THE CATHOLIC QUESTION
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
In questi giorni la casta sta premendo l’acceleratore sull'aggettivo “antipolitica”.
Classificherebbe “antipolitica” anche l’articolo di Famiglia Cristiana «La casta come i farisei»?
Io sottoscrivo parola dopo parola su quanto scritto dal settimanale cattolico.
Stamani il Corriere della Sera ha aperto con le prime 16 pagine dedicate ai fatti e misfatti quotidiani.
Da Lavitola in giù, a De Gregorio, al Celeste asseragliato nel Formigone, il grattacielo monumento innalzato a sua perpetua memoria, a Simone, Mugeri, Perego, la Minetti, Rosy Mauro e Belsito che avevano fatto sparire diamanti e lingotti d’oro.
Più che il Corriere della Sera sembrava il Corriere di Paperopoli che racconta i misfatti della nota Banda Bassotti.
E tutto questo stride con la pubblicazione in altre parti del giornale dei dati dei suicidi di chi non ce la fa più
Ma insopportabile è il rapportare il tutto con i cattolici in politica.
Hanno piantato un casino nauseante ai tempi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby, ma non fanno una piega per fermare questi suicidi per disperazione.
Classificherebbe “antipolitica” anche l’articolo di Famiglia Cristiana «La casta come i farisei»?
Io sottoscrivo parola dopo parola su quanto scritto dal settimanale cattolico.
Stamani il Corriere della Sera ha aperto con le prime 16 pagine dedicate ai fatti e misfatti quotidiani.
Da Lavitola in giù, a De Gregorio, al Celeste asseragliato nel Formigone, il grattacielo monumento innalzato a sua perpetua memoria, a Simone, Mugeri, Perego, la Minetti, Rosy Mauro e Belsito che avevano fatto sparire diamanti e lingotti d’oro.
Più che il Corriere della Sera sembrava il Corriere di Paperopoli che racconta i misfatti della nota Banda Bassotti.
E tutto questo stride con la pubblicazione in altre parti del giornale dei dati dei suicidi di chi non ce la fa più
Ma insopportabile è il rapportare il tutto con i cattolici in politica.
Hanno piantato un casino nauseante ai tempi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby, ma non fanno una piega per fermare questi suicidi per disperazione.
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Formi e Renato
I fan di Cochi e Renato non possono che apprendere con un velo di mestizia i particolari delle vacanze di Renato Pozzetto. Che non fa più coppia fissa con Cochi Ponzoni, ma con Roberto Formigoni. Poi però, ascoltate le spiegazioni della nuova spalla di Renato, a tempo perso governatore della Lombardia, devono riconoscere che, per tempi comici, battute folgoranti e costumi di scena, non ha nulla da invidiare al vecchio Cochi. La questione è nota: secondo le carte della Procura di Milano, a Capodanno 2010 il Celeste andava in ferie tra Parigi e St Martin (Caraibi) non solo col fratello, la cognata, il segretario Perego (condannato per falsa testimonianza sul caso Oil For Food) e Pozzetto, ma anche col faccendiere Pierangelo Daccò e con l’ex assessore Antonio Simone, arrestati l’altro giorno per i fondi neri della Fondazione Maugeri.
Entrambi ciellini e habituè delle patrie galere (il primo era appena uscito dal carcere per il crac da 1 miliardo del San Raffaele, il secondo era finito dentro già nel ’92 per Mani Pulite), fanno i facilitatori nella jungla dei fondi pubblici alle cliniche private anche grazie al poter spendere il nome del confratello Roberto. Risultato: 56 milioni portati in Svizzera a botte di fatture per consulenze mirabolanti, tipo quella volta ad accertare “le possibilità di vita su Marte”. Il minimo che Daccò potesse fare era pagare il conto dei voli e delle ville caraibiche. E la multiforme biografia di Formigoni si arricchisce ogni giorno di un nuovo mestiere: campione di scherma, membro (con rispetto parlando) dei Memores Domini ciellini con voto di castità incorporato e poi forse scorporato, vicepresidente (uno dei 14) del Parlamento europeo Dc ai tempi di Andreotti, dirigente del Ppi, sgovernatore di Lombardia da 18 anni e ora comico di sicuro avvenire. Ieri s’è detto “limpido come acqua di fonte” e ha ricordato che “anche Gesù sbagliò a scegliere qualche collaboratore” (sì, ma Giuda non era mai stato arrestato né condannato, quindi era più facile sbagliarsi).
L’altroieri aveva dato degli “sfigati” ai giornalisti del Corriere che avevano rivelato le sue ferie a sbafo. Sfigati perché “io, come tutti gli italiani, faccio vacanze di gruppo” e loro no. Le vacanze di gruppo, per chi non fosse italiano, funzionano così: “Uno si fa carico dei biglietti perchè conosce l’agenzia, l’altro paga l’hotel, il terzo le escursioni, il quarto i ristoranti, poi a fine vacanza ci si trova insieme ed eventualmente si conguaglia”. E’ tutto spiegato nel Manuale delle Vecchie Marmotte: lui, mentre gli altri pagavano voli, alberghi, escursioni e ristoranti, portava le camicie a fiori e le cravatte a righe fucsia e marron per tutti, così gli altri si ammazzavano dalle risate e non gli chiedevano il conguaglio. In ogni caso, ha aggiunto il fine umorista, “verificherò se quel viaggio l’ho veramente svolto”. Chiederà un po’ in giro: sapete mica se ho veramente svolto quel viaggio a Parigi e poi a Saint Martin? Perché lui non lo sa.
Ieri La Stampa titolava: “Viaggi pagati, l’ira di Formigoni”. Ecco: appena ha appreso di aver viaggiato, per giunta a spese altrui, s’è incazzato come una biscia. Se scopre chi gli ha pagato le ferie, gli fa un mazzo così. In attesa di sapere chi gli scrive i testi (Pozzetto?), gli specialisti studiano questa nuova forma della sindrome “a mia insaputa”, ancor più preoccupante di quella che ha colpito Scajola, Malinconico, Rutelli, Fede e Bossi. Due alternative. 1) Alla parola “ferie”, Formigoni cade subito in trance (ma c’è chi giura che sia proprio letargo). 2) Avendo paura dei voli, non solo non li paga, ma si fa ipnotizzare o anestetizzare all’imbarco. Lo risvegliano poi con comodo, al rientro, con una secchiata d’acqua purissima di fonte. Ma prima che riprenda conoscenza occorrono tempi lunghi. Il che spiegherebbe perchè al Pirellone si aggirano decine di soggetti con passamontagna, mascherina, calzamaglia, grimaldello, piede di porco e sacco in spalla, ma lui non nota mai nulla. Il giorno che scopre come lo vestono, fa una strage.
