Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto
La libertà è il diritto dell’anima a respirare. E noi, partecipando malgrado tutto, vogliamo continuare a respirare.Lo facciamo nel modo più opportuno possibile all’interno di questo forum che offre spazio a tutti coloro che credono nella democrazia
pancho ha scritto:Concordo pienamente con le analisi di Asor Rosa. Siamo un popolo senza un minimo di cultura politica?
La situazione d'oggi con i vari Renzi e Grillo rispecchio il paese. Un popolo che aspetta il suo condottiero non sarà' mai capace di risolvere i suoi problemi. Risolverà' solo quelli del suo condottiero.
Purtroppo questa situazione c'è la siamo voluta noi sedendoci sulle comodità di un certo periodo e lasciando che fossero gli altri a mandare avanti la baracca.
Dare tutte queste colpe ai veri Berlusca e co mi sembra un po' retorico anche se i manovratori certamente sono loro.
Ma noi dove eravamo? A guardare le partite stando allo stadio u davanti la tivo per non parlare poi dei grandi fratelli.
Fare politica chiusi nel proprio ambito famigliare non e' sufficiente contro la forza dei media e dei loro editori.
Un salutone da pancho
E' vero anche se forse chi scrive su questo Forum un po' di politica fuori delle mura domestiche l'ha fatta. Purtroppo è la grande massa degli italiani che ha fatto esattamente quello che dice Pancho, adesso dopo 30 anni di oblio, la vecchia generazione se ne è andata, quella nuovo è in gran parte cerebrolesa e chi come noi si ritrova nel mezzo non ha l'energia per fare la rivoluzione ma ha ancora la forza di indignarsi dinanzi a tale sfacelo.
Parlare, parlare, resistere, resistere e cercare di far risvegliare nella mente delle persone quella scintilla di razionalismo che li deve portare a chiedersi: perché siamo a questo punto? Di chi è la colpa? Come facciamo adesso a uscirne fuori? Eliminiamo coloro che vogliono solo il male del loro Popolo...
Da queste parti, come anticipato altrove, c'è il diluvio a sinistra.
Per la prima volta sto vedendo il vero volto della sinistra Pd spaccata in 4.
pancho ha scritto:Concordo pienamente con le analisi di Asor Rosa. Siamo un popolo senza un minimo di cultura politica?
La situazione d'oggi con i vari Renzi e Grillo rispecchio il paese. Un popolo che aspetta il suo condottiero non sarà' mai capace di risolvere i suoi problemi. Risolverà' solo quelli del suo condottiero.
Purtroppo questa situazione c'è la siamo voluta noi sedendoci sulle comodità di un certo periodo e lasciando che fossero gli altri a mandare avanti la baracca.
Dare tutte queste colpe ai veri Berlusca e co mi sembra un po' retorico anche se i manovratori certamente sono loro.
Ma noi dove eravamo? A guardare le partite stando allo stadio u davanti la tivo per non parlare poi dei grandi fratelli.
Fare politica chiusi nel proprio ambito famigliare non e' sufficiente contro la forza dei media e dei loro editori.
Un salutone da pancho
E' vero anche se forse chi scrive su questo Forum un po' di politica fuori delle mura domestiche l'ha fatta. Purtroppo è la grande massa degli italiani che ha fatto esattamente quello che dice Pancho, adesso dopo 30 anni di oblio, la vecchia generazione se ne è andata, quella nuovo è in gran parte cerebrolesa e chi come noi si ritrova nel mezzo non ha l'energia per fare la rivoluzione ma ha ancora la forza di indignarsi dinanzi a tale sfacelo.
Parlare, parlare, resistere, resistere e cercare di far risvegliare nella mente delle persone quella scintilla di razionalismo che li deve portare a chiedersi: perché siamo a questo punto? Di chi è la colpa? Come facciamo adesso a uscirne fuori? Eliminiamo coloro che vogliono solo il male del loro Popolo...
Da queste parti, come anticipato altrove, c'è il diluvio a sinistra.
Per la prima volta sto vedendo il vero volto della sinistra Pd spaccata in 4.
E' così anche da voi?
Io te l'ho già detto qual'è la situazione dalle mie parti.
Cmq tutto questo sta a dimostrare che le primarie non contano un .azzo fatte in questo modo e non fra gli iscritti.
Vogliono americanizzarci a tutti i costi alla Uolter ma non si rendono conto che le realtà nostrai e quella degli states eì ben diversa.
Ogni stato ha la sua storia, la sua cultura e in funzione di queste anche il proprio modo di far politica.
Ma proprio questo dovevano copiare!?
E' proprio vero, come dicono alcuni, che il PD e' come l'albero delle banane. Non ne fa una di dritta!
