Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Sfascisti - 184


2014 a schede


Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese

5 -2 – 3 Gennaio 2014


Il gennaio 2014 è arrivato e la guerra entra in una fase di guerra guerreggiata aperta.

Dopo mille e mille promesse roboanti negli ultimi tre anni che hanno consentito a Matteo Il Conquistatore, di prendere il possesso temporaneo della segreteria del Pd, inizia la partita per arrivare a Palazzo Chigi, unica e vera meta del sindaco di Firenze.

Gli appassionati di guerre per la conquista del potere sono serviti. Possono assistere d’ora in poi agli scontri incrociati per far fuori il governo Letta ed andare ad elezioni abbinando le politiche con le europee.

Il Paese da cinque anni è preda di una follia distruttrice. Prima Berlusconi che fa fuori il governo Prodi per poter varare il lodo Alfano e salvarsi dal processo Mills. Poi inizia la crisi internazionale che la coppia Tremonti – Berlusconi non è in grado di affrontare tecnicamente.

A novembre 2011 il governo Berlusconi è costretto a dimettersi. Napolitano crede di salvare la situazione offrendo l’incarico a Monti che viene osannato dal 71 % degli italiani come il salvatore della Patria. Un anno dopo il disastro è così evidente che Monti sparirà nel nulla. A seguito della mancata vittoria di Bersani, dopo la tragicommedia della rielezione di Re Giorgio II, l’incarico viene dato a Lettanipote che si dimostra in questi otto mesi un campione assoluto dell’immobilismo.

Renzi vince le primarie del Pd ma il suo obiettivo primario riguarda sempre la poltrona di Palazzo Chigi.

In questi cinque anni il Paese va allo sfascio completo, che non è solo economico, ma anche etico, morale e valoriale.

Cacciato l’incompetente Berlusconi, il problema prioritario e quello economico. Ma né Monti né Letta hanno la consapevolezza di cosa fare per tamponare, stabilizzare la situazione e far ripartire l’economia come avviene in tutti gli altri Paesi occidentali in queste settimane.

La sinistra ex Ds che è rimasta nel Pd, punta tutto su Renzi per il cambiamento. La malattia del momento si chiama “giovanilismo”. Non ha importanza se non hanno esperienza, per la stragrande maggioranza ex Pci ex Ds, crede che cacciando i vecchi e mettendo i giovani si risolvano i problemi del Paese.

Non è così, perché si tratta solo di una guerra di potere in perfetto stile democristiano della prima Repubblica.

Il Centro studi di Confindustria alcuni giorni fa, comunica che gli effetti della crisi sul sistema produttivo italiano negli ultimi cinque anni è paragonabile ad una guerra.

In questa esperienza ci siamo già passati 69 anni fa. Alcide De Gasperi nel 1947 vola negli usa per chiedere un aiuto finanziario per la ricostruzione. Nel 1948 gli Usa varano per l’Europa il Piano Marshall.

Avrebbe dovuto farla Monti l’azione di mettere in piedi la possibilità di usufruire di un nuovo Piano Marshall. Se non ci è arrivato lui, non poteva di certo arrivarci Lettanipote, più predisposto alla imbalsamazione dell’esistente.

In questi giorni è prevista la comunicazione ufficiale del Job act di Matteo Il Conquistatore , Ghe pensi mi 2.0. Staremo a vedere se contiene qualcosa di simile ad un nuovo Piano Marshall.

Dalle anticipazioni alla stampa si va in direzione contraria.

Quello della ripresa economica dovrebbe essere un atto unico da parte di chi ha promesso di cambiare l’Italia.

Invece ci ritroviamo con la riproposizione delle unioni gay.

In questo momento, l’ultima cosa da pensare è proprio l’unione gay.

Perché allora sono state messe sul tavolo proprio in una fase altamente drammatica per l’Italia?

La risposta ce l’ha immediatamente fornita Alfano. Niente unioni gay.

La riproposizione è evidente, serve per costringere Alfano e l’Ncd ad abbandonare il governo ed aprire la crisi.

Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane assisteremo ad una guerra di logoramento di questo genere.



Unioni gay: l’assurdo no dei cattolici
di Matteo Winkler | 3 gennaio 2014
Commenti (14)


Il nuovo anno si apre con nuove speranze e vecchie polemiche.
L’accelerazione di Matteo Renzi su una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, se di accelerazione si può parlare per indicare qualcosa che aspettiamo da almeno 20 anni, ha infatti scatenato le solite reazioni negative del Nuovo Centro Destra di Alfano, Formigoni & Co. “Prima viene la famiglia“, dice Alfano. “Su gay e immigrati non si discute” altrimenti sarà la crisi, rincara Formigoni.
Nessuna persona di buon senso poteva né può nutrire la sana speranza che questi politici cattolici, sedicenti o effettivamente tali, da sempre chiusi ermeticamente dietro la cerniera dei “valori non negoziabili” o dei “temi eticamente sensibili“, dicessero qualcosa di diverso sulla questione delle convivenze tra persone dello stesso sesso.
Ma non riesco a non concordare con quanto scrive Stefano Rodotà in un suo libro di qualche anno fa, che guardare al mondo cattolico nel suo complesso, quindi anche a quella sua parte più invisa alla politica e alle gerarchie ecclesiastiche, sia “un modo per sottrarsi alla regressione sociale“. Regressione nella quale continuiamo a trovarci, in netto svantaggio rispetto alle altre democrazie mature, perché la nostra classe politica continua ad essere distaccata dalla realtà, cieca e sorda alle legittime richieste di uguaglianza provenienti dalla comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale italiana, e perché essa continua a preferire il compromesso per conservare o accumulare il potere sulla pelle di una minoranza.
Ci sono gruppi cattolici, anche espressi in associazioni che operano sul territorio, che hanno giustamente superato la concezione dell’omosessualità come contraria al disegno divino e quindi come peccato dal quale l’individuo può e anzi deve redimersi solo attraverso la castità. Non è bollando una relazione affettiva come “immorale” che si offre la soluzione della questione delle unioni omosessuali, che non è affatto etica ma deve essere politica.
E infatti l’etica, tanto sbandierata da esponenti politici che non hanno nessun titolo per farsene portavoci, non ha certamente la funzione di mutare la condizione personale di gay e lesbiche, condannandoli senza appello a un’esistenza grama e silenziosa, ma piuttosto di svelare – sono ancora parole di Rodotà – come quella relazione affettiva possa essere valorizzata dal punto di vista del benessere collettivo.
E’ dunque più corretto quindi esporre il problema delle unioni gay nei termini che seguono.
Primo. Il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso non lede in alcun modo la famiglia “tradizionale“, ma offre anzi prospettive di futuro per giovani gay e lesbiche che si scoprono edomandano alla politica che ne sarà di loro, nell’aspettativa che quest’ultima dia risposte in termini di accoglienza, e non di violenza o discriminazione.
Secondo. Non esiste alcun limite costituzionale a questo riconoscimento, perché la Costituzione promuove la famiglia come realtà sociale, non certo come nucleo inevitabilmente discriminante, che include alcuni ed esclude altri in virtù di una caratteristica personale (l’orientamento omosessuale) che non ha niente che fare con il contributo di ciascuno al progresso della famiglia stessa e della società in generale.
Terzo. Chiunque abbia fatto un minimo di catechismo da bambino sa che esistono nella Sacra Bibbiaprecetti sui quali persino la Chiesa Cattolica Apostolica Romana non esprime più un giudizio negativo. E sa anche che quanto scritto nella Bibbia sui rapporti tra persone dello stesso sesso (“non giacerai…” e via dicendo), più che favorire l’inclusione o la non-discriminazione, alimenta direttamente l’ostilità, la segregazione e la violenza nei confronti delle persone omosessuali a prescindere dalla loro condotta, e dunque unicamente per quello che sono. Non a caso proprio quei versi della Bibbia vengono oggi sfruttati da gruppi religiosi in Africa per proporre e approvare, com’è avvenuto in Uganda e Nigeria, leggi che puniscono i rapporti omosessuali con l’ergastolo, e ciò solo perché la pena di morte ha ricevuto critiche severe dal mondo diplomatico ed è stata quindi cancellata.
Un cattolico maturo dovrebbe domandarsi se il disegno di Dio contempli un premio finale per l’ostilità, l’odio e la segregazione, o se piuttosto non sia dovere morale di ogni cristiano smetterla di usare la religione come mezzo di coercizione politica nei confronti dell’”altro” e del “diverso”.
Da quale parte i cattolici vogliono stare? La nostra classe politica è davvero più simile ai gruppi che fanno dell’omofobia fanatica e ossessiva la loro ragione di vita, e non piuttosto a chi si adopera per rendere l’Italia non migliore, ma decente dal punto di vista dei diritti individuali?


