Berlusconi è ancora armato e pericoloso

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camillobenso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

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......Con la mafia bisogna convivere...
(Pietro Lunardi)


I Padri ni della Patria - 5
Il vangelo secondo Totò lu curtu - 1



Riina: “I fratelli Graviano avevano Berlusconi”

(Marco Lillo).
25/01/2014 di triskel182

LE CONVERSAZIONI A OPERA CON IL PUGLIESE LORUSSO SEMBRANO CONFERMARE I RAPPORTI DEI DUE BOSS CON IL LEADER DI FORZA ITALIA.

I Graviano avevano Berlusconi. Parola di Totò Riina. (E' vecchia don Totò, lo sanno anche i sassi - ndt)Tra le tante conversazioni registrate nel carcere di Opera, quella della mattina del 25 ottobre 2013 è passata quasi inosservata. Eppure Totò Riina, mentre passeggia con il suo compagno di cella Alberto Lorusso, si lascia andare a considerazioni non proprio scontate. Il boss pugliese è molto curioso e chiede: “I Graviano stavano con i familiari a Milano?”. Il capo dei capi replica: “Sì forse saranno andati questi, stavano…, avevano Berlusconi… certe volte…”. Poi c’è una parola incomprensibile e Lorusso commenta: “L’hanno legato, quando doveva testimoniare”.

PROBABILMENTE Lorusso stuzzica il boss di Cosa nostra sulla mancata deposizione di Giuseppe Graviano al processo di appello a Marcello Dell’Utri. Dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza sulle confidenze ricevute dal suo capo al bar Doney di Roma nel gennaio 1994 su Marcello Dell’Utri e Berlusconi, il boss Graviano preferì tacere. Riina, nonostante l’età, non si lascia andare con Lorusso e cambia discorso ma sembra critico verso i suoi ex fedelissimi. Irride la loro scelta di costituirsi parte civile contro il killer reo confesso dell’omicidio del padre, Michele Graviano, nel 1982, e soprattutto critica le stragi realizzate dai fratelli al nord nel 1993. E conclude “i Graviano per me non ha mai contato né contano… devi dirigere a me che me ne devo andare a Firenze? Io me ne vado nella piazza di Palermo, incomincio a cercare chi di dovere!”.

I fratelli Graviano, Giuseppe 50 anni, e Filippo 52 anni, sono i boss trentenni che hanno condotto la strategia stragista del 1992-1993 da via D’Amelio alle stragi di Firenze e Milano. Sono loro anche le bombe contro le chiese a Roma tra maggio e luglio che lanciavano segnali alla politica e al Vaticano. Inoltre sono sempre loro, secondo l’accusa del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – che è stato creduto e riscontrato su tante altre vicende ma non su questo punto – ad avere intessuto i rapporti con Marcello Dell’Utri per ottenere in quel periodo garanzie sui benefici per i carcerati in caso di vittoria di Forza Italia alle elezioni del 1994 in cui scese in campo il Silvio Berlusconi. È evidente che quella frase di Riina è guardata con attenzione dai pm palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa e che non hanno mai fatto mistero di indagare anche sui rapporti tra la mafia e la politica alle origini della seconda repubblica. Il rapporto tra i Graviano e Marcello Dell’Utri è stato affermato nella condanna di primo grado e considerato non provato invece in appello, con sentenza ormai definitiva. Il Fatto, indipendentemente dalla valutazione giudiziaria, ha provato a seguire le tracce dei rapporti tra la famiglia Dell’Utri e il mondo che gravita intorno ai Graviano in un’inchiesta autonoma che parte dal lavoro dei magistrati senza arrestarsi solo alle conclusioni, per loro natura limitate al versante giuridico, dei processi. La prima persona ad affermare l’esistenza di un rapporto d’affari della famiglia Dell’Utri con ‘i mafiosi’ legati ai Graviano è stata la mamma di Marcello Dell’Utri.

Nel novembre del 1986 la signora Dell’Utri racconta al figlio Marcello, che in quel momento è intercettato dai carabinieri, sul suo telefono milanese, che “Giuseppe sta vendendo la fonderia ai mafiosi”. Negli atti del processo Dell’Utri quella telefonata è confluita perché Marcello parla con la madre di quel Tanino Cinà che i pm considerano il garante con i boss della protezione in favore della Finivest. “La madre dice – scrivono i carabinieri – che gli manderà alcune cose tramite Cinà poi affronta il tema della vendita, da parte di Giuseppe Dell’Utri), altro fratello dell’odierno imputato, della Fonderia Oretea, a soggetti ‘mafiosi’. Si rappresenta, a tal fine, che agli atti risulta la vendita della detta Fonderia a soggetti vicini ai Graviano”. Nessuno ha mai sviluppato questo spunto. La Fonderia Oretea è la storica fonderia che apparteneva ai Florio e che ha fornito la copertura dei tetti del teatro Politeama e dei gioielli del liberty palermitano. Dopo varie vicissitudini, con i suoi terreni e capannoni ormai in disuso, finisce nella seconda metà del secolo scorso a due famiglie palermitane: i Panzera e i Capuano. Nelle visure camerali a un certo punto, alla fine del 1986, compaiono per un breve periodo due amministratori liquidatori: Massimo Capuano e Giuseppe Dell’Utri.

