Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il nuovo governo Renzi
Corriere 5.3.14
Quel filo ormai troppo sottile
di Antonio Polito
l filo da acrobata su cui Renzi cammina ha resistito alla prima prova della legge elettorale, ma si è fatto molto più sottile.
Ora che è al governo, il premier ha dovuto scegliere tra le due maggioranze, e ha ovviamente preferito quella di governo.
Più ancora che Alfano, a imporlo è stato il Pd.
Dal Pd non renziano, tuttora in maggioranza a Montecitorio, viene l’emendamento vincente che limiterà la riforma elettorale alla Camera, e da quel Pd Renzi rischiava, in caso contrario, una sonora bocciatura in Aula.
Berlusconi, il contraente dell’altro patto, ha dovuto accettare, seppure con «grave disappunto».
Per un po’ di tempo il Cavaliere non potrà fare molto altro.
Da oggi le due maggioranze di cui disponeva Renzi si sono ridotte a una e mezza: quella con Alfano, che si allarga a Berlusconi sulle riforme.
D’altra parte, l’ultima volta che una doppia maggioranza ha funzionato risale ai tempi di De Gasperi a Palazzo Chigi e Terracini alla Costituente. Altri uomini.
Il compromesso trovato ieri ha una sua logica. «Avremmo fatto ridere il mondo con una riforma elettorale inapplicabile per il Senato», ha detto ieri il senatore Quagliariello, e ha ragione.
Però la soluzione escogitata non suscita minore ilarità: una riforma applicabile solo alla Camera. Il che vuol dire che se per caso o per scelta il Parlamento non eliminerà del tutto il Senato elettivo, alle prossime votazioni avremo un sistema che dà certamente una maggioranza a Montecitorio e altrettanto certamente non la dà a Palazzo Madama.
Provate a spiegarlo a un marziano, o anche a un tedesco.
Se si aggiungono le tre soglie diverse, un premio di soli sei seggi e la deroga alla Lega, si apprezza fino in fondo l’«esprit florentin » della riforma che sta nascendo.
Come tutte le soluzioni a metà anche quella trovata ieri contiene una buona opportunità ma anche un immenso rischio.
Garantisce al Parlamento il tempo necessario, gliene servirà più di un anno, per cambiare la Costituzione.
Ma il fallimento, o la dilazione alle calende greche, stavolta ci precipiterebbe in una situazione perfino peggiore di un pessimo passato.
Sospettare che qualcuno dei giocatori stia barando sotto il tavolo è del resto legittimo.
Suona infatti strano che, mentre tutti la danno per scontata, non sia stata in realtà neanche presentata da Renzi una bozza di riforma del Senato. Eppure aveva indicato un cronoprogramma che ne prevedeva entro l’estate l’approvazione in prima lettura, e proprio al Senato.
È quello il vero ostacolo della corsa. E non è un caso se la proposta di legge non c’è ancora. Il fatto è che il progetto iniziale di Renzi non convince: in molti, pare di capire anche nella Consulta, hanno seri dubbi a trasformare la Camera Alta in una sorta di Cnel di sindaci piuttosto che in un Bundesrat alla tedesca.
È giunto dunque il momento di scegliere.
Ieri il premier ha salvato la velocità della macchina che ha messo in moto, ora deve indicare il traguardo.
Quel filo ormai troppo sottile
di Antonio Polito
l filo da acrobata su cui Renzi cammina ha resistito alla prima prova della legge elettorale, ma si è fatto molto più sottile.
Ora che è al governo, il premier ha dovuto scegliere tra le due maggioranze, e ha ovviamente preferito quella di governo.
Più ancora che Alfano, a imporlo è stato il Pd.
Dal Pd non renziano, tuttora in maggioranza a Montecitorio, viene l’emendamento vincente che limiterà la riforma elettorale alla Camera, e da quel Pd Renzi rischiava, in caso contrario, una sonora bocciatura in Aula.
Berlusconi, il contraente dell’altro patto, ha dovuto accettare, seppure con «grave disappunto».
Per un po’ di tempo il Cavaliere non potrà fare molto altro.
Da oggi le due maggioranze di cui disponeva Renzi si sono ridotte a una e mezza: quella con Alfano, che si allarga a Berlusconi sulle riforme.
D’altra parte, l’ultima volta che una doppia maggioranza ha funzionato risale ai tempi di De Gasperi a Palazzo Chigi e Terracini alla Costituente. Altri uomini.
Il compromesso trovato ieri ha una sua logica. «Avremmo fatto ridere il mondo con una riforma elettorale inapplicabile per il Senato», ha detto ieri il senatore Quagliariello, e ha ragione.
Però la soluzione escogitata non suscita minore ilarità: una riforma applicabile solo alla Camera. Il che vuol dire che se per caso o per scelta il Parlamento non eliminerà del tutto il Senato elettivo, alle prossime votazioni avremo un sistema che dà certamente una maggioranza a Montecitorio e altrettanto certamente non la dà a Palazzo Madama.
Provate a spiegarlo a un marziano, o anche a un tedesco.
Se si aggiungono le tre soglie diverse, un premio di soli sei seggi e la deroga alla Lega, si apprezza fino in fondo l’«esprit florentin » della riforma che sta nascendo.
Come tutte le soluzioni a metà anche quella trovata ieri contiene una buona opportunità ma anche un immenso rischio.
Garantisce al Parlamento il tempo necessario, gliene servirà più di un anno, per cambiare la Costituzione.
Ma il fallimento, o la dilazione alle calende greche, stavolta ci precipiterebbe in una situazione perfino peggiore di un pessimo passato.
Sospettare che qualcuno dei giocatori stia barando sotto il tavolo è del resto legittimo.
Suona infatti strano che, mentre tutti la danno per scontata, non sia stata in realtà neanche presentata da Renzi una bozza di riforma del Senato. Eppure aveva indicato un cronoprogramma che ne prevedeva entro l’estate l’approvazione in prima lettura, e proprio al Senato.