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Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese

5 -1 - 26 dicembre 2013



IL CENTRO STUDI DELL’ASSOCIAZIONE «QUASI QUARANTA MILA PARTECIPAZIONI»
Confindustria: stop al «capitalismo pubblico»
Costa alla collettività l’1,4% del Pil: 23 miliardi

L’associazione degli industriali: proliferazione di enti improduttivi, il Paese non può permettersi sprechi


Il «capitalismo pubblico» costa quasi 23 miliardi allo Stato, circa l’1,4% del Pil, un «peso che l’Italia non può piu permettersi». Lo rileva il centro studi di Confindustria, secondo cui sono circa 40 mila le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in quasi 8 mila organismi esterni. «Gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica - sostiene Confindustria - in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». Secondo l’associazione degli industriali «sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale.

ONERI ASTRONOMICI - Il Centro studi di Confindustria cita la banca dati Consoc, istituita presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione, e rileva che «nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni. L’onere complessivo sostenuto dalle Pubbliche amministrazioni per il mantenimento di questi organismi è stato pari complessivamente a 22,7 miliardi, circa l’1,4% del Pil.
Si tratta di cifre consistenti che meritano attenzione.

PATTO (INFRANTO) DI STABILITÀ- Infatti, gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica, in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». «Naturalmente non tutti gli organismi rispondono a queste logiche - aggiunge il rapporto di viale dell’Astronomia - di certo, però, il modo e l’intensità con cui il fenomeno si è sviluppato confermano l’anomalia». (

UN TERZO IN ROSSO - Secondo l’associazione, «In generale, sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale». Quanto alla produttività di questi enti, il centro studi di Confindustria incrocia una serie di dati e rileva che «oltre la metà degli organismi non sembra svolgere attività di interesse generale, pur assorbendo nel 2012 il 50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11 miliardi di euro.
Più in generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse generale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e ciò ha comportato per la Pubblica amministrazione un onere stimabile in circa 4 miliardi». «Il 7% degli organismi partecipati ha registrato perdite negli ultimi tre anni consecutivamente con un onere a carico del bilancio pubblico che è stato pari a circa 1,8 miliardi. Sono numeri straordinari che il Paese non può permettersi».

26 dicembre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione Online

http://www.corriere.it/economia/13_dice ... ab1b.shtml
iospero
Messaggi: 2444
Iscritto il: 24/02/2012, 18:16

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da iospero »

perchè solo questo argomento viene visualizzato fuori quadro e per leggerlo bisogna ricorrere a spostare la riga di fondo ?

OK sembra OK
camillobenso
Messaggi: 17353
Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Sfascisti - 185


2014 a schede


Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese

5 -4 – 5 Gennaio 2014

La giornata del 4 gennaio è trascorsa con due cannonate nei confronti del governo di uno dei fratelli La Qualunque, Enrico, capo del governo.

RIVELAZIONI
La sanità a casa De Girolamo
Sei provvedimenti restrittivi nell’inchiesta sulla Asl di Benevento. E il Gip parla di "indagini sull'esistenza di un ristretto direttorio politico-partitico, al di fuori di ogni norma di legge". Il ministro dell'Agricoltura, che non è indagato, dice: “Volevo fare pulizia”
di Claudio Pappaianni

http://espresso.repubblica.it/inchieste ... o-1.147773

*

04 GEN 13:30
1. CRICCA BENEVENTANA! LA SANITÀ DI BENEVENTO È COSA LORO: LA MINISTRA NUNZIA DE GIROLAMO PRESIEDE LE RIUNIONI PER GESTIRE GLI AFFARI DELLA ASL A CASA DEL PADRE! –

2. LA MINISTRA CONIUGATA BOCCIA (PD), TANTO CARA A CHIERICHETTO LETTA, INTERCETTATA SEGRETAMENTE DA UN DIRIGENTE SANITARIO: ATTUALMENTE NON È INDAGATA –

3. L’AULICO NUNZIA STYLE, TENDENZA ‘STRUM UND DRANG’: “MICHÈ, SCUSAMI, AL FATEBENEFRATELLI FACCIAMO CAPIRE CHE UN MINIMO DI COMANDO CE L’ABBIAMO. ALTRIMENTI MI CREANO COPPETIELLI CON QUESTA STORIA. MANDAGLI I CONTROLLI E VAFFANCULO!” –

4. A CASA DE GIROLAMO MICA SI PETTINA LE BAMBOLE: SI DISCUTE DI COME “BYPASSARE” LE GARE D’APPALTO, PIAZZARE GLI UFFICI ASL NEI COMUNI AMICI, RISOLVERE I PROBLEMI AL NEGOZIANTE AMICO CHE HA SUBITO UN SEQUESTRO DI MOZZARELLE… -


http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... -69351.htm

*

La seconda cannonata la spara volontariamente Matteo La Qualunque. A Firenze se ne esce con: “Fassina chi?”.

Il vice ministro dell’Economia che già in settimana aveva manifestato la necessità di un rimpasto, che tradotto dal politichese significa che non condividendo la politica economica di Renzi, è preferibile che la responsabilità se la prenda uno dei renziani, coglie la palla al balzo e rassegna le dimissioni.

Il governo di Enrico La Qualunque non tiene, fa acqua da tutte le parti, e adesso si appesantisce di questi due nuovi problemi.

Da buon democristiano come se niente fudesse, ieri mattina Enrichetto, messosi la divisa da capostazione aveva annunciato : <<Il treno parte>>. Signori in carrozza. Riferendosi agli effetti dello spread di cui si è subito appropriato della paterninà.

Ma in effetti, che cosa ha fatto il governicchio di Enrico Cetto La Qualunque, per giustificare l’abbassamento dello spread, in questi giorni? Nulla.

Ha fatto esattamente il contrario, è uno dei governi più confusionari, se non il più confusionario della storia repubblicana.

Il treno non ha fatto che pochi metri fuori dalla stazione che ieri si è aperta quindi una nuova falla con il caso De Girolamo, a cui si è aggiunta quella delle dimissioni di Fassina.

Già doveva mediare con l’Ncd per gli attacchi di Renzi che ha messo in fibrillazione il governo, negando il tutto, tra l’altro.

Il problema Fassina spinge pertanto l’esecutivo verso il rimpasto, dove di nuovo l’Ncd si vede minacciata dalla presenza dei sui ministri non adeguata alla forza rappresentativa di governo.

I casi sono due:
- O Renzi riesce a piazzare i suoi uomini al governo, oppure,
- si va alla crisi.

Quanto può durare questo governo minacciato continuamente da tutte le parti?

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Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese

5 -3 – 5 Gennaio 2014


Gli effetti della guerra renziana non sono tardati a farsi sentire.


RIFORME
Unioni civili, Carlo Giovanardi (Ncd)
contro la proposta di Matteo Renzi

Il senatore del Nuovo centrodestra dice no alla proposta sui temi etici avanzata dal neo segretario del Pd: "Aprirebbe la porta all'utero in affitto". Aperto il dialogo su riforme istituzionali e immigrazione
di Luca Sappino


Dopo Formigoni e Sacconi, anche Carlo Giovanardi blocca Renzi sui temi etici. «Si discuta di tutto, ma lasci stare la propaganda» avverte il senatore del Ncd: «lo abbiamo detto a Berlusconi, lo diciamo anche a Renzi».