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Dalle mie parti è ormai in gran c***ino, tantissimi ex compagni non sanno più che pesci pigliare e prevedo per le prossime europee un'astensione monstre... Le primarie vanno fatte solo fra gli iscritti altrimenti si da voce a che del partito non gliene importa nulla anzi a chi lo vuole distruggere (tanto il PD in autodistruzione è un maestro indiscusso). Adesso vediamo se renzi verrà colpito dalla sindrome D'Alema o da quella Veltroni o da entrambe...
Civati: "Orientati a non votare la fiducia e ad uscire dal Pd"
-Redazione- Summit «ulivista» per Pippo Civati domenica a Bologna in vista del voto di fiducia al Governo Renzi.
In un post pubblicato questa mattina sul suo blog («Siccome non vi consulta nessuno», con riferimento alle consultazioni di Matteo Renzi) il parlamentare scrive: «Noi, nel nostro piccolo, lo facciamo. Non solo on line. Ci vediamo alla Scuderia, a Bologna», il locale di piazza Verdi nella zona universitaria della città di Romano Prodi.
L'appuntamento è per domenica mattina a partire dalle ore 10.
Un «incontro – sottolinea ancora Civati – aperto a tutti quelli che tengono alla sinistra e all'Ulivo, almeno un pò. Che di questi tempi…». L'appello viene subito raccolto e rilanciati dai civatiani bolognesi. «Non preoccupatevi per l'affollamento di bolognesi, venite tranquilli anche da lontano perchè troverete posto – scrive il consigliere del Saragozza Gianluigi Amadei su Facebook – Noi "indigeno" saremo numerosi – nonostante quello che vi raccontano sulla composizione del Pd a Bologna – ma ascolteremo da fuori per lasciare spazio e parola ai tanti ospiti. Ci vediamo lì».
Il parlamentare comunque anticipa quella che sarà la linea della sua corrente “Siamo orientati a non votare la fiducia e in tal caso usciremo dal Partito democratico”
Spero che Civati abbia valutato sia i tempi che il numero di quelli che potrebbero seguirlo in questa sua mossa altrimenti non sarebbe che un harakiri. Sperem ben daiii
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Il numero due di Renzi a Firenze Dario Nardella già chiede un cambio di nome del partito, da Pd a Democratici.
Il primo passo verso:
DEMOCRATICI CRISTIANI
21 FEB 2014 17:00 UFFICIO COGLIONI & SCISSIONI – NEANCHE IL TEMPO DI INSEDIARSI A PALAZZO CHIGI CHE PER RENZI ARRIVANO I PRIMI CASINI – IL SUO NUMERO 2 NARDELLA PROPONE DI CAMBIARE NOME AL PARTITO – CIVATI: ‘IL PD NON ESISTE PIÙ, OGGI ESISTE IL PDR, IL PARTITO DI RENZI!’ (SCISSIONE IN VISTA?)
Con Matteuccio al governo ad uscire sconvolta è la sinistra: addio al collateralismo coi sindacati, avanza anche un nuovo blocco sociale: precari, outsider, new comers della finanza (alla Davide Serra) imprenditori – Con la minoranza Pd post-diessina divisa, a staccarsi potrebbe essere il ribelle Civati (ma lui smentisce)…
Marco Damilano per ‘L'Espresso'
Oddio, il saggio ideologico sul futuro della sinistra, generi sconosciuti per Matteo Renzi, il saggio, l'ideologia e forse anche la sinistra, almeno quanto le stanze di governo.
Ma è il tempo del coraggio, o no?, e allora, è sicuramente un caso, ma la settimana prossima, quando il governo di Matteo Primo entrerà in azione, l'editore Carmine Donzelli spedirà in libreria la riedizione di "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio, venti anni dopo la prima pubblicazione.
Nel 1994 fu un clamoroso successo, con la definizione dell'ideale dell'uguaglianza «stella polare» della sinistra, oltre cinquecentomila copie vendute nell'anno in cui Silvio Berlusconi vinceva per la prima volta le elezioni sdoganando la destra. Nel 2014, in appendice al volume, insieme ai testi di due mostri sacri della sinistra mondiale, Daniel Cohn-Bendit e Michael Walzer , comparirà un denso scritto firmato Matteo Renzi, un leader che si esprime con twitter e che detesta le astrazioni filosofiche.
Non sarà l'articolo di Bettino Craxi su Proudhon che uscì su "l'Espresso" nel 1978, il leader socialista a Palazzo Chigi arrivò cinque anni dopo, rispetto all'ex sindaco di Firenze che ha impiegato due mesi era un bradipo, ma è il primo tentativo di dare ordine tra le idee finora confusamente raccolte sotto l'etichetta di renzismo. Perché cambiare l'Italia sarà difficile, il governo Renzi è un compromesso tra la spinta all'innovazione e i riti dell'ancien régime dei palazzi romani. Ma di certo a uscire profondamente modificata, sconvolta, irriconoscibile, sarà la sinistra italiana.
