Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto
La libertà è il diritto dell’anima a respirare. E noi, partecipando malgrado tutto, vogliamo continuare a respirare.Lo facciamo nel modo più opportuno possibile all’interno di questo forum che offre spazio a tutti coloro che credono nella democrazia
mariok ha scritto:Bene così. Tu hai votato Bersani alle primarie ed il suo fedele alleato Vendola alle politiche e si è visto come è finita.
Io col voto a Renzi ho provato a "bocciare" visto che la partita era persa, ma mi è andata male.
Vediamo che farai alla prossima.
Integriamo un po' questa ricostruzione volutamente superficiale.
Tu hai votato Renzi alle primarie e il suo fedele alleato Ichino, poi passato a Monti.
E alle politiche hai votato Bersani, nonostante il PD sbandasse paurosamente in piena
campagna elettorale, anche grazie agli attacchi gratuiti di Monti alla "sinistra estrema".
Io, avendo visto la tendenza allo sbandamento del PD già a fine 2011 il mio voto avevo
già decido di non darlo al PD.
Ma al centrosinistra si.
Colpa del PD se dal 2011 al febbraio 2013 non è stato interessato:
- ne' a farmi cambiare idea
- ne' a difendere il campo di CSX (neanche in piena campagna elettorale, neanche contro le insensatezze di Monti)
- ne' a mantenere l'alleanza con chi ho scelto mi rappresenti a questa tornata elettorale, ma anzi alleandosi con Berlusconi
Chi ha tradito la fiducia, come da me previsto, è stato il PD coi suoi 101 che hanno preferito Berlusconi a Prodi.
Non certo Vendola.
Poi un giorno scopriremo chi sono i 101.
E li ne vedremo delle belle...
Dopo che Bersani, ostaggio di D'Alema, Marini e Fioroni, ha preso in giro noi elettori, con il cantiere dell'Ulivo 2.0, la foto di Vasto, l'alleanza con Monti, Vendola lo ha sostenuto alle primarie.
Se il gruppo dirigente uscito dalle primarie, che Vendola ha contribuito a tenere in sella con la favola del "profumo di sinistra", è quello che ha tentato l'inciucio tramite Marini, ha fatto fuori Prodi, per poi fare la grande intesa, la responsabilità è anche sua (e tua che lo hai votato), anche se poi ha creduto di salvarsi l'anima prendendone le distanze quando ormai il pasticcio era già fatto.
Oggi alle primarie chi sosterrà, Cuperlo? Di regola dovrebbe sostenere Civati, ma non sembra intenzionato a farlo ma a scegliere per la seconda volta di saltare sul carro del presunto vincitore.
Se sarà così, se intorno a Renzi si formerà lo stesso blocco di potere già visto con Bersani, io Renzi non lo voterò. Vedremo che farai tu.
Se il gruppo dirigente uscito dalle primarie, che Vendola ha contribuito a tenere in sella con la favola del "profumo di sinistra", è quello che ha tentato l'inciucio tramite Marini, ha fatto fuori Prodi, per poi fare la grande intesa, la responsabilità è anche sua (e tua che lo hai votato), anche se poi ha creduto di salvarsi l'anima prendendone le distanze quando ormai il pasticcio era già fatto.
Ah, ecco.
Ti pareva che pure il tradimento dei 101 non fosse colpa dei comunisti rossi e di Landini.
Se vuoi leggere le cose al contrario sei libero di farlo.
Ma serve solo a dividerci.
1. era dicembre 2011 quando Bersani ha sbragato di fronte a Monti/Fornero: e' almeno da allora che ipotizzo
il voto a SEL pubblicamente sui nostri forum, quindi e' una falsita' gratuira (alla Santanche') dire che ho votato SEL a pasticcio fatto
2. era febbraio 2012 quando fummo cacciati da forumista.net per via del nostro "dissenso", c'eri anche tu
3. era autunno 2012 quando Renzi, invece di approfittare dell'incazzatura della base, abbraccio' le posizioni liberiste di Ichino/Fornero
Il resto e' storia.
Abbiamo passato tutto l'inverno 2012 su QUESTO forum a disperarci che non avevamo alcuna opzione di voto "sicura".
Tranne mettere il voto lontano dai 101.
Votando Grillo, SEL, Ingroia... o stando a casa.
Detto questo, a me risulta che fra i 125, non 101, ci siano pure molti renziani smaniosi di disarcionare Bersani.
Ottimo risultato comunque, quello dei 101.
Hanno fatto fuori Bersani, e adesso?