È quello il vero ostacolo della corsa. E non è un caso se la proposta di legge non c’è ancora. Il fatto è che il progetto iniziale di Renzi non convince: in molti, pare di capire anche nella Consulta, hanno seri dubbi a trasformare la Camera Alta in una sorta di Cnel di sindaci piuttosto che in un Bundesrat alla tedesca.
È giunto dunque il momento di scegliere.
Ieri il premier ha salvato la velocità della macchina che ha messo in moto, ora deve indicare il traguardo.
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Re: Il nuovo governo Renzi
06 MAR 2014 17:31
1. VIETATO PARLARE DI MANOVRA CORRETTIVA: CI SONO LE ELEZIONI EUROPEE. UNA VOLTA MESSE IN SOFFITTA LE URNE, A LUGLIO RENZICCHIO SARÀ “COSTRETTO” A FARLA ECCOME -
2. LA SI FARÀ “PERCHÉ CE LO HA CHIESTO L’EUROPA” E NATURALMENTE SARÀ “IMPREVISTA’’ -
3. IL TUTTO NELLA SPERANZA CHE NEI PROSSIMI MESI LE AGENZIE DI RATING RISPARMINO L’ITALIA -
4. PADOAN BRINDA CON I DIRETTORI E CHIEDE “COESIONE E RISERVATEZZA”. ANCHE SE I CONVENUTI NELLA SALA AL MOMENTO DI INCROCIARE I BICCHIERI NON PARLAVANO D’ALTRO -
5. LA FOLLE SAGA IMU BRUCIA LA POLTRONA DI FABRIZIA LA PECORELLA E DALL’ABI E’ IN ARRIVO ALLE FINANZE UN’ALTRA DONNA, LAURA ZACCARIA, CHE NESSUNA TASSA PORTA VIA -
Francesco Bonazzi per Dagospia
"Non è prevista alcuna manovra correttiva", dicono alle agenzie di stampa fonti di Palazzo Chigi. Per una smentita destinata a durare qualche mese, quattro paroline ufficiose sono più che sufficienti. In realtà, al Tesoro come alla Ragioneria generale, sono in molti a essere convinti che a luglio il governo Renzi sarà "costretto" a farla eccome, una manovra straordinaria.
La si farà "perché ce lo ha chiesto l'Europa" e naturalmente sarà "imprevista". Del resto anche i conti della legge di stabilità sfornata da Gelatina Saccomanni, fino all'altro ieri, tornavano perfettamente. E quei 4-6 miliardi che evidentemente mancavano all'appello già per il 2014 sembravano una fissa di Olli Rehn, il commissario Ue agli affari economici e monetari, e di qualche libero pensatore isolato.
Nel saluto che oggi Pier Carlo Padoan ha rivolto ai dirigenti generali dell'Economia (agenzie a ranghi ridotti e inviti ristretti per ragioni di riservatezza) la parola "manovra" non è ovviamente risuonata. Anche se i convenuti nella Sala della maggioranza - l'appuntamento era fissato per le 11 e 30 - al momento di incrociare i bicchieri non parlavano d'altro.
Già, perché a differenza della cerimonia di addio di Saccodanni, per il quale molti si attendono una consegna del Tapiro di Striscia la notizia in tempi rapidi, stamani c'era da bere. Anche se nessuno dei presenti è in grado di confermare che Lurch Cottarelli abbia effettivamente brindato.
De resto è proprio dalla spending review che Padoan adesso si aspetta 5 miliardi di euro, che sono due in più di quelli previsti prudenzialmente da Lettanipote, ma uno in meno di quelli che Cottarelli è convinto di poter portare a casa. E poi ci sarebbero le cosiddette privatizzazioni, alle quali il precedente premier credeva molto, a cominciare dal 4% di Eni e dal 40% di Poste, ma sulle quali ci sono al momento fortissime perplessità del Rottam'attore fiorentino.
Un vero dilemma, quello delle privatizzazioni, perché lo staff di Padoan, che è di marca lettian-dalemiana, sa perfettamente che il momento dei mercati è favorevole e che c'è liquidità estera in arrivo sulla Penisola. Ma se il quadro di finanza pubblica peggiora, rischia di cambiare bruscamente anche quello dei mercati.
In ogni caso la manovra correttiva che Bruxelles implicitamente ci ha chiesto non si può certo fare prima del 25 maggio, quando si andrà a votare per il parlamento europeo. Il rischio, per Renzi e per il Pd, è di prendere una stangata memorabile alla prima verifica popolare. Ma soprattutto c'è un rischio per Bruxelles e per la stabilità dell'eurozona, perché nuova austerità sarebbe un regalo favoloso per i partiti anti-moneta unica.
Più facile dunque ipotizzare una serie di palliativi fino a maggio. Poi un richiamo concordato di Bruxelles al governo italiano. Quindi una manovra correttiva a luglio. Il tutto nella speranza che nei prossimi mesi le agenzie di rating risparmino l'Italia.
Se il quadro è questo, c'è da accogliere con la giusta comprensione l'appello "alla coesione, al lavoro in team e alla riservatezza" che il ministro Padoan ha rivolto ai vertici dell'Economia questa mattina.
Il lavoro di squadra prossimo venturo si priverà tuttavia, con molta probabilità, dell'apporto del direttore generale delle Finanze, Fabrizia La Pecorella. A lei sarebbero state addossate parte delle colpe della saga Imu, saga che di fatto ha poi lasciato ai box Er Gelatina ben più del buco (negato) nei conti.
Quasi certo, al suo posto, l'arrivo dall'Abi di un'altra donna, Laura Zaccaria. Nel segno di quel connubio "banche&sinistra" che non è solo una fissa di Silvio Berlusconi.