«Nel Pci avrebbero detto: siamo al cambio di fase», riconosce Walter Tocci, dirigente di lungo corso.
Un prima e un dopo Renzi, nulla sarà come prima. Il numero due di Renzi a Firenze Dario Nardella già chiede un cambio di nome del partito, da Pd a Democratici. «Macché», scherza Pippo Civati, unico oppositore interno dell'operazione Matteo a Palazzo Chigi, «dopo l'operazione Matteo a Palazzo Chigi il Pd non esiste più. Al suo posto c'è il PdR: il Partito di Renzi».
CUPERLO RENZI CIVATI
CUPERLO RENZI CIVATI
Sinistra è una parola che il neo-premier non ama. Ricorre solo due volte nelle diciotto pagine con cui Renzi si è candidato alla segreteria del Pd nello scorso autunno. Per dire che la sinistra vince «se non è chiusa nel presente» e che «è imbarazzante sapere che il partito della sinistra italiana, autore di alcuni tra i convegni più interessanti sull'operaismo, è il terzo partito tra gli operai». Impossibile trovare riferimenti culturali, radici, testi sacri nel Pantheon di Renzi. «Il renzismo è un pragmatismo indistinto che non si pone il problema di diventare una struttura di pensiero, è pago di se stesso», spiega un dirigente del Pd, e meno male che non è un nemico ma un renziano della prima ora.
CONFRONTO SKYTG RENZI CUPERLO CIVATI
CONFRONTO SKYTG RENZI CUPERLO CIVATI
Nelle ore della trattativa sul governo l'effetto dell'indeterminatezza è stata una interscambiabilità dei candidati nei posti-chiave, a partire dal ministero dell'Economia. Per giorni il premier incaricato si è mosso nell'incertezza, a lungo indeciso se scegliere un tecnico come Guido Tabellini o un politico di matrice cattolica, un ex sindaco come Graziano Delrio, mentre un altro possibile candidato, Fabrizio Barca, in un fuorionda accusava: «Non c'è un'idea».
Inutile cercare tracce del progetto nel passato, nelle diverse edizioni della stazione Leopolda, il meeting renziano. Nella prima edizione 2010 c'era Civati accanto al sindaco di Firenze, con il bolognese Filippo Taddei, oggi responsabile economico del Pd, inserito nella cabina di regia che prepara il programma del governo.
Nel 2011 sul palco c'era l'economista Luigi Zingales, di impostazione liberista. E Renzi presenta cento proposte di governo, rivoluzione liberale a piene mani, roba da far apparire il berlusconiano Antonio Martino come uno statalista: privatizzazione delle imprese pubbliche e delle municipalizzate, alienazione del patrimonio immobiliare dello Stato, abolizione dell'Irap, liberalizzazione dei servizi pubblici locali, riforma degli ordini professionali...
Nel 2012, via Zingales, dentro Pietro Ichino, all'epoca senatore del Pd, e l'economista dell'Università Cattolica Massimo Bordignon, esperto di finanzapubblica. Nel 2013 è il turno del deputato Yoram Gutgeld, con l'idea di tagliare l'Irpef per chi guadagna meno di duemila euro al mese, cento euro in più in busta paga, la Renzinomics vira a sinistra, punta a tutelare la parte debole della società.
Ed ecco il Jobs Act, il piano per il lavoro, sempre enunciato per titoli. Ma nella marcia di Renzi verso Palazzo Chigi, oltre ai cambi di esperti e di relative visioni economiche, ci sono alcuni punti fermi mai mutati. Il contratto unico a tutele progressive per i giovani precari, per esempio, in cui si intuisce l'ispirazione di Tito Boeri. La riforma degli ammortizzatori sociali.
I dirigenti a termine nella pubblica amministrazione, la fine dei dirigenti inamovibili nominati a vita. La cancellazione dell'obbligo di iscrizione alle camere di commercio per le aziende. Provvedimenti che rivelano il nuovo blocco sociale della coalizione renziana, i non rappresentati, i giovani precari, gli outsider, ma anche i new comers della finanza (modello Davide Serra), gli imprenditori che rischiano in proprio senza passare dagli incarichi in Confindustria.
Lo scavalcamento di sindacati e di associazioni di categoria, i corpi intermedi che costituiscono da decenni l'ossatura dei partiti di sinistra, è da sempre nel Dna del neo-premier. Basta vedere la differenza tra le consultazioni di Pier Luigi Bersani, presidente del Consiglio incaricato un anno fa, che aveva incontrato l'Anci e la Confindustria, la Confederazione italiana agricoltori, la Coldiretti, la Confagricoltura e il Forum del Terzo Settore, e quelle di Renzi, che si riassumono in un'agenda vuota. E dire che il predecessore alla guida del Pd Guglielmo Epifani gli aveva suggerito di incontrare Cgil, Cisl e Uil.