CAPUANO, nato nel 1954 a Palermo, oggi è amministratore delegato di Iw Bank Spa del gruppo Ubi. Fino al 2010 è stato amministratore di Borsa Italiana e poi di Centrobanca. “Abbiamo ereditato, io, mia madre e i miei fratelli, la quota del 50 per cento della Fonderia nel 1957 alla morte di mio padre. Non ci siamo mai occupati della gestione. A metà anni 80 abbiamo aderito alla proposta dei proprietari dell’altra metà della società di vendere. È stato Giuseppe Dell’Utri, marito della signora che aveva ereditato dal padre l’altra quota della Fonderia, a trovare i compratori. In quell’occasione il nostro intervento si è limitato agli atti dovuti per la vendita. Non ricordo i Gioé”.

Capuano allora era un manager trentenne lanciato tra Ibm e Mc Kinsey a Milano. La sua presenza nella società Fonderia Oretea al fianco del fratello maggiore di Marcello Dell’Utri, noto a Palermo come l’animatore della squadra di calcio Bacigalupo, poi deceduto, dura un lampo. Le due famiglie vendono tutto ai fratelli Gateano e Maurizio Gioé, costruttori che secondo i pentiti Tullio Cannella e Filippo Drago, erano legati ai fratelli Graviano. Nel 1998 la Fonderia Oretea sarà confiscata definitivamente ai Gioé per mafia, insieme al resto del patrimonio, proprio perché, non solo la mamma di Dell’Utri, ma anche i giudici consideravano i fratelli vicini alla mafia e ai Graviano in particolare. I Gioè, dopo l’arresto e la condanna in primo grado saranno assolti in Cassazione. La Fonderia invece resterà confiscata definitivamente per mafia anche in Cassazione.

Sui terreni della Fonderia, con sede in via Buonriposo, a Brancaccio, i Gioè portarono a segno una speculazione edilizia, quando la società fu confiscata era poco più di una scatola vuota. Quando i Gioé, legati ai fratelli Graviano, comprano sono passati appena 4 anni dall’uccisione del vecchio padre dei fratelli Graviano. Secondo il pentito Francesco Di Carlo in quegli anni Ignazio Pullarà chiede che fine hanno fatto i soldi di Michele Graviano investiti con il boss Stefano Bontate a Milano. Secondo Di Carlo, Pullarà lo chiede proprio all’amico di Dell’Utri: “Un giorno viene da me Ignazio Pullarà, quando avevano già ammazzato a Michele Graviano e mi dice: ‘Devo cercare a Tanino Cinà perché Michele Graviano ha messo i soldi con Bontate a Milano”. Tre anni dopo l’affare della Fonderia Oretea, i fratelli Graviano salgono a Milano.

Da Il Fatto Quotidiano del 25/01/2014.
camillobenso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

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Famiglia Graviano
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La famiglia Graviano è composta da quattro fratelli mafiosi, Benedetto, Filippo, Giuseppe e Nunzia. Sono i figli di Michele Graviano, assassinato nel 1982 probabilmente da Totuccio Contorno[1].

1 Filippo e Giuseppe Graviano
1.1 Il ruolo nella strategia stragista della mafia
1.2 Assassinio di Padre Pino Puglisi, il prete antimafia
1.3 Rapporti con Berlusconi
1.4 Vicende personali
2 Nunzia Graviano
3 Benedetto Graviano
4 Voci correlate
5 Note
Filippo e Giuseppe Graviano[modifica | modifica sorgente]