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2012
I fan di Cochi e Renato non possono che apprendere con un velo di mestizia i particolari delle vacanze di Renato Pozzetto. Che non fa più coppia fissa con Cochi Ponzoni, ma con Roberto Formigoni. Poi però, ascoltate le spiegazioni della nuova spalla di Renato, a tempo perso governatore della Lombardia, devono riconoscere che, per tempi comici, battute folgoranti e costumi di scena, non ha nulla da invidiare al vecchio Cochi. La questione è nota: secondo le carte della Procura di Milano, a Capodanno 2010 il Celeste andava in ferie tra Parigi e St Martin (Caraibi) non solo col fratello, la cognata, il segretario Perego (condannato per falsa testimonianza sul caso Oil For Food) e Pozzetto, ma anche col faccendiere Pierangelo Daccò e con l’ex assessore Antonio Simone, arrestati l’altro giorno per i fondi neri della Fondazione Maugeri.
Entrambi ciellini e habituè delle patrie galere (il primo era appena uscito dal carcere per il crac da 1 miliardo del San Raffaele, il secondo era finito dentro già nel ’92 per Mani Pulite), fanno i facilitatori nella jungla dei fondi pubblici alle cliniche private anche grazie al poter spendere il nome del confratello Roberto. Risultato: 56 milioni portati in Svizzera a botte di fatture per consulenze mirabolanti, tipo quella volta ad accertare “le possibilità di vita su Marte”. Il minimo che Daccò potesse fare era pagare il conto dei voli e delle ville caraibiche. E la multiforme biografia di Formigoni si arricchisce ogni giorno di un nuovo mestiere: campione di scherma, membro (con rispetto parlando) dei Memores Domini ciellini con voto di castità incorporato e poi forse scorporato, vicepresidente (uno dei 14) del Parlamento europeo Dc ai tempi di Andreotti, dirigente del Ppi, sgovernatore di Lombardia da 18 anni e ora comico di sicuro avvenire. Ieri s’è detto “limpido come acqua di fonte” e ha ricordato che “anche Gesù sbagliò a scegliere qualche collaboratore” (sì, ma Giuda non era mai stato arrestato né condannato, quindi era più facile sbagliarsi).
L’altroieri aveva dato degli “sfigati” ai giornalisti del Corriere che avevano rivelato le sue ferie a sbafo. Sfigati perché “io, come tutti gli italiani, faccio vacanze di gruppo” e loro no. Le vacanze di gruppo, per chi non fosse italiano, funzionano così: “Uno si fa carico dei biglietti perchè conosce l’agenzia, l’altro paga l’hotel, il terzo le escursioni, il quarto i ristoranti, poi a fine vacanza ci si trova insieme ed eventualmente si conguaglia”. E’ tutto spiegato nel Manuale delle Vecchie Marmotte: lui, mentre gli altri pagavano voli, alberghi, escursioni e ristoranti, portava le camicie a fiori e le cravatte a righe fucsia e marron per tutti, così gli altri si ammazzavano dalle risate e non gli chiedevano il conguaglio. In ogni caso, ha aggiunto il fine umorista, “verificherò se quel viaggio l’ho veramente svolto”. Chiederà un po’ in giro: sapete mica se ho veramente svolto quel viaggio a Parigi e poi a Saint Martin? Perché lui non lo sa.
Ieri La Stampa titolava: “Viaggi pagati, l’ira di Formigoni”. Ecco: appena ha appreso di aver viaggiato, per giunta a spese altrui, s’è incazzato come una biscia. Se scopre chi gli ha pagato le ferie, gli fa un mazzo così. In attesa di sapere chi gli scrive i testi (Pozzetto?), gli specialisti studiano questa nuova forma della sindrome “a mia insaputa”, ancor più preoccupante di quella che ha colpito Scajola, Malinconico, Rutelli, Fede e Bossi. Due alternative. 1) Alla parola “ferie”, Formigoni cade subito in trance (ma c’è chi giura che sia proprio letargo). 2) Avendo paura dei voli, non solo non li paga, ma si fa ipnotizzare o anestetizzare all’imbarco. Lo risvegliano poi con comodo, al rientro, con una secchiata d’acqua purissima di fonte. Ma prima che riprenda conoscenza occorrono tempi lunghi. Il che spiegherebbe perchè al Pirellone si aggirano decine di soggetti con passamontagna, mascherina, calzamaglia, grimaldello, piede di porco e sacco in spalla, ma lui non nota mai nulla. Il giorno che scopre come lo vestono, fa una strage.
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2012
Re: THE CATHOLIC QUESTION
SCRIVE CARLA VITES, MOGLIE DI ANTONIO SIMONE
«Vi racconto l'amicizia tra Simone, Daccò e il governatore Formigoni»
Da Cielle agli scandali sanità, la lettera al Corriere
Venerdì scorso, all'interno della bufera giudiziaria che investe la sanità lombarda, è stato arrestato Antonio Simone, ex assessore alla Sanità negli anni Novanta, ciellino doc, tra i giovani che fecero parte dell' entourage ristretto di don Luigi Giussani, padre di Cl. Le indagini hanno già condotto in carcere il faccendiere Piero Daccò. Per Simone, che con Daccò è titolare di società che hanno operato all'estero, viene ipotizzato il reato di riciclaggio e associazione a delinquere nella creazione di fondi neri. Mercoledì, nel giorno del compleanno di Simone, che in carcere a San Vittore ha compiuto 58 anni, la moglie Carla Vites ha inviato una lettera al Corriere della Sera. La pubblichiamo di seguito.