Niente da fare, «una vecchia liturgia», ha risposto Matteo, che da sindaco e da segretario del Pd ha litigato con Susanna Camusso ma anche con Raffaele Bonanni. Meglio i rapporti personali, come quello con Luca Cordero di Montezemolo o con l'amministratore delegato di Luxottica Andrea Guerra, sondati per un posto da ministro. O con il capo della Fiom Maurizio Landini, in nome di un nemico condiviso più che di una comune idea del mondo, il segretario della Cgil Camusso.
Tra i consiglieri di Renzi, in crescita, c'è l'economista della Bocconi e collaboratore della voce.info Roberto Perotti, autore di un radicale piano di tagli ai costi della politica, una spending rewiew parallela a quella del governo Letta. E il portavoce Filippo Sensi che lo ha accompagnato in macchina a ricevere l'incarico al Quirinale, noto su twitter con l'account di nomfup (acronimo che sta per «not my fucking problem»), ex collaboratore di Francesco Rutelli e vicedirettore di "Europa", qualcosa di più di un semplice addetto ai rapporti con la stampa, simile agli spin doctor anglosassoni che ama intervistare e decifrare, a partire da Alastair Campbell, l'inventore del New Labour di Tony Blair (l'ex premier inglese è stato tra i primi a benedire dall'estero l'operazione Renzi: «Matteo ha la forza per riuscire»).
Anche se dei think-tank che accompagnarono la presa del potere dell'ex premier inglese nella seconda metà degli anni Novanta, e di terze vie e di Anthony Giddens non si vede neppure l'ombra nella scalata di Renzi. E per ora c'è un enorme buco nero nel programma di governo, il rapporto con l'Europa. Finora Renzi ha parlato della necessità di rimettere in discussione i parametri di Maastricht, ma il vero tabù da spezzare, la cosa più di sinistra che potrebbe dire Renzi da Palazzo Chigi, è allentare il fiscal compact, il patto di bilancio che strangola le economie nazionali dell'area Ue, bestia nera di tutte le sinistre europee.
È questa la nuova sinistra di Renzi che arriva a Palazzo Chigi? In largo del Nazareno sono travolti, troppi cambiamenti in soli due mesi. Non c'è un Nuovo Pd da costruire, non c'è stato il tempo, Renzi resterà segretario, ma nel corpaccione del partito si teme ora uno sbandamento. Le elezioni regionali in Sardegna sono andate bene, per mancanza di avversari, ma nella stessa domenica le primarie per eleggere i segretari regionali hanno dato risultati sconfortanti, per la bassissima affluenza nei gazebo, per la qualità dei candidati e del dibattito interno: nullo.
La minoranza post-Ds di Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Matteo Orfini è divisa al suo interno tra filo-governativi e anti-renziani, spera di riprendere il controllo del partito, ma è destinata a restare delusa. E così a fare un nuovo Pd, un Nuovo centrosinistra, speculare a quello di Angelino Alfano a destra, o meglio un nuovo Ulivo, potrebbe restare l'ex compagno di strada di Renzi, oggi ribelle interno, il deputato lombardo Civati. Ha già negato il voto a favore del governo Letta delle larghe intese, smentisce di voler organizzare una scissione, «non mi chiedo se votare la fiducia o no al governo, ma se fidarmi o no di Renzi».
E precisa: «Renzi, Berlusconi, Grillo sono tutti leader trasversalisti, che predicano il superamento di destra e sinistra. Io invece penso che l'identità sia importante: una sinistra liberal, non quella nostalgica degli ex Ds che hanno dato il via libera a Renzi a Palazzo Chigi. Il problema non è se resto io nel partito, è una parte del Pd che rischia di uscire da se stesso».
Renzi il blairiano, Renzi l'obamiano, Renzi che rilegge Bobbio, l'uomo che riporta quindici anni dopo Massimo D'Alema il capo del primo partito della sinistra italiana a Palazzo Chigi, dovrà guardarsi anche da questo pericolo: che il suo «desiderio di essere come tutti», la voglia di fare il governo di tutti, non si trasformi in un'altra delusione, l'incontro con la parola più detestata da Renzi, la più a sinistra di tutte: la sconfitta
Il numero due di Renzi a Firenze Dario Nardella già chiede un cambio di nome del partito, da Pd a Democratici.
Il primo passo verso:
DEMOCRATICI CRISTIANI
21 FEB 2014 17:00 UFFICIO COGLIONI & SCISSIONI – NEANCHE IL TEMPO DI INSEDIARSI A PALAZZO CHIGI CHE PER RENZI ARRIVANO I PRIMI CASINI – IL SUO NUMERO 2 NARDELLA PROPONE DI CAMBIARE NOME AL PARTITO – CIVATI: ‘IL PD NON ESISTE PIÙ, OGGI ESISTE IL PDR, IL PARTITO DI RENZI!’ (SCISSIONE IN VISTA?)