Filippo e Giuseppe sono i componenti più famigerati della famiglia Graviano. Con "i fratelli Graviano" si fa solitamente riferimento a loro due.
Sono noti tra l'altro in quanto condannati come mandanti dell'attentato a Padre Pino Puglisi[2][3]. Sono inoltre ritenuti responsabili degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino[4].
Il ruolo nella strategia stragista della mafia[modifica | modifica sorgente]
Nel 1990 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano diventarono capi del mandamento di Brancaccio-Ciaculli, sostituendo il boss Giuseppe Lucchese che era in prigione. Dopo l'arresto del boss mafioso Totò Riina, nel gennaio 1993, i boss rimanenti, tra i quali Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Cosimo Lo Nigro, Francesco Tagliavia, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera si riunirono a Santa Flavia comune alle porte di Bagheria[5]. Si mise in atto una strategia stragista contro lo Stato[6]. Tale strategia ha comportato una serie di attentati dinamitardi nel 1993 in via dei Georgofili a Firenze, in Via Palestro a Milano, in Piazza San Giovanni in Laterano e in via San Teodoro a Roma[7][8][9]. I Graviano sono stati identificati come responsabili della selezione degli uomini che avrebbe effettuato gli attentati[10]. Entrambi hanno avuto una condanna all'ergastolo[11].
Assassinio di Padre Pino Puglisi, il prete antimafia[modifica | modifica sorgente]
Giuseppe e Filippo Graviano hanno ordinato l'assassinio del sacerdote antimafia Padre Pino Puglisi il 15 settembre 1993. Puglisi è stato il parroco della parrocchia di San Gaetano nel quartiere Brancaccio di Palermo, e ha sempre reso note le proprie posizioni antimafia, sensibilizzando gli abitanti del luogo[2]. Uno dei sicari che hanno ucciso Puglisi, Salvatore Grigoli, ha poi confessato e rivelato le ultime parole del sacerdote: "Vi stavo aspettando"[12][13]. Filippo e Giuseppe Graviano sono stati arrestati il 27 gennaio 1994[14].
Rapporti con Berlusconi[modifica | modifica sorgente]
Secondo il pentito Nino Giuffrè, e anche altri collaboratori, i fratelli Graviano erano gli intermediari tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi. Egli afferma che Cosa Nostra ha deciso di appoggiare Berlusconi e Forza Italia fin dalla sua fondazione nel 1993, in cambio di un aiuto nel risolvere i problemi giudiziari della mafia. La mafia si rivolse a Forza Italia, quando i suoi contatti con i partiti tradizionali erano diventuti infruttuosi nella protezione dei suoi membri[15][16]. Secondo Giuffrè, che racconta cose apprese da Aglieri e Carlo Greco,i Graviano trattarono con Berlusconi attraverso l'imprenditore Gianni Ienna, in settembre o ottobre 1993. Il patto sarebbe crollato nel 2002 perché Cosa Nostra non aveva ottenuto quanto richiesto: revisioni di processi di mafia e della legge sui sequestri di beni, modifiche all'articolo 41-bis duro regime carcerario[17].
Uno dei subordinati di Graviano, Gaspare Spatuzza, pentito dal 2008, ha confermato le dichiarazioni di Giuffrè. Spatuzza ha dichiarato che Giuseppe Graviano nel 1994 gli confidò che il futuro primo ministro Silvio Berlusconi era sceso a patti con la mafia in relazione a un accordo politico-elettorale tra Cosa Nostra e il partito Forza Italia. Secondo Spatuzza Graviano gli passò queste informazioni durante una conversazione in un bar di proprietà nel raffinato quartiere di Via Veneto a Roma[18]. Marcello Dell'Utri ne sarebbe stato l'intermediario. Dell'Utri ha respinto le accuse di Spatuzza come "sciocchezze"[19], mentre secondo Berlusconi la deposizione di Spatuzza è ridicola e farebbe parte di una macchinazione ai suoi danni[20].
L'11 dicembre 2009 Filippo Graviano smentisce in aula Spatuzza, sostenendo di non aver mai avuto rapporti di alcun tipo con Dell'Utri[21]. Giuseppe Graviano decide invece di non rispondere alle domande dell'accusa lamentando problemi di salute dovuti al 41 bis. Nessuno dei due fratelli, poi, ribatte alla dichiarazione di Spatuzza su un incontro nel gennaio del 1994, in cui si sarebbe detto che Cosa nostra aveva «il Paese in mano» grazie a Berlusconi e Dell'Utri. Gli inquirenti ritengono che gli atteggiamenti dei fratelli Graviano possano essere una sorta di avvertimento su possibili loro rivelazioni future in caso di mancati accordi[21][22].
Vicende personali[modifica | modifica sorgente]
Le mogli di Filippo e Giuseppe sono rimaste incinte mentre questi erano in carcere, sollevando il sospetto che gli uomini fossero riusciti a far uscire il loro sperma dal carcere nonostante il 41 bis[23][24]. L'avvocato dei due ha invece sostenuto che il seme era stato congelato in precedenza[25].
In carcere Filippo Graviano ha studiato per laurearsi in economia, Giuseppe in matematica[26][27].
Nunzia Graviano[modifica | modifica sorgente]

Nunzia Graviano (1968 ?)[28] è una criminale italiana, sorella di alcuni capi mafiosi al quartiere Brancaccio di Palermo negli anni novanta.
Nunzia Graviano, nota come 'A Picciridda' ("la piccolina"), reinvestiva le attività finanziarie della famiglia, modernizzando le attività[29], mentre gli altri fratelli erano in carcere. Secondo l'accusa "Lei è l'alter ego dei suoi fratelli nel loro territorio ed è in grado di gestire una vasta fortuna". Lei è tra le prime donne ad aver agito come "reggente" di una famiglia mafiosa di primo piano. Si riferisce che lei sia la mente dietro la strategia finanziaria dei fratelli Graviano, segue la Borsa di Milano, ed è stata un avida lettrice del quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore. Gran parte della ricchezza dei Graviano è stata investita in aziende blue chip quotate. Era anche coinvolta nel riciclaggio di una parte del denaro all'estero attraverso una società di consulenza finanziaria in Lussemburgo. Nunzia Graviano è stata arrestata nel luglio 1999 a Nizza (Francia)[30][31].
Benedetto Graviano[modifica | modifica sorgente]

Benedetto Graviano (Palermo, 15 luglio 1958) è un criminale italiano, capo mafioso al quartiere Brancaccio di Palermo negli anni novanta. È il più vecchio dei fratelli Graviano.
Ha scontato cinque anni di carcere per mafia. Viene arrestato poi nel luglio 2004 per traffico di cocaina, avrebbe finanziato 18 chilogrammi di quella droga in una 'joint venture' con un clan della Ndrangheta. La cocaina sarebbe stata ripartita tra il jet set di Palermo[32].
Dopo il suo rilascio per insufficienza di prove, è stato nuovamente arrestato nel febbraio 2005. Benedetto aveva ripreso il comando della zona di Brancaccio, dopo l'arresto del reggente Giuseppe Guttadauro. La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù avrebbe voluto estendere i propri confini a quella zona, ma i boss di Cosa Nostra trovarono un accordo e lasciarono che Bernardo Provenzano decidesse la nomina, che andò a Benedetto Graviano[33][34]. Pare, comunque, che non fosse ritenuto "tanto sveglio" da Totò Riina[35].
camillobenso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

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I Padri ni della Patria - 6


Sua beatitudine

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Biglietti da visita


Il Cavaliere: «Dopo venti anni di insulti forse abbiamo trovato l’interlocutore nel nuovo leader del Pd»

Il segretario del Pd : Piene intese.