1. ci ritroviamo col PD allo sbando
2. abbiamo bruciato Prodi
3. ci troviamo al governo con Berlusconi e la base in rivolta.
4. abbiamo dato ragione a Grillo che col PD dei 101 non si possono fare accordi perche' sono inciucioni nell'anima
5. adesso dobbiamo salvare il criminale condannato
Ci siamo ridotti peggio di Casini e Fini.
E' perche' manca la visione, la prospettiva.
Finchè buttiamo nel cesso centinaia di miliardi ogni anno, non potremo mai fare
nulla (altro che investimenti in innovazione o riforme strutturali).
L'unica è spremere sempre di più lavoratori dipendenti e imprese per sopravvivere.
In mezzo a questo ragionamento non va diviso il mondo del lavoro dipendente, fra chi lavora nel privato e chi nel pubblico, come ha fatto in questi ultimi tempi, fra gli altri, il moderatore dell'altro forum.
l’Unità 3.1.14 Camusso: «La Fiat compra, l’Italia paga»
Intervista alla leader della Cgil: bene l’operazione con Chrysler ma non si dimentichi il prezzo pagato dai lavoratori italiani
di Rinaldo Gianola
il Fatto 3.1.14 Chi ha comprato chi
di Furio Colombo
Un colpo da maestro che lascia stupite le Borse e ammirati i manager. Gli azionisti della Fiat di Torino (Italia) hanno l’intero pacchetto azionario della Chrysler di Detroit (Stati Uniti d’America), dopo avere acquistato dal Fondo pensioni dei sindacati americani ciò che mancava e averlo pagato, per due terzi, con i soldi della Chrysler e per il resto con liquido Fiat, senza avventure bancarie e senza aumenti di capitale. Da questo momento, la terza industria automobilistica americana è italiana. O è avvenuto il contrario? O è accaduto che la Fiat sia diventata la parte minore ed estera di una grande azienda americana? Naturalmente il discorso non riguarda la proprietà, saldamente controllata dagli azionisti italiani (in passato un simbolo importante come una bandiera). E non riguarda neppure il trasloco. Mirafiori resta a Mirafiori e il Lingotto resta al Lingotto, con qualche dubbio (ma tipico del brutto momento) per le sedi minori. Certo, un flash di telefonino potrebbe dirci, in qualunque momento, che il quartier generale, per ragioni di agilità logistica, non è più a Torino. Il fatto è che, mentre l’immensa operazione (Torino o Detroit) restava in bilico, si potevano lasciare in sospeso gli investimenti, gli insediamenti, i milioni di ore di cassa integrazione, la non produzione e le non vendite italiane, mentre Detroit filava (e fila) a gonfie vele. Ma vi sarete accorti che, nel corso di una crisi tutta economica e tutta industriale, di Fiat, del suo peso, del suo futuro italiano, non si è mai discusso. Globalizzazione? Delocalizzazione? Mi sembra che tutto l’evento, benché avvenga adesso, sia legato a qualcosa che non era mai avvenuto in Italia e neppure in Europa.
Una grande azienda americana, salvata da un bravo manager libero da nostalgie e legami, ma anche da qualunque senso di appartenenza, ha comprato la Fiat che diventa, da adesso, la rappresentanza italiana del compratore. S’intende, fino a che i costi (le cose sono messe in modo che in Italia non si guadagna) lo consentiranno. Poi accadrà ciò che è accaduto per la Costituzione. L’economia formale mostra che la Fiat è la nuova padrona. Ma l’economia materiale farà capire presto che Fiat (la Fiat di Torino, di Agnelli e, come piaceva dire in questo Paese, la grande industria degli italiani) adesso è una filiale di una grande azienda americana, soggetta agli alti e bassi di un altro mercato in cui non contiamo. In altre parole: ottimo affare per alcuni azionisti, e per alcuni manager. L’Italia invece (qualcuno lo dica a Letta e a Napolitano) non ha più la Fiat.