Niente da fare sulle unioni civili: «la nostra proposta sono i contratti di solidarietà e convivenza», dice Giovanardi, anche perché, «chi ha introdotto l'uguaglianza tra coppie gay e etero, poi ha dovuto introdurre tutto, utero in affitto compreso». Via libera invece, su Senato e legge elettorale.

Onorevole Giovanardi, Renzi ha provato ad accelerare su riforme e governo. Troppo?
«Il problema è capire di cosa stiamo parlando, perché una cosa sono le dichiarazioni, un'altra cosa è il merito».

Vediamolo, allora. Sulla riforma elettorale, dice Alfano, un accordo si può trovare, a voi piace il "sindaco d'Italia".
«Lì Renzi fa bene a spingere, perché sulla riforma elettorale si reggono l'intero discorso di Napolitano e le larghe o strette intese. Se poi sarà il sindaco d'Italia o un'altra io non lo so, perché io le ho viste tutte, sono stato consigliere, deputato, senatore, europarlamentare, e ogni volta sono stato eletto con un sistema diverso, e so che ogni sistema ha le sue falle e che l'opinione pubblica rinnova sempre i suoi miti. Nel '92 le preferenze erano il male assoluto, ora sono il bene assoluto. L'unico dato certo è che, a prescindere dal modello, difficilmente qualcuno potrà vincere».

Sta emettendo una condanna alle larghe intese.
«No, nessuno è condannato. Perché può teoricamente succedere che qualcuno vinca. Ma è difficile. Prenda la Merkel: a lei sarebbero bastati pochi seggi in più ma, non avendoli, ha dovuto fare l'accordo».

Però sulla riforma elettorale qualche spiraglio c'è.
«Un sistema elettorale lo dobbiamo fare, e lo dobbiamo fare assieme alla riduzione dei parlamentari, che è un problema di rapporto con i cittadini. Noi l'avevamo fatto, anche se poi un referendum l'ha cancellato. E ora con grillini e forconi bisogna porre rimedio».

Anche sulla trasformazione del Senato, si può procedere?
«Su questo non vedo grandi problemi. Però vorrei sincerarmi di una cosa. Si rende conto, Renzi e chi scrive che bisogna snellire i processi, che già adesso, con una doppia lettura delle leggi, gli svarioni e le furberie si scoprono all'ultimo? L'idea che il processo normativo sia tanto più rapido, temo sia una di quelle cose di cui ci pentiremo».

Quello che invece non vi convince è il contenuto del patto di governo, proposto da Renzi?
«Se si resta sullo slogan e sui proclami è tutto difficile. Ma io sono pronto ad affrontare le cose nel merito. Anche per quanto riguarda la legge sulle droghe che porta il mio nome. Sulla depenalizzazione dico di no, ma se mi chiedono come mai i drogati finiscono in carcere, sarò il primo a spiegare che la legge non c'entra nulla e che ci finiscono perché le Regioni non hanno i soldi per le comunità di recupero. Ma per fare questo dobbiamo capire cosa chiede veramente Renzi, e cosa chiede il Pd, che non mi pare ancora deciso».

La proposta sulle unioni civili è chiara e di derivazione britannica.
«Ma è quello che Renzi scrive. Poi in commissione, anche per il Pd, ci sono diverse proposte. E lì c'è anche la mia, sui contratti di solidarietà e convivenza. Noi riteniamo che due uomini, due donne, una perpetua e un parroco, insomma chiunque decida di vivere in un rapporto di solidarietà, possa dirimere le questioni patrimoniali, successorie, eccetera, con un contratto. Le associazioni gay mi dicono, "Giovanardi chi può venire a trovarmi in ospedale"? Renzi gli risponde solo chi va a letto insieme, io gli dico tutti».

Però sta dicendo no a Renzi.
«Ma è ovvio, se dice che magari poi servirà approvare una legge sull'utero in affitto».

Veramente non l'ha detto. Non parla neanche di matrimoni gay.
«Ma se partono campagne ideologiche, la conseguenza è quella. Non l'ha detto ma è così. I paesi che hanno introdotto l'uguaglianza tra le coppie gay e le etero, poi hanno dovuto introdurre tutto, utero in affitto compreso. Insomma, non impantaniamoci in una battaglia ideologica».

Neanche la Bossi-Fini è una priorità?
«La Bossi-Fini si chiama in realtà Turco-Napolitano. Chi è che istituisce i Cie?»

Sì, ma oltre i nomi, è una priorità?
«Non è una priorità se vogliamo dire che i cittadini devono convivere con i clandestini senza documenti abituati a delinquere. Io a Natale ho avuto i ladri in casa e le dico che è difficile da sostenere una cosa del genere. Se poi invece vogliamo discutere se nei Cie, che ci sono in tutto il mondo, prima dell'espulsione, i clandestini ci devono stare due, tre o sei mesi, quello di può fare».

Formigoni chiede una moratoria sui temi etici e Gasparri si chiede polemico come resisterete al governo con queste proposte.
«Semplicemente diremo: se volete liberalizzare la droga vi diciamo di no, se volete le unioni omosessuali vi diciamo di no. Se volete affrontare alcune cose, nel concreto, come per le adozioni internazionali, diremo di sì».

Un rimpasto potrebbe rasserenare il quadro?
«A me sembra di capire questo: siamo per l'ennesima volta al fatto che tutti si piange e ci si prepara a dire che non si è fatto ciò che era necessario. Qui si tratta di alcuni mesi, non si tratta del 3000 ma di andare a votare nel 2015. Allora accantoniamo la propaganda, facciamo le cose indispensabili e poi si torna a votare, con noi alternativi al centrosinistra. Lo abbiamo detto a Berlusconi, lo diciamo a Renzi».

03 gennaio 2014

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Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese

5 -2 – 3 Gennaio 2014


Il gennaio 2014 è arrivato e la guerra entra in una fase di guerra guerreggiata aperta.

Dopo mille e mille promesse roboanti negli ultimi tre anni che hanno consentito a Matteo Il Conquistatore, di prendere il possesso temporaneo della segreteria del Pd, inizia la partita per arrivare a Palazzo Chigi, unica e vera meta del sindaco di Firenze.

Gli appassionati di guerre per la conquista del potere sono serviti. Possono assistere d’ora in poi agli scontri incrociati per far fuori il governo Letta ed andare ad elezioni abbinando le politiche con le europee.

Il Paese da cinque anni è preda di una follia distruttrice. Prima Berlusconi che fa fuori il governo Prodi per poter varare il lodo Alfano e salvarsi dal processo Mills. Poi inizia la crisi internazionale che la coppia Tremonti – Berlusconi non è in grado di affrontare tecnicamente.

A novembre 2011 il governo Berlusconi è costretto a dimettersi. Napolitano crede di salvare la situazione offrendo l’incarico a Monti che viene osannato dal 71 % degli italiani come il salvatore della Patria. Un anno dopo il disastro è così evidente che Monti sparirà nel nulla. A seguito della mancata vittoria di Bersani, dopo la tragicommedia della rielezione di Re Giorgio II, l’incarico viene dato a Lettanipote che si dimostra in questi otto mesi un campione assoluto dell’immobilismo.

Renzi vince le primarie del Pd ma il suo obiettivo primario riguarda sempre la poltrona di Palazzo Chigi.

In questi cinque anni il Paese va allo sfascio completo, che non è solo economico, ma anche etico, morale e valoriale.

Cacciato l’incompetente Berlusconi, il problema prioritario e quello economico. Ma né Monti né Letta hanno la consapevolezza di cosa fare per tamponare, stabilizzare la situazione e far ripartire l’economia come avviene in tutti gli altri Paesi occidentali in queste settimane.

