Forse parleremo di Silvio Berlusconi ancora per mesi. (Questo è certo. Basta pensare i processi che ha in corso – ndt)

Forse il Cavaliere riuscirà a far cadere il governo Letta, sia pure senza ottenere le elezioni anticipate.
Forse i suoi tifosi continueranno a invocarlo come l'unico leader possibile del centrodestra.

Di certo resterà per molti un personaggio pubblico rispettato.

Però a mio avviso esiste una verità che va detta senza reticenze da supporter o ipocrite: Berlusconi non ha più futuro.

E come capo politico è finito.

Per tutti i politici con una storia importante alle spalle arriva il momento di riconoscere che il loro ciclo si è concluso.

Nella storia italiana del dopoguerra è accaduto a molti.

È sufficiente citare il nome più grande: Alcide De Gasperi.

Dopo aver guidato sette governi, nel luglio 1953 tentò di costituire l'ottavo, ma non ottenne la fiducia.

Lasciò il posto al governo monocolore democristiano di Giuseppe Pella e il 19 agosto 1954 morì, all'età di 73 anni.

Di certo Berlusconi camperà assai più a lungo di De Gasperi.

Il 29 settembre compirà 77 anni e ha l'aspetto e l'energia di un signore in ottima salute.

I suoi lati deboli, semmai, sono altri.

E adesso il Bestiario proverà a indicarne due, con bonarietà e senza nessuna intenzione provocatoria.

Sul versante giudiziario, il Cavaliere è messo male. Ha appena ricevuto dalla Cassazione la conferma di un condanna a quattro anni di carcere, di fatto ridotti a uno.

In più gli è stato inflitto un lungo periodo d'interdizione dai pubblici uffici, compresa una carica parlamentare.

Sino a oggi può sperare soltanto in un atto di clemenza del presidente della Repubblica.

Ma sarà lui a doverlo chiedere a Giorgio Napolitano.

È facile immaginare che il Cavaliere vivrebbe questa domanda come un'umiliazione.


Comunque, la situazione giudiziaria dell'ex premier risulta molto complicata.

Lo aspettano altri processi e forse nuove condanne.

Anche il più tignoso dei suoi avversari non può non riconoscere una verità: Berlusconi è il leader politico più processato in tutta la storia repubblicana.

È possibile che sia vittima di un complotto delle toghe rosse, ossia di magistrati militanti che lo avversano.

Ma se è così, bisogna ammettere che la congiura ha avuto successo.

Ne deriva una domanda inevitabile: un capo politico abbattuto da un complotto è ancora in grado di esercitare le proprie funzioni senza difficoltà?

Ecco un quesito che il centrodestra dovrebbe porsi.

Altrettanti problemi troviamo sul versante politico.

In questa metà d'agosto ha preso il via l'ennesima mutazione del centrodestra.

Il Cavaliere ha voluto ritornare alle origini.

Da Forza Italia a Forza Italia, passando per una serie complessa di sigle e di accorpamenti partitici-elettorali.

Questo salto nel passato mi sembra l'indizio più evidente di una debolezza esistenziale del Cavaliere. Parlo per esperienza personale.

Ho un anno più di Berlusconi.

E mi rendo conto che apparire sempre uguali a se stessi non è una civetteria da signori anziani.

È l'inevitabile antidoto psicologico contro l'avanzare della vecchiaia e la paura di morire.

A volte mi capita di osservare con attenzione una mia fotografia di qualche anno fa.

E se mi sembra di non essere cambiato troppo, mi sento soddisfatto.

Quando vinse la sua prima battaglia elettorale nel marzo 1994, Berlusconi aveva 57 anni e l'aspetto di un quarantenne.

È fatale che voglia fare un tuffo all'indietro nel tempo.

Purtroppo per lui, da quell'anno il mondo è cambiato, e insieme è cambiata l'Italia.

Per capirci, è sufficiente ricordare alcuni degli eventi accaduti nell'anno magico della sua vittoria d'esordio.

Nel 1994 morì Richard Nixon.

Nelson Mandela venne eletto presidente del Sudafrica.

La Federazione russa invase la Cecenia.

