La Questione Monti
Re: La Questione Monti
Mi viene il dubbio che la confusione nella quale ci hanno portato gli "incantatori di merli" ci faccia perdere definitivamente il bandolo della matassa.
Cerchiamo di mettere in fila un po' di affermazioni che vanno per la maggiore e di capire se hanno un senso.
Monti è un "tecnico" e come tale va accettato, come necessità imposta dai disastri che altri, non certamente lui, hanno causato.
Ma siamo sicuri che un governo "tecnico" non esprime comunque una politica, che non è neutrale o scientificamente determinata, ma pur sempre il risultato di scelte e di interessi prevalenti?
Giavazzi, Alesina, Fitoussi, lo stesso Prodi sono degli economisti almeno quanto lo è Monti. Eppure dicono cose molto diverse tra loro.
Prima osservazione: questo governo va giudicato, come qualunque altro governo, per le scelte che compie e per gli interessi che rappresenta.
Bersani ha sempre sostenuto che la scelta di un governo di "emergenza nazionale" è stata imposta dal fatto che l'alternativa era quella di tenersi Berlusconi per altri sei mesi e di finire come la Grecia. "Non vogliamo vincere sulle macerie del paese" è stato il suo slogan.
Franceschini (per non parlare degli -oni vari) dice una cosa completamente diversa: che il governo Monti noi l'abbiamo voluto e la destra l'ha subito, perché non poteva fare altrimenti e che "sta facendo esattamente quello che gli avevamo chiesto quando l’abbiamo scelto".
Sull'altro fronte, Osvaldo Napoli (Pdl) dichiara (ma non è il solo): “E’ accertata la continuità del governo Monti rispetto al governo Berlusconi”
Seconda osservazione: Evidentemente più di qualcuno non dice il vero.
Affermava Prodi già dallo scorso dicembre: "L’Italia ha fatto il suo dovere; ora tocca agli altri". Ed ancora più recentemente: "Il cammino verso il pareggio procede nei tempi richiesti e nessuno ci può più chiedere di fare i compiti a casa, anche se la mancanza di direzione della politica europea alimenta ancora gli umori negativi dei mercati". Ed è questo presumibilmente il senso della dichiarazione di Monti in Cina: <<La crisi è superata,..ora possiamo rilassarci>>.
Terza osservazione: se ciò che dice Prodi (e che sembra condiviso dallo stesso Monti) è vero, non è arrivato forse il momento, a prescindere dal fatto se l'attuale governo debba durare fino a maggio o dichiarare già oggi conclusa la sua missione, che ognuno scopra le sue carte ed indichi con chiarezza le proprie "ricette" ed il proprio progetto (concreto, qui ed oggi) per invertire la tendenza dell'economia reale, dopo aver scongiurato il rischio di cadere nel baratro di un default finanziario?
Ovviamente, per quanto ci riguarda, la domanda va rivolta al PD ed alle altre forze dell'area di ciò che resta del centrosinistra.
Dice ancora Prodi, nella prefazione all'ultimo libro di Berselli, che ho appena postato, che "non è possibile costruire il futuro se si continuano a compiere gli errori del passato che ci hanno portato alla crisi. Di questi errori il più grave è la crescente iniquità nella distribuzione dei redditi. Essa ha agito contro le fondamenta stesse della nostra società distruggendo,”con violenza inusitata”, tutti i precedenti modelli di vita. La quota di reddito del lavoro dipendente è andata, durante gli ultimi trent’anni, continuamente calando in tutto il mondo. La differenza nella remunerazione fra manager e dipendenti si è moltiplicata e la ricchezza si è accumulata attorno a gruppi sempre più ristretti, fino a donarci l’immagine di un mondo industrializzato non più diviso per classi contigue ma con una rottura crescente fra l’uno per cento degli onnipotenti e il novantanove per cento di spettatori progressivamente emarginati. Non solo si è rotto l’ascensore sociale che era stato il punto di riferimento della precedente fase di sviluppo del mondo occidentale ma l’edificio del capitalismo sembra essere rimasto addirittura senza scale".
Quarta osservazione: siamo d'accordo sul fatto che è il momento (se non ora quando?) di porre mano con decisione alla "crescente iniquità nella distribuzione dei redditi" considerata come causa della crisi e non semplicemente come astratta esigenza di "equità" nella distribuzione dei sacrifici?
Ciò, per quanto ci riguarda, significa necessariamente uscire dall'ambiguità del governo "di emergenza" e decidere con chiarezza se ha ragione Bersani o Franceschini o Napoli.
Quinta osservazione: quale che sia il giudizio sul Monti "professore" di economia, la fase del governo di "emergenza nazionale" va superata rapidamente stante la sua strutturale impossibilità, in quanto espressione di forze politiche contrapposte, di affrontare le cause della crisi ed imprimere una netta inversione alle politiche degli ultimi trenta anni.
Rimanere nell'attuale stallo non può portare ad altro che ad un continuo deterioramento della situazione ed alla erosione dei consensi verso lo schieramento di centrosinistra che sembra ancora in parte avere la possibilità di liquidare con il voto il berlusconismo e la sua stampella leghista.
Cerchiamo di mettere in fila un po' di affermazioni che vanno per la maggiore e di capire se hanno un senso.
Monti è un "tecnico" e come tale va accettato, come necessità imposta dai disastri che altri, non certamente lui, hanno causato.
Ma siamo sicuri che un governo "tecnico" non esprime comunque una politica, che non è neutrale o scientificamente determinata, ma pur sempre il risultato di scelte e di interessi prevalenti?
Giavazzi, Alesina, Fitoussi, lo stesso Prodi sono degli economisti almeno quanto lo è Monti. Eppure dicono cose molto diverse tra loro.
Prima osservazione: questo governo va giudicato, come qualunque altro governo, per le scelte che compie e per gli interessi che rappresenta.
Bersani ha sempre sostenuto che la scelta di un governo di "emergenza nazionale" è stata imposta dal fatto che l'alternativa era quella di tenersi Berlusconi per altri sei mesi e di finire come la Grecia. "Non vogliamo vincere sulle macerie del paese" è stato il suo slogan.
Franceschini (per non parlare degli -oni vari) dice una cosa completamente diversa: che il governo Monti noi l'abbiamo voluto e la destra l'ha subito, perché non poteva fare altrimenti e che "sta facendo esattamente quello che gli avevamo chiesto quando l’abbiamo scelto".
Sull'altro fronte, Osvaldo Napoli (Pdl) dichiara (ma non è il solo): “E’ accertata la continuità del governo Monti rispetto al governo Berlusconi”
Seconda osservazione: Evidentemente più di qualcuno non dice il vero.
Affermava Prodi già dallo scorso dicembre: "L’Italia ha fatto il suo dovere; ora tocca agli altri". Ed ancora più recentemente: "Il cammino verso il pareggio procede nei tempi richiesti e nessuno ci può più chiedere di fare i compiti a casa, anche se la mancanza di direzione della politica europea alimenta ancora gli umori negativi dei mercati". Ed è questo presumibilmente il senso della dichiarazione di Monti in Cina: <<La crisi è superata,..ora possiamo rilassarci>>.
Terza osservazione: se ciò che dice Prodi (e che sembra condiviso dallo stesso Monti) è vero, non è arrivato forse il momento, a prescindere dal fatto se l'attuale governo debba durare fino a maggio o dichiarare già oggi conclusa la sua missione, che ognuno scopra le sue carte ed indichi con chiarezza le proprie "ricette" ed il proprio progetto (concreto, qui ed oggi) per invertire la tendenza dell'economia reale, dopo aver scongiurato il rischio di cadere nel baratro di un default finanziario?
Ovviamente, per quanto ci riguarda, la domanda va rivolta al PD ed alle altre forze dell'area di ciò che resta del centrosinistra.
Dice ancora Prodi, nella prefazione all'ultimo libro di Berselli, che ho appena postato, che "non è possibile costruire il futuro se si continuano a compiere gli errori del passato che ci hanno portato alla crisi. Di questi errori il più grave è la crescente iniquità nella distribuzione dei redditi. Essa ha agito contro le fondamenta stesse della nostra società distruggendo,”con violenza inusitata”, tutti i precedenti modelli di vita. La quota di reddito del lavoro dipendente è andata, durante gli ultimi trent’anni, continuamente calando in tutto il mondo. La differenza nella remunerazione fra manager e dipendenti si è moltiplicata e la ricchezza si è accumulata attorno a gruppi sempre più ristretti, fino a donarci l’immagine di un mondo industrializzato non più diviso per classi contigue ma con una rottura crescente fra l’uno per cento degli onnipotenti e il novantanove per cento di spettatori progressivamente emarginati. Non solo si è rotto l’ascensore sociale che era stato il punto di riferimento della precedente fase di sviluppo del mondo occidentale ma l’edificio del capitalismo sembra essere rimasto addirittura senza scale".