La sinistra ex Ds che è rimasta nel Pd, punta tutto su Renzi per il cambiamento. La malattia del momento si chiama “giovanilismo”. Non ha importanza se non hanno esperienza, per la stragrande maggioranza ex Pci ex Ds, crede che cacciando i vecchi e mettendo i giovani si risolvano i problemi del Paese.

Non è così, perché si tratta solo di una guerra di potere in perfetto stile democristiano della prima Repubblica.

Il Centro studi di Confindustria alcuni giorni fa, comunica che gli effetti della crisi sul sistema produttivo italiano negli ultimi cinque anni è paragonabile ad una guerra.

In questa esperienza ci siamo già passati 69 anni fa. Alcide De Gasperi nel 1947 vola negli usa per chiedere un aiuto finanziario per la ricostruzione. Nel 1948 gli Usa varano per l’Europa il Piano Marshall.

Avrebbe dovuto farla Monti l’azione di mettere in piedi la possibilità di usufruire di un nuovo Piano Marshall. Se non ci è arrivato lui, non poteva di certo arrivarci Lettanipote, più predisposto alla imbalsamazione dell’esistente.

In questi giorni è prevista la comunicazione ufficiale del Job act di Matteo Il Conquistatore , Ghe pensi mi 2.0. Staremo a vedere se contiene qualcosa di simile ad un nuovo Piano Marshall.

Dalle anticipazioni alla stampa si va in direzione contraria.

Quello della ripresa economica dovrebbe essere un atto unico da parte di chi ha promesso di cambiare l’Italia.

Invece ci ritroviamo con la riproposizione delle unioni gay.

In questo momento, l’ultima cosa da pensare è proprio l’unione gay.

Perché allora sono state messe sul tavolo proprio in una fase altamente drammatica per l’Italia?

La risposta ce l’ha immediatamente fornita Alfano. Niente unioni gay.

La riproposizione è evidente, serve per costringere Alfano e l’Ncd ad abbandonare il governo ed aprire la crisi.

Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane assisteremo ad una guerra di logoramento di questo genere.



Unioni gay: l’assurdo no dei cattolici
di Matteo Winkler | 3 gennaio 2014
Commenti (14)


Il nuovo anno si apre con nuove speranze e vecchie polemiche.
L’accelerazione di Matteo Renzi su una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, se di accelerazione si può parlare per indicare qualcosa che aspettiamo da almeno 20 anni, ha infatti scatenato le solite reazioni negative del Nuovo Centro Destra di Alfano, Formigoni & Co. “Prima viene la famiglia“, dice Alfano. “Su gay e immigrati non si discute” altrimenti sarà la crisi, rincara Formigoni.
Nessuna persona di buon senso poteva né può nutrire la sana speranza che questi politici cattolici, sedicenti o effettivamente tali, da sempre chiusi ermeticamente dietro la cerniera dei “valori non negoziabili” o dei “temi eticamente sensibili“, dicessero qualcosa di diverso sulla questione delle convivenze tra persone dello stesso sesso.
Ma non riesco a non concordare con quanto scrive Stefano Rodotà in un suo libro di qualche anno fa, che guardare al mondo cattolico nel suo complesso, quindi anche a quella sua parte più invisa alla politica e alle gerarchie ecclesiastiche, sia “un modo per sottrarsi alla regressione sociale“. Regressione nella quale continuiamo a trovarci, in netto svantaggio rispetto alle altre democrazie mature, perché la nostra classe politica continua ad essere distaccata dalla realtà, cieca e sorda alle legittime richieste di uguaglianza provenienti dalla comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale italiana, e perché essa continua a preferire il compromesso per conservare o accumulare il potere sulla pelle di una minoranza.
Ci sono gruppi cattolici, anche espressi in associazioni che operano sul territorio, che hanno giustamente superato la concezione dell’omosessualità come contraria al disegno divino e quindi come peccato dal quale l’individuo può e anzi deve redimersi solo attraverso la castità. Non è bollando una relazione affettiva come “immorale” che si offre la soluzione della questione delle unioni omosessuali, che non è affatto etica ma deve essere politica.
E infatti l’etica, tanto sbandierata da esponenti politici che non hanno nessun titolo per farsene portavoci, non ha certamente la funzione di mutare la condizione personale di gay e lesbiche, condannandoli senza appello a un’esistenza grama e silenziosa, ma piuttosto di svelare – sono ancora parole di Rodotà – come quella relazione affettiva possa essere valorizzata dal punto di vista del benessere collettivo.
E’ dunque più corretto quindi esporre il problema delle unioni gay nei termini che seguono.
Primo. Il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso non lede in alcun modo la famiglia “tradizionale“, ma offre anzi prospettive di futuro per giovani gay e lesbiche che si scoprono edomandano alla politica che ne sarà di loro, nell’aspettativa che quest’ultima dia risposte in termini di accoglienza, e non di violenza o discriminazione.
Secondo. Non esiste alcun limite costituzionale a questo riconoscimento, perché la Costituzione promuove la famiglia come realtà sociale, non certo come nucleo inevitabilmente discriminante, che include alcuni ed esclude altri in virtù di una caratteristica personale (l’orientamento omosessuale) che non ha niente che fare con il contributo di ciascuno al progresso della famiglia stessa e della società in generale.
Terzo. Chiunque abbia fatto un minimo di catechismo da bambino sa che esistono nella Sacra Bibbiaprecetti sui quali persino la Chiesa Cattolica Apostolica Romana non esprime più un giudizio negativo. E sa anche che quanto scritto nella Bibbia sui rapporti tra persone dello stesso sesso (“non giacerai…” e via dicendo), più che favorire l’inclusione o la non-discriminazione, alimenta direttamente l’ostilità, la segregazione e la violenza nei confronti delle persone omosessuali a prescindere dalla loro condotta, e dunque unicamente per quello che sono. Non a caso proprio quei versi della Bibbia vengono oggi sfruttati da gruppi religiosi in Africa per proporre e approvare, com’è avvenuto in Uganda e Nigeria, leggi che puniscono i rapporti omosessuali con l’ergastolo, e ciò solo perché la pena di morte ha ricevuto critiche severe dal mondo diplomatico ed è stata quindi cancellata.
Un cattolico maturo dovrebbe domandarsi se il disegno di Dio contempli un premio finale per l’ostilità, l’odio e la segregazione, o se piuttosto non sia dovere morale di ogni cristiano smetterla di usare la religione come mezzo di coercizione politica nei confronti dell’”altro” e del “diverso”.
Da quale parte i cattolici vogliono stare? La nostra classe politica è davvero più simile ai gruppi che fanno dell’omofobia fanatica e ossessiva la loro ragione di vita, e non piuttosto a chi si adopera per rendere l’Italia non migliore, ma decente dal punto di vista dei diritti individuali?


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Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese

5 -1 - 26 dicembre 2013



IL CENTRO STUDI DELL’ASSOCIAZIONE «QUASI QUARANTA MILA PARTECIPAZIONI»
Confindustria: stop al «capitalismo pubblico»
Costa alla collettività l’1,4% del Pil: 23 miliardi
L’associazione degli industriali: proliferazione di enti improduttivi, il Paese non può permettersi sprechi


Il «capitalismo pubblico» costa quasi 23 miliardi allo Stato, circa l’1,4% del Pil, un «peso che l’Italia non può piu permettersi». Lo rileva il centro studi di Confindustria, secondo cui sono circa 40 mila le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in quasi 8 mila organismi esterni. «Gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica - sostiene Confindustria - in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». Secondo l’associazione degli industriali «sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale.

ONERI ASTRONOMICI - Il Centro studi di Confindustria cita la banca dati Consoc, istituita presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione, e rileva che «nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni. L’onere complessivo sostenuto dalle Pubbliche amministrazioni per il mantenimento di questi organismi è stato pari complessivamente a 22,7 miliardi, circa l’1,4% del Pil.
Si tratta di cifre consistenti che meritano attenzione.

