Top News
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Re: Top News
No, la salma andava gettata in una discarica e lasciata agli uccelli
Oppure cremata e le ceneri buttate in un water
Comunque, per ora il funerale è saltato
Quanto ai lefebvriani, non dobbiamo dimenticare. Dovranno pagare il conto di tutto questo, a livello legale.
Oppure cremata e le ceneri buttate in un water
Comunque, per ora il funerale è saltato
Quanto ai lefebvriani, non dobbiamo dimenticare. Dovranno pagare il conto di tutto questo, a livello legale.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Top News
Diffamazione, alla Camera passa il bavaglio preventivo (Sara Nicoli).
18/10/2013 di triskel1
IL DDL ABOLISCE IL CARCERE PER I GIORNALISTI, MA PREVEDE MULTE PESANTISSIME E L’OBBLIGO DI RETTIFICA SENZA RISPOSTA O COMMENTO. NIENTE AMMENDA PER LE QUERELE “INTIMIDATORIE”.
Una toppa peggiore del buco. Montecitorio vara la nuova legge che riforma il reato di diffamazione a mezzo stampa (ora passa al Senato, dove si prevedono tempi lunghi) e cancella il carcere per i giornalisti e i direttori delle testate. Peccato, però, che a fronte di questa concessione alla stampa, le forze politiche abbiano aumentato in modo robusto le multe introducendo anche l’obbligo della rettifica senza commento a favore dell’offeso. In più, la maggioranza ha pensato bene di eliminare qualsiasi ammenda verso chi intenta querela nei confronti dei giornalisti a scopo squisitamente intimidatorio (resta solo una multa di 10 mila euro nei casi più eclatanti), ovvero le cosiddette “querele temerarie”. Niente carcere, insomma, ma un guinzaglio alla stampa assai più corto attraverso altri modi, tutti economici, per stringere il bavaglio ai giornalisti. La legge è passata con 308 voti a favore, 117 contrari (Sel e M5S) e 8 astenuti.
NEL TESTO PERÒ ci sono pasticci vistosi. Nella diffamazione a mezzo stampa, per esempio, è stata tolta l’aggravante del fatto determinato e questo, fatti i debiti conti, rende la diffamazione fatta da un giornalista meno onerosa di quella che può colpire un diffamatore da salotto, la cui multa è stata elevata fino a 10 mila euro nel caso in cui il reato venga commesso tra privati. Contraddizioni che, probabilmente, verranno riviste nel passaggio a Palazzo Madama ma che suscitano perplessità sull’intero impianto della legge. Ma andiamo alle multe. Per la diffamazione semplice, si diceva, si va dai 5 ai 10 mila euro. Se, invece, si è consapevolmente attribuito a qualcuno un fatto falso, allora la multa sale da 20 mila a 60 mila euro (sinora il tetto massimo era di 50 mila euro), con tanto di obbligo di riportare per esteso della sentenza, fatto a cui nessun giornale cartaceo potrà ottemperare visto che spesso le decisioni superano le cento pagine. Probabilmente al Senato ci si accorderà per la sola pubblicazione del dispositivo della sentenza, ma resta pesante l’entità della tetto massimo per le multe, soprattutto per i free lance non tutelati dall’ombrello di un editore. In caso di recidiva, è prevista anche l’interdizione dalla professione da sei mesi ad un anno, ma la pubblicazione della rettifica è giudicata come causa di non punibilità. Le rettifiche, tuttavia, dovranno essere pubblicate senza commento e risposta, menzionando espressamente il titolo, la data e l’autore dell’articolo diffamatorio. In caso di violazione dell’obbligo scatterà un’ulteriore sanzione amministrativa da 8 mila a 16 mila euro. Insomma, la libertà di movimento del giornalista, anche senza carcere, resta sempre molto ridotta. Tanto che stavolta il delitto di diffamazione è stato esteso anche ai siti Internet, con unica esclusione dei blog, che restano nella responsabilità dell’autore del post. Ma c’è di più.
IN CASO di diffamazione, il danno sarà quantificato sulla base della diffusione della testata, della gravità dell’offesa e del-l’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione. Una sorta di “fine pena mai” per il giornalista che potrà trovarsi a rispondere di una querela, a livello civile, anche molto tempo dopo la pubblicazione dell’articolo. Cambia, invece, la musica per i direttori delle testate, prima sempre responsabili di omesso controllo. Non risponderanno più a titolo di colpa e potranno delegare le funzioni di vigilanza (in forma scritta) a un altro giornalista che dovrà prendersi anche la responsabilità dell’omissione di controllo di un testo al posto del direttore. In ultimo, il segreto professionale, che viene esteso anche ai pubblicisti anche se resta l’obbligo di dichiarare la fonte nel caso in cui questa sia fondamentale per accertare la prova di un reato.
Da Il Fatto Quotidiano del 18/10/2013.
18/10/2013 di triskel1
IL DDL ABOLISCE IL CARCERE PER I GIORNALISTI, MA PREVEDE MULTE PESANTISSIME E L’OBBLIGO DI RETTIFICA SENZA RISPOSTA O COMMENTO. NIENTE AMMENDA PER LE QUERELE “INTIMIDATORIE”.
Una toppa peggiore del buco. Montecitorio vara la nuova legge che riforma il reato di diffamazione a mezzo stampa (ora passa al Senato, dove si prevedono tempi lunghi) e cancella il carcere per i giornalisti e i direttori delle testate. Peccato, però, che a fronte di questa concessione alla stampa, le forze politiche abbiano aumentato in modo robusto le multe introducendo anche l’obbligo della rettifica senza commento a favore dell’offeso. In più, la maggioranza ha pensato bene di eliminare qualsiasi ammenda verso chi intenta querela nei confronti dei giornalisti a scopo squisitamente intimidatorio (resta solo una multa di 10 mila euro nei casi più eclatanti), ovvero le cosiddette “querele temerarie”. Niente carcere, insomma, ma un guinzaglio alla stampa assai più corto attraverso altri modi, tutti economici, per stringere il bavaglio ai giornalisti. La legge è passata con 308 voti a favore, 117 contrari (Sel e M5S) e 8 astenuti.
NEL TESTO PERÒ ci sono pasticci vistosi. Nella diffamazione a mezzo stampa, per esempio, è stata tolta l’aggravante del fatto determinato e questo, fatti i debiti conti, rende la diffamazione fatta da un giornalista meno onerosa di quella che può colpire un diffamatore da salotto, la cui multa è stata elevata fino a 10 mila euro nel caso in cui il reato venga commesso tra privati. Contraddizioni che, probabilmente, verranno riviste nel passaggio a Palazzo Madama ma che suscitano perplessità sull’intero impianto della legge. Ma andiamo alle multe. Per la diffamazione semplice, si diceva, si va dai 5 ai 10 mila euro. Se, invece, si è consapevolmente attribuito a qualcuno un fatto falso, allora la multa sale da 20 mila a 60 mila euro (sinora il tetto massimo era di 50 mila euro), con tanto di obbligo di riportare per esteso della sentenza, fatto a cui nessun giornale cartaceo potrà ottemperare visto che spesso le decisioni superano le cento pagine. Probabilmente al Senato ci si accorderà per la sola pubblicazione del dispositivo della sentenza, ma resta pesante l’entità della tetto massimo per le multe, soprattutto per i free lance non tutelati dall’ombrello di un editore. In caso di recidiva, è prevista anche l’interdizione dalla professione da sei mesi ad un anno, ma la pubblicazione della rettifica è giudicata come causa di non punibilità. Le rettifiche, tuttavia, dovranno essere pubblicate senza commento e risposta, menzionando espressamente il titolo, la data e l’autore dell’articolo diffamatorio. In caso di violazione dell’obbligo scatterà un’ulteriore sanzione amministrativa da 8 mila a 16 mila euro. Insomma, la libertà di movimento del giornalista, anche senza carcere, resta sempre molto ridotta. Tanto che stavolta il delitto di diffamazione è stato esteso anche ai siti Internet, con unica esclusione dei blog, che restano nella responsabilità dell’autore del post. Ma c’è di più.