Quarta osservazione: siamo d'accordo sul fatto che è il momento (se non ora quando?) di porre mano con decisione alla "crescente iniquità nella distribuzione dei redditi" considerata come causa della crisi e non semplicemente come astratta esigenza di "equità" nella distribuzione dei sacrifici?
Ciò, per quanto ci riguarda, significa necessariamente uscire dall'ambiguità del governo "di emergenza" e decidere con chiarezza se ha ragione Bersani o Franceschini o Napoli.
Quinta osservazione: quale che sia il giudizio sul Monti "professore" di economia, la fase del governo di "emergenza nazionale" va superata rapidamente stante la sua strutturale impossibilità, in quanto espressione di forze politiche contrapposte, di affrontare le cause della crisi ed imprimere una netta inversione alle politiche degli ultimi trenta anni.
Rimanere nell'attuale stallo non può portare ad altro che ad un continuo deterioramento della situazione ed alla erosione dei consensi verso lo schieramento di centrosinistra che sembra ancora in parte avere la possibilità di liquidare con il voto il berlusconismo e la sua stampella leghista.
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Re: La Questione Monti
camillobenso ha scritto:Fornero: «Se riforma non passa andiamo a casa»
L'unità
ergo,
sa già che passa...
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Re: La Questione Monti
intanto bentornato,giorgio ha scritto:Ciao a tutti.
...omissi...
Questa che viviamo è, piaccia o no, è una vera e propria guerra di classe scatenata dai padroni del mondo occidentale (e non solo) contro le grandi masse maggioritarie, per cercare di sopravvivere all'irreversibile rivoluzione industriale in corso in Asia, in Latinoamerica e, prossimamente, in Africa.
E la risposta non può essere che "di classe".
E sia chiaro che non pretendo sostenere che le classi in lotta attuali siano uguali a quelle tradizionali analizzate da Marx.
Essendo cambiati i mezzi e i rapporti di produzioni, i parametri che individuano "classe dominante" e "classi dominate" sono inevitabilmente diversi, più complessi e più articolati.
Ma il problema del potere gestito da pochi a vantaggio dei pochi contro la massa dei "molti" è comunque sempre quello classico: verbalmente semplificando, "sfruttati-sfruttatori".
...omissi...
Giorgio
e complimenti per il tuo bell'intervento...si vede che l'aria delle Ramblas ti ha fatto bene.
avrei trovato una definizione per quella che tu definisci "classe dominante",
che ne diresti di "banchieri mannari" ???
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Re: La Questione Monti
La paura del Professore
una palude di veti incrociati
"Sono qui per salvare il Paese". Il premier irritato per l'emendamento per la rateizzazione dell'Imu non concordato. Le tensioni nel Pdl e l'asse tra berlusconiani e Marcegaglia sta disorientando Palazzo Chigi. E preoccupano anche le fibrillazioni dei mercati e lo spread in salita
di CLAUDIO TITO
ROMA - "Il mio compito è salvare il Paese. Sono stato chiamato per questo, per metterlo in sicurezza. Deve essere chiaro". I mercati tornano a fibrillare, la Borsa di Milano subisce un altro pesante scossone, lo spread con i bund tedeschi si impenna fino a sfiorare la soglia psicologica dei 400 punti, i tassi sui nostri titoli di Stato crescono.
Una situazione che certo non lascia tranquillo Mario Monti. Alle prese con un sisma che seppure ha l'epicentro in Spagna, allarga il raggio delle sue scosse anche all'Italia.
Tutti elementi di allarme che si affiancano, però, ad un fattore considerato a Palazzo Chigi ancora più preoccupante: il nervosismo che sta agitando la maggioranza. In particolare i distinguo con cui il Pdl sta affrontando la riforma del lavoro costituiscono un dato di inquietudine. Non tanto per la semplice richiesta di modificare il provvedimento, ma per il senso di instabilità che stanno trasmettendo dentro l'esecutivo e nella comunità internazionale.
Il presidente del consiglio è convinto che nessuno - né il Pdl, nè il Pd - in questo momento coltivi la tentazione di far cadere tutto e far precipitare il Paese verso le elezioni anticipate. Le conseguenze sui nostri fondamentali dell'economia, a partire dal pil che nel 2012 è stimato sempre più in discesa, sarebbero devastanti. Il timore però è quello di ritrovarsi in una gabbia, in una "palude" di veti incrociati in cui è di fatto impossibile dare una direzione al governo e in cui la squadra "montiana" perde ogni forma di autonomia.
A quel punto ogni passo di Palazzo Chigi o dei ministri verrebbe contraddetto o smentito di volta in volta da un pezzo della maggioranza. Uno degli esempi che circola alla presidenza del consiglio fa riferimento a quel che è accaduto proprio ieri sulla vicenda Imu. Con il relatore di maggioranza, il pidiellino Conte, che annuncia un emendamento per rateizzare l'imposta senza concordarlo o perlomeno annunciarlo agli uomini del Professore.
E il segretario del Pd Bersani che per tutta risposta rispolvera l'idea della "patrimoniale" proprio per contestare la linea berlusconiana. Una miscela esplosiva, insomma, di cui il presidente del consiglio è consapevole. Un episodio che spiega le ansie che assillano il Professore in queste ore.
Del resto, le mosse compiute di recente dal Popolo delle Libertà hanno provocato un certo disorientamento. L'accordo siglato dal segretario Alfano sulla riforma del lavoro è stato poco dopo messo in discussione. Il timore del premier è che una parte consistente del partito di maggioranza relativa stia remando anche contro l'ex ministro della Giustizia. In particolare il gruppo "anziano" dei berlusconiani e gli ex An che tentano di strappare un ruolo nella nuova fase.
Così come nessuno nel governo ha trascurato l'asse che improvvisamente si è saldato con il presidente uscente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Quel giudizio - "very bad" - rilasciato sul Financial times ha fatto letteralmente infuriare Monti proprio per l'immagine che si dava all'estero del Paese. E la successiva "alleanza" con il Pdl ha fatto sorgere in molti il sospetto che ci sia un disegno per il coinvolgimento "politico" della imprenditrice.
Lo stesso presidente del consiglio e il ministro del Lavoro Fornero stanno già predisponendo alcune soluzioni sulla "flessibilità in entrata" per accogliere in parte le richieste di Alfano. Ma gli interrogativi di Palazzo Chigi riguardano gli obiettivi "generali" e non quelli circoscritti alla "riforma Fornero".
La paura che in prossimità del voto amministrativo del 6 maggio, la campagna elettorale prenda il sopravvento sulla solidarietà di coalizione. Perché la bussola che orienta il capo del governo - sempre in contatto con il Quirinale - si ferma sempre su un punto: "Sono stato chiamato per salvare il Paese, e i compromessi possono essere siglati solo per il bene del Paese. E non al ribasso".
Del resto, proprio nell'ultimo vertice a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi è stato esplicito su questo confermando i timori del suo successore: "Non dobbiamo mettere a rischio il governo, ma nello stesso tempo dobbiamo cogliere l'occasione di quel che sta accadendo nella Lega per tuffarci sul loro elettorato. E per farlo non possiamo lasciare spazio alle parole d'ordine del Carroccio, a cominciare dal lavoro". E quindi prendere indirettamente le distanze. Un modo anche per instaurare il metodo dello scambio su alcune materie sensibili come la giustizia. Su cui il ministro Severino sta subendo costanti "pressioni" proprio dalla componente meno dialogante del Pdl.
Non solo. Con la tornata di maggio, si apre di fatto la campagna elettorale per le politiche. E tra gli uomini del Professore c'è chi prende in considerazione la possibilità che qualcuno sia interessato a diluire il ruolo di Monti, a sfibrarlo e a scaricare su di lui le eventuali responsabilità di una crisi economica perdurante per poi tentare di presentarsi alle urne come unico soggetto affidabile.
Un clima dunque che rischia di trasformare Palazzo Chigi in un fortino nel quale asserragliarsi per organizzare una difesa sia dal fuoco esterno, quello dei mercati finanziari, sia da quello "amico", alcuni dei partiti di maggioranza. Anche per questo il premier ha convocato per martedì prossimo un vertice con i tre segretari Alfano, Bersani e Casini. Per reclamare un chiarimento. E ha rinunciato al G8 dei ministri finanziari che si riunisce a Washington per affrontare la situazione e non stare lontano da Roma per troppo tempo.
Un clima che in settori del Pdl sta facendo circolare la tentazione di far naufragare il vascello di Monti in estate e votare in autunno. Una soluzione contro cui, però, il Cavaliere e anche il segretario del Pd stanno attrezzando una sorta di trincea di "fine legislatura". Che tuttavia rischia di essere spazzata via se il patto sulle riforme - compresa quella elettorale - dovesse saltare nelle prossime settimane.