Caro direttore,
ho letto l'intervista pubblicata dal suo giornale a Roberto Formigoni (pagina 9 del «Corriere della Sera»). Da privata cittadina e soprattutto da militante ciellina della prima ora non ho potuto trattenermi dal pormi una serie di domande, anche perché, pur essendo una persona qualunque, la sorte mi ha riservato una conoscenza ravvicinata con l'attuale Governatore della Regione Lombardia. Vede, conosco lui, Antonio Simone ed altri da circa trent'anni. In questa cerchia di relazioni ho avuto modo di condividere molte occasioni di vita di queste persone. Bene, Formigoni non può affermare che «conoscevo Daccò da molti anni, ma non ha mai avuto rapporti direttamente con me, ma con l'assessorato». E sorvoliamo sull'inaccettabile spiegazione riguardo la presenza della Minetti nella sua lista: «Me l'ha detto don Verzé». Scarica il barile sul prossimo, quando a lui sarebbe bastato domandarsi: «Ma questa qui, l'ha mai fatta in vita sua, non dico una riunione di partito, ma almeno di condominio?». E passiamo al fatto che possa serenamente dire che non ha mai avuto rapporti direttamente con Daccò. Ebbene lo spettacolo dei suoi «rapporti» con Daccò è sotto gli occhi dei molti chef d'alto bordo dove regolarmente veniva nutrito a spese di Daccò stesso, vuoi Sadler, vuoi Cracco, vuoi Santin, vuoi Aimo e Nadia, per non parlare dei locali «à la page» della Costa Smeralda dove a chi, come me, accadeva di passare per motivi vari, era possibilissimo ammirare il nostro Governatore seguire come un cagnolino al guinzaglio Daccò, lo stesso con cui non aveva rapporti diretti. Vederli insieme era una gioia degli occhi: soprattutto per una come me che assieme a tanti altri meravigliosi amici di Cl ha militato per lui volantinando, incontrando gente, garantendo sulla sua persona. Era una gioia degli occhi perché - e qui secondo me è la vera tragedia, cioè non tanto se e come egli abbia intascato soldi - Robertino con Daccò e tutta la sua famigliola, si divertiva e tanto! Eccolo con la sua «24 ore»: me lo vedo sul molo di Portisco arrivare diritto da Milano pronto ad imbarcarsi sullo yacht di Daccò dove le sue figliole (guarda caso, non sono depositarie del diritto a usare del Pirellone come mega location per eventi da migliaia di euro a botta?) lo attendevano con ansia pronte a togliersi il pezzo di sopra del bikini appena il capitano avesse tirato su l'ancora, perché così il sole si prende meglio, chiaramente. Era una gioia degli occhi, ma anche delle orecchie sentire Erika Daccò dire a chiare e forti lettere, me presente, nel giugno 2011, durante una cena - con il suo compagno allora assessore alla Cultura della Regione Lombardia, il quale, interrogato dalla sottoscritta su cosa avrebbe parlato ad un prossimo convegno, ovviamente rispose: «Ma di cultura!». E io a dirmi: «Che stupida sei: un assessore alla Cultura di cosa vuoi che parli? Ma di cultura! E se fosse stato all'agricoltura? Di agricoltura» -: «Pensa noi Daccò siamo i migliori amici di Formigoni e non riusciamo a dirgli di non indossare quelle orrende camicie a fiori»! Ma certo, ci credo anch'io che Robertino non abbia mai raccolto soldi od altri effetti dalle frequentazioni col faccendiere Daccò: a lui bastava l'onore di essere al centro di feste e banchetti, yacht e ville. Che se ne dovrebbe fare dei soldi uno così narcisista? I soldi a lui non servivano. Tranne per qualche camicia a fiori o per una giacca orrendamente gialla. Cl, a mio avviso, deve avere un sussulto di gelosia per la propria identità, per quello che Giussani pensava al momento della fondazione. A questo punto, bisogna domandarsi, con Benedetto XVI: «Perché facciamo quello che facciamo?» Per finire, credo che il travaso di bile di cui questa mia è segno non sarebbe forse avvenuto se, dopo avere letto sul «Corriere», a pagina 9, le falsità dette da Roberto, non avessi visto, nella Cronaca di Milano, il Governatore a tutto campo mollemente adagiato su un letto megagalattico del Salone del Mobile, che se la ride soddisfatto. Vede, oggi (ieri, ndr) è il 58° compleanno del suo migliore amico Antonio Simone, detenuto nelle patrie galere di San Vittore da venerdì alle 16.
Mi risulta che il suo migliore amico, mentre lui si adagia mollemente a beneficio dei giornalisti esibendo quel che resta di un fisico a suo tempo quasi prestante, deve discutere su chi oggi avrà il diritto di allungare le proprie di gambe all'interno di una cella che ospita altri 5 detenuti.
Ecco, allora io vorrei approfittare per dire, davanti a tutti: «Auguri Antonio!».
Carla Vites
19 aprile 2012 | 10:24
http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 6249.shtml
«Vi racconto l'amicizia tra Simone, Daccò e il governatore Formigoni»
Da Cielle agli scandali sanità, la lettera al Corriere
Venerdì scorso, all'interno della bufera giudiziaria che investe la sanità lombarda, è stato arrestato Antonio Simone, ex assessore alla Sanità negli anni Novanta, ciellino doc, tra i giovani che fecero parte dell' entourage ristretto di don Luigi Giussani, padre di Cl. Le indagini hanno già condotto in carcere il faccendiere Piero Daccò. Per Simone, che con Daccò è titolare di società che hanno operato all'estero, viene ipotizzato il reato di riciclaggio e associazione a delinquere nella creazione di fondi neri. Mercoledì, nel giorno del compleanno di Simone, che in carcere a San Vittore ha compiuto 58 anni, la moglie Carla Vites ha inviato una lettera al Corriere della Sera. La pubblichiamo di seguito.