il Fatto 3.1.14 La Fiat ormai è americana, a spese dei lavoratori Usa
La Chrisler di fatto ingloberà l’azienda di Marchionne
Operazione resa possibile anche dai pesanti peggioramenti per le tute blu di Detroit
di Salvatore Cannavò
Il vecchio Gianni Agnelli è rimasto celebre per questa affermazione: “Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”. Difficile capire se la frase sia ancora valida. Certamente, a giudicare da quanto avvenuto ieri in Borsa, quello che va bene per la Fiat va bene per i suoi azionisti. Dopo l’accordo di capodanno tra l’azienda e il sindacato americano Uaw sull’acquisizione del 100% della Chrysler, il titolo del Lingotto è letteralmente schizzato segnando un più 16%. Logico, che il patron dell’azienda, John Elkann, abbia voluto celebrare la giornata inviando, insieme a Sergio Marchionne, una lettera personale ai 300 mila dipendenti del gruppo Fiat-Chrysler democraticamente definiti “colleghi”. “L’emozione con cui vi scriviamo - scrivono Elkann e Marchionne - è quella di chi negli ultimi quattro anni e mezzo ha lavorato per coltivare un grande sogno e oggi lo vede realizzato”. L’unione delle due società rappresenta “un momento epocale nella storia di Fiat e di Chrysler”, che avvia “un nuovo capitolo di storia comune da scrivere”. La soddisfazione trasuda da ogni riga accompagnata dalla lettura dei giornali di mezzo mondo i quali hanno dato la notizia con il massimo rilievo.
IL SUCCESSO dell’operazione viene sottolineato anche dai commenti casalinghi dove la politica, tranne qualche eccezione, è tutta schiacciata su Marchionne. Sul fronte sindacale, il segretario della Cisl Bonanni rivendica parte del merito anche alla sua organizzazione, mentre Susanna Ca-musso, segretario della Cgil, plaude all’operazione “di grande rilevanza” ma allo stesso tempo ritiene indispensabile che “Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese”. E qui torniamo all’affermazione iniziale. Quel che è bene per la Fiat è davvero buono anche per l’Italia? Il Lingotto tiene per il momento le carte coperte sulle prossime mosse e, in particolare, sul progetto di fusione tra Fiat e Chrysler che avrà, come corollario simbolico ma non privo di importanza, anche la collocazione della sede legale: a Torino o a Detroit? Le mosse compiute finora rendono inevitabile la strada della fusione e il Financial Times sostiene che la quotazione avverrà a New York entro quest’anno. A far da riferimento è il modello seguito per Fiat Industrial. Nel 2011 la Fiat ha scorporato il settore automobilistico da quello industriale incorporato poi nell’olandese Cnh. Questa, l’unica a essere quotata, ha la sede legale in Gran Bretagna e solo il 7,9% del fatturato prodotto in Italia. Lo stesso destino si annuncia per l’auto.
Come ha notato il Wall Street Journal, però, i problemi sono tutti aperti: “Il trucco usato con Chrysler” scrive il quotidiano finanziario, “non è una panacea”. Il sindacato è stato liquidato attingendo alle risorse aziendali e la Fiat resta la casa automobilistica europea con il debito più elevato. Che è anche piuttosto junk, cioè spazzatura. Come afferma la banca Citigroup, “continuiamo ad avere preoccupazioni sulla sostenibilità del debito”.
Il nuovo gruppo, il settimo su scala mondiale, dovrà inoltre disegnare la sua strategia in un mercato che cresce soprattutto in Asia e in America. Se la tedesca Volkswagen è riuscita ad affrontare le difficoltà differenziando la produzione soprattutto verso la Cina, la Fiat lo ha fatto grazie agli Usa. Ma, a differenza dei tedeschi, il successo americano è dipeso da due fattori troppo spesso dimenticati. Il primo riguarda la politica industriale di Obama che è il vero protagonista del salvataggio dell’automotive. È vero che i 10 miliardi di dollari messi sul piatto dal governo Usa e da quello canadese sono stati via via restituiti dall’azienda di Sergio Marchionne, ma senza quella dotazione iniziale l’impresa non avrebbe potuto essere pensata.
IL SECONDO fattore chiave è il sindacato Uaw il cui contributo è stato decisivo nel salvataggio di Chrysler. Il sindacato, infatti, ha accettato condizioni proibitive pur di non perdere la fabbrica: riduzione del 30% del costo del lavoro con una paga oraria passata dai 75 dollari del 2006 ai 52 del 2011. Oltre a questo, l’accordo con la Fiat, propedeutico al prestito del Tesoro americano, prevedeva l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, l’assenza di scioperi fino al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo World Class Manifacturing e, in particolare, la fuoriuscita dall’azienda di circa 28 mila lavoratori. Un salasso che è stato ripagato con la restituzione di circa 9 miliardi di dollari rispetto ai 10 di cui l’Uaw era creditore all'inizio della crisi. Un contributo senza il quale la “magia” di Marchionne non esisterebbe.
il Fatto 3.1.14 L’ex sindacalista Giorgio Airaudo (Sel)
“Nessun vantaggio per i nostri operai”
intervista di Sal. Can.