Renzi-Berlusconi: Tra i due piena sintonia, intesa possibile sulla ...
http://www.lanostravoce.info/.../6012-r ... ntonia...‎
18 Gen Renzi-Berlusconi: Tra i due piena sintonia, intesa possibile sulla legge ... trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie, con la clausola che i ...


Certo che sono soddisfazioni!!!!!!!!!


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«FAREMO DI TUTTO PER NON RIMANERE DELUSI ANCHE QUESTA VOLTA»
Berlusconi: «Le riforme di Renzi sono le nostre»«faremo di tutto per non rimanere delusi anche questa volta»


Il Cavaliere: «Dopo venti anni di insulti forse abbiamo trovato l’interlocutore nel nuovo leader del Pd»

L’affermazione è destinata a scatenare nuove polemiche. «Dopo venti anni di insulti forse abbiamo trovato l’interlocutore nel nuovo leader del partito principale che si oppone a noi. Con lui abbiamo avviato un processo di riforme che non sono le riforme di Renzi ma le nostre stesse riforme fin dalla nostra discesa in campo». Così il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi al telefono a un incontro a Napoli.

RIFORME - «Ora speriamo di poter andare avanti sulle riforme e faremo di tutto per non rimanere delusi anche questa volta. Troppe volte la generosità del centro destra è stata ripagata con l’odio politico e l’invidia degli avversari» ha aggiunto il Cavaliere.
«Alcune di queste riforme - ha aggiunto Berlusconi - sono quelle che approvammo già in Parlamento e che la sinistra cancellò con un referendum sciagurato. Altrimenti, l’Italia sarebbe un Paese moderno già da anni».

25 gennaio 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Redazione Online

http://www.corriere.it/politica/14_genn ... b91d.shtml
mariok

Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

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Ciò che mi colpisce sono gli scarsissimi risultati di quelle inchieste già partite nel 1992-93.

A parte la recente condanna per frode fiscale (riferita peraltro a fatti più recenti), praticamente c'è il nulla.

Si potrà osservare che ciò sia dovuto alle leggi ad personam. Ma l'obiezione sinceramente non convince, considerato che la legge ex-Cirielli sulla prescrizione è del 2005, cioè 13 anni dopo. Ed in tutti questi anni cosa ha fatto la magistratura?

Si tratta solo di inefficienza o c'è dell'altro?


Berlusconi, 20 anni fa la discesa in campo. Con la regia di Craxi e Dell’Utri

Lacrime sotto la doccia, debiti, inchieste: così nacque il videomessaggio del 26 gennaio 1994 ("L'Italia è il paese che amo"). A spingere per la formazione di Forza Italia fu l'ex leader Psi che aveva fiutato la fine del Pentapartito. Al Cavaliere "esausto" e impaurito dalle inchieste Bettino diceva: "Serve un simbolo e un contenitore. Con le televisioni hai la potenza di fuoco per convincere tutti". Con l'avanzare di Mani Pulite, l'improvvisa accelerazione da parte del consigliere siciliano sul progetto politico

di Gianni Barbacetto | 26 gennaio 2014Commenti (0)

Il sorriso davanti alla telecamera addolcita da una calza da donna (“L’Italia è il Paese che amo”) nasce da un pianto sotto la doccia. Domenica 4 aprile 1993, pomeriggio. Ad Arcore c’è una riunione cruciale. Presenti Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Bettino Craxi, ormai raggiunto da dieci avvisi di garanzia e non più segretario del Psi. La racconta Ezio Cartotto, il democristiano milanese assunto già un anno prima come consulente da Dell’Utri, con l’incarico segreto di studiare nuove forme d’intervento in politica. “Bisogna trovare un’etichetta, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito”, dice Craxi quel pomeriggio di primavera. “Con l’arma che tu hai in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante, ti basterà organizzare un’etichetta, un contenitore. Hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso, ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti, e salvare il salvabile”.

Secondo il racconto di Cartotto, Craxi ha già capito che il Psi e l’intero pentapartito sono finiti, inservibili. Il leader ferito da Mani pulite spinge l’amico a creare una nuova sigla, un nuovo “contenitore” da imporre con la potente “arma” delle tv. Berlusconi invece, almeno secondo il racconto di Cartotto, è ancora disorientato: “Sono esausto. Mi avete fatto venire il mal di testa. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e che mi distruggeranno, che faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte. E diranno che sono un mafioso. Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia…”. Nei mesi successivi, avviene l’accelerazione che porterà a Forza Italia. Dell’Utri liquida i più blandi piani di Cartotto e impone il suo “Progetto Botticelli”: un partito fatto in casa. Convince l’amico Silvio che non c’è alternativa. E l’amico Silvio smette di piangere sotto la doccia e accetta di “bere l’amaro calice”. Così, il 26 gennaio 1994, pronuncia le parole fatidiche: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”.