Tanti indizi, quindi, che stanno facendo scattare il campanello d'allarme a Palazzo Chigi. Anche se nel corso del consiglio dei ministri di ieri, il Professore ha rassicurato suoi colleghi: "Andiamo avanti, nonostante i tentativi di rallentarci e di guadagnare qualche in voto in più alle prossime amministrative"
La Repubblica
una palude di veti incrociati
"Sono qui per salvare il Paese". Il premier irritato per l'emendamento per la rateizzazione dell'Imu non concordato. Le tensioni nel Pdl e l'asse tra berlusconiani e Marcegaglia sta disorientando Palazzo Chigi. E preoccupano anche le fibrillazioni dei mercati e lo spread in salita
di CLAUDIO TITO
ROMA - "Il mio compito è salvare il Paese. Sono stato chiamato per questo, per metterlo in sicurezza. Deve essere chiaro". I mercati tornano a fibrillare, la Borsa di Milano subisce un altro pesante scossone, lo spread con i bund tedeschi si impenna fino a sfiorare la soglia psicologica dei 400 punti, i tassi sui nostri titoli di Stato crescono.
Una situazione che certo non lascia tranquillo Mario Monti. Alle prese con un sisma che seppure ha l'epicentro in Spagna, allarga il raggio delle sue scosse anche all'Italia.
Tutti elementi di allarme che si affiancano, però, ad un fattore considerato a Palazzo Chigi ancora più preoccupante: il nervosismo che sta agitando la maggioranza. In particolare i distinguo con cui il Pdl sta affrontando la riforma del lavoro costituiscono un dato di inquietudine. Non tanto per la semplice richiesta di modificare il provvedimento, ma per il senso di instabilità che stanno trasmettendo dentro l'esecutivo e nella comunità internazionale.
Il presidente del consiglio è convinto che nessuno - né il Pdl, nè il Pd - in questo momento coltivi la tentazione di far cadere tutto e far precipitare il Paese verso le elezioni anticipate. Le conseguenze sui nostri fondamentali dell'economia, a partire dal pil che nel 2012 è stimato sempre più in discesa, sarebbero devastanti. Il timore però è quello di ritrovarsi in una gabbia, in una "palude" di veti incrociati in cui è di fatto impossibile dare una direzione al governo e in cui la squadra "montiana" perde ogni forma di autonomia.
A quel punto ogni passo di Palazzo Chigi o dei ministri verrebbe contraddetto o smentito di volta in volta da un pezzo della maggioranza. Uno degli esempi che circola alla presidenza del consiglio fa riferimento a quel che è accaduto proprio ieri sulla vicenda Imu. Con il relatore di maggioranza, il pidiellino Conte, che annuncia un emendamento per rateizzare l'imposta senza concordarlo o perlomeno annunciarlo agli uomini del Professore.
E il segretario del Pd Bersani che per tutta risposta rispolvera l'idea della "patrimoniale" proprio per contestare la linea berlusconiana. Una miscela esplosiva, insomma, di cui il presidente del consiglio è consapevole. Un episodio che spiega le ansie che assillano il Professore in queste ore.
Del resto, le mosse compiute di recente dal Popolo delle Libertà hanno provocato un certo disorientamento. L'accordo siglato dal segretario Alfano sulla riforma del lavoro è stato poco dopo messo in discussione. Il timore del premier è che una parte consistente del partito di maggioranza relativa stia remando anche contro l'ex ministro della Giustizia. In particolare il gruppo "anziano" dei berlusconiani e gli ex An che tentano di strappare un ruolo nella nuova fase.
Così come nessuno nel governo ha trascurato l'asse che improvvisamente si è saldato con il presidente uscente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Quel giudizio - "very bad" - rilasciato sul Financial times ha fatto letteralmente infuriare Monti proprio per l'immagine che si dava all'estero del Paese. E la successiva "alleanza" con il Pdl ha fatto sorgere in molti il sospetto che ci sia un disegno per il coinvolgimento "politico" della imprenditrice.
Lo stesso presidente del consiglio e il ministro del Lavoro Fornero stanno già predisponendo alcune soluzioni sulla "flessibilità in entrata" per accogliere in parte le richieste di Alfano. Ma gli interrogativi di Palazzo Chigi riguardano gli obiettivi "generali" e non quelli circoscritti alla "riforma Fornero".
La paura che in prossimità del voto amministrativo del 6 maggio, la campagna elettorale prenda il sopravvento sulla solidarietà di coalizione. Perché la bussola che orienta il capo del governo - sempre in contatto con il Quirinale - si ferma sempre su un punto: "Sono stato chiamato per salvare il Paese, e i compromessi possono essere siglati solo per il bene del Paese. E non al ribasso".
Del resto, proprio nell'ultimo vertice a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi è stato esplicito su questo confermando i timori del suo successore: "Non dobbiamo mettere a rischio il governo, ma nello stesso tempo dobbiamo cogliere l'occasione di quel che sta accadendo nella Lega per tuffarci sul loro elettorato. E per farlo non possiamo lasciare spazio alle parole d'ordine del Carroccio, a cominciare dal lavoro". E quindi prendere indirettamente le distanze. Un modo anche per instaurare il metodo dello scambio su alcune materie sensibili come la giustizia. Su cui il ministro Severino sta subendo costanti "pressioni" proprio dalla componente meno dialogante del Pdl.
Non solo. Con la tornata di maggio, si apre di fatto la campagna elettorale per le politiche. E tra gli uomini del Professore c'è chi prende in considerazione la possibilità che qualcuno sia interessato a diluire il ruolo di Monti, a sfibrarlo e a scaricare su di lui le eventuali responsabilità di una crisi economica perdurante per poi tentare di presentarsi alle urne come unico soggetto affidabile.
Un clima dunque che rischia di trasformare Palazzo Chigi in un fortino nel quale asserragliarsi per organizzare una difesa sia dal fuoco esterno, quello dei mercati finanziari, sia da quello "amico", alcuni dei partiti di maggioranza. Anche per questo il premier ha convocato per martedì prossimo un vertice con i tre segretari Alfano, Bersani e Casini. Per reclamare un chiarimento. E ha rinunciato al G8 dei ministri finanziari che si riunisce a Washington per affrontare la situazione e non stare lontano da Roma per troppo tempo.
Un clima che in settori del Pdl sta facendo circolare la tentazione di far naufragare il vascello di Monti in estate e votare in autunno. Una soluzione contro cui, però, il Cavaliere e anche il segretario del Pd stanno attrezzando una sorta di trincea di "fine legislatura". Che tuttavia rischia di essere spazzata via se il patto sulle riforme - compresa quella elettorale - dovesse saltare nelle prossime settimane.
Tanti indizi, quindi, che stanno facendo scattare il campanello d'allarme a Palazzo Chigi. Anche se nel corso del consiglio dei ministri di ieri, il Professore ha rassicurato suoi colleghi: "Andiamo avanti, nonostante i tentativi di rallentarci e di guadagnare qualche in voto in più alle prossime amministrative"
La Repubblica
Re: La Questione Monti
L'EDITORIALE
Il dare e l'avere di Mario Monti
di EUGENIO SCALFARI
Mario Monti è scoraggiato. Lo capisco. Il compito di mettere al sicuro i conti pubblici per evitare che l'Italia facesse la fine della Grecia l'ha portato a termine egregiamente, ma subito dopo un secondo compito gli incombeva: quello di avviare la crescita della domanda e degli investimenti, ma questa seconda fase, senza la quale anche il "salva Italia" rischia di diventare periclitante, è molto più difficile, stenta a mettersi in moto. La ragione di questo surplace è evidente: la lotta contro la recessione - perché di questo si tratta - non si può fare se non è l'intera Europa ad intraprenderla e questo non è avvenuto.
L'Europa continua ad essere latitante. La Francia è concentrata nelle elezioni presidenziali e per ora non pensa ad altro. La Germania non condivide le politiche di rilancio della domanda che per essere efficaci comporterebbero che fosse proprio Berlino ad assumersene la guida. La Gran Bretagna è isolata e comunque impotente. La Spagna non ha ancora messo al sicuro i suoi conti ed è sotto attacco della speculazione, appesantita per di più da un incredibile 23 per cento di disoccupazione. Perfino la Bce, la sola istituzione veramente europea che è stata finora all'altezza dei compiti che le sono affidati, deve ora difendere la propria autonomia, messa in questione dai falchi della Bundesbank.
Questo è il quadro e le sue tinte sono fosche. Monti è scoraggiato ed ha ragione di esserlo. Ma c'è un'altra ragione che motiva
il suo scoraggiamento ed è lo sfarinamento della maggioranza politica che lo ha fin qui sostenuto.