“Come devono sentirsi i lavoratori di Mirafiori oggi? Più soli”. Giorgio Airaudo, ex dirigente Fiom, oggi parlamentare di Sel, non ha dubbi nel raffigurarsi l’impatto dell’operazione Chrysler sugli operai della Fiat, al 30% in cassa integrazione. E non crede al vecchio adagio di Gianni Agnelli, secondo cui “quello che va bene alla Fiat va bene all’Italia”: “Come ha detto lo stesso Marchionne, quella Fiat e quell’Italia non esistono più”.
Che giudizio dà di questa operazione?
Marchionne ha portato a compimento un’ipotesi che ha a lungo cercato e che sposta il baricentro dall’Italia agli Usa. Non abbiamo conquistato l'America, ma solo contribuito a salvare un’azienda americana su richiesta, non dimentichiamolo, del governo americano. Perché restasse in America.
Quali saranno le conseguenze per l’Italia?
A questo punto siamo una provincia. Produrremo tutto ciò che ci faranno produrre. Come è successo a Mirafiori o alla ex Bertone. A Torino doveva arrivare il Grand Cherokee e non è mai arrivato e anche la Lancia Thema è rimasta in Canada. Il sindacato Usa, lo Uaw, non ha fatto solo un accordo finanziario ma industriale, ottenendo la garanzia di modelli e impianti sul suolo americano.
Lei ha vissuto tanti anni ai cancelli di Mirafiori. Come crede che venga vissuta questa notizia?
Con la solitudine. La cosa che colpisce di più è che tutti applaudono. Ma di cosa dovremmo essere contenti? I prodotti in Italia sono condizionati dalle scelte di Detroit. In realtà, gli operai italiani sono in attesa da due anni che arrivi un modello. Si era parlato di Suv e di Alfa, ma l’unica certezza è che produzioni di serie come la Punto non sono più in Italia. Anzi, si è arrivati al punto che la Fiat vende più auto in Italia di quante ne produca, importandole dall’estero.
Eppure di Marchionne si esalta l’abilità: ha salvato la Chrysler, già fallita, oppure ha riaperto la ex Bertone a Grugliasco.
Si dica però che la Chrysler è stata salvata da Obama. Senza i denari pubblici e l'idea di una industria nazionale, per la Fiat non ci sarebbe stata nemmeno la possibilità di presentarsi. Quanto alla Bertone, è stata presa a prezzi di saldo dopo un fallimento, perché garantiva alla Fiat le competenze e la professionalità operaia per collocarsi nella fascia alta di mercato. Si è comprata una boutique pagandola come un banco al mercato. A Grugliasco, però, si è trapiantata la Maserati che a Modena non produce quasi più.
Quali sono le previsioni per l’Italia?
Ciò che vuole Marchionne non è necessariamente un bene per l’Italia. La Fiat ormai è un’azienda straniera in casa propria. E il 2014 sarà un anno durissimo. Per i lavoratori resterà l’incertezza, anche i nodi industriali sono irrisolti. Si pensi all’Alfa: sarà prodotta in Italia o negli Usa? E quanti posti di lavoro ci saranno?
Non pensa che essere il settimo gruppo mondiale possa rappresentare un vantaggio?
In realtà, è la Chrysler che compra la Fiat. Il modello finanziario è quello dell’Iveco, ormai scomparsa e incorporata dalla Cnh che è l’unica a essere quotata sul mercato. L’unico vantaggio, ora, è che la Fiat non ha più alibi e deve dire come investirà nel futuro.
Cosa dovrebbe fare il governo Letta?
Un governo degno di questo nome dovrebbe semplicemente chiedere: qual è il piano per l’Italia? O pensiamo che esista ancora Fabbrica Italia e speriamo nel buon cuore?
il Fatto 3.1.14 Il senatore Massimo Mucchetti (Pd)
“Casse vuote, gruppo ora più debole”
intervista di Sal. Can.
“Non capisco tutta questa contentezza che si legge sui giornali. Il gruppo Fiat-Chrysler ora è più debole sul piano finanziario”. Va in controtendenza, rispetto a Massimo Mucchetti, presidente Pd della commissione Industria del Senato ma, innanzitutto, il giornalista economico che ha sempre letto accuratamente i bilanci aziendali.
Senatore, non crede quindi al vecchio adagio secondo cui “quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia”?