Con una videocassetta autoprodotta e poi distribuita alle tv annuncia la sua “discesa in campo”. Il biennio 1992-93 è, oltre che il più drammatico per la storia politica recente della Repubblica, anche il più duro nella storia imprenditoriale di Berlusconi. Finita la fase espansiva degli anni Ottanta, il mercato della pubblicità televisiva entra per la prima volta in affanno. Più in generale, per la prima volta si manifesta all’esterno la gravissima situazione debitoria in cui versano le aziende del gruppo Fininvest. Cominciano a circolare indiscrezioni giornalistiche. Un commentatore autorevole come Giuseppe Turani scrive che la Fininvest è addirittura in situazione prefallimentare. Dopo tante voci, nel 1993 la pubblicazione del tradizionale rapporto di Mediobanca sulle principali società italiane offre per la prima volta sull’argomento qualche cifra considerata attendibile. I debiti del gruppo Berlusconi, secondo Mediobanca, raggiungono nel 1992 quota 7.140 miliardi: 2.947 a medio e lungo termine, altri 1.528 di debiti finanziari a breve e 2.665 di debiti commerciali.

Cifre pesanti, e certamente peggiorate nel corso del 1993, anche per gli alti tassi d’interesse e la fine dell’aumento degli introiti pubblicitari (gli investimenti nel settore fanno registrare, nel primo semestre 1993, la prima “crescita zero” dopo lunghi anni di boom ininterrotto e di incrementi annui a due cifre). Ma anche fermandosi ai 4.475 miliardi di indebitamento finanziario calcolato da Mediobanca e mettendoli in rapporto con i 1.053 miliardi di capitale netto, si arriva facilmente alla conclusione che la Fininvest, nel 1993, ha 4,5 lire di debiti per ogni lira di capitale. La situazione d’allarme è immediatamente avvertita dalle banche più esposte con il gruppo Fininvest – Comit, Cariplo, Bnl, Banca di Roma, Credit – che intervengono su Berlusconi chiedendo il risanamento del gruppo. La prima risposta (di fatto imposta dalle banche) è la nomina di un manager con la fama di “duro”, Franco Tatò, ad amministratore delegato della Fininvest, con pieni poteri per andare a “mettere ordine” (testuali parole di Tatò) nella gestione e nelle finanze del Biscione. Di fatto, è un commissariamento. Dal punto di vista del contesto politico è anche peggio. Nel 1992-93, l’inchiesta milanese di Mani pulite avvia quel processo che finisce con il mettere fuori gioco tutti i protettori e sostenitori di Berlusconi: innanzitutto Bettino Craxi, ma anche una parte della Dc e i “miglioristi” del Pci.

Salta tutto il sistema di relazioni dentro cui Berlusconi ha potuto costruire e mantenere la sua posizione dominante sul mercato della tv e della pubblicità. Il rischio immediato è che venga messa in discussione la sua possibilità di detenere tre reti televisive. C’è poi un terzo ordine di problemi. Il pool di Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo sta scoperchiando i rapporti di corruzione che legano politica e affari e Berlusconi sa che prima o poi arriveranno anche a lui. Anzi: le indagini di Mani pulite hanno già cominciato a lambire le sue aziende e i suoi uomini. Già nel 1992 il pool di Mani pulite indaga sugli appalti della Coge di Parma, un’impresa partecipata dalla famiglia Berlusconi. Nello stesso periodo, Paolo Berlusconi ammette di aver pagato una mazzetta di 150 milioni di lire a un dirigente della Dc per la gestione delle discariche lombarde. Il nome Fininvest viene fatto per la prima volta nelle indagini di Mani pulite dal senatore Dc Augusto Rezzonico, a proposito di una possibile tangente pagata nella capitale. Poi si aprono a Milano e a Roma inchieste sui palazzi venduti dalla famiglia Berlusconi al fondo pensioni Cariplo e ad altri enti pubblici.

A Torino s’indaga sull’apertura di un centro commerciale alla periferia della città. Altri procedimenti giudiziari vengono aperti sul budget per la campagna pubblicitaria tv anti-Aids del ministero della Sanità; sul piano delle frequenze televisive assegnate alle reti di Berlusconi; sui finanziamenti irregolari concessi dalla Fininvest ai festival e ai congressi di partito; sulle false fatture e i fondi neri di Publitalia, la concessionaria di pubblicità guidata da Dell’Utri… Insomma: Berlusconi sente il fiato delle procure sul collo. I suoi uomini e le sue aziende sono già oggetto di inchieste giudiziarie da parte di tre procure: Milano, Roma e Torino. Sa che prima o poi toccherà anche a lui. Ecco allora lo scatto. È in questo clima terribile – fine dell’espansione pubblicitaria, debiti galoppanti, caduta dei protettori politici, inchieste giudiziarie incombenti – che Berlusconi matura le decisioni più clamorose della sua vita. Come un giocatore di poker sull’orlo del tracollo, rilancia, rischia tutto, osa pensare l’impensabile. Invece di farsi prendere dal panico o di tentare qualche piccola reazione, punta tutta la posta, progetta le mosse che possono farlo tornare a vincere: “L’Italia è il Paese che amo…”.

Da Il Fatto Quotidiano del lunedì del 20 gennaio 2014
camillobenso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

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A parte la recente condanna per frode fiscale (riferita peraltro a fatti più recenti), praticamente c'è il nulla.
mariok


Tenendo conto che SB è un discepolo di Joseph Goebbels, un discepolo che certamente ha superato il maestro, che con questa massima ha fatto grande il Nazionalsocialismo:

“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità.”

e di conseguenza non dirà mai la verità, io sarei disposto a condonargli tutto se ci spiega come ha fatto a ripianare questo debito in tempi relativamente brevi, nominandolo ministro dell’economia a vita per ripianare il nostro debito pubblico.