Israele firmò la pace con la Giordania.

Indro Montanelli lasciò la direzione del Giornale da lui fondato.

Morì Giovanni Spadolini.

Venne ritirato il passaporto a Bettino Craxi che si trovava già in Tunisia.

Mi meraviglio che Berlusconi, sempre così versatile, capace di ardite fantasie e attento a non ripetersi, sottovaluti i rischi connessi a un passo a ritroso di vent'anni.

Non voglio ripetere il logoro adagio che, quando si ripresenta, la storia passa dalla tragedia alla farsa.

Ma il minuscolo aereo che sorvolava Forte dei Marmi trascinando lo striscione «Forza Italia, Forza Silvio» era un spettacolo penoso.

Berlusconi per primo sa di essere irripetibile.

Dunque ha dei doveri verso se stesso e nei confronti dei suoi elettori.

Dopo la vittoria del 1994 disse parole che non ho dimenticato.

Qualcuno gli osservò che aveva compiuto un miracolo.

E lui rispose: «Non ho fatto nessun miracolo. Mi sono limitato a offrire una casa a tanti elettori che l'avevano persa».

Si riferiva agli italiani che avevano votato per la Dc, per il Psi e per i partiti laici, distrutti dal terremoto di Tangentoli e di Mani pulite.

Oggi il Cavaliere ha lo stesso compito di allora.

Deve dare una nuova casa ai milioni di elettori del centrodestra che nelle elezioni del febbraio 2013 non hanno più votato per il Pdl.

E si sono rifugiati nell'astensione o hanno scelto il voto suicida per le Cinque stelle di Beppe Grillo.

Se rifiuta di farlo, tradisce la propria storia e verrà ricordato soltanto come un politico fallito.

Ma per tenere fede a questo impegno, Berlusconi deve rinunciare al suo status odierno di leader assoluto del centrodestra.

Per assumere il ruolo del costruttore, invece di quello del comandante in capo.

E poiché in quest'epoca, dominata dallo strapotere dei media, il successo elettorale di qualsiasi partito è legato alla figura di un leader, Berlusconi deve accettare la croce di cercarlo lui il nuovo numero uno di Forza Italia, se questa sigla da antiquariato sarà destinata a durare.

Conosco già l'obiezione: non esiste in natura nessun successore di Silvio.

Ma la risposta, non soltanto del Bestiario, bensì di molti elettori del centrodestra, recita con semplicità: non esiste perché non viene cercato.

E Berlusconi per primo non sembra avere interesse a cercarlo.

A causa della pulsione a durare di qui all'eternità che ho già descritto, dettata dall'angoscia di scomparire.

Non dimentico quel che accadde quando Angelino Alfano diventò il segretario del Pdl.

Come era sempre avvenuto, fu Berlusconi a sceglierlo, con una decisione del tutto personale.

Ma dopo averlo messo in sella, si precipitò a dichiarare che Alfano non possedeva il «quid» che distingue un leader da un buon dirigente.

Ed è qui che emerge l'ultima domanda, quella delle cento pistole come la chiamava un vecchio quiz televisivo: può sperare di vincere le elezioni un partito che rimane sempre lo stesso ed è guidato da un vecchio capo che rifiuta di trovare, d'accordo con il gruppo dirigente, un nuovo leader?

E ancora: la bandiera di Forza Italia è quella giusta per condurre alla riscossa i tanti moderati che esistono, a tutti i livelli, nella società italiana del 2013?

Confesso di non avere una risposta.
Però mi ha colpito il passo di un articolo di Francesco Bei, su Repubblica di sabato 17 agosto.

Sosteneva che Berlusconi aveva risposto ai falchi vogliosi di andare subito a elezioni anticipate, dicendo: «Anche se la sinistra è sotto di tre punti rispetto alla nostra coalizione, Matteo Renzi è sempre quindici punti avanti a me nei sondaggi.

Loro metterebbero subito da parte le divisioni.

E pur di batterci si ricompatterebbero sul sindaco di Firenze».

Dobbiamo credere a Repubblica, l'organo ufficiale del Ttb, Tutto tranne Berlusconi?

Per una volta si può farlo.