Non andava bene ieri quando la Fiat era un’azienda-paese, va ancor meno bene oggi che, legittimamente, guarda solo al mercato.
Perché l’acquisizione indebolisce il gruppo Fiat-Chrysler?
Dal punto di vista industriale non ci sono particolari novità: Chrysler è già da tempo parte di Fiat. Dal punto di vista operativo si rischiano licenziamenti nel settore impiegatizio dirigenziale per fare sinergie. Ma il punto da cogliere è che, per pagare il fondo Veba, si utilizzano 1,9 miliardi di dollari subito e 700 milioni scaglionati in quattro anni prelevandoli dalle risorse aziendali. E quindi si tolgono ai possibili investimenti industriali.
Eppure viene sottolineata la dotazione di liquidità di Chrysler finalmente a disposizione della Fiat.
Se c’è liquidità da una parte, circa 17 miliardi a livello di gruppo, è anche vero che dall’altra ci sono i debiti, 28 miliardi. La prima rende poco, i secondi costano tanto. Questo tipo di liquidità è un segno di debolezza perché è soprattutto una garanzia per i creditori.
Cosa la preoccupa maggiormente?
Esattamente il fatto che Marchionne, almeno per ora, neghi di voler fare un aumento di capitale. Quando le società sono già indebitate, in settori a bassi margini, le acquisizioni ad ulteriore debito sono pericolose se l’economia si ferma.
Gli Agnelli dovrebbero tirare fuori un po’ di soldi?
Gli Agnelli, con l’Exor, hanno il 30% della Fiat. Un aumento di capitale coinvolgerebbe tutti i soci e darebbe all’operazione la solidità che oggi manca. L’Exor le risorse le avrebbe visto che con la vendita di Sgs ha portato a casa 2 miliardi.
Dal punto di vista delle strategie, pensa che ci sarà una fusione sul modello Cnh-Fiat Industrial?
Lo avevo già scritto a suo tempo sul Corriere e non mi stupirebbe che questa fosse la strada anche per Fiat-Chrysler. Per gli azionisti sarebbe un vantaggio, per il settore dell’automotive italiano la cosa sarebbe tutta da verificare.
Ma è possibile che sia la Chrysler a mangiarsi la Fiat?
Nel 2009 la Chrysler era fallita e la Fiat veniva da tre anni discreti. Nel 2013 la Chrysler si è risollevata, anche se ha un patrimonio netto negativo per 7,5 miliardi di dollari, mentre la Fiat Auto va male. Chrysler ha avuto il traino della politica economica di Obama e dei finanziamenti della Casa Bianca che sta tuttora perdendo un paio di miliardi sulla liquidazione della vecchia Chrysler.
Si sente in grado di fare previsioni per gli stabilimenti italiani?
Esprimo una preoccupazione: che la Fiat ridimensioni la sua capacità produttiva alle mere esigenze del mercato locale tenendo i lavoratori italiani in eccesso a bagnomaria, a spese dello Stato, fino a quando non matureranno l’età per la pensione.
Da presidente della commissione Industria del Senato, non pensa che il Parlamento dovrebbe sentire Marchionne?
Lo penso sì. Il presidente del Senato lo ha invitato fin dallo scorso agosto a venire in Commissione per un dialogo con i senatori. Ma la Fiat ha sempre chiesto tempo. Mi pare che ne sia passato abbastanza.
Ecco perché Fiat è costretta a traslocare
Burocrazia e sindacati: in Italia ci sono troppi freni, è logico che Marchionne scelga gli Stati Uniti
Vittorio Feltri - Ven, 03/01/2014 - 15:08
La Fiat non ha mai avuto tanto successo come da quando se ne è praticamente andata via dall'Italia, paese inospitale per qualsiasi impresa produttiva.
Sergio Marchionne, amministratore delegato della fabbrica (ex) torinese, è un genio: ha capito che dalle nostre parti non c'era trippa per gatti e si è trasferito, armi e bagagli, negli Usa dove le attività industriali non sono viste, come invece avviene qui, quali espressioni del demonio. Il capitalismo non è il paradiso, ma nemmeno l'inferno: semplicemente è indispensabile per far lavorare la gente evitandole di morire di fame.