Finora i tre partiti hanno rispettato la tregua che avevano stipulato tra loro e che aveva reso possibile la "strana maggioranza" di sostegno al governo dei tecnici; ma è bastato l'approssimarsi delle elezioni amministrative del 6 maggio prossimo per mandarla in pezzi. Sono emerse con irruenza le differenze di programma e di elettorato di riferimento tra Pdl e Pd, con una differenza aggiuntiva: il gruppo dirigente del Partito democratico è abbastanza compatto, quello del Pdl è frantumato e Alfano ne sta perdendo il controllo. L'implosione del berlusconismo era attesa ma rinviata all'esito delle elezioni politiche future; invece sta avvenendo adesso: pullulano in quasi tutti i Comuni capoluoghi le liste civiche che hanno preso il posto di quelle del Pdl; la crisi della Lega coincide con la crisi evidente della Regione Lombardia; avanzano gli anarcoidi di Beppe Grillo; l'Udc è filo - montiana ma lo scandalo della Margherita si ripercuote sia pure alla lontana anche su Casini.
Infine la crisi dei partiti ha raggiunto il culmine, Tangentopoli è tornata con prepotenza d'attualità, Penati, Lusi, Belsito, il Consiglio regionale lombardo, il Comune di Palermo e la Regione Sicilia, Emiliano, Vendola, Tedesco, Rosi Mauro, Calderoli: uno sconquasso di queste proporzioni non s'era mai visto dal 1992 con la differenza che allora la crisi economica che si affiancò a quella politica era soltanto italiana, mentre adesso coinvolge l'economia mondiale e dura ormai da cinque anni.
Monti è scoraggiato, ma chi al suo posto non lo sarebbe?
* * *
È scoraggiato ma non ci sono alternative al suo governo, come Giorgio Napolitano ha più volte ricordato in questi giorni. Non ci sono alternative e lui lo sa, perciò il coraggio deve averlo e lo avrà anche perché gli elementi di forza non mancano. Cerchiamo ora di formulare una sorta di bilancio politico ed economico dove metteremo al passivo i punti di debolezza e all'attivo le risorse che possono essere mobilitate e vedremo qual è il risultato. Cominciamo dagli aspetti negativi della situazione.
- Bisogna incentivare gli investimenti delle imprese.
- Bisogna incentivare i consumi delle famiglie.
- Bisogna evitare l'aumento di due punti dell'Iva previsto per settembre per blindare il pareggio del bilancio nel 2013.
- Bisogna pagare i debiti che lo Stato ha nei confronti dei suoi fornitori.
- Bisogna finanziare la costruzione di infrastrutture e una politica attiva di lavori pubblici.
- Bisogna approvare la riforma del lavoro nel testo presentato al Parlamento.
- Bisogna alleggerire il debito sovrano.
- Bisogna chiarire il problema degli "esodati" che sta mettendo in discussione la pace sociale.
- Bisogna che i partiti approvino una nuova legge elettorale.
- Bisogna risolvere la "governance" della Rai il cui Consiglio d'amministrazione è scaduto da tre settimane.
- Bisogna che i partiti decidano la riforma del loro finanziamento che sta vertiginosamente accrescendo il discredito da cui sono circondati.
- Bisogna che il governo presenti al più presto la legge anti-corruzione e la riforma della giustizia.
Fin qui l'elenco dei "buchi" da colmare e dei problemi ancora aperti da risolvere. E vediamo ora gli aspetti positivi e le risorse mobilitabili.
- La lotta all'evasione ha già recuperato 13 miliardi di nuove entrate; è quindi probabile che nell'intero esercizio 2012 si arrivi a 20 miliardi e forse più, una parte dei quali può rimpiazzare l'aumento dell'Iva. Il resto potrebbe servire ad accrescere i crediti d'imposta alle imprese che effettueranno nuovi investimenti o a rinforzare le tutele previste per i disoccupati o altre finalità scelte dal governo (abolizione dell'Irap?).
- La Cassa depositi e prestiti detiene - al di là delle riserve a garanzia del risparmio postale - un fondo di liquidità disponibile per finanziare investimenti in opere pubbliche o in impieghi di pubblica utilità. Queste risorse potrebbero essere utilizzate per consentire al Tesoro di sbloccare subito i 30 miliardi di debiti che ha nei confronti dei suoi fornitori. Sarebbe una boccata d'ossigeno per tutto il sistema, senza pesare sul debito sovrano e sui parametri del patto di Maastricht.
- La "spending review" è ancora allo studio ma le sue conclusioni dovrebbero esser pronte tra poche settimane. Il ministro Giarda è scettico sulla sua applicabilità a causa delle prevedibili resistenze che saranno opposte dalle categorie interessate. Queste resistenze sarebbero probabilmente superate se le risorse venissero utilizzate per una diminuzione delle imposte sul lavoro e del cuneo fiscale tra salari lordi e salari netti. Le minori spese sono stimate come minimo a 20 - 25 miliardi.
- Il patrimonio dello Stato ammonta a centinaia di miliardi ma se ne potrebbero facilmente cartolarizzare cento e portarli a riduzione del debito sovrano. Quantitativamente è poca cosa ma avrebbe un effetto politico non trascurabile.
- Una riforma senza spese ma suscettibile di notevoli economie sarebbe quella di concentrare il numero degli aeroporti tagliandone parecchi del tutto inutili. Sullo stesso piano sarebbe estremamente opportuna una concentrazione dei Tribunali e delle Università. I risparmi e la maggiore efficienza sarebbero notevolissimi.
- Il recente viaggio di Monti in Asia e le accoglienze che gli sono state riservate sono altrettanti e ben meritati contributi al suo prestigio internazionale. Questo lo mette in grado di riprendere il "manifesto dei Dodici" per una politica di crescita e di più intensa concorrenza intra - europea che fu promosso da lui stesso e dal premier inglese Cameron, ma di cui non si è più parlato nelle sedi europee.
Come si vede i punti di forza sia economici sia politici sono in grado di bilanciare e forse di lasciare un saldo positivo rispetto ai punti di debolezza. La variante dipende dalla volontà politica che a sua volta proviene dal governo e dai partiti che lo appoggiano, soprattutto dal Pd e dal Terzo polo. Del Pdl abbiamo già detto: nelle mani di Alfano può mantenere la tregua in favore del governo, se sfugge al controllo del segretario comincerà l'esodo in larga misura diretto verso il Polo di centro. La "strana maggioranza" dovrebbe in tal caso reggersi su due gambe anziché su tre, ma non sarebbe più "strana" ma politica a tutti gli effetti, con i vantaggi che ne derivano.
* * *
Ci restano ancora due temi da affrontare. Il primo riguarda la coesione sociale e in particolare il tema degli "esodati", il secondo riguarda la questione settentrionale in presenza della crisi della Lega. Si dice che Monti abbia messo la parola fine alla concertazione e al supposto diritto di veto che le parti sociali e i sindacati in particolare avrebbero avuto all'epoca di Ciampi. Su questo argomento ho avuto nei giorni scorsi uno scambio di idee (e di notizie) proprio con Ciampi, fonte autentica per eccellenza su un'architettura politico - sociale da lui costruita.
La concertazione ciampiana aveva come tema le politiche degli investimenti e delle risorse necessarie il che vuol dire l'intera politica economica del Paese, quindi non si trattava di temi sindacali in senso stretto e non esistevano diritti di veto e tanto meno votazioni su quegli argomenti. Le parole che Ciampi più volte pronunciò in pubblico su queste questioni mettevano bene in luce che la concertazione avveniva nel rigoroso rispetto delle competenze istituzionali e cioè del governo e del Parlamento nella loro assoluta autonomia. "Non si è mai votato in quelle riunioni e nessuno ha mai posto un veto su alcunché, e non si è mai discusso di problemi specificamente sindacali. I sindacati confederali in quella sede discutevano temi di pubblico interesse con il governo ed erano portatori essi stessi della loro visione dell'interesse generale" il sindacato cioè si spogliava della sua veste di rappresentante delle categorie e si faceva interprete dell'interesse generale. Credo che Guglielmo Epifani, che partecipò in tutti quegli anni a quelle riunioni, potrà confermare quanto Ciampi ha detto.
E che cos'altro hanno fatto Monti ed Elsa Fornero se non una concertazione consultiva con le forze sociali per quanto riguarda la riforma del lavoro? Non è anche quella una questione di interesse generale? Nulla dunque cambierà se le forze sociali andranno a quegli appuntamenti come portatori anch'essi dell'interesse generale ma tutto cambierebbe se vi andassero come portatori degli interessi delle categorie che ad esse fanno riferimento. In quel caso la sede non sarebbe più Palazzo Chigi.
Quanto al problema degli esodi, si fa molta confusione su di esso. Il ministro Fornero ha dato la cifra di 65 mila con riferimento ai lavoratori che risolsero il loro contratto di lavoro prima della riforma delle pensioni. Pensavano di andare in pensione subito e ci andranno invece nel 2019, cioè tra sette anni. Fornero ha provveduto a coprire quest'intervallo insopportabilmente lungo.
L'anno prossimo ci sarà un'altra quota di lavoratori con contratti in scadenza e pensione a sei anni di distanza. Il ministro ha preso impegno di coprire il nuovo esodo e così via, anno dopo anno, con esodi che vedranno ridursi il numero di anni intercorrenti dall'uscita dal lavoro all'accesso alla pensione.