PATTO (INFRANTO) DI STABILITÀ- Infatti, gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica, in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». «Naturalmente non tutti gli organismi rispondono a queste logiche - aggiunge il rapporto di viale dell’Astronomia - di certo, però, il modo e l’intensità con cui il fenomeno si è sviluppato confermano l’anomalia». (

UN TERZO IN ROSSO - Secondo l’associazione, «In generale, sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale». Quanto alla produttività di questi enti, il centro studi di Confindustria incrocia una serie di dati e rileva che «oltre la metà degli organismi non sembra svolgere attività di interesse generale, pur assorbendo nel 2012 il 50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11 miliardi di euro.
Più in generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse generale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e ciò ha comportato per la Pubblica amministrazione un onere stimabile in circa 4 miliardi». «Il 7% degli organismi partecipati ha registrato perdite negli ultimi tre anni consecutivamente con un onere a carico del bilancio pubblico che è stato pari a circa 1,8 miliardi. Sono numeri straordinari che il Paese non può permettersi».

26 dicembre 2013
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http://www.corriere.it/economia/13_dice ... ab1b.shtml
camillobenso
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Sfascisti 186

2014 a schede


Scheda – 16 – Ghe pensi mi 2.0

16 – 3 - 5 gennaio 2014


05 GEN 2014 00:21
1. MATTEUCCIO RENZI IERI È INVECCHIATO DI TRENT’ANNI IN UN COLPO SOLO. SFOTTERE UN AVVERSARIO, FACENDO FINTA DI IGNORARNE PERFINO IL NOME RIMANDA A CERTE INUTILI ARROGANZE DEI TEMPI DI BETTINO CRAXI O DI QUALCHE VECCHIO SATRAPO DEMOCRISTIANO -

2. E C’È DA DUBITARE CHE QUANDO IL SINDACO DI FIRENZE, NEI SUOI INNUMEREVOLI COMIZI IN GIRO PER L’ITALIA, DICEVA DI VOLER RIPORTARE “LA BELLEZZA IN POLITICA”, AVESSE IN MENTE DI COMPORTARSI COME UN QUALSIASI “OMO DE PANZA” DELLA PRIMA REPUBBLICA -

3. PER CARITÀ, IL FASSINA CHE OGGI SI OFFENDE MORTALMENTE PER UNA PICCOLA VILLANIA È LO STESSO CHE DUE ANNI FA DICEVA ALLA “ZANZARA”: “RENZI NON SI CAPISCE NEANCHE COSA PROPONE. L’UNICA COSA CERTA DI RENZI È LA SUA DATA DI NASCITA. IO, A DIFFERENZA SUA, HO AVUTO UNA LUNGA ESPERIENZA PROFESSIONALE FUORI DALLA POLITICA, MENTRE LUI È UN EX PORTABORSE, DIVENTATO POI SINDACO DI FIRENZE PER MIRACOLO” -




Francesco Bonazzi per Dagospia


Chissà, forse anche la classe è da rottamare. Ma se Matteo Renzi vuole imporre un nuovo stile alla propria leadership, sicuramente c'è di meglio che sfoggiare atteggiamenti arroganti come ostentare di non sapere il nome di un viceministro, per giunta del suo stesso partito.

Per carità, il Fassina che oggi si offende mortalmente per una piccola villania del suo nuovo segretario è lo stesso che due anni fa, ai tempi delle primarie vinte da Pierluigi Bersani, diceva alla Zanzara su Radio 24: "Renzi non si capisce neanche cosa propone. L'unica cosa certa di Renzi è la sua data di nascita. Io, a differenza sua, ho avuto una lunga esperienza professionale fuori dalla politica, mentre lui è un ex portaborse, diventato poi sindaco di Firenze per miracolo".

Il Rottam'attore, che all'epoca era forse più spiritoso, rispose su Twitter con un emoticon e poche parole: "A chi insulta rispondiamo con un sorriso. Bersani è più serio delle persone che lo circondano".

Il problema, come si vede, non è tanto Fassina, che probabilmente se l'è andata anche a cercare. Il problema è che Renzi ieri è invecchiato di trent'anni in un colpo solo. Nel 1988, quando il presidente dell'Iri Romano Prodi scelse per Alitalia uno dei migliori manager privati dell'epoca come Carlo Verri, strappandolo alla multinazionale Electrolux, la reazione del premier Ciriaco De Mita fu uno sprezzante "Verri chi?".

Lo statista di Nusco non gradiva che per una volta non si fosse pescato dal solito recinto dei boiardi. Giorgio Forattini comunque trovò la battuta assai divertente e il giorno dopo ci fece una vignetta su Repubblica, con tanto di maiali-verri.

Ma a parte De Mita, sfottere un avversario facendo finta di ignorarne perfino il nome rimanda a certe inutili arroganze dei tempi di Bettino Craxi o di qualche vecchio satrapo democristiano. E c'è da dubitare che quando Renzi, nei suoi innumerevoli comizi in giro per l'Italia, diceva di voler riportare "la bellezza in politica", avesse in mente di comportarsi come un qualsiasi "omo de panza" della Prima Repubblica.


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Scheda – 16 – Ghe pensi mi 2.0

16 – 2 - 2 gennaio 2014

I renzini oggi si sono trovati una sorpresa. Il loro bersaglio politico preferito è stato fatto oggetto delle attenzioni di Matteuccio il Conquistatore.

Quale strategia sta seguendo il Conquistatore fiorentino?


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Renzi (ri)chiama Grillo: “Caro Beppe, insieme faremmo grandi cose”
Il segretario del Pd propone al Movimento 5 Stelle un patto per un obiettivo concreto: trasformare subito il Senato in una Camera degli enti locali per risparmiare un miliardo. Poi attacca: "Nel suo discorso di fine anno Beppe si è preso meriti non suoi: anche le migliori battaglie M5s ottengono risultati solo se c'è la sponda dei democratici". E a Letta dice: "Possiamo sfondare il vincolo Ue del 3 per cento del deficit"

di Stefano Feltri | 2 gennaio 2014Commenti (5634)
Renzi (ri)chiama Grillo: “Caro Beppe, insieme faremmo grandi cose”


Matteo Renzi ci prova sul serio: un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle, non per il governo, ma per singoli provvedimenti, cominciando da una drastica riforma del Senato, “si può risparmiare un miliardo di euro, se i senatori Cinque Stelle sono d’accordo lo facciamo domani”. Notte di Capodanno in piazza Stazione a Firenze, sul palco con Max Pezzali, ex 883, poi giornata in famiglia, qualche partita alla Play Station e un po’ di corsa. Il 2014 politico di Renzi comincia con una proposta a Grillo e una rottura con il governo di Enrico Letta, pensando alle elezioni europee di fine maggio: “Se all’Europa proponi riforme istituzionali e un Jobs Act che attiri investimenti stranieri, è evidente che il vincolo del deficit al 3 per cento del Pil si può sfondare”.

Segretario Renzi, nel suo messaggio di fine anno Napolitano ha detto che rimarrà “fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo faranno ritenere necessario”. Pensa che sia il suo ultimo discorso?
Non credo. Ma deciderà lui, non altri.

Il capo dello Stato ha accennato alle polemiche sul suo ruolo e l’eccessivo potere dimostrato.
Difendo il presidente. Quello di San Silvestro è stato un messaggio che invita al coraggio delle riforme e a occuparsi di lavoro e lo condivido: la classe politica dovrebbe pensare a queste cose invece che perdersi in troppe chiacchiere.