Con Matteuccio al governo ad uscire sconvolta è la sinistra: addio al collateralismo coi sindacati, avanza anche un nuovo blocco sociale: precari, outsider, new comers della finanza (alla Davide Serra) imprenditori – Con la minoranza Pd post-diessina divisa, a staccarsi potrebbe essere il ribelle Civati (ma lui smentisce)…
Marco Damilano per ‘L'Espresso'
Oddio, il saggio ideologico sul futuro della sinistra, generi sconosciuti per Matteo Renzi, il saggio, l'ideologia e forse anche la sinistra, almeno quanto le stanze di governo.
Ma è il tempo del coraggio, o no?, e allora, è sicuramente un caso, ma la settimana prossima, quando il governo di Matteo Primo entrerà in azione, l'editore Carmine Donzelli spedirà in libreria la riedizione di "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio, venti anni dopo la prima pubblicazione.
Nel 1994 fu un clamoroso successo, con la definizione dell'ideale dell'uguaglianza «stella polare» della sinistra, oltre cinquecentomila copie vendute nell'anno in cui Silvio Berlusconi vinceva per la prima volta le elezioni sdoganando la destra. Nel 2014, in appendice al volume, insieme ai testi di due mostri sacri della sinistra mondiale, Daniel Cohn-Bendit e Michael Walzer , comparirà un denso scritto firmato Matteo Renzi, un leader che si esprime con twitter e che detesta le astrazioni filosofiche.
Non sarà l'articolo di Bettino Craxi su Proudhon che uscì su "l'Espresso" nel 1978, il leader socialista a Palazzo Chigi arrivò cinque anni dopo, rispetto all'ex sindaco di Firenze che ha impiegato due mesi era un bradipo, ma è il primo tentativo di dare ordine tra le idee finora confusamente raccolte sotto l'etichetta di renzismo. Perché cambiare l'Italia sarà difficile, il governo Renzi è un compromesso tra la spinta all'innovazione e i riti dell'ancien régime dei palazzi romani. Ma di certo a uscire profondamente modificata, sconvolta, irriconoscibile, sarà la sinistra italiana.
«Nel Pci avrebbero detto: siamo al cambio di fase», riconosce Walter Tocci, dirigente di lungo corso.
Un prima e un dopo Renzi, nulla sarà come prima. Il numero due di Renzi a Firenze Dario Nardella già chiede un cambio di nome del partito, da Pd a Democratici. «Macché», scherza Pippo Civati, unico oppositore interno dell'operazione Matteo a Palazzo Chigi, «dopo l'operazione Matteo a Palazzo Chigi il Pd non esiste più. Al suo posto c'è il PdR: il Partito di Renzi».
CUPERLO RENZI CIVATI
CUPERLO RENZI CIVATI
Sinistra è una parola che il neo-premier non ama. Ricorre solo due volte nelle diciotto pagine con cui Renzi si è candidato alla segreteria del Pd nello scorso autunno. Per dire che la sinistra vince «se non è chiusa nel presente» e che «è imbarazzante sapere che il partito della sinistra italiana, autore di alcuni tra i convegni più interessanti sull'operaismo, è il terzo partito tra gli operai». Impossibile trovare riferimenti culturali, radici, testi sacri nel Pantheon di Renzi. «Il renzismo è un pragmatismo indistinto che non si pone il problema di diventare una struttura di pensiero, è pago di se stesso», spiega un dirigente del Pd, e meno male che non è un nemico ma un renziano della prima ora.
CONFRONTO SKYTG RENZI CUPERLO CIVATI
CONFRONTO SKYTG RENZI CUPERLO CIVATI
Nelle ore della trattativa sul governo l'effetto dell'indeterminatezza è stata una interscambiabilità dei candidati nei posti-chiave, a partire dal ministero dell'Economia. Per giorni il premier incaricato si è mosso nell'incertezza, a lungo indeciso se scegliere un tecnico come Guido Tabellini o un politico di matrice cattolica, un ex sindaco come Graziano Delrio, mentre un altro possibile candidato, Fabrizio Barca, in un fuorionda accusava: «Non c'è un'idea».
Inutile cercare tracce del progetto nel passato, nelle diverse edizioni della stazione Leopolda, il meeting renziano. Nella prima edizione 2010 c'era Civati accanto al sindaco di Firenze, con il bolognese Filippo Taddei, oggi responsabile economico del Pd, inserito nella cabina di regia che prepara il programma del governo.