Questo è il meccanismo. La somma degli esodati, secondo i sindacati, ammonterebbe a 330 mila. Può darsi, bisognerebbe conoscere le fonti di questo calcolo, ma sta di fatto che ogni anno vede diminuire l'arco di tempo da coprire e quindi sommarli insieme non ha alcun significato. Dispiace che su un tema di facile comprensione si sia impostato addirittura uno sciopero generale. Per rivendicare che cosa, visto che l'impegno alla tutela man mano che ne matureranno le condizioni è già stato preso?
* * *
La crisi della Lega ripropone in pieno la questione settentrionale. La Lega ha avuto il merito di portarla, quando nacque, all'attenzione dell'opinione pubblica ma il demerito di non individuare gli strumenti per risolverla. Questo stesso errore era stato compiuto a suo tempo dai "meridionalisti" i quali (salvo poche eccezioni come Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti) ne avevano segnalato l'esistenza ma scelsero cattivi strumenti per risolverla.
La questione settentrionale non consiste nell'esodo di capitali dal Nord al Sud che la Lega ha denunciato e per impedire il quale ha proposto il suo federalismo o addirittura la scissione. Quell'esodo non c'è mai stato, c'è stato semmai il suo contrario perché le banche si sono concentrate al Nord, il grosso degli investimenti pubblici e dei prestiti bancari è avvenuto al Nord e le imprese che hanno investito al Sud sono state tutte e sempre provenienti dal Nord e al Nord sono affluiti i loro profitti e la distribuzione dei loro dividendi. Il vero problema del Nord è il capitalismo dei "padroncini", delle imprese con meno di 20 addetti che costituiscono a dir poco il 95 per cento dell'intera struttura imprenditoriale italiana, disseminata da Varese e da Novara fino a Trieste, Treviso, Padova, Ferrara, Rimini, Ancona, Pesaro, Pescara, Foggia, Bari. Bisognava che i "padroncini" del Nord - Nordest - Est - Sudest diventassero imprese vere, con almeno 50 dipendenti, consorzi, distretti industriali, capacità di ricerca e d'innovazione. Così non è stato. Il tentativo dei distretti è il più delle volte fallito o restato sulla carta, i punti d'eccellenza ci sono stati e ci sono ma il grosso di quest'immensa fascia di capannoni che ha costellato tutte le pianure del Nord e dell'Est ha funzionato fino a quando il cavallo dei consumatori e degli utenti ha bevuto. Con la crisi iniziata nel 2008 il cavallo beve ormai pochissimo e i "padroncini" stanno di male in peggio.
Questa è la questione settentrionale, alla quale la Lega non ha dato alcuno sbocco politico, anzi l'ha impantanata nell'alleanza populista con Berlusconi che non solo non ha visto la crisi ma l'ha negata fino a quando la crisi l'ha travolto.
La Lega ha dato molti buoni amministratori comunali, questo sì, ma al di sopra di quel livello localistico è stata un esperimento disastroso per il Nord e per l'intero Paese. In più anche un luogo di malaffare. Prima scomparirà, meglio sarà. Ma resterà in piedi la questione settentrionale, così come resta in piedi quella meridionale. E resteranno in piedi fino a quando non sarà risolta la questione nazionale.
Il governo Monti ha mosso i primi passi su questa strada ma ci vorrà almeno una generazione per condurla a termine. Dove sia questa generazione io non lo vedo, ma forse dipende dai troppi anni che ho sulle spalle. Mi auguro che sia così e che la generazione cui quel compito è affidato ci sia, sia pronta e si faccia vedere.
(15 aprile 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HREC1-3
Il dare e l'avere di Mario Monti
di EUGENIO SCALFARI
Mario Monti è scoraggiato. Lo capisco. Il compito di mettere al sicuro i conti pubblici per evitare che l'Italia facesse la fine della Grecia l'ha portato a termine egregiamente, ma subito dopo un secondo compito gli incombeva: quello di avviare la crescita della domanda e degli investimenti, ma questa seconda fase, senza la quale anche il "salva Italia" rischia di diventare periclitante, è molto più difficile, stenta a mettersi in moto. La ragione di questo surplace è evidente: la lotta contro la recessione - perché di questo si tratta - non si può fare se non è l'intera Europa ad intraprenderla e questo non è avvenuto.
L'Europa continua ad essere latitante. La Francia è concentrata nelle elezioni presidenziali e per ora non pensa ad altro. La Germania non condivide le politiche di rilancio della domanda che per essere efficaci comporterebbero che fosse proprio Berlino ad assumersene la guida. La Gran Bretagna è isolata e comunque impotente. La Spagna non ha ancora messo al sicuro i suoi conti ed è sotto attacco della speculazione, appesantita per di più da un incredibile 23 per cento di disoccupazione. Perfino la Bce, la sola istituzione veramente europea che è stata finora all'altezza dei compiti che le sono affidati, deve ora difendere la propria autonomia, messa in questione dai falchi della Bundesbank.
Questo è il quadro e le sue tinte sono fosche. Monti è scoraggiato ed ha ragione di esserlo. Ma c'è un'altra ragione che motiva
il suo scoraggiamento ed è lo sfarinamento della maggioranza politica che lo ha fin qui sostenuto.
Finora i tre partiti hanno rispettato la tregua che avevano stipulato tra loro e che aveva reso possibile la "strana maggioranza" di sostegno al governo dei tecnici; ma è bastato l'approssimarsi delle elezioni amministrative del 6 maggio prossimo per mandarla in pezzi. Sono emerse con irruenza le differenze di programma e di elettorato di riferimento tra Pdl e Pd, con una differenza aggiuntiva: il gruppo dirigente del Partito democratico è abbastanza compatto, quello del Pdl è frantumato e Alfano ne sta perdendo il controllo. L'implosione del berlusconismo era attesa ma rinviata all'esito delle elezioni politiche future; invece sta avvenendo adesso: pullulano in quasi tutti i Comuni capoluoghi le liste civiche che hanno preso il posto di quelle del Pdl; la crisi della Lega coincide con la crisi evidente della Regione Lombardia; avanzano gli anarcoidi di Beppe Grillo; l'Udc è filo - montiana ma lo scandalo della Margherita si ripercuote sia pure alla lontana anche su Casini.
Infine la crisi dei partiti ha raggiunto il culmine, Tangentopoli è tornata con prepotenza d'attualità, Penati, Lusi, Belsito, il Consiglio regionale lombardo, il Comune di Palermo e la Regione Sicilia, Emiliano, Vendola, Tedesco, Rosi Mauro, Calderoli: uno sconquasso di queste proporzioni non s'era mai visto dal 1992 con la differenza che allora la crisi economica che si affiancò a quella politica era soltanto italiana, mentre adesso coinvolge l'economia mondiale e dura ormai da cinque anni.
Monti è scoraggiato, ma chi al suo posto non lo sarebbe?
* * *
È scoraggiato ma non ci sono alternative al suo governo, come Giorgio Napolitano ha più volte ricordato in questi giorni. Non ci sono alternative e lui lo sa, perciò il coraggio deve averlo e lo avrà anche perché gli elementi di forza non mancano. Cerchiamo ora di formulare una sorta di bilancio politico ed economico dove metteremo al passivo i punti di debolezza e all'attivo le risorse che possono essere mobilitate e vedremo qual è il risultato. Cominciamo dagli aspetti negativi della situazione.
- Bisogna incentivare gli investimenti delle imprese.
- Bisogna incentivare i consumi delle famiglie.
- Bisogna evitare l'aumento di due punti dell'Iva previsto per settembre per blindare il pareggio del bilancio nel 2013.
- Bisogna pagare i debiti che lo Stato ha nei confronti dei suoi fornitori.
- Bisogna finanziare la costruzione di infrastrutture e una politica attiva di lavori pubblici.
- Bisogna approvare la riforma del lavoro nel testo presentato al Parlamento.
- Bisogna alleggerire il debito sovrano.
- Bisogna chiarire il problema degli "esodati" che sta mettendo in discussione la pace sociale.
- Bisogna che i partiti approvino una nuova legge elettorale.
- Bisogna risolvere la "governance" della Rai il cui Consiglio d'amministrazione è scaduto da tre settimane.
- Bisogna che i partiti decidano la riforma del loro finanziamento che sta vertiginosamente accrescendo il discredito da cui sono circondati.
- Bisogna che il governo presenti al più presto la legge anti-corruzione e la riforma della giustizia.
Fin qui l'elenco dei "buchi" da colmare e dei problemi ancora aperti da risolvere. E vediamo ora gli aspetti positivi e le risorse mobilitabili.
- La lotta all'evasione ha già recuperato 13 miliardi di nuove entrate; è quindi probabile che nell'intero esercizio 2012 si arrivi a 20 miliardi e forse più, una parte dei quali può rimpiazzare l'aumento dell'Iva. Il resto potrebbe servire ad accrescere i crediti d'imposta alle imprese che effettueranno nuovi investimenti o a rinforzare le tutele previste per i disoccupati o altre finalità scelte dal governo (abolizione dell'Irap?).