Un concetto elementare che, nel Belpaese, confligge con una mentalità ancora diffusa nonostante il fallimento conclamato del collettivismo. Le automobili sono oggetti qualsiasi: per conquistare il mercato devono essere robuste, avere un buon prezzo e parecchi punti vendita, infine essere conosciute dalla clientela. Il resto vien da sé. In Italia non esistono da anni le condizioni ambientali per consentire a un'azienda di competere con la concorrenza internazionale: le tasse e il lavoro sono eccessivamente onerosi, le norme che disciplinano i rapporti tra proprietà e personale sono rigide e foriere di contenziosi scoraggianti. Ovvio che gli imprenditori emigrino o, come si dice, delocalizzino.
Senza un adeguato profitto, infatti, gli stabilimenti chiudono. Lo capisce chiunque, meno i nostri governi. Quelli di sinistra, in particolare, predicano che l'obiettivo principale è la sconfitta della disoccupazione. Ma non sanno sconfiggerla se non a parole oppure incrementando i lavori socialmente utili (anzi, inutili) e assumendo forestali in Calabria, notoriamente priva di foreste, eccettuate quelle dell'Aspromonte di cui non importa niente ad alcuno, se si escludono i sequestratori di persone.
Marchionne, constatato che la Fiat in patria non avrebbe combinato nulla, data l'ostilità dei sindacati, dello Stato e della politica, ha traslocato in America trovando un'accoglienza trionfale. Il suo interlocutore non è più Maurizio Landini, capo della Fiom, ma il presidente Barack Obama, che gli ha messo a disposizione finanziamenti bastevoli a rilanciare nientemeno che la Chrysler. La quale ora - rimessa a nuovo - è diventata patrimonio della famiglia Agnelli-Elkann. Sforna vetture a tutto spiano. Il marchio è stato lustrato a dovere e gli affari vanno benone.
In Italia, Marchionne era stato insultato, travolto dalle grane (anche di tipo giudiziario) e giudicato con disprezzo nemico del popolo. A forza di essere ingiuriato, il grande manager si è risolto a emigrare negli Stati Uniti dove gli hanno fatto ponti d'oro, e qui ha posto le basi di una clamorosa affermazione. Oggi la Fiat e la Chrysler sono la stessa cosa: un gruppo industriale potente che, a dispetto della crisi dell'auto, va consolidandosi con fatturati da capogiro.
Ciò sarebbe accaduto in Italia se i sindacati e i partiti loro complici non si fossero battuti incoscientemente per rendere la vita difficile alla casa di Torino, costringendola a gettare la spugna. I ricavi della Fiat galoppano, mentre l'industria nazionale svapora o cede quote di mercato agli stranieri. Potrebbe essere l'occasione per prendere atto degli errori commessi e tentare di rimediarvi. Ma non facciamoci illusioni: la lezione non servirà a correggere il nostro sistema sbagliato, antiquato e inefficiente. Continueremo a dare retta a Susanna Camusso e compagnia perdente. Marchionne se la ride, e ci manda tanti auguri dalla tolda della Chrysler in pieno splendore. Noi rispondiamo: cari saluti dalla Cassa integrazione.
LA FIAT ORMAI È AMERICANA A SPESE DEI LAVORATORI USA
(Salvatore Cannavò).
03/01/2014 di triskel182
LA CHRYSLER DI FATTO INGLOBERÀ L’AZIENDA DI MARCHIONNE. OPERAZIONE RESA POSSIBILE ANCHE DAI PESANTI PEGGIORAMENTI PER LE TUTE BLU DI DETROIT.
Il vecchio Gianni Agnelli è rimasto celebre per questa affermazione: “Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”. Difficile capire se la frase sia ancora valida. Certamente, a giudicare da quanto avvenuto ieri in Borsa, quello che va bene per la Fiat va bene per i suoi azionisti. Dopo l’accordo di capodanno tra l’azienda e il sindacato americano Uaw sull’acquisizione del 100% della Chrysler, il titolo del Lingotto è letteralmente schizzato segnando un più 16%. Logico, che il patron dell’azienda, John Elkann, abbia voluto celebrare la giornata inviando, insieme a Sergio Marchionne, una lettera personale ai 300 mila dipendenti del gruppo Fiat-Chrysler democraticamente definiti “colleghi”. “L’emozione con cui vi scriviamo – scrivono Elkann e Marchionne – è quella di chi negli ultimi quattro anni e mezzo ha lavorato per coltivare un grande sogno e oggi lo vede realizzato”. L’unione delle due società rappresenta “un momento epocale nella storia di Fiat e di Chrysler”, che avvia “un nuovo capitolo di storia comune da scrivere”. La soddisfazione trasuda da ogni riga accompagnata dalla lettura dei giornali di mezzo mondo i quali hanno dato la notizia con il massimo rilievo.