IN CASO di diffamazione, il danno sarà quantificato sulla base della diffusione della testata, della gravità dell’offesa e del-l’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione. Una sorta di “fine pena mai” per il giornalista che potrà trovarsi a rispondere di una querela, a livello civile, anche molto tempo dopo la pubblicazione dell’articolo. Cambia, invece, la musica per i direttori delle testate, prima sempre responsabili di omesso controllo. Non risponderanno più a titolo di colpa e potranno delegare le funzioni di vigilanza (in forma scritta) a un altro giornalista che dovrà prendersi anche la responsabilità dell’omissione di controllo di un testo al posto del direttore. In ultimo, il segreto professionale, che viene esteso anche ai pubblicisti anche se resta l’obbligo di dichiarare la fonte nel caso in cui questa sia fondamentale per accertare la prova di un reato.
Da Il Fatto Quotidiano del 18/10/2013.
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Re: Top News
il Fatto18.10.13
L’Unità cambia direttore. Se ne va Sardo, arriva Landò
OGGI IN EDICOLA i lettori de l’Unità troveranno l’ultimo editoriale di Claudio Sardo. Finisce qui il suo incarico di direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Da settimane si rincorrevano le voci su una sua sostituzione: Sardo, già in forze al Messaggero, era arrivato al vertice del giornale in piena era bersaniana. Ma a essere cambiata non è solo la guida del Pd. Anche Renato Soru, principale azionista della Nuova Iniziativa Editoriale (la società che edita il quotidiano) si è tirato indietro, mentre Matteo Fago - imprenditore del web e del turismo, è suo il sito di viaggi Ve nere.com - è salito al 47 per cento del pacchetto azionario della Nie. Prima si è pensato in grande, provando a convincere Walter Veltroni a tornare alla direzione del giornale. Fallita la trattativa, hanno nominato Luca Landò, già vicedirettore de l’Unità e direttore di www.unita.it . Sardo continuerà a scrivere in qualità di editorialista.
L’Unità cambia direttore. Se ne va Sardo, arriva Landò
OGGI IN EDICOLA i lettori de l’Unità troveranno l’ultimo editoriale di Claudio Sardo. Finisce qui il suo incarico di direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Da settimane si rincorrevano le voci su una sua sostituzione: Sardo, già in forze al Messaggero, era arrivato al vertice del giornale in piena era bersaniana. Ma a essere cambiata non è solo la guida del Pd. Anche Renato Soru, principale azionista della Nuova Iniziativa Editoriale (la società che edita il quotidiano) si è tirato indietro, mentre Matteo Fago - imprenditore del web e del turismo, è suo il sito di viaggi Ve nere.com - è salito al 47 per cento del pacchetto azionario della Nie. Prima si è pensato in grande, provando a convincere Walter Veltroni a tornare alla direzione del giornale. Fallita la trattativa, hanno nominato Luca Landò, già vicedirettore de l’Unità e direttore di www.unita.it . Sardo continuerà a scrivere in qualità di editorialista.
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Re: Top News
Corriere 18.10.13
Studenti in piazza per Leonarda
Migliaia di studenti ieri a Parigi si sono scontrati con la polizia davanti al ministero dell’Interno.
I ragazzi protestavano per l’espulsione della studentessa kosovara Leonarda. Ieri il padre ha rivelato che la giovane è in realtà nata in Italia.
l’Unità 18.10.13
Troppi profughi
Sofia costruisce muro anti-siriani
Sarà lungo 30 chilometri e alto tre metri, al confine tra Bulgaria e Turchia
Polemiche con Ankara per i controlli
Già 6000 i rifugiati, nei prossimi mesi è previsto l’arrivo di altri 20mila
di Roberto Arduini
Sarà lungo 30 chilometri e alto tre metri il muro anti-migranti che la Bulgaria si appresta a costruire ai confini con la Turchia. Il progetto è già avviato: più che un muro di cemento, sarà una barriera di filo spinato sostenuta da una base fissa e da colonne in calcestruzzo. Il governo ha intenzione di erigerlo nei pressi di Elhovo, nel sudest del Paese, per frenare l’ondata di immigrati, soprattutto dalla Siria. Il viceministro dell’Interno, Vasil Marinov, ha escluso che il fil di ferro sarà attraversato da corrente elettrica, anche se ci saranno sensori in grado di segnalare tentativi di passaggio. Non è male per il confine terrestre più orientale dell’Unione europea.
Poco più a sud, il confine separa tre nazioni: Turchia, Bulgaria e Grecia. Il fiume Evros è l’ultimo ostacolo per tutti coloro che tentano di approdare in Europa. E in centinaia si tuffano nel tentativo di raggiungere la sponda bulgara. È la «porta orientale», citata anche dal ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, in audizione ieri al Senato: «La rotta che porta via terra in Bulgaria è il punto d’uscita del grande flusso migratorio utilizzato dai siriani, fuoriusciti in Libano e Giordania».
MISURE D’EMERGENZA
«Il governo nel panico per i rifugiati», titolava ieri il quotidiano bulgaro Sega, che spiegava nell’articolo che le autorità bulgare si preparano ad adottare «una serie di misure d’emergenza per la crisi dei rifugiati». Negli ultimi mesi ne sono arrivati nel Paese oltre seimila, il 90% dei quali siriani, mentre secondo le previsioni a breve ne potrebbero arrivare altri 20mila. Il ministero dell’Interno riceverà perciò 13,5 milioni di euro supplementari, di cui 5 milioni dedicati alla costruzione del muro lungo la frontiera con la Turchia. Sofia ha anche chiesto ad Ankara di rafforzare il controllo della frontiera comune, per ridurre l’afflusso di rifugiati. «La parte turca s’è impegnata a rafforzare le misure (di controllo) sulla frontiera ha fatto sapere il ministro Tsvetlin Yovchev noi abbiamo ottenuto il loro accordo per creare delle pattuglie comuni». La Bulgaria ha proposto ad Ankara e ad Atene di creare un centro comune di controllo della frontiera nella regione del principale posto di passaggio, Kapitan-Andreevo, e lungo la frontiera con la Grecia. «Ma quasi l’85% degli immigrati illegali passano la frontiera turca attraverso Elhovo», ha specificato il viceministro, e proprio questa zona, ha aggiunto, è la più difficile da controllare lungo il confine di 259 chilometri con la Turchia.
Obiettivo ufficiale della barriera, ha detto Marinov, non è fermare chi cerca rifugio e scappa dal conflitto siriano, ma aumentare il livello di sicurezza in questa parte della frontiera. Proposto già in passato, ufficialmente il progetto aveva addirittura solo lo scopo di fermare le invasioni di animali malati.