- La Cassa depositi e prestiti detiene - al di là delle riserve a garanzia del risparmio postale - un fondo di liquidità disponibile per finanziare investimenti in opere pubbliche o in impieghi di pubblica utilità. Queste risorse potrebbero essere utilizzate per consentire al Tesoro di sbloccare subito i 30 miliardi di debiti che ha nei confronti dei suoi fornitori. Sarebbe una boccata d'ossigeno per tutto il sistema, senza pesare sul debito sovrano e sui parametri del patto di Maastricht.
- La "spending review" è ancora allo studio ma le sue conclusioni dovrebbero esser pronte tra poche settimane. Il ministro Giarda è scettico sulla sua applicabilità a causa delle prevedibili resistenze che saranno opposte dalle categorie interessate. Queste resistenze sarebbero probabilmente superate se le risorse venissero utilizzate per una diminuzione delle imposte sul lavoro e del cuneo fiscale tra salari lordi e salari netti. Le minori spese sono stimate come minimo a 20 - 25 miliardi.
- Il patrimonio dello Stato ammonta a centinaia di miliardi ma se ne potrebbero facilmente cartolarizzare cento e portarli a riduzione del debito sovrano. Quantitativamente è poca cosa ma avrebbe un effetto politico non trascurabile.
- Una riforma senza spese ma suscettibile di notevoli economie sarebbe quella di concentrare il numero degli aeroporti tagliandone parecchi del tutto inutili. Sullo stesso piano sarebbe estremamente opportuna una concentrazione dei Tribunali e delle Università. I risparmi e la maggiore efficienza sarebbero notevolissimi.
- Il recente viaggio di Monti in Asia e le accoglienze che gli sono state riservate sono altrettanti e ben meritati contributi al suo prestigio internazionale. Questo lo mette in grado di riprendere il "manifesto dei Dodici" per una politica di crescita e di più intensa concorrenza intra - europea che fu promosso da lui stesso e dal premier inglese Cameron, ma di cui non si è più parlato nelle sedi europee.
Come si vede i punti di forza sia economici sia politici sono in grado di bilanciare e forse di lasciare un saldo positivo rispetto ai punti di debolezza. La variante dipende dalla volontà politica che a sua volta proviene dal governo e dai partiti che lo appoggiano, soprattutto dal Pd e dal Terzo polo. Del Pdl abbiamo già detto: nelle mani di Alfano può mantenere la tregua in favore del governo, se sfugge al controllo del segretario comincerà l'esodo in larga misura diretto verso il Polo di centro. La "strana maggioranza" dovrebbe in tal caso reggersi su due gambe anziché su tre, ma non sarebbe più "strana" ma politica a tutti gli effetti, con i vantaggi che ne derivano.
* * *
Ci restano ancora due temi da affrontare. Il primo riguarda la coesione sociale e in particolare il tema degli "esodati", il secondo riguarda la questione settentrionale in presenza della crisi della Lega. Si dice che Monti abbia messo la parola fine alla concertazione e al supposto diritto di veto che le parti sociali e i sindacati in particolare avrebbero avuto all'epoca di Ciampi. Su questo argomento ho avuto nei giorni scorsi uno scambio di idee (e di notizie) proprio con Ciampi, fonte autentica per eccellenza su un'architettura politico - sociale da lui costruita.
La concertazione ciampiana aveva come tema le politiche degli investimenti e delle risorse necessarie il che vuol dire l'intera politica economica del Paese, quindi non si trattava di temi sindacali in senso stretto e non esistevano diritti di veto e tanto meno votazioni su quegli argomenti. Le parole che Ciampi più volte pronunciò in pubblico su queste questioni mettevano bene in luce che la concertazione avveniva nel rigoroso rispetto delle competenze istituzionali e cioè del governo e del Parlamento nella loro assoluta autonomia. "Non si è mai votato in quelle riunioni e nessuno ha mai posto un veto su alcunché, e non si è mai discusso di problemi specificamente sindacali. I sindacati confederali in quella sede discutevano temi di pubblico interesse con il governo ed erano portatori essi stessi della loro visione dell'interesse generale" il sindacato cioè si spogliava della sua veste di rappresentante delle categorie e si faceva interprete dell'interesse generale. Credo che Guglielmo Epifani, che partecipò in tutti quegli anni a quelle riunioni, potrà confermare quanto Ciampi ha detto.
E che cos'altro hanno fatto Monti ed Elsa Fornero se non una concertazione consultiva con le forze sociali per quanto riguarda la riforma del lavoro? Non è anche quella una questione di interesse generale? Nulla dunque cambierà se le forze sociali andranno a quegli appuntamenti come portatori anch'essi dell'interesse generale ma tutto cambierebbe se vi andassero come portatori degli interessi delle categorie che ad esse fanno riferimento. In quel caso la sede non sarebbe più Palazzo Chigi.
Quanto al problema degli esodi, si fa molta confusione su di esso. Il ministro Fornero ha dato la cifra di 65 mila con riferimento ai lavoratori che risolsero il loro contratto di lavoro prima della riforma delle pensioni. Pensavano di andare in pensione subito e ci andranno invece nel 2019, cioè tra sette anni. Fornero ha provveduto a coprire quest'intervallo insopportabilmente lungo.
L'anno prossimo ci sarà un'altra quota di lavoratori con contratti in scadenza e pensione a sei anni di distanza. Il ministro ha preso impegno di coprire il nuovo esodo e così via, anno dopo anno, con esodi che vedranno ridursi il numero di anni intercorrenti dall'uscita dal lavoro all'accesso alla pensione.
Questo è il meccanismo. La somma degli esodati, secondo i sindacati, ammonterebbe a 330 mila. Può darsi, bisognerebbe conoscere le fonti di questo calcolo, ma sta di fatto che ogni anno vede diminuire l'arco di tempo da coprire e quindi sommarli insieme non ha alcun significato. Dispiace che su un tema di facile comprensione si sia impostato addirittura uno sciopero generale. Per rivendicare che cosa, visto che l'impegno alla tutela man mano che ne matureranno le condizioni è già stato preso?
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La crisi della Lega ripropone in pieno la questione settentrionale. La Lega ha avuto il merito di portarla, quando nacque, all'attenzione dell'opinione pubblica ma il demerito di non individuare gli strumenti per risolverla. Questo stesso errore era stato compiuto a suo tempo dai "meridionalisti" i quali (salvo poche eccezioni come Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti) ne avevano segnalato l'esistenza ma scelsero cattivi strumenti per risolverla.
La questione settentrionale non consiste nell'esodo di capitali dal Nord al Sud che la Lega ha denunciato e per impedire il quale ha proposto il suo federalismo o addirittura la scissione. Quell'esodo non c'è mai stato, c'è stato semmai il suo contrario perché le banche si sono concentrate al Nord, il grosso degli investimenti pubblici e dei prestiti bancari è avvenuto al Nord e le imprese che hanno investito al Sud sono state tutte e sempre provenienti dal Nord e al Nord sono affluiti i loro profitti e la distribuzione dei loro dividendi. Il vero problema del Nord è il capitalismo dei "padroncini", delle imprese con meno di 20 addetti che costituiscono a dir poco il 95 per cento dell'intera struttura imprenditoriale italiana, disseminata da Varese e da Novara fino a Trieste, Treviso, Padova, Ferrara, Rimini, Ancona, Pesaro, Pescara, Foggia, Bari. Bisognava che i "padroncini" del Nord - Nordest - Est - Sudest diventassero imprese vere, con almeno 50 dipendenti, consorzi, distretti industriali, capacità di ricerca e d'innovazione. Così non è stato. Il tentativo dei distretti è il più delle volte fallito o restato sulla carta, i punti d'eccellenza ci sono stati e ci sono ma il grosso di quest'immensa fascia di capannoni che ha costellato tutte le pianure del Nord e dell'Est ha funzionato fino a quando il cavallo dei consumatori e degli utenti ha bevuto. Con la crisi iniziata nel 2008 il cavallo beve ormai pochissimo e i "padroncini" stanno di male in peggio.
Questa è la questione settentrionale, alla quale la Lega non ha dato alcuno sbocco politico, anzi l'ha impantanata nell'alleanza populista con Berlusconi che non solo non ha visto la crisi ma l'ha negata fino a quando la crisi l'ha travolto.
La Lega ha dato molti buoni amministratori comunali, questo sì, ma al di sopra di quel livello localistico è stata un esperimento disastroso per il Nord e per l'intero Paese. In più anche un luogo di malaffare. Prima scomparirà, meglio sarà. Ma resterà in piedi la questione settentrionale, così come resta in piedi quella meridionale. E resteranno in piedi fino a quando non sarà risolta la questione nazionale.