Perché solo un mago dell’economia può fare queste magie.

Come si può passare da una situazione debitoria di questo tipo :

Riguardo all'indebitamento, risulta, dal tradizionale rapporto con cui Mediobanca analizza ogni anno le dieci
maggiori aziende italiane, che le aziende del gruppo Berlusconi avevano nel 1992, 7.140 miliardi di lire di
debiti (4.475 finanziari e 2.665 commerciali), mentre il loro capitale netto ammontava a 1.053 miliardi.
Essendo questa una situazione ad alto rischio di bancarotta, peggiorata dal fatto che nel 1993 gli introiti
pubblicitari televisivi registrarono una crescita pari a zero (dopo molti anni di aumenti elevati e ininterrotti), le
banche creditrici cominciarono in quel periodo a richiedere il saldo dei conti.


E a classificarsi in Italia in questo modo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_degl ... orbes#2013


***

Avrebbe avuto senso per SB scendere in campo nel 1993 raccontando la vera motivazione?

“Bettino Craxi mi ha convinto a scendere in campo perché il CAF, è stato fatto fuori da Mani Pulite, e di conseguenza non ho più quella protezione che pagavo a suon di miliardi, ma che mi garantiva di farne molti altri per arricchirmi.

Devo scendere in campo per salvare me stesso dal carcere e le mie aziende dal fallimento. Tra poco, mi ha confermato Bettino, che fuggirà in Tunisia. Io mi devo difendere da solo e l’unica possibilità è scendere in prima persona in politica.”

Da una quindicina d’anni, Berlusconi era riuscito a tenere lontano dalle sue aziende il comando della GdF di Via Fabio Filzi. Le ispezioni venivano bloccate alla reception, a volte con l’ordine diretto di Craxi.

Quando magistratura e GdF hanno il via libera, è venuto fuori quello sconquasso.

Ma noi possiamo ammettere che SB poteva raccontare la verità??? Come avrebbe fatto a raccogliere tutto quel consenso?

Nel 1994, racconterà questa versione:



Il discorso della discesa in campo
"Per il mio paese"

26 gennaio 1994

"L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà (vigilata -ndt).

Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.(Infatti ha fatto fallire un Paese)

Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.

So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti.

La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L'autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica. Mai come in questo momento l'Italia, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare lo Stato.

Il movimento referendario ha condotto alla scelta popolare di un nuovo sistema di elezione del Parlamento. Ma affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che al cartello delle sinistre si opponga, un polo delle libertà che sia capace di attrarre a sé il meglio di un Paese pulito, ragionevole, moderno.

Di questo polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico che ha generosamente contribuito all'ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria. L'importante è saper proporre anche ai cittadini italiani gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno fin qui consentito lo sviluppo delle libertà in tutte le grandi democrazie occidentali.

Quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuno dei Paesi governati dai vecchi apparati comunisti, per quanto riverniciati e riciclati. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe fare eccezione proprio l'Italia. Gli orfani i e i nostalgici del comunismo, infatti, non sono soltanto impreparati al governo del Paese. Portano con sé anche un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con le esigenze di una amministrazione pubblica che voglia essere liberale in politica e liberista in economia.

Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell'iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell'individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l'apporto libero di tante persone tutte diverse l'una dall'altra. Non sono cambiati. Ascoltateli parlare, guardate i loro telegiornali pagati dallo Stato, leggete la loro stampa. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare il Paese in una piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna.

Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nell'individuo, nella famiglia, (allargata e puttaniera-ndt) nell'impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell'efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà, figlia della giustizia e della libertà.

Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi - ora, subito, prima che sia troppo tardi - è perché sogno, a occhi bene aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove al posto dell'invidia sociale e dell'odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l'amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita.

I1 movimento politico che vi propongo si chiama, non a caso, Forza Italia. Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di elettrici e di elettori di tipo totalmente nuovo: non l'ennesimo partito o l'ennesima fazione che nascono per dividere, ma una forza che nasce invece con l'obiettivo opposto; quello di unire, per dare finalmente all'Italia una maggioranza e un governo all'altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune.

Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili. Noi vogliamo rinnovare la società italiana, noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea occupazione e benessere, noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide produttive e tecnologiche dell'Europa e del mondo moderno. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, al Nord come al Sud vogliamo un governo e una maggioranza parlamentare che sappiano dare adeguata dignità al nucleo originario di ogni società, alla famiglia, che sappiano rispettare ogni fede e che suscitino ragionevoli speranze per chi è più debole, per chi cerca lavoro, per chi ha bisogno di cure, per chi, dopo una vita operosa, ha diritto di vivere in serenità. Un governo e una maggioranza che portino più attenzione e rispetto all'ambiente, che sappiano opporsi con la massima determinazione alla criminalità, alla corruzione, alla droga. Che sappiano garantire ai cittadini più sicurezza, più ordine e più efficienza.

La storia d'Italia è ad una svolta. Da imprenditore, da cittadino e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna timidezza ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato, vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di politica senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di un'Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno più prospera e serena più moderna ed efficiente protagonista in Europa e nel mondo.

Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano."
Silvio Berlusconi
(L'inchiapettatore mascarato - ndt)

*

Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano."

Infatti, dopo 20 anni, ha realizzato il nuovo miracolo italiani per noi e i nostri figli, ALLA ROVESCIA.