Dall'inizio della crisi siriana, la Bulgaria ha visto aumentare esponenzialmente l’arrivo di profughi e richiedenti asilo dal Paese mediorientale. Tutti arrivano dopo essere transitati in Turchia. Tutti o quasi, vedono nella Bulgaria solo una tappa di passaggio, nel tentativo di raggiungere i Paesi dell’Europa centrale e settentrionale. Molti hanno parenti e amici che li aspettano, ma non possono raggiungerli, almeno fino a che non saranno usciti dal limbo legale in cui sono bloccati. Negli ultimi mesi, secondo i dati ufficiali, il loro numero ha subito una brusca accelerazione. «Se nei mesi passati registravamo 400 arrivi al mese, ad agosto abbiamo toccato i 1500», ha spiegato Marinov. Ogni giorno la polizia di frontiera ferma decine di persone e secondo le autorità bulgare, le limitate strutture di accoglienza del Paese sono già esaurite. Nel caso di un’ulteriore escalation della guerra civile in Siria, però, il peggio potrebbe ancora arrivare. Tanto che il ministero della Difesa ha annunciato la decisione di mettere a disposizione 26 siti in disuso, che potrebbero fornire un tetto provvisorio ad almeno 10mila persone.
Sofia così accarezza l’idea di sigillare le proprie frontiere, ma il progetto appare difficilmente realizzabile. Non tanto perché in aperto contrasto con impegni internazionali (come la convenzione di Ginevra sui rifugiati) ma perché sarà difficile blindare tutta la frontiera.
il Fatto 18.10.13
Il nuovo muro del Nord (Europa)
di Michela Danieli
CHI APRIRÀ LE PORTE a quanti sopravvivono alla quotidiana roulette russa nel mediterraneo? Di certo non il Nord Europa, che se con un occhio compassionevole guarda i cadaveri restituiti dal nostro mare, con l’altro controlla che le sue frontiere siano adeguatamente blindate. Per sfuggire alla guerra e alla fame, il popolo dei rifugiati accetta qualsiasi sfida. Ma chi offrirà loro un futuro, dopo? I summit Ue si intrecciano a dichiarazioni di circostanza che inneggiano alla solidarietà verso l’Italia, ma finora, provvedimenti concreti non si sono visti. La storia insegna che molti profughi chiederanno asilo al Nord Europa, chi dichiarando lo status di rifugiato, chi dimostrando un ricongiungimento famigliare.
Se però è sui Paesi scandinavi che contiamo, la fiducia si rivela mal riposta. Partiamo dalla Danimarca. Economia da tripla A, tasso di disoccupazione inesistente, da maggio però il governo ha sospeso il trattato di Schengen e reintrodotto i controlli alle frontiere. “Troppi immigrati. Negli scorsi anni abbiamo visto crescere i crimini transfrontalieri” – spiegano, giustificando così l’introduzione di nuove apparecchiature elettroniche per l’identificazione alla frontiera tedesca, di controlli serrati nei porti e sul ponte che collega alla Svezia.
Già la Svezia, dove ormai la parola “immigrazione” provoca nel-l’opinione pubblica reazione da gas urticante. Il partito di estrema destra tiene sempre viva la memoria collettiva sulle rivolte dello scorso maggio che hanno infiammato i sobborghi di Stoccolma, per mano di immigrati. Devastate scuole, bruciate auto, feriti a sassate passanti, poliziotti, vigili del fuoco. Tutti motivi per non accettare nuovi profughi. Così da mesi la polizia effettua controlli a tappeto nella metropolitana di Stoccolma, per rintracciare i clandestini e procedere all’espulsione, mentre da Göteborg, città d’approdo, i comuni protestano e accusano il Governo e l’Ue di averli lasciati soli e senza fondi, ad affrontare il fenomeno crescente dell’accattonaggio.
E siamo in Norvegia. Protezionista verso la sua inespugnabile economia petrolio-centrica, ha accontentato giusto la scorsa settimana l’ala estrema del neogoverno di destra: manette ai clandestini e rigidi protocolli per il riconoscimento dell’a s i l o. Resta la Finlandia. La sua brillante economia ha cronico bisogno di manodopera e quindi gli immigrati sono ben accetti, soprattutto perché svolgono i lavori meno remunerativi, nei settore edilizia, sanità, istruzione e trasporti marittimi.
Nel 2012 oltre 9mila stranieri hanno ottenuto la cittadinanza, il doppio rispetto gli anni precedenti. Anche qui però sono giunte le correnti xenofobo- populiste, già al lavoro (con discreto successo) per instillare veleno sociale, facendo leva su un grande classico: “Di questo passo, il welfare, basterà per tutti? ”.
Corriere 18.10.13
Dramma della schiavitù moderna
Ci sono circa 30 milioni di schiavi nel mondo
I Governi non ignorino i numeri
di Guido Santevecchi
Ci sono circa 30 milioni di schiavi nel mondo. In India 14 milioni, segue la Cina con 3 milioni, poi Pakistan e Nigeria. In rapporto alla popolazione, il Paese con la più alta percentuale è la Mauritania: tra i 140 e i 160 mila disperati, il 4% di mauritani è ridotto in schiavitù.
Il «Global Slavery Index 2013» definisce la «moderna schiavitù» su questi indicatori: il possesso o il controllo di persone attraverso le catene dell’indebitamento; il traffico di esseri umani per sfruttamento sessuale o lavoro forzato; matrimoni obbligati di minori; bambini costretti a fare i soldati. Se 30 milioni di schiavi ci possono sembrare una frazione millesimale a confronto degli oltre sette miliardi di abitanti della terra, ricordiamoci che è più del doppio del totale degli uomini e donne strappati dall’Africa durante la tratta degli schiavi tra il Sedicesimo secolo e il 1807, quando fu formalmente bandita. Secondo i registri di bordo delle navi negriere, in quei duecento anni furono imbarcati in catene 12,5 milioni di africani. I tre quarti dei nuovi schiavi sono in Asia. Ma ci sono anche nel nostro mondo: 57-63 mila negli Stati Uniti; 8-9 mila in Francia; 10-11 mila in Germania; tra i 7.500 e gli 8.300 in Italia. La nazione più liberale è la Finlandia: 670-740 schiavi su 5.414.293 cittadini. Il rapporto elaborato dal gruppo australiano Walk Free Foundation è sostenuto da personalità come l’ex segretario di Stato americano Hillary Clinton e l’ex premier britannico Tony Blair. Gli autori dicono che molti governi non saranno contenti di sentirsi chiamati in causa. Ma è tutta la comunità internazionale che dovrebbe dare alcune risposte: all’epoca dello schiavismo «legalizzato», due secoli fa, i negrieri numeravano meticolosamente le loro vittime. Oggi la schiavitù è una lunga linea grigia.
Certo, questi esseri umani sfruttati sono una massa nascosta dai loro carcerieri, mobile, stagionale, come i raccoglitori di fragole in Inghilterra o quelli di pomodori nel Sud d’Italia. O le lucciole che popolano le strade di periferia. Ma forse il problema è anche che le loro vite valgono così poco che non le vogliamo contare.
Studenti in piazza per Leonarda
Migliaia di studenti ieri a Parigi si sono scontrati con la polizia davanti al ministero dell’Interno.