Nel 2011 sul palco c'era l'economista Luigi Zingales, di impostazione liberista. E Renzi presenta cento proposte di governo, rivoluzione liberale a piene mani, roba da far apparire il berlusconiano Antonio Martino come uno statalista: privatizzazione delle imprese pubbliche e delle municipalizzate, alienazione del patrimonio immobiliare dello Stato, abolizione dell'Irap, liberalizzazione dei servizi pubblici locali, riforma degli ordini professionali...
Nel 2012, via Zingales, dentro Pietro Ichino, all'epoca senatore del Pd, e l'economista dell'Università Cattolica Massimo Bordignon, esperto di finanzapubblica. Nel 2013 è il turno del deputato Yoram Gutgeld, con l'idea di tagliare l'Irpef per chi guadagna meno di duemila euro al mese, cento euro in più in busta paga, la Renzinomics vira a sinistra, punta a tutelare la parte debole della società.
Ed ecco il Jobs Act, il piano per il lavoro, sempre enunciato per titoli. Ma nella marcia di Renzi verso Palazzo Chigi, oltre ai cambi di esperti e di relative visioni economiche, ci sono alcuni punti fermi mai mutati. Il contratto unico a tutele progressive per i giovani precari, per esempio, in cui si intuisce l'ispirazione di Tito Boeri. La riforma degli ammortizzatori sociali.
I dirigenti a termine nella pubblica amministrazione, la fine dei dirigenti inamovibili nominati a vita. La cancellazione dell'obbligo di iscrizione alle camere di commercio per le aziende. Provvedimenti che rivelano il nuovo blocco sociale della coalizione renziana, i non rappresentati, i giovani precari, gli outsider, ma anche i new comers della finanza (modello Davide Serra), gli imprenditori che rischiano in proprio senza passare dagli incarichi in Confindustria.
Lo scavalcamento di sindacati e di associazioni di categoria, i corpi intermedi che costituiscono da decenni l'ossatura dei partiti di sinistra, è da sempre nel Dna del neo-premier. Basta vedere la differenza tra le consultazioni di Pier Luigi Bersani, presidente del Consiglio incaricato un anno fa, che aveva incontrato l'Anci e la Confindustria, la Confederazione italiana agricoltori, la Coldiretti, la Confagricoltura e il Forum del Terzo Settore, e quelle di Renzi, che si riassumono in un'agenda vuota. E dire che il predecessore alla guida del Pd Guglielmo Epifani gli aveva suggerito di incontrare Cgil, Cisl e Uil.
Niente da fare, «una vecchia liturgia», ha risposto Matteo, che da sindaco e da segretario del Pd ha litigato con Susanna Camusso ma anche con Raffaele Bonanni. Meglio i rapporti personali, come quello con Luca Cordero di Montezemolo o con l'amministratore delegato di Luxottica Andrea Guerra, sondati per un posto da ministro. O con il capo della Fiom Maurizio Landini, in nome di un nemico condiviso più che di una comune idea del mondo, il segretario della Cgil Camusso.
Tra i consiglieri di Renzi, in crescita, c'è l'economista della Bocconi e collaboratore della voce.info Roberto Perotti, autore di un radicale piano di tagli ai costi della politica, una spending rewiew parallela a quella del governo Letta. E il portavoce Filippo Sensi che lo ha accompagnato in macchina a ricevere l'incarico al Quirinale, noto su twitter con l'account di nomfup (acronimo che sta per «not my fucking problem»), ex collaboratore di Francesco Rutelli e vicedirettore di "Europa", qualcosa di più di un semplice addetto ai rapporti con la stampa, simile agli spin doctor anglosassoni che ama intervistare e decifrare, a partire da Alastair Campbell, l'inventore del New Labour di Tony Blair (l'ex premier inglese è stato tra i primi a benedire dall'estero l'operazione Renzi: «Matteo ha la forza per riuscire»).
Anche se dei think-tank che accompagnarono la presa del potere dell'ex premier inglese nella seconda metà degli anni Novanta, e di terze vie e di Anthony Giddens non si vede neppure l'ombra nella scalata di Renzi. E per ora c'è un enorme buco nero nel programma di governo, il rapporto con l'Europa. Finora Renzi ha parlato della necessità di rimettere in discussione i parametri di Maastricht, ma il vero tabù da spezzare, la cosa più di sinistra che potrebbe dire Renzi da Palazzo Chigi, è allentare il fiscal compact, il patto di bilancio che strangola le economie nazionali dell'area Ue, bestia nera di tutte le sinistre europee.