1. VIETATO PARLARE DI MANOVRA CORRETTIVA: CI SONO LE ELEZIONI EUROPEE. UNA VOLTA MESSE IN SOFFITTA LE URNE, A LUGLIO RENZICCHIO SARÀ “COSTRETTO” A FARLA ECCOME -
2. LA SI FARÀ “PERCHÉ CE LO HA CHIESTO L’EUROPA” E NATURALMENTE SARÀ “IMPREVISTA’’ -
3. IL TUTTO NELLA SPERANZA CHE NEI PROSSIMI MESI LE AGENZIE DI RATING RISPARMINO L’ITALIA -
4. PADOAN BRINDA CON I DIRETTORI E CHIEDE “COESIONE E RISERVATEZZA”. ANCHE SE I CONVENUTI NELLA SALA AL MOMENTO DI INCROCIARE I BICCHIERI NON PARLAVANO D’ALTRO -
5. LA FOLLE SAGA IMU BRUCIA LA POLTRONA DI FABRIZIA LA PECORELLA E DALL’ABI E’ IN ARRIVO ALLE FINANZE UN’ALTRA DONNA, LAURA ZACCARIA, CHE NESSUNA TASSA PORTA VIA -
Francesco Bonazzi per Dagospia
"Non è prevista alcuna manovra correttiva", dicono alle agenzie di stampa fonti di Palazzo Chigi. Per una smentita destinata a durare qualche mese, quattro paroline ufficiose sono più che sufficienti. In realtà, al Tesoro come alla Ragioneria generale, sono in molti a essere convinti che a luglio il governo Renzi sarà "costretto" a farla eccome, una manovra straordinaria.
La si farà "perché ce lo ha chiesto l'Europa" e naturalmente sarà "imprevista". Del resto anche i conti della legge di stabilità sfornata da Gelatina Saccomanni, fino all'altro ieri, tornavano perfettamente. E quei 4-6 miliardi che evidentemente mancavano all'appello già per il 2014 sembravano una fissa di Olli Rehn, il commissario Ue agli affari economici e monetari, e di qualche libero pensatore isolato.
Nel saluto che oggi Pier Carlo Padoan ha rivolto ai dirigenti generali dell'Economia (agenzie a ranghi ridotti e inviti ristretti per ragioni di riservatezza) la parola "manovra" non è ovviamente risuonata. Anche se i convenuti nella Sala della maggioranza - l'appuntamento era fissato per le 11 e 30 - al momento di incrociare i bicchieri non parlavano d'altro.
Già, perché a differenza della cerimonia di addio di Saccodanni, per il quale molti si attendono una consegna del Tapiro di Striscia la notizia in tempi rapidi, stamani c'era da bere. Anche se nessuno dei presenti è in grado di confermare che Lurch Cottarelli abbia effettivamente brindato.
De resto è proprio dalla spending review che Padoan adesso si aspetta 5 miliardi di euro, che sono due in più di quelli previsti prudenzialmente da Lettanipote, ma uno in meno di quelli che Cottarelli è convinto di poter portare a casa. E poi ci sarebbero le cosiddette privatizzazioni, alle quali il precedente premier credeva molto, a cominciare dal 4% di Eni e dal 40% di Poste, ma sulle quali ci sono al momento fortissime perplessità del Rottam'attore fiorentino.
Un vero dilemma, quello delle privatizzazioni, perché lo staff di Padoan, che è di marca lettian-dalemiana, sa perfettamente che il momento dei mercati è favorevole e che c'è liquidità estera in arrivo sulla Penisola. Ma se il quadro di finanza pubblica peggiora, rischia di cambiare bruscamente anche quello dei mercati.
In ogni caso la manovra correttiva che Bruxelles implicitamente ci ha chiesto non si può certo fare prima del 25 maggio, quando si andrà a votare per il parlamento europeo. Il rischio, per Renzi e per il Pd, è di prendere una stangata memorabile alla prima verifica popolare. Ma soprattutto c'è un rischio per Bruxelles e per la stabilità dell'eurozona, perché nuova austerità sarebbe un regalo favoloso per i partiti anti-moneta unica.
Più facile dunque ipotizzare una serie di palliativi fino a maggio. Poi un richiamo concordato di Bruxelles al governo italiano. Quindi una manovra correttiva a luglio. Il tutto nella speranza che nei prossimi mesi le agenzie di rating risparmino l'Italia.
Se il quadro è questo, c'è da accogliere con la giusta comprensione l'appello "alla coesione, al lavoro in team e alla riservatezza" che il ministro Padoan ha rivolto ai vertici dell'Economia questa mattina.
Il lavoro di squadra prossimo venturo si priverà tuttavia, con molta probabilità, dell'apporto del direttore generale delle Finanze, Fabrizia La Pecorella. A lei sarebbero state addossate parte delle colpe della saga Imu, saga che di fatto ha poi lasciato ai box Er Gelatina ben più del buco (negato) nei conti.
Quasi certo, al suo posto, l'arrivo dall'Abi di un'altra donna, Laura Zaccaria. Nel segno di quel connubio "banche&sinistra" che non è solo una fissa di Silvio Berlusconi.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Er sor LoRenzi il Magnifico - 2
“Il compagno della Guidi ha finanziato Renzi”
(Sara Nicoli).