I ragazzi protestavano per l’espulsione della studentessa kosovara Leonarda. Ieri il padre ha rivelato che la giovane è in realtà nata in Italia.
l’Unità 18.10.13
Troppi profughi
Sofia costruisce muro anti-siriani
Sarà lungo 30 chilometri e alto tre metri, al confine tra Bulgaria e Turchia
Polemiche con Ankara per i controlli
Già 6000 i rifugiati, nei prossimi mesi è previsto l’arrivo di altri 20mila
di Roberto Arduini
Sarà lungo 30 chilometri e alto tre metri il muro anti-migranti che la Bulgaria si appresta a costruire ai confini con la Turchia. Il progetto è già avviato: più che un muro di cemento, sarà una barriera di filo spinato sostenuta da una base fissa e da colonne in calcestruzzo. Il governo ha intenzione di erigerlo nei pressi di Elhovo, nel sudest del Paese, per frenare l’ondata di immigrati, soprattutto dalla Siria. Il viceministro dell’Interno, Vasil Marinov, ha escluso che il fil di ferro sarà attraversato da corrente elettrica, anche se ci saranno sensori in grado di segnalare tentativi di passaggio. Non è male per il confine terrestre più orientale dell’Unione europea.
Poco più a sud, il confine separa tre nazioni: Turchia, Bulgaria e Grecia. Il fiume Evros è l’ultimo ostacolo per tutti coloro che tentano di approdare in Europa. E in centinaia si tuffano nel tentativo di raggiungere la sponda bulgara. È la «porta orientale», citata anche dal ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, in audizione ieri al Senato: «La rotta che porta via terra in Bulgaria è il punto d’uscita del grande flusso migratorio utilizzato dai siriani, fuoriusciti in Libano e Giordania».
MISURE D’EMERGENZA
«Il governo nel panico per i rifugiati», titolava ieri il quotidiano bulgaro Sega, che spiegava nell’articolo che le autorità bulgare si preparano ad adottare «una serie di misure d’emergenza per la crisi dei rifugiati». Negli ultimi mesi ne sono arrivati nel Paese oltre seimila, il 90% dei quali siriani, mentre secondo le previsioni a breve ne potrebbero arrivare altri 20mila. Il ministero dell’Interno riceverà perciò 13,5 milioni di euro supplementari, di cui 5 milioni dedicati alla costruzione del muro lungo la frontiera con la Turchia. Sofia ha anche chiesto ad Ankara di rafforzare il controllo della frontiera comune, per ridurre l’afflusso di rifugiati. «La parte turca s’è impegnata a rafforzare le misure (di controllo) sulla frontiera ha fatto sapere il ministro Tsvetlin Yovchev noi abbiamo ottenuto il loro accordo per creare delle pattuglie comuni». La Bulgaria ha proposto ad Ankara e ad Atene di creare un centro comune di controllo della frontiera nella regione del principale posto di passaggio, Kapitan-Andreevo, e lungo la frontiera con la Grecia. «Ma quasi l’85% degli immigrati illegali passano la frontiera turca attraverso Elhovo», ha specificato il viceministro, e proprio questa zona, ha aggiunto, è la più difficile da controllare lungo il confine di 259 chilometri con la Turchia.
Obiettivo ufficiale della barriera, ha detto Marinov, non è fermare chi cerca rifugio e scappa dal conflitto siriano, ma aumentare il livello di sicurezza in questa parte della frontiera. Proposto già in passato, ufficialmente il progetto aveva addirittura solo lo scopo di fermare le invasioni di animali malati.
Dall'inizio della crisi siriana, la Bulgaria ha visto aumentare esponenzialmente l’arrivo di profughi e richiedenti asilo dal Paese mediorientale. Tutti arrivano dopo essere transitati in Turchia. Tutti o quasi, vedono nella Bulgaria solo una tappa di passaggio, nel tentativo di raggiungere i Paesi dell’Europa centrale e settentrionale. Molti hanno parenti e amici che li aspettano, ma non possono raggiungerli, almeno fino a che non saranno usciti dal limbo legale in cui sono bloccati. Negli ultimi mesi, secondo i dati ufficiali, il loro numero ha subito una brusca accelerazione. «Se nei mesi passati registravamo 400 arrivi al mese, ad agosto abbiamo toccato i 1500», ha spiegato Marinov. Ogni giorno la polizia di frontiera ferma decine di persone e secondo le autorità bulgare, le limitate strutture di accoglienza del Paese sono già esaurite. Nel caso di un’ulteriore escalation della guerra civile in Siria, però, il peggio potrebbe ancora arrivare. Tanto che il ministero della Difesa ha annunciato la decisione di mettere a disposizione 26 siti in disuso, che potrebbero fornire un tetto provvisorio ad almeno 10mila persone.
Sofia così accarezza l’idea di sigillare le proprie frontiere, ma il progetto appare difficilmente realizzabile. Non tanto perché in aperto contrasto con impegni internazionali (come la convenzione di Ginevra sui rifugiati) ma perché sarà difficile blindare tutta la frontiera.
il Fatto 18.10.13
Il nuovo muro del Nord (Europa)
di Michela Danieli
CHI APRIRÀ LE PORTE a quanti sopravvivono alla quotidiana roulette russa nel mediterraneo? Di certo non il Nord Europa, che se con un occhio compassionevole guarda i cadaveri restituiti dal nostro mare, con l’altro controlla che le sue frontiere siano adeguatamente blindate. Per sfuggire alla guerra e alla fame, il popolo dei rifugiati accetta qualsiasi sfida. Ma chi offrirà loro un futuro, dopo? I summit Ue si intrecciano a dichiarazioni di circostanza che inneggiano alla solidarietà verso l’Italia, ma finora, provvedimenti concreti non si sono visti. La storia insegna che molti profughi chiederanno asilo al Nord Europa, chi dichiarando lo status di rifugiato, chi dimostrando un ricongiungimento famigliare.
Se però è sui Paesi scandinavi che contiamo, la fiducia si rivela mal riposta. Partiamo dalla Danimarca. Economia da tripla A, tasso di disoccupazione inesistente, da maggio però il governo ha sospeso il trattato di Schengen e reintrodotto i controlli alle frontiere. “Troppi immigrati. Negli scorsi anni abbiamo visto crescere i crimini transfrontalieri” – spiegano, giustificando così l’introduzione di nuove apparecchiature elettroniche per l’identificazione alla frontiera tedesca, di controlli serrati nei porti e sul ponte che collega alla Svezia.
Già la Svezia, dove ormai la parola “immigrazione” provoca nel-l’opinione pubblica reazione da gas urticante. Il partito di estrema destra tiene sempre viva la memoria collettiva sulle rivolte dello scorso maggio che hanno infiammato i sobborghi di Stoccolma, per mano di immigrati. Devastate scuole, bruciate auto, feriti a sassate passanti, poliziotti, vigili del fuoco. Tutti motivi per non accettare nuovi profughi. Così da mesi la polizia effettua controlli a tappeto nella metropolitana di Stoccolma, per rintracciare i clandestini e procedere all’espulsione, mentre da Göteborg, città d’approdo, i comuni protestano e accusano il Governo e l’Ue di averli lasciati soli e senza fondi, ad affrontare il fenomeno crescente dell’accattonaggio.
E siamo in Norvegia. Protezionista verso la sua inespugnabile economia petrolio-centrica, ha accontentato giusto la scorsa settimana l’ala estrema del neogoverno di destra: manette ai clandestini e rigidi protocolli per il riconoscimento dell’a s i l o. Resta la Finlandia. La sua brillante economia ha cronico bisogno di manodopera e quindi gli immigrati sono ben accetti, soprattutto perché svolgono i lavori meno remunerativi, nei settore edilizia, sanità, istruzione e trasporti marittimi.
Nel 2012 oltre 9mila stranieri hanno ottenuto la cittadinanza, il doppio rispetto gli anni precedenti. Anche qui però sono giunte le correnti xenofobo- populiste, già al lavoro (con discreto successo) per instillare veleno sociale, facendo leva su un grande classico: “Di questo passo, il welfare, basterà per tutti? ”.