È questa la nuova sinistra di Renzi che arriva a Palazzo Chigi? In largo del Nazareno sono travolti, troppi cambiamenti in soli due mesi. Non c'è un Nuovo Pd da costruire, non c'è stato il tempo, Renzi resterà segretario, ma nel corpaccione del partito si teme ora uno sbandamento. Le elezioni regionali in Sardegna sono andate bene, per mancanza di avversari, ma nella stessa domenica le primarie per eleggere i segretari regionali hanno dato risultati sconfortanti, per la bassissima affluenza nei gazebo, per la qualità dei candidati e del dibattito interno: nullo.
La minoranza post-Ds di Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Matteo Orfini è divisa al suo interno tra filo-governativi e anti-renziani, spera di riprendere il controllo del partito, ma è destinata a restare delusa. E così a fare un nuovo Pd, un Nuovo centrosinistra, speculare a quello di Angelino Alfano a destra, o meglio un nuovo Ulivo, potrebbe restare l'ex compagno di strada di Renzi, oggi ribelle interno, il deputato lombardo Civati. Ha già negato il voto a favore del governo Letta delle larghe intese, smentisce di voler organizzare una scissione, «non mi chiedo se votare la fiducia o no al governo, ma se fidarmi o no di Renzi».
E precisa: «Renzi, Berlusconi, Grillo sono tutti leader trasversalisti, che predicano il superamento di destra e sinistra. Io invece penso che l'identità sia importante: una sinistra liberal, non quella nostalgica degli ex Ds che hanno dato il via libera a Renzi a Palazzo Chigi. Il problema non è se resto io nel partito, è una parte del Pd che rischia di uscire da se stesso».
Renzi il blairiano, Renzi l'obamiano, Renzi che rilegge Bobbio, l'uomo che riporta quindici anni dopo Massimo D'Alema il capo del primo partito della sinistra italiana a Palazzo Chigi, dovrà guardarsi anche da questo pericolo: che il suo «desiderio di essere come tutti», la voglia di fare il governo di tutti, non si trasformi in un'altra delusione, l'incontro con la parola più detestata da Renzi, la più a sinistra di tutte: la sconfitta
INTERVISTA Giuseppe Civati e la fiducia al governo
"Ecco perché ho dovuto votare sì" Il deputato e già candiato alle primarie del Pd spiega le ragioni del suo voto dopo gli annunci dei giorni scorsi. "Continuo a non fidarmi di questo esecutivo. Sono consapevole che perderò credibilità. Ma non potevo fare altro"
di Luca Sappino
Giuseppe Civati e la fiducia al governo
Ecco perché ho dovuto votare sì
«Io continuo a non fidarmi» ripete Giuseppe Civati all'Espresso, che però vota la fiducia al governo di Matteo Renzi. «Invece di fare il conflitto di interessi, lo abbiamo portato al governo» dice sull'esecutivo. «Il suo discorso vago è figlio della maggioranza che Renzi si è voluto costruire», spiega sull'intervento del premier al Senato. «Voglio vedere dove trova i 120 miliardi che servono per mantenere le sue promesse», aggiunge scettico.
Poi però deve ammetere: «sono consapevole che perderò credibilità. Ma non potevo fare altro». Con Renzi il rapporto è completamente interrotto: «mi ha lasciato con un'emoticon triste» scherza Civati, che però deve spiegare le ragioni che lo hanno portato a turarsi il naso. Vota il Renzi 1 per non uscire da Pd, certo, ma soprattutto «perché penso che quella di un governo che dura fino al 2018» dice Civati, «sia una balla colossale. E che non vorrei dover rottamare tutto senza sapere quando si vota».
"Ciao Matteo, volevo dirti in due minuti che stai sbagliando". Ha esordito così il deputato del Pd Pippo Civati (al fianco del sindaco nel novembre 2010, quando si propose come rottamatore, nella prima Leopolda), nel suo intervento alla Camera, dove è in corso il dibattito sulla fiducia al governo Renzi. "Anche io ho sognato che la nostra generazione andasse al governo - ha spiegato - ma che lo facesse con il voto delle persone e non con una manovra che neanche ai tempi di Mariano Rumor"
La domanda le sembrerà banale, ma se non si fida del governo, perché ha votato la fiducia?
«Io continuo a non fidarmi. Ho detto chiaramente che l'operazione è pericolosa e lo è soprattutto per Renzi. Glielo dico in amicizia».
Glielo dice e poi lo vota.
«Ho votato nella speranza che si possa costruire qualcosa. E che si capisca l'errore senza dover sfasciare tutto»
Senza dover sfasciare il Pd? Ha citato Bersani, «è pazzo chi pensa di non votare», per annunciare il suo voto a favore del governo...
«Non penso solo al Pd. A saltare sarebbe il paese e la sua politica. È una palese contraddizione la mia, lo so. Ma il sondaggio che abbiamo fatto, dove il 50,02 per cento ci dice di votare la fiducia e l'altro 50 per cento ci dice di non votarla, racconta di un elettorato diviso a metà, e io mi sento proprio così, diviso»
Sbagliamo a chiamarla disciplina di partito?