Caro direttore,
ho letto l'intervista pubblicata dal suo giornale a Roberto Formigoni (pagina 9 del «Corriere della Sera»). Da privata cittadina e soprattutto da militante ciellina della prima ora non ho potuto trattenermi dal pormi una serie di domande, anche perché, pur essendo una persona qualunque, la sorte mi ha riservato una conoscenza ravvicinata con l'attuale Governatore della Regione Lombardia. Vede, conosco lui, Antonio Simone ed altri da circa trent'anni. In questa cerchia di relazioni ho avuto modo di condividere molte occasioni di vita di queste persone. Bene, Formigoni non può affermare che «conoscevo Daccò da molti anni, ma non ha mai avuto rapporti direttamente con me, ma con l'assessorato». E sorvoliamo sull'inaccettabile spiegazione riguardo la presenza della Minetti nella sua lista: «Me l'ha detto don Verzé». Scarica il barile sul prossimo, quando a lui sarebbe bastato domandarsi: «Ma questa qui, l'ha mai fatta in vita sua, non dico una riunione di partito, ma almeno di condominio?». E passiamo al fatto che possa serenamente dire che non ha mai avuto rapporti direttamente con Daccò. Ebbene lo spettacolo dei suoi «rapporti» con Daccò è sotto gli occhi dei molti chef d'alto bordo dove regolarmente veniva nutrito a spese di Daccò stesso, vuoi Sadler, vuoi Cracco, vuoi Santin, vuoi Aimo e Nadia, per non parlare dei locali «à la page» della Costa Smeralda dove a chi, come me, accadeva di passare per motivi vari, era possibilissimo ammirare il nostro Governatore seguire come un cagnolino al guinzaglio Daccò, lo stesso con cui non aveva rapporti diretti. Vederli insieme era una gioia degli occhi: soprattutto per una come me che assieme a tanti altri meravigliosi amici di Cl ha militato per lui volantinando, incontrando gente, garantendo sulla sua persona. Era una gioia degli occhi perché - e qui secondo me è la vera tragedia, cioè non tanto se e come egli abbia intascato soldi - Robertino con Daccò e tutta la sua famigliola, si divertiva e tanto! Eccolo con la sua «24 ore»: me lo vedo sul molo di Portisco arrivare diritto da Milano pronto ad imbarcarsi sullo yacht di Daccò dove le sue figliole (guarda caso, non sono depositarie del diritto a usare del Pirellone come mega location per eventi da migliaia di euro a botta?) lo attendevano con ansia pronte a togliersi il pezzo di sopra del bikini appena il capitano avesse tirato su l'ancora, perché così il sole si prende meglio, chiaramente. Era una gioia degli occhi, ma anche delle orecchie sentire Erika Daccò dire a chiare e forti lettere, me presente, nel giugno 2011, durante una cena - con il suo compagno allora assessore alla Cultura della Regione Lombardia, il quale, interrogato dalla sottoscritta su cosa avrebbe parlato ad un prossimo convegno, ovviamente rispose: «Ma di cultura!». E io a dirmi: «Che stupida sei: un assessore alla Cultura di cosa vuoi che parli? Ma di cultura! E se fosse stato all'agricoltura? Di agricoltura» -: «Pensa noi Daccò siamo i migliori amici di Formigoni e non riusciamo a dirgli di non indossare quelle orrende camicie a fiori»! Ma certo, ci credo anch'io che Robertino non abbia mai raccolto soldi od altri effetti dalle frequentazioni col faccendiere Daccò: a lui bastava l'onore di essere al centro di feste e banchetti, yacht e ville. Che se ne dovrebbe fare dei soldi uno così narcisista? I soldi a lui non servivano. Tranne per qualche camicia a fiori o per una giacca orrendamente gialla. Cl, a mio avviso, deve avere un sussulto di gelosia per la propria identità, per quello che Giussani pensava al momento della fondazione. A questo punto, bisogna domandarsi, con Benedetto XVI: «Perché facciamo quello che facciamo?» Per finire, credo che il travaso di bile di cui questa mia è segno non sarebbe forse avvenuto se, dopo avere letto sul «Corriere», a pagina 9, le falsità dette da Roberto, non avessi visto, nella Cronaca di Milano, il Governatore a tutto campo mollemente adagiato su un letto megagalattico del Salone del Mobile, che se la ride soddisfatto. Vede, oggi (ieri, ndr) è il 58° compleanno del suo migliore amico Antonio Simone, detenuto nelle patrie galere di San Vittore da venerdì alle 16.
Mi risulta che il suo migliore amico, mentre lui si adagia mollemente a beneficio dei giornalisti esibendo quel che resta di un fisico a suo tempo quasi prestante, deve discutere su chi oggi avrà il diritto di allungare le proprie di gambe all'interno di una cella che ospita altri 5 detenuti.
Ecco, allora io vorrei approfittare per dire, davanti a tutti: «Auguri Antonio!».
Carla Vites
19 aprile 2012 | 10:24
http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 6249.shtml
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Homepage > BLOG di Silvio Di Giorgio
di Silvio Di Giorgio | 19 aprile 2012
Gesù replica a Formigoni
Gentile Direttore,
Non è mia abitudine replicare tramite la stampa, ma la frase del Presidente Formigoni (“Anche Gesù ha sbagliato a scegliersi uno dei collaboratori, non pensiamo di essere impeccabili”) impone uno strappo alla regola.
Ero in camerino, mancavano pochi minuti alla mia apparizione ad una carmelitana messicana, quando sul mio profilo Twitter è apparso quel messaggio. Non me la sentivo più di andare in scena: ero così seccato che al mio posto ho mandato Padre Pio.
Ho già i miei bei problemi a tenere a bada quel tizio dalle scarpe rosse che dice di parlare in mio nome nonostante non abbia letto neanche un bignami del Vangelo: non mi servono altre seccature.
Chiariamo subito. Giuda è stato volutamente scelto, non si è trattato di un errore. La sceneggiatura prevedeva che qualcuno mi tradisse e poiché all’epoca non c’era un De Gregorio o un Mastella a portata di mano abbiamo indetto una durissima selezione vinta meritatamente da Giuda. Parlare di errore equivale a non riconoscere la professionalità di un traditore serio e preparato.
Per ascendere al Padre ho sborsato tutto di tasca mia, nessun finanziatore generoso, mentre la provenienza dei biglietti dei viaggi aerei di Formigoni è ancora da verificare. Per non parlare di quelli via mare: io in super economy a piedi, lui in yacht super accessoriati.
E la coerenza? Formigoni ha parlato di tagli e di sacrifici in mezzo a barche di lusso. Quando io invitavo a porgere l’altra guancia non lo facevo mica mentre prendevo a calci in culo Caifa!