Il governo Monti ha mosso i primi passi su questa strada ma ci vorrà almeno una generazione per condurla a termine. Dove sia questa generazione io non lo vedo, ma forse dipende dai troppi anni che ho sulle spalle. Mi auguro che sia così e che la generazione cui quel compito è affidato ci sia, sia pronta e si faccia vedere.
(15 aprile 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HREC1-3
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Re: La Questione Monti
Io personalmente vorrei che non cambiasse idea.Quindi torni a casa al suo lavoro.shiloh ha scritto:Bisogna sperare che Monti resista all'abbraccio mortale di Berlusconi.
Comunque il premier si trova in una situazione delicatissima.
è palese che quello che sta facendo (liberalizzazioni, lotta all'evasione) è un chiaro e severo smantellamento di tutti i danni fatti da Berlusconi.
Il problema è che senza voti del PDL, non si va da nessuna parte, e a quanto pare, Berlusconi è ancora azionista maggioritario del PDL (ha ancora abbastanza soldi per mettere a tacere gli altri).
Ecco perché Monti è obbligato a dire che si pone in continuità con Berlusconi, che Berlusconi ha fatto cose importanti per l'Italia, e altre ipocrisie di questo tipo.
Se cosi' fosse, Berlusconi e la sua manica di ladroni sparirebbero dalla circolazione e la guida del paese se la contenderebbero una sinistra e una destra democratica.A questo punto sono curioso di vedere cosa farà Monti nel 2013.
La cosa che auspico è che abbia il coraggio di smarcarsi più nettamente da Berlusconi e di fondare un nuovo partito di destra, magari con i finiani e con gli scontenti del PDL come Pisanu.
Ho la sensazione che Monti abbia suscitato troppe attese di palingenesi nel paese.
Se è vero che sta rimettendo a posto i conti pubblici
(d'altronde facendo pagare i pensionati e i lavoratori dipendenti e tagliando i servizi alle persone non autosufficienti ce la farebbe chiunque)
finora non ha liberalizzato un bel niente e ha fatto retromarcia sull'ICI alla Chiesa.
Insomma, finché deve avere il voto del Partito Dei Ladroni, non dobbiamo aspettarci nulla di significativo, a parte un ottimo e prezioso recupero di credibilità internazionale.
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commento trovato nel web ,che sottoscrivo e che posto come contributo alla discussione.
Scusatemi guardiamo ogni tanto i dati anagrafici di questi 1943 dobbiamo evere sempre personaggi della terza Età.
I giovani quando li mettiamo? quando si avvicineranno alla settantina!
Ciao
Paolo11
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Re: La Questione Monti
Chi ha visto ieri sera L'infedele.Gad Lerner ha detto una cosa riguardo All'Italia e Grecia.Noi siamo in ritardo di un anno verso la Grecia.Quindi se non cambiano le cose
fra u'nanno ci troveremo come loro.Poi è arrivato Formigoni mi domando come mai sia stato votato per 3 mandati essendo due normalmente.Ci credo che dopo quasi 15 anni ci siano dei proplemi che escono.Il troppo tempo storpia.
Ma: forse ai lombardi piace molto questo verginello.
Ciao
Paolo11
fra u'nanno ci troveremo come loro.Poi è arrivato Formigoni mi domando come mai sia stato votato per 3 mandati essendo due normalmente.Ci credo che dopo quasi 15 anni ci siano dei proplemi che escono.Il troppo tempo storpia.
Ma: forse ai lombardi piace molto questo verginello.
Ciao
Paolo11
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Re: La Questione Monti
per come ho capito io imandati PRIMA della nuova legge non vengono contati diciamo legge non retroattiva
Re: La Questione Monti
( dal sito il post.it)
Scelte popolari
Quand'è che che questo governo si comporterà all'altezza di se stesso e ci darà qualcosa in cambio della fiducia che chiede?
17 aprile 2012
Il governo Monti venne a suo tempo diffusamente invocato, persino dai responsabili stessi dei partiti, per mettere mano a interventi drastici sull’economia che i partiti non erano in grado – per inadeguatezza di competenze e dipendenza dal consenso – di attuare. “Scelte impopolari”, si disse molto: ci vuole qualcuno capace di scelte impopolari.
Oggi il governo Monti si è dimostrato all’altezza di quella richiesta: da diverse settimane, a cominciare dalla riforma del Lavoro, ci vengono annunciati iniziative e progetti di cui faremmo volentieri a meno, in un mondo ideale. Se il governo Monti mantiene ancora un cospicuo capitale di consenso è perché a molti italiani è chiaro che il suo mandato era soprattutto quello di mettere delle dolorose pezze su una situazione disastrosa e ineludibile: per la quale non esistono soluzioni gratuite.
Ma il bilancio non si esaurisce qui, e infatti è evidente che il famoso capitale di consenso sta venendo consumato. Una prima ragione è che non tutti gli italiani hanno così chiaro il rapporto tra l’espressione “scelte impopolari” e la sua concretizzazione: scelte impopolari significa scelte impopolari, non sono solo due parole. Una seconda ragione è che ci sono state goffaggini ed esitazioni nel condurre le suddette scelte, e in diversi casi – le liberalizzazioni, la riforma del lavoro – la famosa indipendenza del governo nel portare avanti i suoi progetti è sembrata vacillare, e ha partorito risultati che sembrano scontentare tutti senza mostrare grandi prospettive rivoluzionarie dello status quo.
Una terza ragione è la più importante e quella su cui un governo di persone lungimiranti e intelligenti appare più incomprensibilmente svampito: la totale mancanza di progetti di più ampia visione non solo tappabuchi e l’incapacità di accompagnare la severa politica economica a scelte “popolari”. È inevitabile che il consenso cali, anche tra i cittadini più rispettosi della difficoltà di quel mandato, se l’opportunità di distinguersi dalle inconcludenti (quando non peggio) maggioranze precedenti non venga sfruttata in nessun modo rassicurante.
Quello condotto da Mario Monti è un governo, legittimo, e nei pieni poteri. A oggi non ha mostrato nessun interesse a occuparsi prioritariamente della scuola e della ricerca, che qualunque analisi giudica fondamentali per la ripresa non solo economica del paese; a oggi è molto indietro nella costruzione di un progetto di riforma della giustizia che affronti i suoi disastri più sentiti dai cittadini; a oggi non sembra avere le idee chiare su una riforma fiscale che non solo redistribuisca più equamente la ricchezza e i servizi ai cittadini ma renda meno difficile l’innovazione imprenditoriale e semplifichi le procedure dei rapporti col fisco; a oggi non ha preso nessuna iniziativa sul fronte dei tagli ai costi della politica, rimettendosi pilatescamente alle prevedibili resistenze dei partiti, e si sta completamente defilando sulla questione dei rimborsi elettorali; a oggi non sta facendo valere in nessun modo il proprio ruolo rispetto alla richiestissima riforma della legge elettorale; a oggi non ritiene affar proprio intervenire con un progetto sul conflitto di interessi, che era stato uno dei principali fattori di disastro del governo precedente; a oggi ha fatto sparire sotto il tappeto le promesse pubbliche di Mario Monti di intervenire sulla Rai con un piano di ripristino del servizio pubblico di qualche tipo.
Sono temi diversi, si potrà obiettare, e non tutti di precipua pertinenza del governo nella loro concretizzazione. Ma sarebbe un alibi indulgente quello che permetta al governo di potersi dire estraneo a indicazioni e intenzioni anche sui temi su cui debba intervenire il parlamento: il governo ha potere di contrattazione con i partiti – che peraltro lo sostengono – e ha dimostrato in più di un’occasione di volerlo fare pesare. Anche perché è nel suo interesse, ci arriviamo.
C’è una ragione per cui tutte queste cose andrebbero prese in mano come priorità da qualunque governo, ed è che costituiscono il bene comune e partecipano di un progetto di ricostruzione del paese (anche senza arrivare al benintenzionato “rivoltare lo Stato come un calzino” auspicato da Michele Boldrin) che è quello di cui l’Italia ha bisogno forse persino di più del risanamento di conti pronti a marcire di nuovo domani, se non cambiano le cose. Ma un governo che chieda sacrifici e pazienza e fiducia ne ha una ulteriore, di ragione per interventi su questi temi: che non si possono chiedere sacrifici e pazienza e fiducia senza dare niente in cambio, senza confermarci che ne vale la pena, senza convincerci che siamo dentro a un cambiamento più solido e di cui si vedano, intravedano, dei frutti. Come scriveva pochi giorni fa anche Dario Di Vico sulla prima pagina del Corriere:
Urge, dunque, una correzione di rotta di metodo e di merito. Agli italiani va data la sensazione piena che quello che sta chiedendo loro lacrime e sangue è il governo di Roma e non di Bruxelles.
Perché se stanno lì solo a mettere delle pezze prima di restituirci a quello che c’era prima, beh, grazie: ma ci aspettiamo di più, e non li ricorderemo per questo.
Scelte popolari
Quand'è che che questo governo si comporterà all'altezza di se stesso e ci darà qualcosa in cambio della fiducia che chiede?