«Non è disciplina di partito, ora siamo al liberi tutti. Ma è chiaro che la scelta che ho fatto è se stare o no nel Pd».
Posso farle notare che il Pd ha perso tre milioni di voti, dal 2008, ed è passato da più di 800 mila iscritti a 500 mila? Una scissione c'è già stata.
«Lo so. E paradossalmente Renzi, che aveva detto di voler avvicinare il Pd ai propri elettori, lo sta allontanando ancora di più. Io ho anche detto che prendo i fischi per conto suo, che sono disponibile se serve a riportarci nel posto giusto».
Comunque a lei non l'avrebbero cacciata.
«Può essere. Se avessi votato la fiducia magari sarei potuto anche rimanere ma in una posizione, vi assicuro, molto più subalterna. Oggi possiamo dire che senza i senatori dissidenti, senza i voti di chi ha manifestato dubbi, questo governo non esisterebbe».
Cosa le dicono i suoi colleghi di partito, adesso?
«Mi fermano e mi dicono bravo, tutti. Perché non sono mica il solo a pensare queste cose, ma siamo in pochi a dirle».
Vi siete più sentiti con Renzi?
«No. L'ultimo contatto che abbiamo avuto è un'emoticon triste, che mi ha mandato venti giorni fa per una mia dichiarazione pubblica. Ricordate quando ancora i suoi dicevano che questa era fantapolitica e che Letta doveva star sereno? Ecco, non mi ha chiamato per dirmi che aveva cambiato idea».
Cosa pensa del discorso di Renzi?
«È un discorso generico, vago, determinato forse dall'emozione, come dicono, dal fatto che non fosse scritto, ma secondo me determinato soprattutto dalla maggioranza che ha costruito attorno a se».
E dell'esecutivo?
«È uguale a quella di prima, il cui successo è noto soprattutto a Renzi, e ha elementi di continuità straordinari. I pochi volti nuovi sono amici di Berlusconi o in pieno conflitto di interessi. Alcune volte sono entrambe le cose insieme. Invece di fare il conflitto d'interessi, lo abbiamo messo al governo».
Il suo intervento è però stato più morbido di così. Non voleva accendere gli animi?
«Avevo due minuti, mi hanno fatto parlare meno di tutti. E poi le cose che dovevo dire a Renzi e al governo le ho dette ovunque in questi giorni».
Non ha citato neanche Angelino Alfano, la presenza che più la imbarazza.
«Ho detto di più, ho detto che l'idea stessa che c'è dietro questo governo è sbagliata».
Il fatto che Renzi abbia nominato ministro degli Affari Regionali l’ex sindaco Maria Carmela Lanzetta , che alle primarie la supportò, vi ha reso più difficile la scelta?
«Al contrario ha rischiato di farci votare contro. Raramente ho visto un comportamento più scorretto. Renzi è stato strafottente, soprattutto rispetto al fatto che se non ci fossero stati i senatori con cui io parlo, non ci sarebbe il governo, o avrebbe avuto uno o due voti di maggioranza. Ha rischiato, Renzi».
Lei si è detto convinto di deludere alcuni. Si aspetta un calo della sua credibilità? «Sì, ma il mio travaglio è sincero. Se avessi potuto decire qualcosa, incidere, la mia non sarebbe stata una scelta obbligata».
Ma se non può incidere perché resta nel Pd?
«Perché penso che quella di un governo che dura fino al 2018 sia una balla colossale. E che non vorrei dover rottamare tutto senza sapere quando si vota».
Pensa che fuori dal Pd non ci sia nulla?
«Non penso che non ci sia niente, anzi. Noi lavoreremo da dentro per ricostruire quel centrosinistra che Renzi ha cancellato. Ma il mio è un atto di prudenza».
Dicono sia assenza di coraggio, più che prudenza? «Non accetto l'accusa di aver avuto poco coraggio, perché mi sono esposto molto di più facendo così, dicendo quello che penso, sottoponendomi al dibattito pubblico, prendendo molte pallonate. Il narcisismo, al contrario, mi avrebbe consigliato di uscire dall'aula e farmi maltrattare, per poi fare la vittima».
Ora la fiducia è a bocce ferme. Se dovesse arrivare su un provvedimento che lei non condivide il sul voto cambierà? A quel punto voterebbe contro?
«Penso che di problemi sui provvedimenti ne avremo molti, perché la fretta di Renzi fa i provvedimenti ciechi. Già sulla riforma del Senato e sulla legge elttorale non sono affatto convinto che andrà come dice Renzi. Quello che abbiamo visto al Senato, i pochissimi applausi, non è incoraggiante».
Ma lei potrebbe non votare, prossimamente?
«L'ho detto, siamo al liberi tutti».