Ma lo deve fare soprattutto quel che rimane del centrodestra.
camillobenso
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Gli ultimi giorni di Salò - 34



Sino a oggi può sperare soltanto in un atto di clemenza del presidente della Repubblica.
Ma sarà lui a doverlo chiedere a Giorgio Napolitano.
È facile immaginare che il Cavaliere vivrebbe questa domanda come un'umiliazione.


Giampaolo Pansa



18 AGO 2013 17:42
FLASH! - BERLUSCONI NON CHIEDE LA GRAZIA PERCHÉ LA RICHIESTA PREVEDE UNA INDAGINE A TAPPETO SULLA PERSONA DA PARTE DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA... GLI AVVOCATI SCONSIGLIANO DI SOLLECITARE ULTERIORI INDAGINI...

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... -61305.htm
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli ultimi giorni di Salò - 35



“Berlusconi via dal Senato a metà ottobre”
(Liana Milella).
18/08/2013 di triskel182

(Per quella data cade il governo Letta - ndt)



Immagine



In Giunta maggioranza anti-Silvio. Stefàno e Casson: la legge impone di fare presto.
Gli scenari.

ROMA— Ha in serbo una brutta sorpresa per il Cavaliere il presidente della giunta per le immunità del Senato Dario Stefàno. Una di quelle che guastano le alchimie sue e degli avvocati Coppi, Ghedini, Longo (in rigoroso ordine alfabetico). Berlusconi s’illude di poter controllare i tempi della sua decadenza, di poterli slabbrare all’infinito, di poter giocare con i rinvii fino ad agganciare il prossimo voto politico. Ma la sua è solo un’illusione bella e buona. Stefàno, l’uomo di Vendola in giunta, e la solida maggioranza Pd, Sc, M5S sono intenzionati ad andare in tutt’altra direzione. Basta ripetere quello che proprio Stefàno è andato dicendo in questi giorni – «Per il 30 settembre la partita Berlusconi è chiusa» – e declinare le scadenze. Parlano i fatti in questa storia, non gli auspici politici.
Come dice il Pd Felice Casson «ipotizzare rinvii è solo una bufala ». Perché? Risponde l’ex pm: «La decadenza è pacifica, scontata, lineare, tant’è che il Pd stavolta ha fatto una sola riunione. Basta leggere la legge Severino, poi guardare il dispositivo della sentenza, et voilà, le jeux sont fait». Percorriamolo, allora, questo percorso prossimo venturo. Palazzo Madama, 28 agosto: scadono i 20 giorni concessi a Berlusconi per presentare la sua memoria difensiva. Se il testo c’è bene, sennò si va avanti lo stesso. Ad Arcore traccheggiano, Berlusconi è indeciso, vuol giocare la parte di chi rifiuta in toto la legge. È convinto che i suoi riescano ad allungare il brodo. Il vice presidente Pdl della giunta Giacomo Caliendo già sciorina gli argomenti: «Questa legge viene applicata per la prima volta, ci sono molte questioni non chiare che invece vanno chiarite, a cominciare dalla prima, se la decadenza è una conseguenza penale o amministrativa della sentenza. Non si può far finta di niente. Certo, non abbiamo la maggioranza in giunta, e questo è un handicap ».
Proprio così, un ostacolo non da poco per l’ex premier. Come dimostrano le mosse di Stefàno. Una ad esempio, ancora del tutto inedita. Al relatore Andrea Augello che ha gli ha scritto per chiedere ufficialmente di aspettare le motivazioni della sentenza, Stefàno ha risposto per lettera con un secco “niet”. «Non c’è nessuna ragione per attendere, le motivazioni non sono necessarie, la legge Severino impone di decidere “immediatamente”». Aggiunge Casson: «Forse Augello non ha
letto bene il dispositivo. Lì è scritto “sentenza irrevocabile”. Capito? Da quella non si scappa». Tuttavia Caliendo insiste e si gioca un altro pezzo forte dello strumentario Pdl: «Non possiamo fare a meno delle motivazioni, che peraltro, dopo il casino del giudice Esposito e della sua intervista, sono comunque viziate e non sono più autentiche perché non ci sarà mai la frase che doveva esserci, quel “non poteva non sapere”».
Ma sulle motivazioni Stefàno e la maggioranza sono inamovibili. Non si aspetta un bel nulla. Comunque, in Cassazione, il relatore
del collegio Mediaset, il giudice Amedeo Franco, da giorni ormai ha spento il cellulare e, dicono fonti bene informate, dovrebbe essere pronto a consegnare il lavoro tra il 4 e il 5 settembre. In ogni caso, quelle motivazioni non sono necessarie. Come dice Benedetto Della Vedova di Scelta civica «qui non dobbiamo fare un nuovo processo a Berlusconi, ma solo prendere atto del verdetto della Cassazione. La legge è chiara, usa apposta l’avverbio “immediatamente”. Stefàno ha già dato al relatore tutto il tempo necessario, questa vicenda non si può proprio trascinare in lungo. Senza accanimento, il tempo della decisione si misura in settimane. È così, ne devono prendere atto. Hanno fatto male i conti con la legge, quando l’approvammo. Ricordo ancora una battuta di Gasparri quando disse “non serve a Berlusconi che tanto verrà assolto”. Purtroppo la storia è andata diversamente».
E già, molto diversamente. Tant’è che Stefàno si predispone a stoppare eventuali meline improprie. Qualora Augello, il 9 settembre quando riprendono i lavori, dovesse presentare una relazione bocciata dalla maggioranza – dato su cui non ci sono interpretazioni possibili, ma solo la matematica certezza dei numeri (su 23 componenti, 8 sono del Pd, uno di Sel, uno di Sc, 4 di M5S, e fa 14, 6 del Pdl, un Gal, un socialista, una leghista, e fa 9) – il presidente, per sua attribuzione, ne nominerà un altro. Potrebbe trattarsi di un ex magistrato, o un avvocato, proprio per fare in fretta. Tempo 24 o 48 ore e ci sarà la nuova relazione che verrà votata. Positivamente, s’intende. A quel punto, a Berlusconi verrà comunicata la decisione e gli verranno dati 10 giorni per presentarsi e parlare. Poi la partita è chiusa, si va in aula e si vota con lo scrutinio segreto che sicuramente sarà chiesto da un pidiellino. La data dipenderà dal presidente del Senato Pietro Grasso, ma tutto lascia credere che non si andrà oltre la metà di ottobre, quando la Corte di appello di Milano avrà già ricalcolato la durata dell’interdizione. Dice Casson: «Berlusconi farebbe bene a dimettersi. Farebbe bella figura, anziché pietire una permanenza in Senato che comunque perderà con l’interdizione».