17 aprile 2012
Il governo Monti venne a suo tempo diffusamente invocato, persino dai responsabili stessi dei partiti, per mettere mano a interventi drastici sull’economia che i partiti non erano in grado – per inadeguatezza di competenze e dipendenza dal consenso – di attuare. “Scelte impopolari”, si disse molto: ci vuole qualcuno capace di scelte impopolari.
Oggi il governo Monti si è dimostrato all’altezza di quella richiesta: da diverse settimane, a cominciare dalla riforma del Lavoro, ci vengono annunciati iniziative e progetti di cui faremmo volentieri a meno, in un mondo ideale. Se il governo Monti mantiene ancora un cospicuo capitale di consenso è perché a molti italiani è chiaro che il suo mandato era soprattutto quello di mettere delle dolorose pezze su una situazione disastrosa e ineludibile: per la quale non esistono soluzioni gratuite.
Ma il bilancio non si esaurisce qui, e infatti è evidente che il famoso capitale di consenso sta venendo consumato. Una prima ragione è che non tutti gli italiani hanno così chiaro il rapporto tra l’espressione “scelte impopolari” e la sua concretizzazione: scelte impopolari significa scelte impopolari, non sono solo due parole. Una seconda ragione è che ci sono state goffaggini ed esitazioni nel condurre le suddette scelte, e in diversi casi – le liberalizzazioni, la riforma del lavoro – la famosa indipendenza del governo nel portare avanti i suoi progetti è sembrata vacillare, e ha partorito risultati che sembrano scontentare tutti senza mostrare grandi prospettive rivoluzionarie dello status quo.
Una terza ragione è la più importante e quella su cui un governo di persone lungimiranti e intelligenti appare più incomprensibilmente svampito: la totale mancanza di progetti di più ampia visione non solo tappabuchi e l’incapacità di accompagnare la severa politica economica a scelte “popolari”. È inevitabile che il consenso cali, anche tra i cittadini più rispettosi della difficoltà di quel mandato, se l’opportunità di distinguersi dalle inconcludenti (quando non peggio) maggioranze precedenti non venga sfruttata in nessun modo rassicurante.
Quello condotto da Mario Monti è un governo, legittimo, e nei pieni poteri. A oggi non ha mostrato nessun interesse a occuparsi prioritariamente della scuola e della ricerca, che qualunque analisi giudica fondamentali per la ripresa non solo economica del paese; a oggi è molto indietro nella costruzione di un progetto di riforma della giustizia che affronti i suoi disastri più sentiti dai cittadini; a oggi non sembra avere le idee chiare su una riforma fiscale che non solo redistribuisca più equamente la ricchezza e i servizi ai cittadini ma renda meno difficile l’innovazione imprenditoriale e semplifichi le procedure dei rapporti col fisco; a oggi non ha preso nessuna iniziativa sul fronte dei tagli ai costi della politica, rimettendosi pilatescamente alle prevedibili resistenze dei partiti, e si sta completamente defilando sulla questione dei rimborsi elettorali; a oggi non sta facendo valere in nessun modo il proprio ruolo rispetto alla richiestissima riforma della legge elettorale; a oggi non ritiene affar proprio intervenire con un progetto sul conflitto di interessi, che era stato uno dei principali fattori di disastro del governo precedente; a oggi ha fatto sparire sotto il tappeto le promesse pubbliche di Mario Monti di intervenire sulla Rai con un piano di ripristino del servizio pubblico di qualche tipo.
Sono temi diversi, si potrà obiettare, e non tutti di precipua pertinenza del governo nella loro concretizzazione. Ma sarebbe un alibi indulgente quello che permetta al governo di potersi dire estraneo a indicazioni e intenzioni anche sui temi su cui debba intervenire il parlamento: il governo ha potere di contrattazione con i partiti – che peraltro lo sostengono – e ha dimostrato in più di un’occasione di volerlo fare pesare. Anche perché è nel suo interesse, ci arriviamo.
C’è una ragione per cui tutte queste cose andrebbero prese in mano come priorità da qualunque governo, ed è che costituiscono il bene comune e partecipano di un progetto di ricostruzione del paese (anche senza arrivare al benintenzionato “rivoltare lo Stato come un calzino” auspicato da Michele Boldrin) che è quello di cui l’Italia ha bisogno forse persino di più del risanamento di conti pronti a marcire di nuovo domani, se non cambiano le cose. Ma un governo che chieda sacrifici e pazienza e fiducia ne ha una ulteriore, di ragione per interventi su questi temi: che non si possono chiedere sacrifici e pazienza e fiducia senza dare niente in cambio, senza confermarci che ne vale la pena, senza convincerci che siamo dentro a un cambiamento più solido e di cui si vedano, intravedano, dei frutti. Come scriveva pochi giorni fa anche Dario Di Vico sulla prima pagina del Corriere:
Urge, dunque, una correzione di rotta di metodo e di merito. Agli italiani va data la sensazione piena che quello che sta chiedendo loro lacrime e sangue è il governo di Roma e non di Bruxelles.
Perché se stanno lì solo a mettere delle pezze prima di restituirci a quello che c’era prima, beh, grazie: ma ci aspettiamo di più, e non li ricorderemo per questo.
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Re: La Questione Monti
E la Lombardia???
Borghezio: «Vendere Sicilia
e Campania a miliardari russi»
«Inutile negare che la mafia in Sicilia e la Camorra in Campania sono saldamente radicate nel territorio, quindi una soluzione potrebbe essere che Monti la venda a uno stato estero o a qualche miliardario visto che non si riesce ad estirpare il malaffare troppo radicato. Nonostante i numerosissimi siciliani e campani onesti non c'è speranza», è l'idea che il europarlamentare leghista Mario Borghezio lancia a KlausCondicio, il talk show di Klaus Davi su You Tube.
GUARDA IL VIDEO
«Fossi al posto del premier Monti - spiega - venderei la Sicilia agli Usa o a qualche pool di miliardari russi o americani. E se per esempio, come sembrava che si potesse fare nell'immediato dopo guerra, gli Stati Uniti volessero aggiungere una stellina alla loro bandiera, allora molto volentieri la Sicilia, ma prima ancora la Campania, perchè‚ siamo di fronte a zone completamente improduttive. Sarebbe un pò alleggerita quella palla al piede che finchè siamo tutti insieme appesantisce il nord».
Secondo Borghezio la vendita potrebbe anche avere effetti positivi sui conti dello stato italiano così disastrati: «Fossi in Monti metterei sul mercato anche Napoli e la Sardegna. Con quei soldi potremmo alleggerire il nostro debito che, tra l'altro, mica l'han fatto gli operai della Fiat o i piccoli imprenditori del Veneto o del Nord est. L'hanno fatto loro, con le loro pensioni facili di invalidità, con gli amici politici, con le loro mafie, il loro assalto alla diligenza, le loro finanziarie che ogni anno spolpavano un pò di più le casse dello Stato. E naturalmente Roma ladrona, che ha coperto tutto questo danneggiando la gente onesta del sud. Soprattutto, chiudendo le speranze alle giovani generazioni del sud».
L'Unità
Borghezio: «Vendere Sicilia
e Campania a miliardari russi»
«Inutile negare che la mafia in Sicilia e la Camorra in Campania sono saldamente radicate nel territorio, quindi una soluzione potrebbe essere che Monti la venda a uno stato estero o a qualche miliardario visto che non si riesce ad estirpare il malaffare troppo radicato. Nonostante i numerosissimi siciliani e campani onesti non c'è speranza», è l'idea che il europarlamentare leghista Mario Borghezio lancia a KlausCondicio, il talk show di Klaus Davi su You Tube.
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«Fossi al posto del premier Monti - spiega - venderei la Sicilia agli Usa o a qualche pool di miliardari russi o americani. E se per esempio, come sembrava che si potesse fare nell'immediato dopo guerra, gli Stati Uniti volessero aggiungere una stellina alla loro bandiera, allora molto volentieri la Sicilia, ma prima ancora la Campania, perchè‚ siamo di fronte a zone completamente improduttive. Sarebbe un pò alleggerita quella palla al piede che finchè siamo tutti insieme appesantisce il nord».
Secondo Borghezio la vendita potrebbe anche avere effetti positivi sui conti dello stato italiano così disastrati: «Fossi in Monti metterei sul mercato anche Napoli e la Sardegna. Con quei soldi potremmo alleggerire il nostro debito che, tra l'altro, mica l'han fatto gli operai della Fiat o i piccoli imprenditori del Veneto o del Nord est. L'hanno fatto loro, con le loro pensioni facili di invalidità, con gli amici politici, con le loro mafie, il loro assalto alla diligenza, le loro finanziarie che ogni anno spolpavano un pò di più le casse dello Stato. E naturalmente Roma ladrona, che ha coperto tutto questo danneggiando la gente onesta del sud. Soprattutto, chiudendo le speranze alle giovani generazioni del sud».
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