07/03/2014 di triskel182
Il ministro Federica Guidi ha conflitti d’interesse? La domanda risuona dal giorno della sua nomina allo Sviluppo economico, ministero chiave anche in vista delle prossime nomine nelle partecipate di Stato (Eni, Enel, Terna, ecc…), ma ieri l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sciolto il dubbio sostenendo che no, la Guidi non ha conflitti in essere visto che si è dimessa, subito dopo la sua nomina, da tutte le cariche aziendali e dagli incarichi ricoperti. Poi, però, è arrivato l’Espresso e il refrain del conflitto è tornato a risuonare dalle parti di viale America. Già, perché la famiglia Guidi, sostiene il settimanale, sarebbe legata da almeno 20 anni con un finanziere amico intimo e sponsor del premier Matteo Renzi, Vincenzo Manes. Questione di scambi azionari, operazioni immobiliari, alleanze industriali e anche di nomine pubbliche. Manes (che il padre della ministra, Guidalberto, ha rivendicato come suo amico personale da una vita) è presidente e socio di controllo del gruppo Intek. “Il rapporto tra il finanziere e la famiglia del ministro dello Sviluppo economico – si legge sull’Espresso – risale addirittura al ’94, quando il capo di Intek rilevò il 37,5 per cento dell’azienda bolognese dove Federica Guidi ha lavorato fino a pochi giorni fa alle dipendenze del padre Guidalberto. I Guidi si sono ricomprati quella quota nell’ottobre del 2011, ma restano legati a Manes”. “A parte gli ottimi rapporti personali, la Ducati paga l’affitto al gruppo Intek, proprietario dell’immobile di Borgo Panigale dove si trovano fabbrica e uffici dell’azienda. Inoltre l’amico di Renzi è ancora creditore della famiglia per un milione”. Con Renzi, Manes avrebbe un rapporto che si è poi consolidato dentro la Fondazione Open che fa sempre capo al premier, oltre a essere approdato, nel 2010, alla presidenza dell’Aeroporto di Firenze, dove è rimasto per i successivi tre anni, eletto in consiglio su indicazione della giunta Renzi”. “I Guidi invece – conclude l’articolo subito trovato un nuovo alleato; uscita di scena Intek, nel capitale di Ducati è entrata a fine 2012 la finanziaria pubblica Simest sborsando 8 milioni per il 15 per cento del capitale. Solo un anno prima Manes si era accontentato di 3,8 milioni in cambio della sua quota del 37,5 per cento”. Insomma, legami davvero intricati che la dicono lunga sul perché la Guidi è arrivata sulla poltrona più alta del Mise. Inoltre c’è la frequentazione di Arcore, che non è mai stata negata dal ministro, ha solo detto di “non essere stata a cena” a casa di Berlusconi la sera prima della nomina, mentre non è stata smentita la frase che avrebbe pronunciato il Cavaliere alla notizia dell’investitura ufficiale della Guidi: “Abbiamo un ministro!”. Parole di giubilo dettate da semplice amicizia personale? Non proprio. Nelle mani della Guidi, infatti, potrebbe restare una questione molto delicata, la Rai, che Renzi – a quanto si apprende – non vorrebbe mettere nelle mani del neo sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli. La Guidi, insomma, si troverebbe a dover gestire, già a fine 2014/inizio 2015 la delicata, delicatissima partita del rinnovo della concessione tra tv pubblica e Stato, quella che garantisce l’introito principale alla Rai, ovvero il canone.
Da Il Fatto Quotidiano del 07/03/2014.
“Il compagno della Guidi ha finanziato Renzi”
(Sara Nicoli).
07/03/2014 di triskel182
Il ministro Federica Guidi ha conflitti d’interesse? La domanda risuona dal giorno della sua nomina allo Sviluppo economico, ministero chiave anche in vista delle prossime nomine nelle partecipate di Stato (Eni, Enel, Terna, ecc…), ma ieri l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sciolto il dubbio sostenendo che no, la Guidi non ha conflitti in essere visto che si è dimessa, subito dopo la sua nomina, da tutte le cariche aziendali e dagli incarichi ricoperti. Poi, però, è arrivato l’Espresso e il refrain del conflitto è tornato a risuonare dalle parti di viale America. Già, perché la famiglia Guidi, sostiene il settimanale, sarebbe legata da almeno 20 anni con un finanziere amico intimo e sponsor del premier Matteo Renzi, Vincenzo Manes. Questione di scambi azionari, operazioni immobiliari, alleanze industriali e anche di nomine pubbliche. Manes (che il padre della ministra, Guidalberto, ha rivendicato come suo amico personale da una vita) è presidente e socio di controllo del gruppo Intek. “Il rapporto tra il finanziere e la famiglia del ministro dello Sviluppo economico – si legge sull’Espresso – risale addirittura al ’94, quando il capo di Intek rilevò il 37,5 per cento dell’azienda bolognese dove Federica Guidi ha lavorato fino a pochi giorni fa alle dipendenze del padre Guidalberto. I Guidi si sono ricomprati quella quota nell’ottobre del 2011, ma restano legati a Manes”. “A parte gli ottimi rapporti personali, la Ducati paga l’affitto al gruppo Intek, proprietario dell’immobile di Borgo Panigale dove si trovano fabbrica e uffici dell’azienda. Inoltre l’amico di Renzi è ancora creditore della famiglia per un milione”. Con Renzi, Manes avrebbe un rapporto che si è poi consolidato dentro la Fondazione Open che fa sempre capo al premier, oltre a essere approdato, nel 2010, alla presidenza dell’Aeroporto di Firenze, dove è rimasto per i successivi tre anni, eletto in consiglio su indicazione della giunta Renzi”. “I Guidi invece – conclude l’articolo subito trovato un nuovo alleato; uscita di scena Intek, nel capitale di Ducati è entrata a fine 2012 la finanziaria pubblica Simest sborsando 8 milioni per il 15 per cento del capitale. Solo un anno prima Manes si era accontentato di 3,8 milioni in cambio della sua quota del 37,5 per cento”. Insomma, legami davvero intricati che la dicono lunga sul perché la Guidi è arrivata sulla poltrona più alta del Mise. Inoltre c’è la frequentazione di Arcore, che non è mai stata negata dal ministro, ha solo detto di “non essere stata a cena” a casa di Berlusconi la sera prima della nomina, mentre non è stata smentita la frase che avrebbe pronunciato il Cavaliere alla notizia dell’investitura ufficiale della Guidi: “Abbiamo un ministro!”. Parole di giubilo dettate da semplice amicizia personale? Non proprio. Nelle mani della Guidi, infatti, potrebbe restare una questione molto delicata, la Rai, che Renzi – a quanto si apprende – non vorrebbe mettere nelle mani del neo sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli. La Guidi, insomma, si troverebbe a dover gestire, già a fine 2014/inizio 2015 la delicata, delicatissima partita del rinnovo della concessione tra tv pubblica e Stato, quella che garantisce l’introito principale alla Rai, ovvero il canone.
Da Il Fatto Quotidiano del 07/03/2014.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Er sor LoRenzi il Magnifico - 3
Saccomanni. Che dice: «A pensare male si potrebbe immaginare che l'accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l'economia in ripresa... A quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via» scherza Saccomanni. Ma non più di tanto.