Da La Repubblica del 18/08/2013.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli ultimi giorni di Salò - 36




Belpaese – Forza Roncola

(Alessandra Longo).
18/08/2013 di triskel182



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camillobenso
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paolo11 ha scritto:Una visitina nel carcere gli farebbe proprio BENE a Silvio.Magari assieme ad altri carcerati.
Chiedere la grazia per lui significa aver commesso il reato.
Spero tolga il disturbo quanto prima.Poi dovrebbe chiedere la grazia anche per i processi RUBY e De Gregorio.
Mi domando ogni volta che vedo la villa di Arcole dove silvio si trova in TV si vedono una auto carabinieri con il mitra.
Con tutti i soldi che ha non può pagarsi lui la vigilanza.E i carabiniere possono fare cose pèiu importanti.

Ciao
Paolo


Vuoi mettere, caro Paolo, la presenza di carabinieri all’esterno di Villa San Martino rispetto a dei vigilantes privati?

Se ci sono i carabinieri a proteggere la Villa significa che dentro ci sta un personaggio importante.


Solo che adesso i carabinieri hanno cambiato funzione, controllano che non scappi.

Silvietto non è un tipo qualsiasi. Ama far colpo su tutti.

Dato che ha letto i Promessi sposi, sa che ai tempi l’importanza dei potenti di allora si misurava dal numero dei “bravi” con cui si muoveva il potente.

Infatti, lui si è sempre mosso con una scorta di “bravi” da far spavento.

Nessuno ne ha mai avuto come lui.