Che dire poi dell’abbigliamento? Se mi fossi vestito come lui mi avrebbero crocifisso molto prima. Le sue camicie non le avrei usate nemmeno come sudario. Questione di stile.
Spero che questa lettera abbia chiarito una volta per tutte l’inopportunità del riferimento alla mia persona. Approfitto della presente per prendere le distanze dall’Opus Dei.
Cordiali Saluti Gesù “Cristo” da Nazareth
di Silvio Di Giorgio | 19 aprile 2012
Gesù replica a Formigoni
Gentile Direttore,
Non è mia abitudine replicare tramite la stampa, ma la frase del Presidente Formigoni (“Anche Gesù ha sbagliato a scegliersi uno dei collaboratori, non pensiamo di essere impeccabili”) impone uno strappo alla regola.
Ero in camerino, mancavano pochi minuti alla mia apparizione ad una carmelitana messicana, quando sul mio profilo Twitter è apparso quel messaggio. Non me la sentivo più di andare in scena: ero così seccato che al mio posto ho mandato Padre Pio.
Ho già i miei bei problemi a tenere a bada quel tizio dalle scarpe rosse che dice di parlare in mio nome nonostante non abbia letto neanche un bignami del Vangelo: non mi servono altre seccature.
Chiariamo subito. Giuda è stato volutamente scelto, non si è trattato di un errore. La sceneggiatura prevedeva che qualcuno mi tradisse e poiché all’epoca non c’era un De Gregorio o un Mastella a portata di mano abbiamo indetto una durissima selezione vinta meritatamente da Giuda. Parlare di errore equivale a non riconoscere la professionalità di un traditore serio e preparato.
Per ascendere al Padre ho sborsato tutto di tasca mia, nessun finanziatore generoso, mentre la provenienza dei biglietti dei viaggi aerei di Formigoni è ancora da verificare. Per non parlare di quelli via mare: io in super economy a piedi, lui in yacht super accessoriati.
E la coerenza? Formigoni ha parlato di tagli e di sacrifici in mezzo a barche di lusso. Quando io invitavo a porgere l’altra guancia non lo facevo mica mentre prendevo a calci in culo Caifa!
Che dire poi dell’abbigliamento? Se mi fossi vestito come lui mi avrebbero crocifisso molto prima. Le sue camicie non le avrei usate nemmeno come sudario. Questione di stile.
Spero che questa lettera abbia chiarito una volta per tutte l’inopportunità del riferimento alla mia persona. Approfitto della presente per prendere le distanze dall’Opus Dei.
Cordiali Saluti Gesù “Cristo” da Nazareth
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Ma un programma come quello di Hollande (eutanasia compresa) lo sosterrebbero?myriam ha scritto:allo stesso tempo conosco cattolici maturi che hanno sempre votato il cs.
Non so.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Robert Harris, "Archangel"
Re: THE CATHOLIC QUESTION
Genova, il cardinal Bagnasco incoraggia il Pdl. Ma i preti di strada sono con Doria
La Curia è dalla parte del candidato di centrodestra Pierluigi Vinai. Don Andrea Gallo e don Paolo Farinella, invece, scelgono l'uomo del centrosinistra. Il centrista Musso senza benedizioni: "E' una guerra parrocchiale, altro che laicità dello Stato"
di Ferruccio Sansa | 25 aprile 2012
Il pulpito della politica. Più che il palcoscenico. Succede a Genova, dove cardinali e sacerdoti scendono più o meno apertamente in campo. Alla faccia dell’unità dei cattolici: da una parte gerarchie ecclesiastiche, dall’altra semplici sacerdoti. Mentre la Curia “incoraggia” un candidato del centrodestra, due amatissimi preti di strada, don Andrea Gallo a don Paolo Farinella, scelgono Marco Doria (centrosinistra). Così c’è chi invoca la laicità, come Enrico Musso, candidato “dimenticato” dalla Chiesa (corre con una lista civica ed è appoggiato dal Terzo Polo): “Sono amico di don Gallo e lo stimo immensamente. Anche don Farinella fa del bene. Ma tra gerarchie e sacerdoti stiamo assistendo a una guerra tra parrocchie. Altro che laicità dello Stato!”.
Tutto comincia quando il centrodestra dopo lunghi travagli candida Pierluigi Vinai. Le cronache riportano che a convincerlo sarebbero stati gli incoraggiamenti del cardinale Angelo Bagnasco. Dalla Curia nessuna smentita. Al Fatto Quotidiano, il candidato Pdl l’ha spiegata così: “È stato soltanto l’incoraggiamento a scendere in campo fatto a una persona amica”. A Genova, però, in molti hanno storto il naso. A smorzare le critiche non sono bastati gli articoli sul Cittadino, periodico ecclesiastico, in cui si sosteneva che la Chiesa ligure non era schierata e si ricordava che “non è consentito offrire spazi parrocchiali ai candidati di qualsiasi par tito”.
Del resto da anni è noto l’attivismo delle gerarchie (a cominciare dai tempi di Tarcisio Bertone) nella politica, ma anche nella finanza e nell’impresa. C’è chi, per dire, ricorda quando il presidente della Regione, Claudio Burlando (centrosinistra), rinunciò a nominare un membro della fondazione della potentissima banca Carige, lasciando la poltrona alla Curia. Non basta: la Chiesa si è lanciata nel business del mattone, riconvertendo in case quelli che erano ospedali e colonie, mentre i vecchi campetti parrocchiali diventavano box. Operazioni da centinaia di milioni, come i porti progettati da imprenditori vicini al Vaticano insieme con figure del centrodestra nel Levante ligure. Per non dire di Giuseppe Profiti: il manager toccato dal ciclone Mensopoli finì agli arresti domiciliari, ma fu sempre sostenuto da Bertone, tanto da essere ricevuto dal Papa in visita a Savona nel mezzo dell’inchiesta. Profiti in primo grado è stato condannato a sei mesi di reclusione, ma l’inciampo non ha impedito di nominarlo presidente del Bambino Gesù di Roma, una sorta di ministro della Sanità vaticana.