Corriere 18.10.13
Dramma della schiavitù moderna
Ci sono circa 30 milioni di schiavi nel mondo
I Governi non ignorino i numeri
di Guido Santevecchi
Ci sono circa 30 milioni di schiavi nel mondo. In India 14 milioni, segue la Cina con 3 milioni, poi Pakistan e Nigeria. In rapporto alla popolazione, il Paese con la più alta percentuale è la Mauritania: tra i 140 e i 160 mila disperati, il 4% di mauritani è ridotto in schiavitù.
Il «Global Slavery Index 2013» definisce la «moderna schiavitù» su questi indicatori: il possesso o il controllo di persone attraverso le catene dell’indebitamento; il traffico di esseri umani per sfruttamento sessuale o lavoro forzato; matrimoni obbligati di minori; bambini costretti a fare i soldati. Se 30 milioni di schiavi ci possono sembrare una frazione millesimale a confronto degli oltre sette miliardi di abitanti della terra, ricordiamoci che è più del doppio del totale degli uomini e donne strappati dall’Africa durante la tratta degli schiavi tra il Sedicesimo secolo e il 1807, quando fu formalmente bandita. Secondo i registri di bordo delle navi negriere, in quei duecento anni furono imbarcati in catene 12,5 milioni di africani. I tre quarti dei nuovi schiavi sono in Asia. Ma ci sono anche nel nostro mondo: 57-63 mila negli Stati Uniti; 8-9 mila in Francia; 10-11 mila in Germania; tra i 7.500 e gli 8.300 in Italia. La nazione più liberale è la Finlandia: 670-740 schiavi su 5.414.293 cittadini. Il rapporto elaborato dal gruppo australiano Walk Free Foundation è sostenuto da personalità come l’ex segretario di Stato americano Hillary Clinton e l’ex premier britannico Tony Blair. Gli autori dicono che molti governi non saranno contenti di sentirsi chiamati in causa. Ma è tutta la comunità internazionale che dovrebbe dare alcune risposte: all’epoca dello schiavismo «legalizzato», due secoli fa, i negrieri numeravano meticolosamente le loro vittime. Oggi la schiavitù è una lunga linea grigia.
Certo, questi esseri umani sfruttati sono una massa nascosta dai loro carcerieri, mobile, stagionale, come i raccoglitori di fragole in Inghilterra o quelli di pomodori nel Sud d’Italia. O le lucciole che popolano le strade di periferia. Ma forse il problema è anche che le loro vite valgono così poco che non le vogliamo contare.
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Re: Top News
l’Unità 19.10.13
La condanna per l’eccidio
Cefalonia. Giustizia è fatta, ergastolo
per il boia nazista Stork che uccise 117 ufficiali italiani
Il tribunale militare di Roma condanna in contumacia il caporale oggi novantenne
L’Anpi: finalmente
di Adriana Comaschi
Sono passati settant’anni, ma ieri il boia di Cefalonia è stato condannato all’ergastolo. Alfred Stork, 90 anni, è stato giudicato colpevole dal Tribunale militare di Roma di aver ucciso 117 ufficiali italiani. Il verdetto arriva in contumacia. L’Anpi: «Finalmente».
«Finalmente un po’ di giustizia». Le parole dell’Anpi fotografano un’attesa lunga 70 anni. Tanto ci è voluto infatti perché si arrivasse, ieri, alla prima condanna per l’eccidio di Cefalonia, perpetrato dai tedeschi nei confronti dei militari italiani della divisione Acqui. Ed è ergastolo per l’ex nazista Alfred Stork, 90 anni, giudicato colpevole dell’uccisione «di almeno 117 ufficiali». Una sentenza storica, anche per il riconoscimento del diritto al risarcimento (che verrà definito in seguito) delle parti civili, tra cui è stata ammessa l’Anpi.
La sentenza di primo grado della seconda sezione del Tribunale militare di Roma, presieduta da Antonio Lepore, è senza precedenti in Italia sui fatti di Cefalonia, e la prima in Europa dopo Norimberga (i giudizi precedenti si sono conclusi con un’archiviazione, o per la morte dell’imputato). Il verdetto arriva però in contumacia: l’ex caporale del 54° battaglione «Cacciatori da Montagna» vive tranquillo in Germania a Kippenheim e ha sempre evitato il processo. Secondo un copione consolidato, il suo legale Marco Zaccaria insiste sulla tesi del subordinato costretto a obbedire ai superiori: «Stork è un capro espiatorio, era un semplice caporale che non poteva disattendere quegli ordini, in quel particolare momento storico». L’avvocato tira in ballo «il clima di questi giorni sul caso Priebke, può avere avuto il suo peso» e annuncia che presenterà appello non appena saranno disponibili le motivazioni (per cui il Tribunale si è riservato 60 giorni): «La condanna è eccessiva. E resta da vedere quale sarà la posizione della Germania di fronte a un’eventuale richiesta di estradizione».
UNA COMODA DIFESA
Lo stesso Stork ha ammesso di avere fatto parte di uno dei due plotoni di esecuzione dei militari italiani alla «Casetta Rossa»: qui caddero 129 ufficiali, i corpi poi ammassati uno sull’altro, praticamente l’intero stato maggiore della Acqui. L’ex nazista ne parla nel 2005 davanti ai magistrati tedeschi (senza difensore, la confessione è dunque inutilizzabile), e si dipinge come chi ha «solo» obbedito a degli ordini. Una linea contro cui si scaglia il procuratore militare di Roma Marco De Paolis, quando a marzo 2012 firma la richiesta di rinvio a giudizio per Stork. Con ragioni evidentemente accolte dal Tribunale. La condanna, sottolinea allora De Paolis, «afferma un princìpio molto importante: gli ordini illegittimi non devono essere eseguiti, nessuno può farsene scudo per giustificare crimini tanto orrendi. Anche i soldati devono rifiutarsi davanti a ordini scellerati. In tanti hanno detto no, e le fucilazioni non sono proseguite».
A Cefalonia non fu così. L’8 settembre 1943 Badoglio annuncia l’armistizio con gli angloamericani. La reazione degli ex alleati nazisti piomba anche su quest’isola, presidio al golfo di Corinto, dove sono di stanza la divisione Acqui oltre che carabinieri e forze della Regia Marina, protagonisti di una strana convivenza con i greci: non sparano un colpo, gli italiani, e per questo si fanno benvolere. I sopravvissuti ricordano la speranza, caduto il fascismo il 25 luglio, di poter finalmente tornare a casa. Dopo l’8 settembre invece la situazione precipita, l’ordine dalla Germania è che gli italiani consegnino le armi, in caso contrario saranno uccisi. Il generale Gandin, comandante della Acqui, prende tempo, molti dei suoi uomini decidono di fare resistenza, inizia la battaglia. Ma hanno «lo status di prigionieri di guerra», ricorda l’accusa a Stork, quelli poi fucilati senza pietà, «essendo nel frattempo intervenuta la resa delle truppe italiane nei confronti delle forze armate tedesche». E le convenzioni internazionali «imponevano un trattamento umano per i militari che avevano deposto le armi».