Nel suo contro-discorso Beppe Grillo ha detto che è merito dei Cinque Stelle se Berlusconi non è più senatore, grazie al voto palese, se non è passata la riforma dell’articolo 138 della Costituzione e se sono scesi i costi della politica. E’ così?
Mi piacerebbe dirle che è vero, ma non è così. Il Movimento Cinque Stelle da solo non fa nulla. Il voto palese è stata decisione del Pd e determinante è risultato il voto della senatrice Linda Lanzillotta che non mi pare grillina. La riforma del 138 è saltata quando ha cambiato idea Berlusconi, dopo che è uscito dal governo, lo sanno tutti. E sui costi della politica, Grillo ha rinunciato alla propria quota di finanziamento, per circa 40 milioni di euro, ma sul voto che, bloccando le Province, porta a un risparmio come minimo dieci volte più grande, non solo i Cinque Stelle sono stati contrari ma addirittura hanno fatto ostruzionismo agli ordini del compagno Brunetta. Com’è possibile che i ragazzi del Cinque stelle escano dall’Aula quando si vota l’abolizione delle Province? Se Grillo elencando i propri meriti deve dire queste falsità, significa che dentro il Movimento c’è un problema e che ci stiamo perdendo anche lui…

Quindi i Cinque Stelle si prendono meriti non loro?
Grillo da solo non può far niente, perché mancano i numeri. Non è colpa sua, è la politica. Alcune battaglie – anche sacrosante – del M5S possono essere portate a termine solo se i cittadini pentastellati fanno accordi. Limitati, circoscritti, in streaming, dal notaio, in piazza, al bar, come vogliono: ma accordi. Da soli si fa testimonianza, ma non si cambia l’Italia. Senza accordi non solo non combina nulla, ma per giustificare i tre milioni di euro al mese che costano i suoi parlamentari, Grillo è costretto a inseguire le scelte di Brunetta o della Lanzillotta. Per i parlamentari Cinque Stelle il 2014 sarà l’anno chiave, quello in cui devono decidere se cambiare forma mentis: ci sono quelli che credono alle scie chimiche e ai microchip nel cervello, e questi fanno ridere, ma sta anche nascendo un gruppo dirigente molto interessante. Se però si limitano a protestare, il massimo che possono fare è rinunciare al finanziamento pubblico per 42 milioni. Un atto di grande efficacia mediatica, ma per l’appunto soltanto 42 milioni…

Il Pd è pronto a lavorare con il Movimento Cinque Stelle in modo aperto?
Si sono visti due modi di concepire i Cinque Stelle finora. La vecchia guarda dei nostri li ha trattati come dei parvenu della politica, quasi incapaci di intendere e di volere. Io non la penso così e condivido ciò che ha scritto Marco Travaglio: molti di loro stanno imparando il mestiere. Su alcuni temi hanno fatto cose giuste, sul Milleproroghe, sugli affitti d’oro della Camera. Ma le loro posizioni sono passate solo perché qualcuno del Pd ha deciso che bisognava andare in quella direzione, in altri casi l’iniziativa è stata nostra, come per bloccare l’emendamento sulle slot machine. Vede che degli accordi seri, trasparenti, alla luce del sole, non si può fare a meno?

Perché, per dare un segnale a Grillo, non rinuncia spontaneamente ai 45 milioni di euro di finanziamento pubblico che spettano al Pd? Senza proporre uno scambio.
Grillo dice che questi rimborsi sono illegali. Io dico che sono politicamente un errore. Non escludo che lo faremo. Ma come si fa a definire ricatto quella che è una proposta precisa per ridurre i costi della politica?

E cosa sta aspettando?
Dal punto di vista tecnico la due diligence dei conti del partito. Dal punto di vista politico che sia chiaro l’iter della proposta del governo. E posso anticiparle che non ci fermeremo qui. Vogliamo occuparci anche dei contributi ai gruppi parlamentari.

Province a parte, su cosa potete lavorare insieme, Pd e M5S?
La madre di tutte le battaglie è la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie locali. Basterebbe un sì dei senatori Cinque Stelle e cambieremmo la storia italiana. Ma loro nicchiano, chissà perché…

Il Senato riformato avrebbe membri eletti, e quindi cambierebbe poco rispetto a oggi, o solo rappresentanti degli enti locali come membri di diritto?
Una parte del Pd e tutto Ncd dicono: non possiamo abolire il Senato, facciamo una elezione di secondo grado. Io la penso diversamente: se sei presidente di una Regione o sindaco, sei automaticamente senatore, senza indennità aggiuntive. E in Senato puoi esprimere il tuo parere solo sulle materie, quelle che riguardano gli enti locali. Finisce il bicameralismo perfetto e macchina burocratica drasticamente semplificata. Non capisco come Grillo possa dire di no: chiedere l’abolizione tout court del Senato è il modo migliore per non ottenere nulla.

Il problema è solo che manca il via libera del capo? I parlamentari M5S sono propensi a collaborare?
Nessuno gliel’aveva chiesto con questa chiarezza, finora. Vedremo. Anche io ho resistenze interne e incontrerò i nostri senatori il 14 gennaio. Ho però un punto di forza: le primarie non le ho fatte sulle mie cravatte, sul ciuffo di Civati o sullo sguardo di Cuperlo, ma sulla base di linee politiche, e io ho espresso con grande chiarezza questa posizione. Quindi la posizione delle primarie è la posizione di tutto il Pd. Però il Pd da solo, paradossalmente, non ce la fa. Noi facciamo lo stesso appello a tutte le forze politiche, ma quello che mi colpisce di Grillo è che questa palla lui ce l’ha pronta. Come fa a rinunciare?

E se Grillo rifiuta?
Dovrei pensare che non riesce a convincere i suoi senatori a firmare una legge che serve a cancellare le loro 60 poltrone.

Nel suo video-messaggio Grillo ha evocato un referendum e la possibile uscita dell’Italia dall’Euro. Ci sono margini di dialogo anche su questo?
No, in modo categorico. Uscire oggi dall’euro avrebbe ripercussioni decisamente negative sulla vita degli italiani, schizzerebbero i tassi di interesse, sarebbe più difficile lavorare per le imprese, si indebolirebbe ancora la capacità d’acquisto delle famiglie. Sono pronto a una discussione, ma nel merito sono in disaccordo. L’eccesso di tecnocrazia nella gestione dell’euro si risolve non eliminando l’euro, ma riportando la politica a fare il suo mestiere.

Il governo Letta continua a difendere il rigore e il rispetto del vincolo del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil. Lei ha criticato più volte quel parametro. In attesa di riformare i trattati, lei sarebbe disposto a violarlo?
Se all’Europa proponi un deciso cambio delle regole del gioco, a partire dalle riforme Costituzionali, con un risparmio sui costi della politica da un miliardo di euro che non è solo simbolico, un Jobs Act capace di creare interesse negli investitori internazionali, fai vedere che riparti da scuola, cultura e sociale, allora in Europa ti applaudono anche se sfori il 3 per cento. L’Europa ha bisogno di un’Italia viva.

Quindi possiamo sforare?
E’ evidente che si può sforare: si tratta di un vincolo anacronistico che risale a 20 anni fa. Non è l’Europa che ci ha cacciato in questa crisi, ma la mancanza di visione. Lo ha detto bene il Censis: l’emergenza continua è diventata la polizza assicurativa di una classe politica che solo grazie alla crisi, vera o presunta, giustifica il proprio potere. Se c’è una leadership con una visione, non vedo problemi a superare il tetto del deficit, anche se poi va fatta una battaglia per cambiare le regole. Non solo sui conti pubblici.

Pensa alla web tax, per far pagare più imposte alle grandi società che vendono servizi su Internet?
Anche. Tutti devono pagare le tasse, ma le modalità con cui questa battaglia è stata impostata da qualche nostro parlamentare sono un errore. Per come era scritta, la legge non apriva un dibattito, ma una procedura di infrazione europea. E chi lo paga poi il conto?

Hanno detto che lei ha preso questa linea sotto l’influenza di Google e delle lobby americane.
Spero che chi lo ha fatto, dopo aver parlato, abbia posato il fiasco.

A proposito di grandi aziende, lei ha denunciato spesso la privatizzazione di Telecom degli anni Novanta, ma non si è mai espresso sull’attuale passaggio di controllo dai soci italiani agli spagnoli di Telefònica.
Su Telecom e Monte dei Paschi il segretario del Pd sconta il peso di una eredità: in passato su queste vicende chi aveva responsabilità nella sinistra non si è comportato in modo politicamente inappuntabile, per usare un eufemismo. Su Monte Paschi, se fossi stato sindaco di Siena, e quindi di fatto azionista della banca, avrei detto la mia. Il mio silenzio da segretario del Pd non è di chi non ha niente da dire, ma di chi anzi ne avrebbe troppo. Ma tace, per rispetto delle istituzioni preposte a risolvere il problema.