Fino al capitolo Vinai, persona da sempre a cavallo tra fede cattolica e berlusconiana. Legato all’Opus Dei, vice-presidente (oggi autosospeso) della fondazione Carige, è sponsorizzato da Claudio Scajola. L’ex ministro di cui in Liguria si ricordano frequenti strette di mano con porporati. Ma nella Chiesa genovese tanti la pensano diversamente. Soprattutto i sacerdoti da sempre lontani dalle gerarchie e impegnati nei quartieri difficili, nella lotta contro l’emarginazione. Il primo è stato don Gallo, uno che delle sue idee politiche non ha mai fatto mistero: “Doria il programma lo costruisce con la gente”, ha detto il fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto. Ma sempre parlando in “campo neutro ”.
Don Farinella, se possibile, è ancora meno diplomatico di don Gallo. Domenica mattina ecco la sua rubrica su Repubblica: “Prevedo che Marco Doria passerà al primo turno…e avrà un buon risultato il Movimento Cinque Stelle… ne risulterebbe un bellissimo consiglio comunale”. Ancora: Doria è “persona integerrima al di fuori degli attuali impresentabili partiti”. Una sberla al centrodestra e al centrosinistra. Ma non solo: don Paolo parla anche della “cricca clerical-fascista di Scajola”. Farinella, però, non si è fermato all’articolo in cui nominava due candidate al consiglio di Pd e Idv.
Domenica, durante la sua messa nella chiesa di San Torpete, ha ripetuto le stesse parole e ha invitato alcuni candidati sull’altare. Don Farinella l’ha spiegata così: “Finché la Curia appoggia un candidato dell’Opus Dei e che si presenta sempre come cattolico e non merita niente, io sento il dovere di presentare nella mia parrocchia persone pulite e oneste che si mettono al servizio della città”. Musso non ci sta: “In questa campagna elettorale si utilizza il magistero e la fiducia dei credenti per influenzare il confronto politico”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... ia/208364/
La Curia è dalla parte del candidato di centrodestra Pierluigi Vinai. Don Andrea Gallo e don Paolo Farinella, invece, scelgono l'uomo del centrosinistra. Il centrista Musso senza benedizioni: "E' una guerra parrocchiale, altro che laicità dello Stato"
di Ferruccio Sansa | 25 aprile 2012
Il pulpito della politica. Più che il palcoscenico. Succede a Genova, dove cardinali e sacerdoti scendono più o meno apertamente in campo. Alla faccia dell’unità dei cattolici: da una parte gerarchie ecclesiastiche, dall’altra semplici sacerdoti. Mentre la Curia “incoraggia” un candidato del centrodestra, due amatissimi preti di strada, don Andrea Gallo a don Paolo Farinella, scelgono Marco Doria (centrosinistra). Così c’è chi invoca la laicità, come Enrico Musso, candidato “dimenticato” dalla Chiesa (corre con una lista civica ed è appoggiato dal Terzo Polo): “Sono amico di don Gallo e lo stimo immensamente. Anche don Farinella fa del bene. Ma tra gerarchie e sacerdoti stiamo assistendo a una guerra tra parrocchie. Altro che laicità dello Stato!”.
Tutto comincia quando il centrodestra dopo lunghi travagli candida Pierluigi Vinai. Le cronache riportano che a convincerlo sarebbero stati gli incoraggiamenti del cardinale Angelo Bagnasco. Dalla Curia nessuna smentita. Al Fatto Quotidiano, il candidato Pdl l’ha spiegata così: “È stato soltanto l’incoraggiamento a scendere in campo fatto a una persona amica”. A Genova, però, in molti hanno storto il naso. A smorzare le critiche non sono bastati gli articoli sul Cittadino, periodico ecclesiastico, in cui si sosteneva che la Chiesa ligure non era schierata e si ricordava che “non è consentito offrire spazi parrocchiali ai candidati di qualsiasi par tito”.
Del resto da anni è noto l’attivismo delle gerarchie (a cominciare dai tempi di Tarcisio Bertone) nella politica, ma anche nella finanza e nell’impresa. C’è chi, per dire, ricorda quando il presidente della Regione, Claudio Burlando (centrosinistra), rinunciò a nominare un membro della fondazione della potentissima banca Carige, lasciando la poltrona alla Curia. Non basta: la Chiesa si è lanciata nel business del mattone, riconvertendo in case quelli che erano ospedali e colonie, mentre i vecchi campetti parrocchiali diventavano box. Operazioni da centinaia di milioni, come i porti progettati da imprenditori vicini al Vaticano insieme con figure del centrodestra nel Levante ligure. Per non dire di Giuseppe Profiti: il manager toccato dal ciclone Mensopoli finì agli arresti domiciliari, ma fu sempre sostenuto da Bertone, tanto da essere ricevuto dal Papa in visita a Savona nel mezzo dell’inchiesta. Profiti in primo grado è stato condannato a sei mesi di reclusione, ma l’inciampo non ha impedito di nominarlo presidente del Bambino Gesù di Roma, una sorta di ministro della Sanità vaticana.
Fino al capitolo Vinai, persona da sempre a cavallo tra fede cattolica e berlusconiana. Legato all’Opus Dei, vice-presidente (oggi autosospeso) della fondazione Carige, è sponsorizzato da Claudio Scajola. L’ex ministro di cui in Liguria si ricordano frequenti strette di mano con porporati. Ma nella Chiesa genovese tanti la pensano diversamente. Soprattutto i sacerdoti da sempre lontani dalle gerarchie e impegnati nei quartieri difficili, nella lotta contro l’emarginazione. Il primo è stato don Gallo, uno che delle sue idee politiche non ha mai fatto mistero: “Doria il programma lo costruisce con la gente”, ha detto il fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto. Ma sempre parlando in “campo neutro ”.
Don Farinella, se possibile, è ancora meno diplomatico di don Gallo. Domenica mattina ecco la sua rubrica su Repubblica: “Prevedo che Marco Doria passerà al primo turno…e avrà un buon risultato il Movimento Cinque Stelle… ne risulterebbe un bellissimo consiglio comunale”. Ancora: Doria è “persona integerrima al di fuori degli attuali impresentabili partiti”. Una sberla al centrodestra e al centrosinistra. Ma non solo: don Paolo parla anche della “cricca clerical-fascista di Scajola”. Farinella, però, non si è fermato all’articolo in cui nominava due candidate al consiglio di Pd e Idv.