«Quello della divisione Acqui fu il primo atto di resistenza militare ricorda Ernesto Nassi, vicepresidente Anpi Roma e per questo migliaia di militari furono assassinati dalla ferocia nazista. Questa sentenza restituisce un po’ di giustizia, riportando l’attenzione sui fatti di Cefalonia». Ma il bicchiere è mezzo pieno per lo stesso Pm, soddisfatto «al 50% perché la sentenza arriva troppo in ritardo, sa di giustizia imperfetta». Parla poi di «colpevole ritardo» della giustizia il presidente dell’Anpi nazionale, Carlo Smuraglia, che rivendica però «lo sforzo investigativo del Procuratore militare e la caparbia tenacia di alcuni familiari delle vittime, delle associazioni e dell’Anpi». La cui ammissione a parte civile ne certifica l’impegno «a non disperdere il messaggio antifascista». L’Anpi Roma ha filmato tutte le udienze del processo Stork: ne farà un documentario «per colmare un buco nella memoria storica del nostro paese».
La condanna per l’eccidio
Cefalonia. Giustizia è fatta, ergastolo
per il boia nazista Stork che uccise 117 ufficiali italiani
Il tribunale militare di Roma condanna in contumacia il caporale oggi novantenne
L’Anpi: finalmente
di Adriana Comaschi
Sono passati settant’anni, ma ieri il boia di Cefalonia è stato condannato all’ergastolo. Alfred Stork, 90 anni, è stato giudicato colpevole dal Tribunale militare di Roma di aver ucciso 117 ufficiali italiani. Il verdetto arriva in contumacia. L’Anpi: «Finalmente».
«Finalmente un po’ di giustizia». Le parole dell’Anpi fotografano un’attesa lunga 70 anni. Tanto ci è voluto infatti perché si arrivasse, ieri, alla prima condanna per l’eccidio di Cefalonia, perpetrato dai tedeschi nei confronti dei militari italiani della divisione Acqui. Ed è ergastolo per l’ex nazista Alfred Stork, 90 anni, giudicato colpevole dell’uccisione «di almeno 117 ufficiali». Una sentenza storica, anche per il riconoscimento del diritto al risarcimento (che verrà definito in seguito) delle parti civili, tra cui è stata ammessa l’Anpi.
La sentenza di primo grado della seconda sezione del Tribunale militare di Roma, presieduta da Antonio Lepore, è senza precedenti in Italia sui fatti di Cefalonia, e la prima in Europa dopo Norimberga (i giudizi precedenti si sono conclusi con un’archiviazione, o per la morte dell’imputato). Il verdetto arriva però in contumacia: l’ex caporale del 54° battaglione «Cacciatori da Montagna» vive tranquillo in Germania a Kippenheim e ha sempre evitato il processo. Secondo un copione consolidato, il suo legale Marco Zaccaria insiste sulla tesi del subordinato costretto a obbedire ai superiori: «Stork è un capro espiatorio, era un semplice caporale che non poteva disattendere quegli ordini, in quel particolare momento storico». L’avvocato tira in ballo «il clima di questi giorni sul caso Priebke, può avere avuto il suo peso» e annuncia che presenterà appello non appena saranno disponibili le motivazioni (per cui il Tribunale si è riservato 60 giorni): «La condanna è eccessiva. E resta da vedere quale sarà la posizione della Germania di fronte a un’eventuale richiesta di estradizione».
UNA COMODA DIFESA
Lo stesso Stork ha ammesso di avere fatto parte di uno dei due plotoni di esecuzione dei militari italiani alla «Casetta Rossa»: qui caddero 129 ufficiali, i corpi poi ammassati uno sull’altro, praticamente l’intero stato maggiore della Acqui. L’ex nazista ne parla nel 2005 davanti ai magistrati tedeschi (senza difensore, la confessione è dunque inutilizzabile), e si dipinge come chi ha «solo» obbedito a degli ordini. Una linea contro cui si scaglia il procuratore militare di Roma Marco De Paolis, quando a marzo 2012 firma la richiesta di rinvio a giudizio per Stork. Con ragioni evidentemente accolte dal Tribunale. La condanna, sottolinea allora De Paolis, «afferma un princìpio molto importante: gli ordini illegittimi non devono essere eseguiti, nessuno può farsene scudo per giustificare crimini tanto orrendi. Anche i soldati devono rifiutarsi davanti a ordini scellerati. In tanti hanno detto no, e le fucilazioni non sono proseguite».
A Cefalonia non fu così. L’8 settembre 1943 Badoglio annuncia l’armistizio con gli angloamericani. La reazione degli ex alleati nazisti piomba anche su quest’isola, presidio al golfo di Corinto, dove sono di stanza la divisione Acqui oltre che carabinieri e forze della Regia Marina, protagonisti di una strana convivenza con i greci: non sparano un colpo, gli italiani, e per questo si fanno benvolere. I sopravvissuti ricordano la speranza, caduto il fascismo il 25 luglio, di poter finalmente tornare a casa. Dopo l’8 settembre invece la situazione precipita, l’ordine dalla Germania è che gli italiani consegnino le armi, in caso contrario saranno uccisi. Il generale Gandin, comandante della Acqui, prende tempo, molti dei suoi uomini decidono di fare resistenza, inizia la battaglia. Ma hanno «lo status di prigionieri di guerra», ricorda l’accusa a Stork, quelli poi fucilati senza pietà, «essendo nel frattempo intervenuta la resa delle truppe italiane nei confronti delle forze armate tedesche». E le convenzioni internazionali «imponevano un trattamento umano per i militari che avevano deposto le armi».
«Quello della divisione Acqui fu il primo atto di resistenza militare ricorda Ernesto Nassi, vicepresidente Anpi Roma e per questo migliaia di militari furono assassinati dalla ferocia nazista. Questa sentenza restituisce un po’ di giustizia, riportando l’attenzione sui fatti di Cefalonia». Ma il bicchiere è mezzo pieno per lo stesso Pm, soddisfatto «al 50% perché la sentenza arriva troppo in ritardo, sa di giustizia imperfetta». Parla poi di «colpevole ritardo» della giustizia il presidente dell’Anpi nazionale, Carlo Smuraglia, che rivendica però «lo sforzo investigativo del Procuratore militare e la caparbia tenacia di alcuni familiari delle vittime, delle associazioni e dell’Anpi». La cui ammissione a parte civile ne certifica l’impegno «a non disperdere il messaggio antifascista». L’Anpi Roma ha filmato tutte le udienze del processo Stork: ne farà un documentario «per colmare un buco nella memoria storica del nostro paese».
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Re: Top News
20 OTT 2013 15:06
1. SCACCO AL RE (GIORGIO)! LA MONARCHIA DEL QUIRINALE SCRICCHIOLA: TOCCA ALLA MAGISTRATURA (COME SEMPRE) GUIDARE LA RIVOLTA CONTRO LO STRAPOTERE DEL COLLE! -
2. DOPO IL BLITZ DELLA CORTE DI PALERMO CHE HA IMPOSTO LA DEPOSIZIONE DI NAPOLITANO SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA, I MAGISTRATI ASSESTANO UN ALTRO COLPO AL SISTEMA QUIRINALE: I CORAZZIERI ONIDA & CHELI, SCESI IN CAMPO IN DIFESA DEI CINQUE SAGGI INDAGATI PER I CONCORSI UNIVERSITARI TRUCCATI, FINISCONO NEL MIRINO DEL CSM -
3. SCALFARI MINACCIA: “SI ATTACCA NAPOLITANO PER MANDARE A CASA LETTA E GLI AUTORI DI QUESTA AGGRESSIONE ORMAI LI CONOSCIAMO UNO PER UNO, MAGISTRATI FAZIOSI, GIORNALISTI FAZIOSI, POLITICI CHE BRIGANO PER RIMPIAZZARE GLI ATTUALI INQUILINI DEL QUIRINALE E DI PALAZZO CHIGI. CONOSCIAMO I NOMI UNO PER UNO MA NON LI DIREMO PERCHÉ NON VORREBBERO ALTRO CHE QUESTO. LA COSA MIGLIORE È PUNIRLI COL SILENZIO” -
Giuliano Foschini per "La Repubblica"
I professori Valerio Onida ed Enzo Cheli avrebbero «leso l`indipendenza e il prestigio dei magistrati» attaccando i giudici baresi che indagano sui concorsi universitari truccati. Per questo il comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura ha autorizzato l`apertura di una pratica a tutela della procura di Bari.