Quello che Saccomanni non dice, se l'ipotesi fosse vera, e potrebbe anche esserla.
Con una posizione favorevole, nello stesso tempo Pittibimbo si appropria di risultati non suoi.
Inoltre non dimentichiamo per passeranno anni prima che si ripeta il semestre Ue a guida italiana.
Un occasione che uno malato di potere come Pittibimbo non poteva lasciarsi scappare. Anche perché la prossima volta che toccherà all'Italia non è detto che lui possa essere in lista per la poltrona.
07 MAR 2014 09:58
SACCO-DANNI E I DIECI MESI CON LETTA: ‘’L’ACCELERAZIONE NEL CAMBIO DI GOVERNO DETERMINATA DALLA PAURA CHE LETTA RAGGIUNGESSE RISULTATI TROPPO FAVOREVOLI: LO SPREAD IN DISCESA, L’ECONOMIA IN RIPRESA… A QUEL PUNTO, FRA UN ANNO, SAREBBE STATO MOLTO PIÙ DIFFICILE MANDARCI VIA’’
Gelatina si toglie i sassolini dalle scarpe: “Avessi saputo che sarebbe durata dieci mesi non so se avrei accettato. Per impostare un lavoro così complicato come quello affidato al ministro dell’Economia e portare a casa un risultato, servono due anni”….
Sergio Rizzo per ‘Il Corriere della Sera'
Ci vuole un fisico bestiale per passare dieci mesi come quelli toccati a Fabrizio Saccomanni. Sempre sul filo del rasoio, con l'ossessione quotidiana dei soldi da trovare e il fiato della politica sul collo. Di più, facendo da parafulmine per le saette della Commissione Ue. Il bilancio?
«Un'esperienza positiva. Ma avessi saputo che sarebbe durata dieci mesi non so se avrei accettato. Per impostare un lavoro così complicato come quello affidato al ministro dell'Economia e portare a casa un risultato, servono due anni». L'ex direttore generale della Banca d'Italia precisa di parlare «da economista», che non aveva certo bisogno di un breve passaggio sulla scrivania di Quintino Sella per coronare la carriera. Ma si capisce che il brusco epilogo brucia ancora di più dopo quanto è successo nelle ultime ore.
Con il commissario europeo Olli Rehn che retrocede l'Italia nel girone dei Paesi con «squilibri eccessivi». E il premier Matteo Renzi che dice: «Sapevamo che i numeri non erano quelli che Letta raccontava, ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano...». Saccomanni risponde con voce ferma: «È una scorrettezza. L'ipotesi che Letta abbia raccontato storie è assolutamente non vera. Noi abbiamo sempre esattamente detto come stavano le cose». Gli ultimi rilievi europei, però, sono pesanti. La Commissione accusa l'Italia di non aver messo in campo riforme in grado di tirarci fuori dalla palude della scarsa produttività e della crescita inesistente. «Il fatto è che loro hanno interpretato come stime i nostri obiettivi: due cose che sono evidentemente molto diverse.
Nel documento di economia e finanza ho scritto che il governo italiano si poneva per il 2014 l'obiettivo di una crescita dell'1,1 per cento. E a novembre mi sembrava di aver convinto la Commissione e Olli Rehn che le misure previste dalla legge di stabilità e da altri provvedimenti avrebbero fatto ripartire la nostra economia a quel ritmo. Magari è obiettivo che il governo Renzi può giudicare insufficiente. Ma affermare che si è nascosta la realtà è scorretto. Vorrei ricordare che nella riunione dell'Eurogruppo del 22 novembre scorso si era chiaramente arrivati alla conclusione che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna manovra» replica Saccomani.
Le preoccupazioni europee riguardano soprattutto il debito pubblico, il cui rapporto rispetto al Pil ha raggiunto un livello superiore di undici punti al record di vent'anni fa. Sono convinti che la correzione dei conti prevista per quest'anno non basterà a intaccarne le enormi dimensioni. «Ma dovrebbero sapere che il Prodotto interno lordo è sceso» argomenta l'ex ministro «non a causa di chissà quali politiche folli, ma per colpa della crisi. E che il debito è aumentato anche perché abbiamo dovuto pagare i conti lasciati con i fornitori dai governi precedenti, che si erano ben guardati dall'onorarli.
Quello di Enrico Letta è stato il primo governo che ha restituito i soldi alle imprese. Per non dire dei 50 miliardi di indebitamento che ci siamo accollati per le operazioni di salvataggio di Paesi come Grecia o Irlanda e per alimentare il meccanismo europeo di stabilità...». Resta il fatto che da novembre a oggi la Commissione europea ha peggiorato il proprio giudizio sulle condizioni della nostra finanza pubblica. «Olli Rehn conosce perfettamente la situazione di oggi, perché gli è stata illustrata nei dettagli. A metà febbraio gli ho mostrato tutto, compresi i conti della spending review che prevedono tagli di spesa crescenti fino al 2 per cento del Pil nel 2016. Parliamo di risparmi per 33 miliardi. Carlo Cottarelli ha fatto un lavoro molto diverso rispetto ai suoi predecessori, un'analisi capillare stabilendo insieme alle amministrazioni periferiche le aree d'intervento: dalla riduzione del costo di acquisto di beni e servizi, all'eliminazione dei sussidi, alla chiusura di enti inutili. Questo improvviso cambio di giudizio mi pare incomprensibile».
Chissà allora che a Bruxelles non abbiano voluto mettere le mani avanti, per prevenire l'offensiva annunciata da Renzi per attenuare le regole capestro sui bilanci pubblici. «Non esiste una possibilità su un milione che vengano cambiate» è persuaso Saccomanni. «Per ottenere questo risultato è necessaria l'unanimità, che non ci sarà mai. È vero che le regole si possono pure infrangere, andando però incontro alle sanzioni della Commissioni e dei mercati. Ma volendo rispettare il rigore dei conti pubblici si può solo cercare di stabilire un profilo di rientro del debito pubblico più a lungo termine, attraverso un'agenda di riforme».