Ha portato allo sfascio l'Italia, L'HA PORTATA ALLA MISERIA.

Dal punto dei rapporti datore di lavoro, prestatore d'opera, NEPPURE IL FASCISMO ERA ARRIVATO A TANTO.
Amadeus

Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

Messaggio da Amadeus »

A parte la recente condanna per frode fiscale (riferita peraltro a fatti più recenti), praticamente c'è il nulla.
mariok
magari è innocente! :mrgreen:


(L'inchiapettatore mascarato - ndt)
ora è senza mascàra ;) . pare che stessero per uscire delle fotacce in cui si vedeva la piena decadenza di nonno Silvio e lui che fa? ci serve su un piatto d'argento la decrepitezza facendosi fare foto d'autore. è un geniaccio nonno silvio, he will inkiappettate us again 8-) :|



Le foto di Silvio Berlusconi senza photoshop del Sunday Times

http://www.polisblog.it/post/199305/le- ... nday-times

Fa uno strano effetto vedere le foto di Silvio Berlusconi pubblicate dal Sunday Times. Il Cavaliere, che nel corso della sua vita ha fatto di tutto per nascondere i segni del tempo che passa, ora si fa fotografare (e pubblicare) senza filtri, senza trucco, senza photoshop che lisci il volto e nasconda, di fatto, l’età di Berlusconi, che ha ormai raggiunto i 78 anni e il cui giovanilismo è sempre più difficile da rendere credibile.

Gallery: le foto di Berlusconi senza photoshop

E allora, forse dietro tutto questo c’è un tentativo di cambiare la strategia. D’altra parte già da qualche tempo il Cavaliere ha iniziato a definirsi “vecchio” o a parlare di se stesso come di un uomo “di una certa età”. Parole che fino a non molto tempo fa non sarebbero mai uscite dalla sua bocca. E adesso che Matteo Renzi ha portato il tema della gioventù al centro della politica, e che Forza Italia sta inseguendo un faticoso processo di ringiovanimento, cosa ci fanno queste foto che mostrano Berlusconi in tutta la sua vecchiaia?

Forse, adesso che non può più candidarsi a ruoli attivi - e mentre invece sta inseguendo sempre più il ruolo di “padre della patria” (attraverso il varo della nuova legge elettorale) - non serve più far finta di essere giovani. Al contrario, può essere quasi più utile mostrarsi vecchi, visto che la terza età è sinonimo della saggezza che a un “padre della patria” è richiesta e di cui Berlusconi, insomma, non ha mai fatto gran sfoggio.
mariok

Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

Messaggio da mariok »

Amadeus ha scritto:
A parte la recente condanna per frode fiscale (riferita peraltro a fatti più recenti), praticamente c'è il nulla.
mariok
magari è innocente! :mrgreen:
O magari ha corrotto un po' di giudici. ;)
Amadeus

Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

Messaggio da Amadeus »

mariok ha scritto:
Amadeus ha scritto:
A parte la recente condanna per frode fiscale (riferita peraltro a fatti più recenti), praticamente c'è il nulla.
mariok
magari è innocente! :mrgreen:
O magari ha corrotto un po' di giudici. ;)
ecco
subito a pensare male

:mrgreen:
camillobenso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

Messaggio da camillobenso »

Le informazioni incrociate.

Possiamo tranquillamente affermare, doppie informazioni incrociate.

Ieri sera la 7 ha mandato in onda in prima serata il film “IL DIVO”.

In un piccolo spezzone della fase finale della vita politica di Andreotti, viene menzionato l’archivio segreto di Belzebù. Le immagini ci fanno vedere Giulio che percorre spedito il corridoio di un locale abbastanza ampio con scaffali ai lati strapieni di fascicoli.

L’informazione dell’esistenza di un mastodontico archivio segreto del più potente leader Dc, l’aveva fornita un cronista de La Repubblica che sul finire degli anni ’80 si era recato nello studio privato di Andreotti quando era ancora in Piazza San Lorenzo in Lucina, per un intervista.

Raccontò il cronista che si trovò inaspettatamente lo studio aperto e senza controlli, fatto che gli permise “di accedere” ad una stanza adibita ad archivio di fascicoli.

Con quei fascicoli il Divo ha ricattato l’Italia intera e forse non solo l’Italia.

L’approvazione della legge che consenti a Giulio di prescrivere i reati di concorso esterno di mafia fino agli anni ’90, che servirono per mandarlo assolto al processo di Palermo, fu possibile grazie al concorso del Pci.

Come sosteneva il vecchio Giulio “ A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina”, fu grazie a quell’archivio che Andreotti costrinse il Pci ad approvare quella legge salvezza.

La seconda informazione incrociata è quella riportata da Barbacetto.

Domenica 4 aprile 1993, pomeriggio. Ad Arcore c’è una riunione cruciale. Presenti Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Bettino Craxi, ormai raggiunto da dieci avvisi di garanzia e non più segretario del Psi. La racconta Ezio Cartotto, il democristiano milanese assunto già un anno prima come consulente da Dell’Utri, con l’incarico segreto di studiare nuove forme d’intervento in politica.


Anche in questo caso è un giornalista di Repubblica a segnalare l’avvenimento.

La data esatta non la ricordo (sono passati vent’anni), ma ricordo bene l’aprile del 1993, in quanto questa informazione l’ho ripetuta più volte nei tre forum a partire dall’Ulivo.it.

L’informazione non veniva da Cartotto, ma bensì da un dirigente Fininvest convocato a Villa San Martino dal Cav.