Pertini, da presidente della Repubblica, ha dovuto litigare non poco perché non voleva la scorta soprattutto per strada.

Alla fine ha dovuto cedere ed ammetterne uno. Ma doveva camminare 2 metri dietro lui.
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli ultimi giorni di Salò - 37



L’urlo disperato al PD

(Altan).



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Gli ultimi giorni di Salò - 38




Un B. depresso e smarrito spera nella grazia dal Pd

(Marco Palombi).
18/08/2013 di triskel182


CHIUSO AD ARCORE, SILENZIOSO, INCERTO, IL CAIMANO SI CONSUMA IN RABBIA IMPOTENTE. CICCHITTO: “PER SALVARE IL GOVERNO SERVE UNA MEDIAZIONE”.

L’umore non cambia: rabbia, depressione, tentativo di rimuovere la realtà e ancora rabbia impotente. Lo stato d’animo di Silvio Berlusconi, nonostante alcuni tra i suoi proconsoli si affannino a smentirlo, è comprensibilmente pessimo. D’altronde tutte le vie d’uscita che ha immaginato in queste settimane si stanno rivelando ad una ad una impraticabili: la grazia per dire – che comunque l’ex Cavaliere continua a non voler chiedere – non solo arriverà difficilmente, ma non risolverà nulla. La nuova invincibile armata di Forza Italia ha debuttato con quella brutta idea degli aerei e rischia di diventare un esercito senza nemico visto che è stata pensata per vivere di campagna elettorale proprio mentre Giorgio Napolitano bloccava la via delle elezioni anticipate. Anche il riscatto dell’onore per interposta persona, vale a dire attraverso la candidatura di Marina, non è praticabile: Berlusconi s’è convinto che se sua figlia entra nel gioco politico finirà per perdere anche le aziende (che peraltro, almeno in Borsa, vanno a gonfie vele). Rompere con tutti e buttarsi alla ventura resta uno scenario che confligge col desiderio di poltrona di un bel pezzo dei suoi stessi gruppi parlamentari. Pure il seggio al Senato, l’ultimo salvagente che lo ripara dal mare agitato delle Procure di mezza Italia, è a un passo dall’essere un ricordo.

LA SENSAZIONE d’essere stato fregato, nei neri pensieri che il nostro rovescia addosso agli interlocutori, si mischia con la tentazione del martirio (“andrò in carcere”), attitudine comunque estranea alle corde più intime del soggetto, seppure suonate in modo inconsueto dalla volontaria reclusione nel fortino di Arcore. Nessuna soluzione pare a disposizione e allora l’incontenibile Silvio Berlusconi si rifugia in questo insolito silenzio smarrito, che finisce per irretire anche i suoi: zitto Verdini, zitto Ghedini, zitto Schifani per “rispetto istituzionale”, zitta persino Daniela Santanchè (che pure, oggi, potrebbe partecipare ad un incontro pubblico). Il silenzio e l’assenza sono il fuoricampo paradossale in cui si gioca il destino di quest’uomo politico storicamente esuberante e come incapace di riservatezza. La rabbia impotente che da quel buio emana permea la scena vuota. Il comunicato del Colle e la formula scivolosa della “agibilità politica” l’hanno chiuso in un angolo: “Leggo che finalmente se ne sono accorti tutti che la nota di Napolitano era ostile e insidiosa. Leggo anche che Berlusconi non si piegherà. Ecco, ripristinati i fondamentali della politica e della ragione, adesso dobbiamo dire chiaro che non faremo cadere il governo, ma che la nostra pazienza se la sono mangiata tutta Esposito e Napolitano. Toro infuriato, toro matato”, mette a verbale il sanguigno parlamentare ex An Maurizio Bianconi. E allora? Allora nel corpaccione del partito berlusconiano si spera che dal bunker di Villa San Martino esca l’arma finale: la prossima settimana, forse quella dopo – si dice – Berlusconi tornerà all’attacco. C’è chi favoleggia di un discorso politico in Senato alla ripresa dei lavori: sul modello – mutatis mutandis – della chiamata in correità che Bettino Craxi pronunciò alla Camera sul finanziamento pubblico.