Non è d'accordo, l'ex direttore della Banca d'Italia, con le tesi espresse da illustri personaggi, per esempio l'ex presidente della Commissione Romano Prodi che un'alleanza dei Paesi mediterranei potrebbe piegare le resistenze tedesche e del fronte rigorista: «Il problema non è solo la Germania. Ci sono Paesi fondatori dell'Unione, come l'Olanda, che hanno problemi interni fortissimi a spiegare agli elettori che si devono spendere denari pubblici per Paesi incapaci a tenere sotto controllo i conti pubblici.
Chi poi pensa a un fronte comune con Francia e Spagna deve sapere che i francesi non faranno mai nulla contro la Germania: lo spread della Francia è un quarto del nostro perché loro hanno convinto i mercati che resteranno per sempre agganciati alla locomotiva di Berlino. E la Spagna ha avuto dall'Europa 40 miliardi per salvare le sue banche: impensabile che sia disponibile a posizioni antitedesche. Ma poi diciamola tutta. La fissazione italiana che si debba aumentare il disavanzo pubblico per avere più crescita è un'autentica fesseria».
E deve pensarla come lui anche il suo successore Pier Carlo Padoan. Al «Sole 24 ore» ha dichiarato che non c'è nessuna intenzione di oltrepassare la soglia del 3 per cento imposta dal trattato di Maastricht. «Pier Carlo è molto apprezzato a Bruxelles. Non credo avrà problemi. Ma gli occhi dell'Europa sono molto attenti, e con quell'attenzione dovrà inevitabilmente fare i conti», lo mette in guardia Saccomanni. Che dice: «A pensare male si potrebbe immaginare che l'accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l'economia in ripresa... A quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via» scherza Saccomanni. Ma non più di tanto.
Saccomanni. Che dice: «A pensare male si potrebbe immaginare che l'accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l'economia in ripresa... A quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via» scherza Saccomanni. Ma non più di tanto.
Quello che Saccomanni non dice, se l'ipotesi fosse vera, e potrebbe anche esserla.
Con una posizione favorevole, nello stesso tempo Pittibimbo si appropria di risultati non suoi.
Inoltre non dimentichiamo per passeranno anni prima che si ripeta il semestre Ue a guida italiana.
Un occasione che uno malato di potere come Pittibimbo non poteva lasciarsi scappare. Anche perché la prossima volta che toccherà all'Italia non è detto che lui possa essere in lista per la poltrona.
07 MAR 2014 09:58
SACCO-DANNI E I DIECI MESI CON LETTA: ‘’L’ACCELERAZIONE NEL CAMBIO DI GOVERNO DETERMINATA DALLA PAURA CHE LETTA RAGGIUNGESSE RISULTATI TROPPO FAVOREVOLI: LO SPREAD IN DISCESA, L’ECONOMIA IN RIPRESA… A QUEL PUNTO, FRA UN ANNO, SAREBBE STATO MOLTO PIÙ DIFFICILE MANDARCI VIA’’
Gelatina si toglie i sassolini dalle scarpe: “Avessi saputo che sarebbe durata dieci mesi non so se avrei accettato. Per impostare un lavoro così complicato come quello affidato al ministro dell’Economia e portare a casa un risultato, servono due anni”….
Sergio Rizzo per ‘Il Corriere della Sera'
Ci vuole un fisico bestiale per passare dieci mesi come quelli toccati a Fabrizio Saccomanni. Sempre sul filo del rasoio, con l'ossessione quotidiana dei soldi da trovare e il fiato della politica sul collo. Di più, facendo da parafulmine per le saette della Commissione Ue. Il bilancio?
«Un'esperienza positiva. Ma avessi saputo che sarebbe durata dieci mesi non so se avrei accettato. Per impostare un lavoro così complicato come quello affidato al ministro dell'Economia e portare a casa un risultato, servono due anni». L'ex direttore generale della Banca d'Italia precisa di parlare «da economista», che non aveva certo bisogno di un breve passaggio sulla scrivania di Quintino Sella per coronare la carriera. Ma si capisce che il brusco epilogo brucia ancora di più dopo quanto è successo nelle ultime ore.
Con il commissario europeo Olli Rehn che retrocede l'Italia nel girone dei Paesi con «squilibri eccessivi». E il premier Matteo Renzi che dice: «Sapevamo che i numeri non erano quelli che Letta raccontava, ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano...». Saccomanni risponde con voce ferma: «È una scorrettezza. L'ipotesi che Letta abbia raccontato storie è assolutamente non vera. Noi abbiamo sempre esattamente detto come stavano le cose». Gli ultimi rilievi europei, però, sono pesanti. La Commissione accusa l'Italia di non aver messo in campo riforme in grado di tirarci fuori dalla palude della scarsa produttività e della crescita inesistente. «Il fatto è che loro hanno interpretato come stime i nostri obiettivi: due cose che sono evidentemente molto diverse.
Nel documento di economia e finanza ho scritto che il governo italiano si poneva per il 2014 l'obiettivo di una crescita dell'1,1 per cento. E a novembre mi sembrava di aver convinto la Commissione e Olli Rehn che le misure previste dalla legge di stabilità e da altri provvedimenti avrebbero fatto ripartire la nostra economia a quel ritmo. Magari è obiettivo che il governo Renzi può giudicare insufficiente. Ma affermare che si è nascosta la realtà è scorretto. Vorrei ricordare che nella riunione dell'Eurogruppo del 22 novembre scorso si era chiaramente arrivati alla conclusione che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna manovra» replica Saccomani.
Le preoccupazioni europee riguardano soprattutto il debito pubblico, il cui rapporto rispetto al Pil ha raggiunto un livello superiore di undici punti al record di vent'anni fa. Sono convinti che la correzione dei conti prevista per quest'anno non basterà a intaccarne le enormi dimensioni. «Ma dovrebbero sapere che il Prodotto interno lordo è sceso» argomenta l'ex ministro «non a causa di chissà quali politiche folli, ma per colpa della crisi. E che il debito è aumentato anche perché abbiamo dovuto pagare i conti lasciati con i fornitori dai governi precedenti, che si erano ben guardati dall'onorarli.