Il governo cosa può o deve fare su Telecom e Monte Paschi?
Prescindendo dai tecnicismi, un governo ha un potere enorme di moral suasion, che non è banale, indipendentemente dagli appigli legislativi. Nella vicenda Telecom il governo dovrebbe usarlo per chiarire che lo scorporo della rete è una priorità, o che comunque bisogna avere l’assoluta garanzia di investimenti sull’infrastruttura, attraverso i meccanismi più vari. Su questo settore abbiamo perso troppo tempo. E su Mps il governo dovrebbe usare la moral suasion per evitare che i soldi prestati dai contribuenti italiani vengano messi a rischio.

Lei è più d’accordo con il senatore Pd Mucchetti che voleva cambiare la legge sull’Opa per costringere gli spagnoli a pagare qualche miliardo per Telecom o sta con Letta che quella norma l’ha affossata?
Che la legge sull’Opa vada cambiata è un dato di fatto. Che cambiarla adesso dia l’mpressione di un intervento a gamba tesa, prendendo le posizioni di un giocatore contro un altro è altrettanto vero. Non si cambiano le regole in corsa. Ma il governo su Telecom può giocare un ruolo molto più deciso, nel rispetto delle regole, del mercato, degli azionisti. Presenti e futuri.

Nel duro scontro tra il presidente di Mps Profumo e quello della Fondazione, Mansi, lei con chi sta?
E secondo lei mi schiero in un derby tra banchieri? A me interessa che il denaro dei cittadini italiani sia speso bene e il quadro delle regole, ma non entro nelle vicende gestionali. Posso chiedere di cambiare la legge sulle fondazioni bancarie, ma non sostituirmi a chi ha responsabilità gestionali.

Nel 2014 si apre una stagione di importanti nomine pubbliche in società controllate dal Tesoro, su tutte l’Eni. Se ne occuperà?
Il Pd non è interessato alla discussione sui nomi. Ma alle strategie aziendali sì. E su questo abbiamo molto da dire, vedrà.

Su cosa si fonda la sua intesa con Maurizio Landini, la Fiom sembra più renziana della Cgil…
Non è renziano neanche il Pd, figuriamoci la Fiom. Certo, su alcune cose potrebbe esserci condivisione: dalla legge sulla rappresentanza alla presenza di persone elette dai lavoratori nei consigli d’amministrazione. E poi condividiamo un concetto semplice: chi ci ha portati fino a qui, con polemiche ideologiche e scarsi risultati, non è adatto a portarci fuori da qui.

Lei non parla più di pensioni. Si possono chiedere sacrifici a chi beneficia del sistema retributivo?
Si possono chiedere contributi – non parlerei di sacrifici – a chi usufruisce di una pensione d’oro senza aver versato tutto il corrispettivo. Non perché ciò cambierà il bilancio italiano, ma perché è giusto. Si può, si deve. É un principio di equità sociale, non una punizione divina: se prendi 10mila euro al mese di pensione e sei andato in pensione a 55 anni con il retributivo, puoi darci una mano così che il tuo contributo lo mettiamo a disposizione di chi non ce la fa più? Ma solo per le pensioni d’oro, non per tutte le pensioni retributive.

Tra pochi giorni presenterà il Jobs Act. Ci sarà il contratto unico di inserimento?
Ci saranno molte cose. Il Jobs Act non è un trattato giuslavoristico, come pensa chi lo ha criticato senza aspettare di leggerlo, ma un documento con alcune cose concrete da fare subito e altre più di prospettiva. Nei prossimi giorni iniziativa sulle riforme, poi presentiamo il Jobs Act. Non c’è molto da aspettare.

Twitter @stefanofeltri

Da Il Fatto Quotidiano del 2 gennaio 2013
mariok

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da mariok »

Matteo Renzi (FB)

Meno di un mese fa tre milioni di italiani hanno chiesto al PD coraggio, decisione, scelte forti. Hanno chiesto di cambiare verso. Stiamo cercando di rispondere a questa richiesta così forte dettando l'agenda alla politica: legge elettorale, riforme costituzionali, interventi per il lavoro perché se non cresce l'occupazione andiamo tutti a casa, grandi iniziative su Europa e Scuola, tagli di un miliardo ai costi della politica. Lo facciamo perché ce l'hanno chiesto i cittadini, lo dobbiamo a loro.
Stefano Fassina oggi mi accusa di "avere una visione padronale del partito": non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente dell'assemblea o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza. Certo, a differenza di quello che avrebbe fatto la politica tradizionale il primo mio gesto non è stato chiedere il rimpasto, come Fassina mi ha chiesto su tutti i giornali.
Continuo a non chiederlo perché la preoccupazione del PD sono gli italiani che non hanno un posto di lavoro, non i politici che si preoccupano di quale poltrona possa cambiare. Sono i problemi dell'Italia che interessano al mio PD, non i problemi autoreferenziali del gruppo dirigente.
Se il Vice Ministro all'Economia - in questi tempi di crisi - si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. Se si dimette per motivi politici, grande rispetto: ce li spiegherà lui nel dettaglio alla direzione PD già convocata per il prossimo 16 gennaio raccontandoci cosa pensa del Governo, cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver fallito. Lo ascolteremo tutti insieme con grande attenzione, così fa un partito serio.
Quanto a me, non cambierò il tono dei miei incontri con la stampa. Mai. Non diventerò mai un grigio burocrate che non può scherzare, non può sorridere, non può fare una battuta. La vita è una cosa troppo bella per non essere presa con leggerezza. Starò sempre in mezzo alla gente, continuerò a fare battute e a riceverle, ma mettendo al centro il patto con gli elettori, non gli equilibri dei dirigenti. Il PD ha il compito di cambiare l'Italia, non di vivere un congresso permanente. E noi ci proviamo, con il sorriso sulle labbra ma anche con la determinazione di chi sa che dobbiamo cambiare verso davvero. Buona domenica a tutti!
iospero
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Iscritto il: 24/02/2012, 18:16

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da iospero »

Tra la Di Girolamo e Renzi mi sembra di vedere una classe politica un po' fuori le righe.
La maleducazione , la superbia di chi è al potere non fa bene a nessuno.
Siamo già in condizioni pietose , non è il momento di personalismi di alcuna natura.
mariok

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da mariok »

Certo, la mancanza di un minimo di stile è ormai una caratteristica imperante di questa classe politica ormai a livelli infimi.

Per averne la misura, basta guardare per qualche minuto (avendone lo stomaco) talk show televisivi come la gabbia.

E purtroppo non è un problema di forma o di educazione, o di intemperanza caratteriale di singoli personaggi.

E' la febbre di una malattia più profonda: di una politica che non ha più nulla da dire e che per sopravvivere deve solo affidarsi allo spettacolo.

Anche il gesto "sdegnato" di Fassina rientra, per giunta goffamente, in questa logica. Mi sembra obbiettivamente il tentativo di farsi notare, di avere un ruolo, dopo mesi di irrilevanza come vice-ministro di un governo che non ha fatto niente, se non pasticciare con le tasse e con gaffe varie, come quelle delle vicende Shalabayeva e Cancellieri.