Nell’attesa del numero di punta, però, lo spettacolo non è dei migliori e gli attori più impensabili conquistano il centro della scena: Gianfranco Rotondi, per dire, che lascia intendere via Twitter che l’ex Cavaliere abbia nominato il suo successore durante una cena ad Arcore, salvo poi rivelare che lui, ad Arcore, a cena non c’era e che è tutta colpa di quei rosiconi di Repubblica. O Adriano Tilgher, già in Avanguardia Nazionale con Stefano Delle Chiaie, oggi vicino a La Destra, che ha pensato bene di invitare gli ex missini del Pdl ad abbandonare un capo “arrivato al capolinea” e a unirsi al suo Fronte nazionale.

UNA VIA D’USCITA, insomma, non c’è. A meno che il Pd faccia la grazia al capo confuso e depresso facendolo restare senatore e lo faccia prima che l’esecutivo di Enrico Letta diventi la prima vittima del suo prossimo giorno di ordinaria follia: “Per tenere in piedi un governo occorrono uno spirito costruttivo e volontà di mediazione – spiega Fabrizio Cicchitto, colomba – Esattamente l’opposto di quello che viene manifestato dal capogruppo Pd in Senato Zanda o dall’onorevole Bindi. Ma non c’è dubbio che con le loro esternazioni possano riuscire con un solo proiettile a colpire due bersagli”. Cioè Berlusconi e l’esecutivo. Non è chiaro? Ci pensa Maurizio Gasparri: “Qualcuno forse fa fatica ancora a capire che a colpi di Esposito non si va da nessuna parte. Occorre una soluzione che rispetti il ruolo di ‘incontrastato’ leader di milioni di italiani svolto da Berlusconi.

È bene guardare la questione all’insegna del principio di realtà che troppi ignorano”. Tradotto: o il Pd s’inventa qualcosa o i giorni a palazzo Chigi di Letta saranno brevi. Non perché Berlusconi veda una soluzione nella rottura, ma perché – come dice la canzone – non è tipo da arrendersi senza sparare.


Da Il Fatto Quotidiano del 18/08/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli ultimi giorni di Salò - 39




Il domino di B. e Letta Se crolla uno cade l’altro

(Furio Colombo).
18/08/2013 di triskel182


VENTENNIO INFINITO.

Ci dicono che Berlusconi deve restare in Senato perché altrimenti “scatterebbe l’assalto delle Procure”.

Chi lo difende con questa argomentazione sembra non rendersi conto che il potere giudiziario, a differenza degli altri due poteri (esecutivo e legislativo, liberi di decidere quando agire) può muoversi solo se ci sono reati.

Come è possibile che ci si schieri a difesa del leader (compresi ministri e sottosegretari della presente Repubblica Italiana) con argomenti fondati su un’ampia quantità di reati già compiuti ma non ancora diventati processo?

Come è possibile fingere di credere, senza ridere, che Berlusconi sia adorato da dieci milioni di italiani che non possono vivere senza di lui, ma odiato dai giudici, che dedicano tutta la loro attività professionale a perseguitarlo?



E come fanno ad essere così di sinistra i giudici, in un Paese in cui non c’è nessuna sinistra perché ciò che ne resta governa insieme ai più appassionati difensori di Berlusconi?





Che cosa spinge i giudici, e solo i giudici, a rovinarsi nell’isolamento e nella solitudine, mentre tutti godono la “pacificazione”? Infatti lo stesso giorno (15 agosto) trovate sul Corriere della Sera due articoli che si fronteggiano e si completano. Uno è l’intervista a Maurizio Gasparri che esulta: “Lo dice il Colle. Berlusconi, leader incontrastato, deve avere una piena agibilità politica. Questo vuol dire che deve essere candidabile”.

L’ALTRA è l’intervista a Matteo Colaninno, responsabile Economia del Pd che aggiunge: “Il presidente della Repubblica ha scongiurato tentativi di destabilizzazione (…) Enrico Letta con il suo governo ha costruito un supporto fondamentale di credibilità e affidabilità che non può essere incrinato.