Quello di Enrico Letta è stato il primo governo che ha restituito i soldi alle imprese. Per non dire dei 50 miliardi di indebitamento che ci siamo accollati per le operazioni di salvataggio di Paesi come Grecia o Irlanda e per alimentare il meccanismo europeo di stabilità...». Resta il fatto che da novembre a oggi la Commissione europea ha peggiorato il proprio giudizio sulle condizioni della nostra finanza pubblica. «Olli Rehn conosce perfettamente la situazione di oggi, perché gli è stata illustrata nei dettagli. A metà febbraio gli ho mostrato tutto, compresi i conti della spending review che prevedono tagli di spesa crescenti fino al 2 per cento del Pil nel 2016. Parliamo di risparmi per 33 miliardi. Carlo Cottarelli ha fatto un lavoro molto diverso rispetto ai suoi predecessori, un'analisi capillare stabilendo insieme alle amministrazioni periferiche le aree d'intervento: dalla riduzione del costo di acquisto di beni e servizi, all'eliminazione dei sussidi, alla chiusura di enti inutili. Questo improvviso cambio di giudizio mi pare incomprensibile».
Chissà allora che a Bruxelles non abbiano voluto mettere le mani avanti, per prevenire l'offensiva annunciata da Renzi per attenuare le regole capestro sui bilanci pubblici. «Non esiste una possibilità su un milione che vengano cambiate» è persuaso Saccomanni. «Per ottenere questo risultato è necessaria l'unanimità, che non ci sarà mai. È vero che le regole si possono pure infrangere, andando però incontro alle sanzioni della Commissioni e dei mercati. Ma volendo rispettare il rigore dei conti pubblici si può solo cercare di stabilire un profilo di rientro del debito pubblico più a lungo termine, attraverso un'agenda di riforme».
Non è d'accordo, l'ex direttore della Banca d'Italia, con le tesi espresse da illustri personaggi, per esempio l'ex presidente della Commissione Romano Prodi che un'alleanza dei Paesi mediterranei potrebbe piegare le resistenze tedesche e del fronte rigorista: «Il problema non è solo la Germania. Ci sono Paesi fondatori dell'Unione, come l'Olanda, che hanno problemi interni fortissimi a spiegare agli elettori che si devono spendere denari pubblici per Paesi incapaci a tenere sotto controllo i conti pubblici.
Chi poi pensa a un fronte comune con Francia e Spagna deve sapere che i francesi non faranno mai nulla contro la Germania: lo spread della Francia è un quarto del nostro perché loro hanno convinto i mercati che resteranno per sempre agganciati alla locomotiva di Berlino. E la Spagna ha avuto dall'Europa 40 miliardi per salvare le sue banche: impensabile che sia disponibile a posizioni antitedesche. Ma poi diciamola tutta. La fissazione italiana che si debba aumentare il disavanzo pubblico per avere più crescita è un'autentica fesseria».
E deve pensarla come lui anche il suo successore Pier Carlo Padoan. Al «Sole 24 ore» ha dichiarato che non c'è nessuna intenzione di oltrepassare la soglia del 3 per cento imposta dal trattato di Maastricht. «Pier Carlo è molto apprezzato a Bruxelles. Non credo avrà problemi. Ma gli occhi dell'Europa sono molto attenti, e con quell'attenzione dovrà inevitabilmente fare i conti», lo mette in guardia Saccomanni. Che dice: «A pensare male si potrebbe immaginare che l'accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l'economia in ripresa... A quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via» scherza Saccomanni. Ma non più di tanto.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Er sor LoRenzi il Magnifico - 4
Grande bellezza, grande debolezza
Letta correva a Berlino, Renzi vola a Tunisi. Mentre l’Ucraina brucia. Forse perché l’Italia non conta. O per marcare la distanza dai vincoli europei. Ma ora il premier dovrà svelare i suoi piani per l’economia e dire dove troverà i soldi per realizzarli
Sembra solo ieri… Il 30 aprile 2013, un martedì, il premier Enrico Letta non faceva a tempo a incassare la fiducia del Senato al suo governo di larghe intese che era già sull’aereo che lo avrebbe portato a Berlino da Angela Merkel. E l’indomani a Parigi e a Bruxelles da Hollande, Barroso e Van Rompuy. Viva l’Europa. E con l’Europa, il più europeista dei capi di governo di cui l’Italia potesse disporre.
Dissolvenza, appena un anno dopo.Lunedì 3 marzo 2014 Matteo Renzi, presidente del Consiglio da appena una settimana, sceglie Tunisi per la sua prima visita di Stato. E da lì brinda all’intesa-pasticcio con Alfano, benedetta a sorpresa da Silvio Berlusconi, per la nuova legge elettorale. Ma soprattutto annuncia che il Mediterraneo sarà il tema dominante del semestre europeo di presidenza italiano. Cambio di passo, da Bruxelles alla primavera araba. Proprio mentre nel cuore dell’Europa l’Ucraina vive uno dei giorni più drammatici della sua crisi.
C’è chi ha giudicato la mossa obbligata, quasi la conferma della insignificanza italiana nello scacchiere internazionale: in effetti, che cosa avrebbe da dire Roma al tavolo delle grandi potenze che in queste ore decidono il futuro della Crimea? Poco e niente. E c’è chi invece legge nel primo atto di politica estera del governo Renzi addirittura il simbolico rifiuto della dipendenza italiana dall’Europa e dalla Germania, la sfida ai vincoli, ai condizionamenti e alle lettere d’intenti stilate nei circoli europei che hanno scandito la nostra recente politica economica. Insomma, pur se non esplicitata, la denuncia del vincolo “stupido” che àncora al tre per cento il rapporto deficit-pil.
Chissà chi ha visto giusto. Ma quale che sia la verità, la resa dei conti non tarderà molto. E non solo per la politica estera, ma soprattutto per quella economica alla quale è legata la reale possibilità di rivedere patti e vincoli siglati in Europa. Finora, per esempio, gli annunci del governo Renzi sono stati molti e impegnativi, ma il buio è completo su dove e come trovare le risorse necessarie per trasformare i progetti in realizzazioni.