Domenica, durante la sua messa nella chiesa di San Torpete, ha ripetuto le stesse parole e ha invitato alcuni candidati sull’altare. Don Farinella l’ha spiegata così: “Finché la Curia appoggia un candidato dell’Opus Dei e che si presenta sempre come cattolico e non merita niente, io sento il dovere di presentare nella mia parrocchia persone pulite e oneste che si mettono al servizio della città”. Musso non ci sta: “In questa campagna elettorale si utilizza il magistero e la fiducia dei credenti per influenzare il confronto politico”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... ia/208364/
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Il governo e l'ammucchiata cattolica vogliono dire una buona volta quale numero di suicidi hanno stabilito prima di intervenire in economia con provvedimenti che facciano cessare questa strage???
LA CRISI
Imprenditore licenzia due figli e si suicida
L'uomo aveva una ditta di costruzioni nel nuorese
MILANO - Un imprenditore edile di 55 anni di Mamoiada, nel nuorese, si è suicidato venerdì dopo che la sua azienda era stata costretta a chiudere i battenti a causa della crisi. Secondo quanto riporta l'Unione sarda, era stato costretto anche a licenziare i suoi due figli. L'imprenditore si è ucciso con un colpo di pistola in una vigna di sua proprietà e non ha lasciato nessun biglietto.
DISPERAZIONE - I testimoni in paese sostengono che il gesto è stato dettato proprio dalla mancanza di lavoro. L'imprenditore aveva dato occupazione a diversi giovani del paese, fino a che c'erano state commesse per la costruzione di case di villeggiatura lungo la costa. Negli ultimi mesi, però, gli ordini erano andati in calando fino alla decisione di licenziare anche i suoi due figli. «Non potevamo immaginare nemmeno lontanamente il dramma interiore che quest'uomo stava attraversando - racconta all'Unione Sarda il sindaco del comune della Barbagia, Graziano Deiana - faceva parte di una famiglia molto unita, era una persona in gamba».
Redazione Online
29 aprile 2012 | 16:22
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere.it
LA CRISI
Imprenditore licenzia due figli e si suicida
L'uomo aveva una ditta di costruzioni nel nuorese
MILANO - Un imprenditore edile di 55 anni di Mamoiada, nel nuorese, si è suicidato venerdì dopo che la sua azienda era stata costretta a chiudere i battenti a causa della crisi. Secondo quanto riporta l'Unione sarda, era stato costretto anche a licenziare i suoi due figli. L'imprenditore si è ucciso con un colpo di pistola in una vigna di sua proprietà e non ha lasciato nessun biglietto.
DISPERAZIONE - I testimoni in paese sostengono che il gesto è stato dettato proprio dalla mancanza di lavoro. L'imprenditore aveva dato occupazione a diversi giovani del paese, fino a che c'erano state commesse per la costruzione di case di villeggiatura lungo la costa. Negli ultimi mesi, però, gli ordini erano andati in calando fino alla decisione di licenziare anche i suoi due figli. «Non potevamo immaginare nemmeno lontanamente il dramma interiore che quest'uomo stava attraversando - racconta all'Unione Sarda il sindaco del comune della Barbagia, Graziano Deiana - faceva parte di una famiglia molto unita, era una persona in gamba».
Redazione Online
29 aprile 2012 | 16:22
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
e le 54 donne, dall'inizio dell'anno, uccise dai propri partners ce le metterei pure nella black list
....anche su questo versante solo " chiacchiere e distintivi " ...e manifestazioni che non arrivano mai a modificare un bel niente .
....anche su questo versante solo " chiacchiere e distintivi " ...e manifestazioni che non arrivano mai a modificare un bel niente .
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Questo è un problema culturale. La televisione del servizio pubblico dovrebbe servire a lunghi approfondimenti su temi come questi. Occorre scavare nel profondo della vita di coppia e non solo. Bisogna comprendere quali sono le motivazioni che spingono a tanto.Amadeus ha scritto:e le 54 donne, dall'inizio dell'anno, uccise dai propri partners ce le metterei pure nella black list
....anche su questo versante solo " chiacchiere e distintivi " ...e manifestazioni che non arrivano mai a modificare un bel niente .
Occorre poi un'educazione scolastica in merito.
54 donne dall'inizio dell'anno sono un'esagerazione. Il Corriere ha pubblicato il viso diolce di Vanessa uccisa a 20 anni, ed è scattata la molla. Non si può morire a vent'anni in questo modo e con questa motivazione.
"Se non ora quando" si è mossa per una raccolta di firme, ma questo non basta è la televione che si deve impadronire del problema e sviscerare tutti i lati oscuri.
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Un uomo stesso bocconi sull’asfalto con un rivolo di sangue che esce dalla testa fracassata per via dell’automobile che lo ha appena investito può suscitare sentimenti multipli, compresa la pietà per lo sconosciuto steso sull’asfalto.
In tempo di guerra invece, dopo la presa visione dei primi cadaveri riversi lungo le strade o in altri luoghi, tutto diventa normale, non ci si fa più caso. A volte ci si inciampa, altre volte si schivano.
E’ preoccupante come l’uomo si adatta presto al peggio.
Ma una guerra è una guerra e una volta scatenata il cittadino comune non può farci niente, …deve solo subire. In tempi di “”pace””, intesi come guerra non guerreggiata, è difficile comprendere come possa scattare lo stesso meccanismo di assuefazione di fronte ai suicidi continui di cittadini del mondo del lavoro.
Lo stesso è accaduto per le 53 donne uccise dall’inizio dell’anno, un fatto grave ma rimasto nell’ambito dell’assuefazione. Forse è stata l’età, Vanessa aveva vent’anni, forse è stata la fotografia del Corriere della Sera che mostrava un viso giovane e dolce,….sta di fatto però che in questo caso la molla è scattata e le donne di “Se non ora quando”, e non solo perché ha inorridito anche una fascia maschile, hanno detto basta.
Ad oggi, a fronte di un numero certamente più significante di lavoratori e piccoli imprenditori che oramai con scadenza quotidiana trova una via d’uscita nel suicidio, questa molla non è ancora scattata.