Là si trattava di una forte lite scoppiata tra Bettino e Silvio, che non ne voleva saperne di scendere in politica, ed era di mattino.

Ma questo non toglie veridicità ai due cronisti perché è più che verosimile che dopo aver liquidato nella tarda mattina il dirigente Fininvest tutto sia proseguito nel pomeriggio con l’aggiunta di Dell’Utri e di Cartotto. Tanto che Barbacetto non fa cenno alla forte lite tra Silvio e Bettino.

Rimane comunque la conferma che quella domenica mattina di aprile ad Hardcore si sono decisi i destini dell’Italia.

Che te possiamo dì, Bettino che sei nei cieli? Grazie per averci mandato questo “Gras de rost?”

Traduzione dal meneghino, che Bettino conosceva bene:
Gras de rost = di persona pesante, sofistica, difficile da sopportare (Letteralmente grasso di arrosto)
camillobenso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso

Messaggio da camillobenso »

Corriere 26.1.14
«Le riforme di Matteo? No, sono le nostre»
Berlusconi rivendica l’accordo con il leader pd
di Paola Di Caro

ROMA - Deciderà solo all’ultimo minuto utile come festeggiare il ventennale della sua discesa in campo, e le ipotesi sono tante. Da una nota scritta fino alla presenza alla grande kermesse organizzata oggi a Bari da Raffaele Fitto, passando per un videomessaggio o una telefonata in diretta, Silvio Berlusconi sa che un segnale della sua presenza al centro della scena politica deve darlo.
Raccontano che avrebbe voglia di un «bagno di folla vero», quello che appunto potrebbe regalargli l’ex presidente della Puglia, tra i suoi l’uomo che gli ha fatto meno sconti sull’idea di riorganizzazione del partito che il Cavaliere ha in mente e sta mettendo in atto. Per questo, nel suo entourage c’è chi non vede di buon occhio una partecipazione alla festa pugliese che si prevede sì grandiosa, ma anche politicamente impegnativa, visto che è l’unico evento previsto per il ventennale e che, di fatto, oscurerebbe la convention che si era deciso di tenere il 27 marzo, in concomitanza con la prima vittoria di Forza Italia.
Fitto la sua prova di forza oggi la farà comunque, in ogni caso. Come in ogni caso, Berlusconi ha deciso di farsi sentire quotidianamente, nonostante sia ancora blindato fra massaggi, dieta e riunioni politiche a Villa Paradiso, beauty farm sul Garda. Da lì, anche ieri ha lavorato fianco a fianco con il suo nuovo consigliere politico nonché braccio destro Giovanni Toti, ma anche con Sandro Bondi, tornato nell’inner circle ristretto dove si decidono le mosse su partito e linea politica. Con un obiettivo sopra tutti: concentrarsi sulle Europee, e cercare la via per tornare a fare concorrenza a Matteo Renzi che resta «un interlocutore importante sulle riforme, ma anche il nostro avversario, da battere».
Per questo ci si muove su due direttrici. Sul partito, anche ieri si è discusso della necessità di dare a Forza Italia «una struttura collegiale, dove tutti si sentano coinvolti». Basta insomma con i «verticismi» dei capi attuali, sì a un comitato politico con i big dentro (dai capigruppo ai vice presidenti delle Camere, da Gelmini a Bondi, da Verdini a Crimi), con Toti nel ruolo - questo sarebbe l’obiettivo - di «mediatore» e cucitore delle varie anime, interne ed esterne al partito. Se poi il suo ruolo sarà quello di portavoce, o di coordinatore del comitato ristretto, si vedrà. Certamente il favore di uomini come Brunetta (il Mattinale da lui curato esalta le doti del neo-consigliere), Romani, Bondi e del cerchio magico berlusconiano ce l’ha, il resto sarà da costruire.
Per ora, è certo che l’ex direttore del Tg4 si sta concentrando assieme al Cavaliere sulle idee da mettere in campo in vista del le Europee. Che Berlusconi ieri, parlando telefonicamente a una festa di partito, ha cominciato ad abbozzare. Sull’impianto riformatore, il messaggio che deve passare è che appunto «dopo 20 anni di insulti, forse l’interlocutore» del partito avversario è stato trovato, ma con lui «abbiamo avviato un processo di riforme che non sono le riforme di Renzi ma le nostre stesse riforme fin dalla nostra discesa in campo». E’ il sindaco di Firenze insomma ad essere arrivato, tardi, sulle posizioni del Cavaliere, e non viceversa.
E siccome a Berlusconi e ai suoi sembra che Renzi stia per usare a man bassa le parole d’ordine che sono state di FI e del Pdl per anni anche su altri terreni, bisogna riprenderle e rilanciarle. A cominciare dall’Europa, dove «si fa la vera politica»: basta, è l’idea, con il vincolo del 3% se sforando si fanno investimenti utili al Paese, sì alla revisione del fiscal compact , sì a una Bce che immetta denaro nelle economie in crisi dell’Europa «come la Fed». Temi che appunto anche Renzi accarezza, e che andranno declinati con sempre maggiore nettezza. Come bisognerà mettere a punto proposte sul lavoro, sul modello del Job act renziano, ancora più drastiche: basta con la legge Fornero che ostacola la creazione di nuovo lavoro, meno burocrazia per le start up imprenditoriali, e via ai troppo stretti lacci che «impediscono la crescita».
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