Il problema è che c'è ancora una parte consistente di pubblico cui sembra piacere schierarsi in questa o quella tifoseria.
paolo11
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Iscritto il: 22/02/2012, 14:30

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da paolo11 »

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Modi diversi.
Ciao
Paolo11
pancho
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Iscritto il: 21/02/2012, 19:25

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da pancho »

mariok ha scritto:Matteo Renzi (FB)

Meno di un mese fa tre milioni di italiani hanno chiesto al PD coraggio, decisione, scelte forti. Hanno chiesto di cambiare verso. Stiamo cercando di rispondere a questa richiesta così forte dettando l'agenda alla politica: legge elettorale, riforme costituzionali, interventi per il lavoro perché se non cresce l'occupazione andiamo tutti a casa, grandi iniziative su Europa e Scuola, tagli di un miliardo ai costi della politica. Lo facciamo perché ce l'hanno chiesto i cittadini, lo dobbiamo a loro.
Stefano Fassina oggi mi accusa di "avere una visione padronale del partito": non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente dell'assemblea o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza. Certo, a differenza di quello che avrebbe fatto la politica tradizionale il primo mio gesto non è stato chiedere il rimpasto, come Fassina mi ha chiesto su tutti i giornali.
Continuo a non chiederlo perché la preoccupazione del PD sono gli italiani che non hanno un posto di lavoro, non i politici che si preoccupano di quale poltrona possa cambiare. Sono i problemi dell'Italia che interessano al mio PD, non i problemi autoreferenziali del gruppo dirigente.
Se il Vice Ministro all'Economia - in questi tempi di crisi - si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. Se si dimette per motivi politici, grande rispetto: ce li spiegherà lui nel dettaglio alla direzione PD già convocata per il prossimo 16 gennaio raccontandoci cosa pensa del Governo, cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver fallito. Lo ascolteremo tutti insieme con grande attenzione, così fa un partito serio.
Quanto a me, non cambierò il tono dei miei incontri con la stampa. Mai. Non diventerò mai un grigio burocrate che non può scherzare, non può sorridere, non può fare una battuta. La vita è una cosa troppo bella per non essere presa con leggerezza. Starò sempre in mezzo alla gente, continuerò a fare battute e a riceverle, ma mettendo al centro il patto con gli elettori, non gli equilibri dei dirigenti. Il PD ha il compito di cambiare l'Italia, non di vivere un congresso permanente. E noi ci proviamo, con il sorriso sulle labbra ma anche con la determinazione di chi sa che dobbiamo cambiare verso davvero. Buona domenica a tutti!
Meno di un mese fa tre milioni di italiani hanno chiesto al PD coraggio, decisione, scelte forti
Credo che questa situazione all'interno del PD stia proprio in questa frase iniziale di Renzi.

Un segretario eletto non dagli iscritti ma da un popolo che per molti aspetti non avrebbe niente a che fare col PD.

Sembrerebbe quasi che in questa situazione ci avesse lo zampino qualcuno che vede piu' avanti dello stesso PD.

Inutile e mi prolunghi nelle mie considerazioni xche su questa situazione si possono scrivere valanghe di post. Dico solamente che questa situazione complica ancor di piu' il rapporto fra il popolo e la politica oltre a rendere ancor piu' difficile la governabilita'.

E' vero che questa situazione politica non e' altro che il risultato della mancanza di maturazione politica di un popolo ma e' anche vero che queste situazioni ne accelerano la degradazione.

Ora da questa situazione credo sia difficile venirne fuori soprattutto xche' mette in evidenza le contrapposizioni politiche all'interno del PD e che danno ragione a coloro che inizialmente criticavano questa fusione a freddo non nata dal basso ma dai vertici che volevano servare solo le proprie sedie.

Problemi sicuramente seri ma che, oltre a questi, mette in evidenza che non esiste piu' alcuna ideologia e quindi appiattisce tutti gli attuali partiti in un unico pensiero anche se con sfumature diverse. Ora sembrano quasi tutti uguale e nei loro programmi non esiste alcun obiettivo di una societa' diversa che possa mettere l'uomo al di sopra dei profitti.

Staremo sempre qui a raccontarcela su questo ministro che si dimette o sui contrasti all'interno di questo partito o di quest'altro ma non riusciremo mai a parlare di quei piccoli passi che ci permettano pian piano di raggiungere obiettivi di una societa' diversa.

La percezione verso la politica, come si e' letto in un post precedente, e' un po in tutta Europa ed e' appunto x questo che dovremmo avere una sensibilita' diversa verso un cambiamento di rotta.

Il compito certamente sara' arduo ma se non siamo convinti di questo allungheremo questa agonia e ci troveremo poi ad essere proiettati tutti, buoni e cattivi, verso un decadimento socio culturale e politico dal quale non sara' piu' possibile uscirne se non dopo assere divenuti noi il 3°-4° mondo.

Il futuro quindi, come e' giusto che sia, dipendera' da queste ns. consapevolezze e quindi dalla ns. capacita di attrarre in un unico movimento politico tutte quelle forze che ora manifestano in ordine scoordinato non solo in Italia ma in Europa e non solo( es: http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 246#p29246)

Saremo capaci?

Questo e' il dilemma che abbiamo difronte.

Alternative non ci sono se non quelle di adagiarsi a questa situazione ed aspettare che siano gli altri a trovare delle soluzioni e.... succeda quel che succeda aspettando che i piccoli Berlusconi crescano.


un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

……….succeda quel che succeda aspettando che i piccoli Berlusconi crescano. - 1
pancho

1) Ieri mattina mi hanno fatto osservare la domanda che un militare Usa ha fatto a dei civili italiani di Roma, pochi giorni dopo il 25 aprile 1945.
<<Ma che razza di popolo siete, se una settimana fa eravate tutti fascisti e oggi cantate e ballate e siete diventati tutti antifascisti?>>

Nell’album dei ricordi, riemerge il racconto breve di un fascista convinto degli anni ’70, che mi raccontò che una settimana prima del 25 aprile, avendo intuito la situazione, se ne andò in montagna a fianco dei partigiani. Dato che era di Lecco, unirsi alle forze partigiane in montagna non è stato particolarmente difficile.

Continua poi nel racconto, che il 25 aprile con tanto di fazzoletto al collo, simbolo dei partigiani, entrava in Lecco da trionfatore. Per poi tornare ad essere il fascista di sempre, ancora negli anni ’70.

Un conoscente, ex partigiano nella Val d’Ossola, si lamentava quando si ritornava sull’argomento sul fatto che in Val d’Ossola i partigiani erano circa mille. Quando entrarono a Milano il 25 aprile erano più di 10mila (Solo della Val d'Ossola)

Un capoarea tedesco di un’azienda di macchine utensili, in visita alla filiale milanese, negli anni ’70, manifestò tutto il suo stupore nell’osservare la politica italiana e la capacità di sopravvivenza e di galleggiamento del popolo italiano.

<<Se quello che succede da voi, dovesse succedere da noi – commentò – nel giro di quindici giorni assisteremmo al crollo totale della Germania>>

Se nel 2001 il ministro Pietro Lunardi a Palermo afferma che con la mafia bisogna convivere, noi abbiamo opposto una finta indignazione, a partire da Violante.

Solo quattro mesi fa Marcello Dell’Utri viene condannato per:

Mafia, i giudici: “Dell’Utri mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”
Depositate le motivazioni della condanna in appello dell'ex senatore Pdl. "Condotta illecita andata avanti per un ventennio, nessun imbarazzo nei rapporti con i mafiosi". E il futuro premier "abbandonò il proposito di farsi proteggere con rimedi istituzionali". La Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza chiedendo di motivare meglio la colpevolezza per gli anni tra il 1977 e il 1992
di Giuseppe Pipitone | 5 settembre 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... io/702083/


Eppure per gli italiani è tutto normale.

Marcello dell’Utri è il principale coofondatore di Forza Italia 1.0. con Berlusconi.

La Mafia SpA dopo 110 anni viene tranquillamente allo scoperto e fonda un suo partito e gli italiani e le istituzioni non fanno una piega. Va bene così.

Nelle zone della Terra dei fuochi, si da corso ad uno sterminio di massa e lo Stato copre tutto. I giornalisti, la magistratura, le Commissioni di inchiesta e gli italiani si dimenticano delle denunce di venti anni fa fatte da Carmine Schiavone.


Se non comprendiamo prima chi siamo, non ne verremo mai a capo.
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