IL SUCCESSO dell’operazione viene sottolineato anche dai commenti casalinghi dove la politica, tranne qualche eccezione, è tutta schiacciata su Marchionne. Sul fronte sindacale, il segretario della Cisl Bonanni rivendica parte del merito anche alla sua organizzazione, mentre Susanna Ca-musso, segretario della Cgil, plaude all’operazione “di grande rilevanza” ma allo stesso tempo ritiene indispensabile che “Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese”. E qui torniamo all’affermazione iniziale. Quel che è bene per la Fiat è davvero buono anche per l’Italia? Il Lingotto tiene per il momento le carte coperte sulle prossime mosse e, in particolare, sul progetto di fusione tra Fiat e Chrysler che avrà, come corollario simbolico ma non privo di importanza, anche la collocazione della sede legale: a Torino o a Detroit? Le mosse compiute finora rendono inevitabile la strada della fusione e il Financial Times sostiene che la quotazione avverrà a New York entro quest’anno . A far da riferimento è il modello seguito per Fiat Industrial. Nel 2011 la Fiat ha scorporato il settore automobilistico da quello industriale incorporato poi nell’olandese Cnh. Questa, l’unica a essere quotata, ha la sede legale in Gran Bretagna e solo il 7,9% del fatturato prodotto in Italia. Lo stesso destino si annuncia per l’auto.
Come ha notato il Wall Street Journal, però, i problemi sono tutti aperti: “Il trucco usato con Chrysler” scrive il quotidiano finanziario, “non è una panacea”. Il sindacato è stato liquidato attingendo alle risorse aziendali e la Fiat resta la casa automobilistica europea con il debito più elevato. Che è anche piuttosto junk, cioè spazzatura. Come afferma la banca Citigroup, “continuiamo ad avere preoccupazioni sulla sostenibilità del debito”.
Il nuovo gruppo, il settimo su scala mondiale, dovrà inoltre disegnare la sua strategia in un mercato che cresce soprattutto in Asia e in America. Se la tedesca Volkswagen è riuscita ad affrontare le difficoltà differenziando la produzione soprattutto verso la Cina, la Fiat lo ha fatto grazie agli Usa. Ma, a differenza dei tedeschi, il successo americano è dipeso da due fattori troppo spesso dimenticati. Il primo riguarda la politica industriale di Obama che è il vero protagonista del salvataggio dell’automotive. È vero che i 10 miliardi di dollari messi sul piatto dal governo Usa e da quello canadese sono stati via via restituiti dall’azienda di Sergio Marchionne, ma senza quella dotazione iniziale l’impresa non avrebbe potuto essere pensata.
IL SECONDO fattore chiave è il sindacato Uaw il cui contributo è stato decisivo nel salvataggio di Chrysler. Il sindacato, infatti, ha accettato condizioni proibitive pur di non perdere la fabbrica: riduzione del 30% del costo del lavoro con una paga oraria passata dai 75 dollari del 2006 ai 52 del 2011. Oltre a questo, l’accordo con la Fiat, propedeutico al prestito del Tesoro americano, prevedeva l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, l’assenza di scioperi fino al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo World Class Manifacturing e, in particolare, la fuoriuscita dall’azienda di circa 28 mila lavoratori. Un salasso che è stato ripagato con la restituzione di circa 9 miliardi di dollari rispetto ai 10 di cui l’Uaw era creditore all’inizio della crisi. Un contributo senza il quale la “magia” di Marchionne non esisterebbe.
03 GEN 2014 16:05 1. CESARONE ROMITI NON ABBOCCA ALLE FANFARE TRIONFALISTCHE PER LA CONQUISTA DI DETROIT: “MARCHIONNE SI È DIMOSTRATO UN ABILE NEGOZIATORE, MA SAREBBE AUSPICABILE CHE TIRASSE FUORI I PIANI INDUSTRIALI DI FIAT-CHRYSLER PRIMA DI APRILE. QUATTRO MESI SONO TROPPI. AD APRILE, UN TERZO DELL’ANNO È GIÀ PASSATO ED È UN PO’ TARDI” -
2. “MI SEMBRA OPPORTUNO RICORDARE CHE QUANDO NEL 1990 TRATTAVAMO CON LA CHRYSLER DI LEE IACOCCA, INFORMALMENTE, FUMMO CHIAMATI DA ESPONENTI DEL GOVERNO. MI AUGURO CHE ANCHE OGGI, AL GOVERNO, CI SIA CHI NON SI DIMENTICA DELL’IMPORTANZA DELLA FIAT PER L’ITALIA”, ANCHE PERCHÉ, ‘’VEDENDO CHE COSA FANNO OGGI GLI STABILIMENTI NELLA PENISOLA E IN EUROPA, QUALCHE PREOCCUPAZIONE C’È’’ -
Colloquio con Cesare Romiti di Francesco Bonazzi
Quattro mesi per conoscere i veri piani di Fiat-Chrysler sono troppi. Soprattutto per capire che ruolo resta all'Italia dopo la brillante operazione di Capodanno messa a segno da Sergio Marchionne.