Allora, caro Professor Monti e ammucchiata falsamente “cristiana”, ( i cattolici continuano a dimostrare di non essere affatto cristiani) a quale livello numerico avete fissato l’asticella dei suicidi, tale che vi induca a prendere rapide misure per arrestare questo massacro quotidiano?
Lo spread è più importante della vita umana, per i cattolici in politica sembrerebbe di si.
***
Napoli: licenziato deve lasciare lavoro e casa, portiere si impicca per disperazione
L'uomo, 55 anni, aveva ricevuto un anno fa la lettera con la comunicazione ed era in atto un contenzioso con i datori. Era separato e ultimamente soffriva di crisi depressive. Sul caso indaga la polizia che ascolterà la testimonianza del fratello
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 aprile 2012
Si allunga tragicamente la lista dei suicidi per “crisi”. Aveva ricevuto una lettera di licenziamento e, nei prossimi mesi, avrebbe dovuto lasciare la casa dove viveva. Ci sarebbe tutto questo dietro il suicidio di un portiere, a Napoli. L’uomo, 55 anni, si è ucciso, impiccandosi, nella sua abitazione. Il portiere, che lavorava e viveva, in uno stabile di corso Garibaldi, era divorziato e aveva due figli. Ai condomini era sempre apparso come una persona dal carattere forte.
Ultimamente, però, G.C., 56 anni, anche a seguito della morte di sua madre, nonché della separazione dalla moglie, sembra soffrisse di crisi depressive. Nel prossimo ottobre avrebbe dovuto lasciare l’alloggio da portiere in cui abitava. Giorni fa, però, i proprietari avevano fatto un sopralluogo per metterla in vendita, facendogli forse presagire un anticipo del suo allontanamento, e forse anche questo ha inciso sulla sua decisione. L’uomo aveva ricevuto un anno fa la comunicazione. Nel corso di quest’anno avrebbe dovuto lasciare quindi l’appartamento. Era anche in atto un contenzioso tra il portiere e i suoi datori di lavoro. La polizia sta svolgendo indagini per cercare di fare chiarezza. Probabilmente un contributo alle indagini potrà darlo il fratello dell’uomo già rintracciato dagli investigatori. Solo ieri un imprenditore agricolo sardo, dopo aver licenziato i suoi due figli, ha deciso di togliersi la vita. Nei giorni scorsi sono stati diversi i casi di uomini strozzati dalla crisi o dalle cartelle esattoriali che si sono uccisi.
In tempo di guerra invece, dopo la presa visione dei primi cadaveri riversi lungo le strade o in altri luoghi, tutto diventa normale, non ci si fa più caso. A volte ci si inciampa, altre volte si schivano.
E’ preoccupante come l’uomo si adatta presto al peggio.
Ma una guerra è una guerra e una volta scatenata il cittadino comune non può farci niente, …deve solo subire. In tempi di “”pace””, intesi come guerra non guerreggiata, è difficile comprendere come possa scattare lo stesso meccanismo di assuefazione di fronte ai suicidi continui di cittadini del mondo del lavoro.
Lo stesso è accaduto per le 53 donne uccise dall’inizio dell’anno, un fatto grave ma rimasto nell’ambito dell’assuefazione. Forse è stata l’età, Vanessa aveva vent’anni, forse è stata la fotografia del Corriere della Sera che mostrava un viso giovane e dolce,….sta di fatto però che in questo caso la molla è scattata e le donne di “Se non ora quando”, e non solo perché ha inorridito anche una fascia maschile, hanno detto basta.
Ad oggi, a fronte di un numero certamente più significante di lavoratori e piccoli imprenditori che oramai con scadenza quotidiana trova una via d’uscita nel suicidio, questa molla non è ancora scattata.
Allora, caro Professor Monti e ammucchiata falsamente “cristiana”, ( i cattolici continuano a dimostrare di non essere affatto cristiani) a quale livello numerico avete fissato l’asticella dei suicidi, tale che vi induca a prendere rapide misure per arrestare questo massacro quotidiano?
Lo spread è più importante della vita umana, per i cattolici in politica sembrerebbe di si.
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Napoli: licenziato deve lasciare lavoro e casa, portiere si impicca per disperazione
L'uomo, 55 anni, aveva ricevuto un anno fa la lettera con la comunicazione ed era in atto un contenzioso con i datori. Era separato e ultimamente soffriva di crisi depressive. Sul caso indaga la polizia che ascolterà la testimonianza del fratello
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 aprile 2012
Si allunga tragicamente la lista dei suicidi per “crisi”. Aveva ricevuto una lettera di licenziamento e, nei prossimi mesi, avrebbe dovuto lasciare la casa dove viveva. Ci sarebbe tutto questo dietro il suicidio di un portiere, a Napoli. L’uomo, 55 anni, si è ucciso, impiccandosi, nella sua abitazione. Il portiere, che lavorava e viveva, in uno stabile di corso Garibaldi, era divorziato e aveva due figli. Ai condomini era sempre apparso come una persona dal carattere forte.
Ultimamente, però, G.C., 56 anni, anche a seguito della morte di sua madre, nonché della separazione dalla moglie, sembra soffrisse di crisi depressive. Nel prossimo ottobre avrebbe dovuto lasciare l’alloggio da portiere in cui abitava. Giorni fa, però, i proprietari avevano fatto un sopralluogo per metterla in vendita, facendogli forse presagire un anticipo del suo allontanamento, e forse anche questo ha inciso sulla sua decisione. L’uomo aveva ricevuto un anno fa la comunicazione. Nel corso di quest’anno avrebbe dovuto lasciare quindi l’appartamento. Era anche in atto un contenzioso tra il portiere e i suoi datori di lavoro. La polizia sta svolgendo indagini per cercare di fare chiarezza. Probabilmente un contributo alle indagini potrà darlo il fratello dell’uomo già rintracciato dagli investigatori. Solo ieri un imprenditore agricolo sardo, dopo aver licenziato i suoi due figli, ha deciso di togliersi la vita. Nei giorni scorsi sono stati diversi i casi di uomini strozzati dalla crisi o dalle cartelle esattoriali che si sono uccisi.
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