A sollecitare l`intervento erano stati alcuni togati di tutte le componenti del Consiglio, da Magistratura indipendente ad Area. La pratica è stata ora affidata alla prima commissione che ha avviato l`istruttoria, al termine della quale si deciderà se e come intervenire.
Il Csm ha deciso di muoversi dopo alcuni articoli di stampa: in particolare, la lettera aperta scritta da Onida (che è presidente della Scuola superiore della magistratura) e Cheli al Corriere della Sera il 9 ottobre scorso e l`intervista rilasciata il giorno successivo da Onida al Mattino. In entrambi i casi i professori attaccavano i magistrati di Bari, gli investigatori e i giornali che avevano dato conto dell`inchiesta parlando di «un` operazione politica trasparente: si vuole attaccare e screditare la commissione, nell` ambito della campagna volta ad avversare le prospettive di riforme costituzionali promosse dal Governo».
Parole che alcuni dei componenti del Consiglio hanno ritenuto particolarmente gravi, perché attribuisce al lavoro dei magistrati una finalità diversa dall`azione penale. «L`obiettivo politico - aveva detto Onida al Mattino a proposito dell`inchiesta - è chiaro: screditare la commissione e seppellire sotto il fango il suo lavoro».
L`indagine della procura di Bari ha al centro alcuni concorsi universitari pilotati che si sarebbero tenuti in tutta Italia dal 2008 al 2010. Nell`indagine, aveva raccontato Repubblica, ci sono 383 professori denunciati dalla Guardia di Finanza. Compresi cinque dei 35 saggi scelti dal presi dente del Consiglio, Enrico Letta, per riformare la Costituzione.
L`ultima informativa è stata depositata dalle Fiamme gialle alla procura a metà di settembre. Poche settimane prima, invece, il legale di uno dei saggi indagati, il costituzionalista Beniamino Caravita di Toritto, aveva presentato al gip di Bari una memoria per contestare le proroghe di indagini a lui notificaste. Un problema tecnico, quello sollevato da Caravita, che Onida e Cheli probabilmente condividono, visto che nella lettera al Corriere si chiedono «se ci sono state proroghe, e motivate come».
I due costituzionalisti si chiedono poi perché l`inchiesta duri da così tanto. L`indagine è partita nel 2009 da un concorso barese e soltanto in seguito, grazie alle intercettazioni telefoniche, ha sviluppato quattro filoni: i concorsi da docente diritto ecclesiastico, pubblico comparato e costituzionale e alcune sentenze pilotate al Tar di Bari.
La procura pugliese (che attende la nomina di un nuovo procuratore, dopo il trasferimento di Antonio Laudati) ha poi storicamente un problema di organico, tant`è che c`è un solo sostituto (Renato Nitti, il pm che da anni segue le indagini più delicate sulla pubblica amministrazione come quella che ha portato alla condanna dell`ex ministro del Pdl, Raffaele Fitto) a occuparsi della maxi inchiesta sui concorsi.
2. SCALFARI, L'ULTIMO CORAZZIERE -
Eugenio Scalfari per La Repubblica
Chiudo con una notizia che riguarda Silvio Berlusconi. Qualche giorno fa sui teleschermi di Michele Santoro l'amico Massimo Cacciari ha giustamente urlato la sua noia
di doverne ancora parlare. La noia è anche la mia, ma la notizia è importante: la corte d'Appello di Milano ha sentenziato l'interdizione di Berlusconi per due anni dai pubblici uffici.
Dunque la questione è ormai definitivamente chiusa e la Giunta ne prenderà atto nei prossimi giorni prima ancora del voto del Senato che a questo punto è diventato del tutto inutile ma egualmente ci sarà perché i parlamentari del Pdl vogliono e debbono dimostrare, tutti e senza eccezioni, la loro riconoscenza al "patron" che li ha creati e messi al mondo.
Compiuto questo atto che essi ritengono "dovuto" ricominceranno le beghe interne per chi deve essere l'erede e il Pdl esploderà.
L'ipotesi di mandare all'aria il governo Letta, come minaccia il "patron", sembra però un'impresa piuttosto ardua. Andare alle elezioni in primavera è l'altra ipotesi ancora più ardua poiché Napolitano ha già detto che non scioglierà le Camere fin quando non ci sarà una nuova legge elettorale, fermo restando che questo governo deve - nelle dichiarate intenzioni del capo dello Stato - durare fino al semestre europeo con presidenza italiana e Letta è il premier più capace ed ascoltato per fare di quei sei mesi una fase centrale dell'evoluzione europea.
Questa è la ragione per cui Napolitano è oggetto di tante accuse: lo si attacca per mandare a casa Letta e gli autori di questa aggressione ormai li conosciamo uno per uno, magistrati faziosi, giornalisti faziosi, politici che brigano per rimpiazzare gli attuali inquilini del Quirinale e di Palazzo Chigi. Conosciamo i nomi uno per uno ma non li diremo perché non vorrebbero altro che questo. Perciò la cosa migliore è punirli col silenzio.
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Re: Top News
Che faranno adesso i lefebvriani, negheranno anche cefalonia?
Ah, negazionisti schifosi e amici dei nazi, volevo dirvi che quando schiattò quel lurido verme che venerate ero talmente contento che usai la sua foto presa dal giornale per farne di tutto. Evito i particolari
Ah, negazionisti schifosi e amici dei nazi, volevo dirvi che quando schiattò quel lurido verme che venerate ero talmente contento che usai la sua foto presa dal giornale per farne di tutto. Evito i particolari
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Robert Harris, "Archangel"
Re: Top News
Agrigento, 21 ottobre 2013 - Diciotto giorni dopo il naufragio, e con le bare ormai tumulate, Agrigento si prepara oggi a celebrare i funerali delle 366 vittime accertate della tragedia di Lampedusa. Sul molo turistico del porto di San Leone, alle 16 sono attesi il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e quello dell’Integrazione Cecile Kyenge, oltre agli ambasciatori di alcuni Paesi delle vittime.
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Re: Top News
23 OTT 2013 19:34
L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA - TRA POCO I 5 LEADER DEI PARTITI PRINCIPALI SARANNO FUORI DAL PARLAMENTO: BERLUSCONI, RENZI, GRILLO, MARONI, VENDOLA. MA NESSUNO SE ACCORGERÀ, VIVONO SOLO IN TV
Monti, il supereconomista col cagnolino, non ha imparato niente dal risotto di D’Alema, scomunica i giornalisti e scopre che Casini è democristiano - I politici sono diventati comparse in una tv collettiva che non ha soldi per pagare ospiti migliori…
Barbara Palombelli per "Il Foglio"
Ritratto di un paese strano, stranissimo. Fra poco potrebbero essere fuori dal Parlamento tutti e cinque i leader delle forze politiche principali: Berlusconi, Renzi, Grillo, Maroni, Vendola. L'Aula sentirebbe la loro mancanza? Chissà. Di certo, oggi la tv sostituisce dibattiti, commissioni e perfino votazioni. Spesso, sui grandi temi di interesse generale non si sa più se una norma sia in vigore o meno e per chiarirsi le idee invece della gazzetta ufficiale si guardano i talk.