Cesare Romiti, al timone della Fiat per oltre vent'anni (dal 1976 al 1998), è a Roma in vacanza, ma come suo solito è informatissimo e segue le vicende della Fiat quasi con lo stesso affetto con cui segue le gesta calcistiche della sua Roma.
"Marchionne si è dimostrato un abile negoziatore, ma sarebbe auspicabile che tirasse fuori i piani industriali prima di aprile", dice Romiti a Dagospia. E la politica italiana farebbe bene a "non dimenticare l'importanza della Fiat per il Paese", anche perché "qualche preoccupazione" c'è.
- Dottor Romiti, che effetto le fa vedere la fusione Fiat-Chrysler andare in porto ventitre anni dopo il fallimento delle trattative con Lee Iacocca?
"Mi faccia innanzitutto correggere un'inesattezza che ogni tanto viene ancora spacciata come verità acquisita. Non è vero che Gianni Agnelli e il sottoscritto persero una grande occasione nel 1990. Iacocca amava molto l'Italia e teneva parecchio all'operazione, noi la esaminammo con attenzione e non le nascondo che l'Avvocato e io eravamo perplessi sotto il profilo finanziario. Ma chi era nettamente contrario era il vicepresidente, il dottor Umberto Agnelli".
Avevate dubbi sui conti di Chrysler?
"Beh, insomma..."
- Dubbi che sicuramente non era elegante tirar fuori dopo una trattativa appena sfumata.
"Diciamo che andammo comunque in America con l'Avvocato e ricevemmo Iacocca nei nostri uffici di New York. Esaminammo a fondo le sinergie, ma eravamo assai dubbiosi per il fatto che Chrysler aveva un patrimonio netto negativo, gravata com'era dagli impegni per l'assistenza pensionistica e sanitaria dei suoi dipendenti. Se avessimo fatto la fusione con quei numeri, avremmo messo a repentaglio la sopravvivenza di Fiat in Italia. Fu quindi con grande dispiacere che dicemmo di no a Iacocca".
- Anche oggi, gli impegni per il welfare dei dipendenti Chrysler sembrano pesare molto sulla fusione. E gli analisti stanno studiando con attenzione il debito complessivo del nuovo gruppo. Lei che idea si è fatto?
"Posso dire che allora quel peso era notevole e presumo che lo sia anche oggi. Per il resto, staremo a vedere quanto i debiti influiranno sui progetti di sviluppo".
- Intanto gran pokerista, Marchionne...
"Senza dubbio. Si è dimostrato un abile negoziatore. Dopo di che i piani industriali li vedremo ad aprile".
- In Italia, politica silente o plaudente. Come gran parte dei giornali. Ma le incertezze sul futuro degli impianti italiani restano tutte.
"Guardi, sarebbe decisamente auspicabile che Marchionne li tirasse fuori prima di aprile, quei piani. Ad aprile, un terzo dell'anno è già passato ed è un po' tardi. Io non so cosa sta facendo il governo e non mi permetto di entrare nell'agenda politica, però mi sembra opportuno ricordare che quando trattavamo con Iacocca, informalmente, fummo chiamati da esponenti del governo. Mi auguro che anche oggi, al governo, ci sia chi non si dimentica dell'importanza della Fiat per l'Italia".
- Che futuro vede per gli stabilimenti italiani con la fusione?
"Non so dire quale possa essere il futuro di Fiat in Italia. Vedendo che cosa fanno oggi gli stabilimenti nella Penisola e in Europa, capisco chi è preoccupato. Ma mi lasci dire che sono molto orgoglioso di vedere quanto è diventato strategico Belo Horizonte, in Brasile, perché fu una mia realizzazione".
- Con solo il cosiddetto Polo del lusso, in Italia, non rischiano di restare a casa molte persone?
"A questa domanda mi conceda di non rispondere perché non sarebbe corretto, da parte mia, entrare nella gestione industriale del gruppo".