E il Partito Democratico deve essere sempre più determinato a sostenere l’esecutivo”.

Si vede bene, a questo punto, che due cerchi si saldano, e anzi uno entra nell’altro come nel simbolo delle Olimpiadi: chi sostiene Letta non può “contrastare” Berlusconi. Chi sostiene Berlusconi garantisce la stabilità del governo Letta. Tutto poggia, dunque, sull’“agibilità di Berlusconi”.

Come dice la condanna che gli è stata comminata, come dice il codice penale, quella agibilità è proprio ciò che dovrebbe essere escluso e precluso.

Non si condanna qualcuno in via definitiva con pena pesante per reato grave, affinché resti “agibile”.

È evidente il doppio problema.

Da una parte tutti insieme dobbiamo sostenere Letta, pena il tracollo e la rovina del nostro Paese, che solo un traditore può desiderare.

Dall’altra, tutti insieme, dobbiamo salvare Berlusconi, perché la sua salvezza è legata, attraverso il governo Letta, alla salvezza del Paese.

Il doppio legame funziona da pietra al collo o da salvagente a seconda della “agibilità” che verrà garantita a Berlusconi.

In questo strano modo prende vita una maggioranza che, all’inizio, è solo il congiungersi (provvisorio, si dice sul momento, poi non si dice più) dei due maggiori partiti, che un tempo si alternavano nei ruoli di maggioranza e opposizione.

Ma, con il passare dei giorni e delle settimane, molte altre voci sono andate aggiungendosi, dagli ammonimenti espliciti del capo dello Stato ai commentatori più credibili e più autorevoli, per dire: tocca a tutti noi, amici della Patria, fare il nostro dovere.


Quale dovere?

Si riassume in tre punti.

Primo sostenere il governo Letta, anche se immobile, e anzi darsi da fare per dimostrare che non lo è.

Secondo, proteggere Berlusconi dalle pretese della giustizia. Pur salvando le forme, non si può permettere che una sentenza si incunei fra un leader e la massa di voti a quel leader, che deve restare “incontrastato”.

Terzo, rendersi conto che più si lavora insieme e più si rafforza l’argine di questo Paese contro la rovina.

Dunque smetterla subito con il lamento dei rischi che corre l’art.138 (che in teoria, cioè nel testo costituzionale, impedirebbe di manomettere la Costituzione senza le prescritte garanzie di modi e di tempi) e avviarsi in buon ordine verso la “necessaria” riforma della giustizia.


Tutto ciò presume una solida maggioranza.

Che maggioranza è?

Prima di tutto, molto grande, perché a chiunque si muova in direzione diversa, viene detto che sta affondando l’Italia.

In secondo luogo molto disciplinata e con ben poco spazio di discussione altrimenti, ti ripetono, l’Italia precipita.

Sulla sinistra tutto comincia con l’eliminazione di Renzi.

Non è in questione la sua eventuale diversità rispetto ai soliti leader del Pd.

Ma bisogna evitare il rischio di toccare anche solo un pezzo del gioco.

In tal modo il gioco resta immobile come per un incantesimo.

CHI È FUORI è fuori, e purtroppo non sembra avere l’energia o l’intenzione di scuotere la scacchiera, e quando parla, parla di se stesso, e di come sarebbe grande se avesse tutti i voti di tutti.

Ma non qui, non adesso.

Oppure si affaccia Vattimo che sostiene l’utilità politica dei blocchi stradali (Il Corriere della Sera, 15 agosto).

Ovvio che è facile liquidarlo come No Tav.

C’è Sel, ma non ha i media.

Ci sono i media, ma sono già tutti occupati da vent’anni.

Viene in mente una frase assurda: il Paese non è maturo per la fine di Berlusconi. Vuol dire che il danno e le sue conseguenze sono molto più gravi e profonde persino di ciò che noi, antiberlusconiani viscerali dal 1994, e colpiti dalla deviazione mentale e politica del “giustizialismo” (vuol dire: se c’è una sentenza, si esegue) avevano annunciato e poi denunciato.

Così gravi da non poterle interrompere, pena la morte della vittima.

Da Il Fatto Quotidiano del 18/0/2013.
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