I capi vanno nelle trasmissioni importanti, la massa dei parlamentari (dall'alba all'alba del giorno dopo a incipriarsi) sgomitano per apparire nei programmi meno accreditati. Diventati comparse per una tv collettiva che non ha i soldi per pagare gli ospiti, i neoeletti pensano in cuor loro di essere fondamentali e intanto stanno disperdendo la loro credibilità. Senza accorgersene, il che è ancora più grave.
La televisione massacra, e forse una ristampa di McLuhan sarebbe consigliabile anche a Mario Monti: il nostro supereconomista che doveva diventare capo dello Stato, il leader che prima sorrideva al dono del cucciolo, al fotografo di Chi e si faceva vedere ginocchioni a giocare coi nipoti, non aveva imparato nulla dal risotto di Massimo D'Alema?
Oggi, invece di licenziare i suoi consiglieri, scomunica i giornalisti e scopre che Pier Ferdinando Casini è democristiano. I nuovi attori-politici-imprenditori che stanno perdendo l'identità in tv sono e saranno tutti per Matteo Renzi: la sua immacolata concezione, alle primarie dell'8 dicembre, anch'essa un miracolo televisivo, sarà seguita certamente da dirette affannate ed emozionate.
Lo ha detto meglio degli altri Flavio Briatore, uno che per fortuna non perde il gusto della battuta da bar: "Non voto la politica, voto Matteo Renzi". Ottimo slogan per l'avversario, il mite e colto Gianni Cuperlo: chi ama la politica, non vota Renzi. Ma come siamo davvero, oltre i sondaggi?
Arrabbiati e protagonisti, fingiamo di commuoverci ogni giorno e ogni sera. Italiani brava gente, si direbbe leggendo le cronache buoniste che narrano di onlus, di volontari, di raccolte di fondi. E invece, siamo diventati cattivissimi. Celebriamo i giusti che aiutarono i nostri fratelli ebrei a rischio della loro stessa vita (sono storie anche della mia famiglia e le conosco bene), e restiamo indifferenti alle centinaia di cadaveri sulle nostre belle spiagge.
Teniamo in gabbia centinaia di africani, profughi e vittime di guerre e dittature a cui abbiamo venduto armi (nessuno dei coraggiosi cronisti scrive più una riga sulle armi da decenni, meglio affondare un assessore al giorno) e non ci fa né caldo né freddo. Avete mai visto le immagini di un Centro di concentramento dove alloggiano gli sbarcati? No, nessuno li mostra.
Soltanto la Radicale Rita Bernardini li frequenta e ce li racconta come un film dell'orrore che non vorremmo e non vogliamo vedere. Forse, siamo cambiati pochissimo. Una gag da anni Sessanta è stata copiata pari pari da Diego Maradona domenica sera in tv. E ancora c'è gente che ha il coraggio di commentarla. Incredibile.
L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA - TRA POCO I 5 LEADER DEI PARTITI PRINCIPALI SARANNO FUORI DAL PARLAMENTO: BERLUSCONI, RENZI, GRILLO, MARONI, VENDOLA. MA NESSUNO SE ACCORGERÀ, VIVONO SOLO IN TV
Monti, il supereconomista col cagnolino, non ha imparato niente dal risotto di D’Alema, scomunica i giornalisti e scopre che Casini è democristiano - I politici sono diventati comparse in una tv collettiva che non ha soldi per pagare ospiti migliori…
Barbara Palombelli per "Il Foglio"
Ritratto di un paese strano, stranissimo. Fra poco potrebbero essere fuori dal Parlamento tutti e cinque i leader delle forze politiche principali: Berlusconi, Renzi, Grillo, Maroni, Vendola. L'Aula sentirebbe la loro mancanza? Chissà. Di certo, oggi la tv sostituisce dibattiti, commissioni e perfino votazioni. Spesso, sui grandi temi di interesse generale non si sa più se una norma sia in vigore o meno e per chiarirsi le idee invece della gazzetta ufficiale si guardano i talk.
I capi vanno nelle trasmissioni importanti, la massa dei parlamentari (dall'alba all'alba del giorno dopo a incipriarsi) sgomitano per apparire nei programmi meno accreditati. Diventati comparse per una tv collettiva che non ha i soldi per pagare gli ospiti, i neoeletti pensano in cuor loro di essere fondamentali e intanto stanno disperdendo la loro credibilità. Senza accorgersene, il che è ancora più grave.
La televisione massacra, e forse una ristampa di McLuhan sarebbe consigliabile anche a Mario Monti: il nostro supereconomista che doveva diventare capo dello Stato, il leader che prima sorrideva al dono del cucciolo, al fotografo di Chi e si faceva vedere ginocchioni a giocare coi nipoti, non aveva imparato nulla dal risotto di Massimo D'Alema?
Oggi, invece di licenziare i suoi consiglieri, scomunica i giornalisti e scopre che Pier Ferdinando Casini è democristiano. I nuovi attori-politici-imprenditori che stanno perdendo l'identità in tv sono e saranno tutti per Matteo Renzi: la sua immacolata concezione, alle primarie dell'8 dicembre, anch'essa un miracolo televisivo, sarà seguita certamente da dirette affannate ed emozionate.
Lo ha detto meglio degli altri Flavio Briatore, uno che per fortuna non perde il gusto della battuta da bar: "Non voto la politica, voto Matteo Renzi". Ottimo slogan per l'avversario, il mite e colto Gianni Cuperlo: chi ama la politica, non vota Renzi. Ma come siamo davvero, oltre i sondaggi?
Arrabbiati e protagonisti, fingiamo di commuoverci ogni giorno e ogni sera. Italiani brava gente, si direbbe leggendo le cronache buoniste che narrano di onlus, di volontari, di raccolte di fondi. E invece, siamo diventati cattivissimi. Celebriamo i giusti che aiutarono i nostri fratelli ebrei a rischio della loro stessa vita (sono storie anche della mia famiglia e le conosco bene), e restiamo indifferenti alle centinaia di cadaveri sulle nostre belle spiagge.
Teniamo in gabbia centinaia di africani, profughi e vittime di guerre e dittature a cui abbiamo venduto armi (nessuno dei coraggiosi cronisti scrive più una riga sulle armi da decenni, meglio affondare un assessore al giorno) e non ci fa né caldo né freddo. Avete mai visto le immagini di un Centro di concentramento dove alloggiano gli sbarcati? No, nessuno li mostra.
Soltanto la Radicale Rita Bernardini li frequenta e ce li racconta come un film dell'orrore che non vorremmo e non vogliamo vedere. Forse, siamo cambiati pochissimo. Una gag da anni Sessanta è stata copiata pari pari da Diego Maradona domenica sera in tv. E ancora c'è gente che ha il coraggio di commentarla. Incredibile.
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Re: Top News
ITALIANI MERCANTI DI PROFUGHI
HOME INCHIESTA
LA REPUBBLICA
di DANIELE DARCO, RAFFAELLA COSENTINO, LUCA FERRARI e ANTONIO FRASCHILLA
Con un commento di FRANCESCO VIVIANO
Video di GIORGIO RUTA
http://inchieste.repubblica.it/it/repub ... ef=HREC1-7
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Chi c’è in linea
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