Il taglio del costo del lavoro, ha detto il premier in Parlamento impappinandosi un po’ tra cifre e percentuali, dovrebbe essere di dieci miliardi. Evviva. Ma viene alla mente che questa cifra è due volte e mezzo il mancato gettito dell’Imu prima casa che per quasi un anno ha fatto perdere il sonno a Enrico Letta e a Fabrizio Saccomanni. L’idea di un sussidio di disoccupazione, poi - 500 euro per ciascuno dei milioni di senza lavoro - ricorda il meglio del welfare scandinavo, ma potrebbe costare più o meno una ventina di miliardi, quanto l’intero gettito di un anno di Imu, molto di più di quanto per esempio mette a disposizione l’Ue (1,5 miliardi) per la creazione di posti di lavoro per i più giovani.
Facile immaginare la risposta a queste obiezioni: ma c’è la spending review, ecco dove trovare i soldi! Ora, con tutto il rispetto per Carlo Cottarelli, succeduto a due mostri delle forbici come Enrico Bondi e Piero Giarda, che review dopo review portarono a casa poco o niente, è assai discutibile che anche in caso di massimo successo i tagli dispieghino tutta la loro geometrica potenza nei pochi mesi che ci separano dal nulla di oggi a quando sarà necessario avviare qualche riforma-stimolo per l’economia e per i consumi. E forse ha ragione Salvatore Settis a sospettare che quella formula inutilmente anglosassone nasconda tagli indiscriminati o il vuoto...
Insomma, grande sarebbe la delusione se ricominciassimo da dove si è partiti, se l’annuncio di tagli mirati al costo del lavoro o agli sprechi pubblici lasciasse ancora una volta il posto ad aumenti di tasse, una tantum o permanenti che siano, o a una terza forma di patrimoniale generalizzata dopo l’Imu e il prelievo (due per mille) su chi possiede azioni. Sarebbe una resa. Dal cambio di passo a un patetico déjà vu. Dalla grande bellezza promessa da Renzi alla grande debolezza di svolte annunciate e non realizzate.
Twitter @bmanfellotto
07 marzo 2014© RIPRODUZIONE RISERVATA
Grande bellezza, grande debolezza
Letta correva a Berlino, Renzi vola a Tunisi. Mentre l’Ucraina brucia. Forse perché l’Italia non conta. O per marcare la distanza dai vincoli europei. Ma ora il premier dovrà svelare i suoi piani per l’economia e dire dove troverà i soldi per realizzarli
Sembra solo ieri… Il 30 aprile 2013, un martedì, il premier Enrico Letta non faceva a tempo a incassare la fiducia del Senato al suo governo di larghe intese che era già sull’aereo che lo avrebbe portato a Berlino da Angela Merkel. E l’indomani a Parigi e a Bruxelles da Hollande, Barroso e Van Rompuy. Viva l’Europa. E con l’Europa, il più europeista dei capi di governo di cui l’Italia potesse disporre.
Dissolvenza, appena un anno dopo.Lunedì 3 marzo 2014 Matteo Renzi, presidente del Consiglio da appena una settimana, sceglie Tunisi per la sua prima visita di Stato. E da lì brinda all’intesa-pasticcio con Alfano, benedetta a sorpresa da Silvio Berlusconi, per la nuova legge elettorale. Ma soprattutto annuncia che il Mediterraneo sarà il tema dominante del semestre europeo di presidenza italiano. Cambio di passo, da Bruxelles alla primavera araba. Proprio mentre nel cuore dell’Europa l’Ucraina vive uno dei giorni più drammatici della sua crisi.
C’è chi ha giudicato la mossa obbligata, quasi la conferma della insignificanza italiana nello scacchiere internazionale: in effetti, che cosa avrebbe da dire Roma al tavolo delle grandi potenze che in queste ore decidono il futuro della Crimea? Poco e niente. E c’è chi invece legge nel primo atto di politica estera del governo Renzi addirittura il simbolico rifiuto della dipendenza italiana dall’Europa e dalla Germania, la sfida ai vincoli, ai condizionamenti e alle lettere d’intenti stilate nei circoli europei che hanno scandito la nostra recente politica economica. Insomma, pur se non esplicitata, la denuncia del vincolo “stupido” che àncora al tre per cento il rapporto deficit-pil.
Chissà chi ha visto giusto. Ma quale che sia la verità, la resa dei conti non tarderà molto. E non solo per la politica estera, ma soprattutto per quella economica alla quale è legata la reale possibilità di rivedere patti e vincoli siglati in Europa. Finora, per esempio, gli annunci del governo Renzi sono stati molti e impegnativi, ma il buio è completo su dove e come trovare le risorse necessarie per trasformare i progetti in realizzazioni.
Il taglio del costo del lavoro, ha detto il premier in Parlamento impappinandosi un po’ tra cifre e percentuali, dovrebbe essere di dieci miliardi. Evviva. Ma viene alla mente che questa cifra è due volte e mezzo il mancato gettito dell’Imu prima casa che per quasi un anno ha fatto perdere il sonno a Enrico Letta e a Fabrizio Saccomanni. L’idea di un sussidio di disoccupazione, poi - 500 euro per ciascuno dei milioni di senza lavoro - ricorda il meglio del welfare scandinavo, ma potrebbe costare più o meno una ventina di miliardi, quanto l’intero gettito di un anno di Imu, molto di più di quanto per esempio mette a disposizione l’Ue (1,5 miliardi) per la creazione di posti di lavoro per i più giovani.
Facile immaginare la risposta a queste obiezioni: ma c’è la spending review, ecco dove trovare i soldi! Ora, con tutto il rispetto per Carlo Cottarelli, succeduto a due mostri delle forbici come Enrico Bondi e Piero Giarda, che review dopo review portarono a casa poco o niente, è assai discutibile che anche in caso di massimo successo i tagli dispieghino tutta la loro geometrica potenza nei pochi mesi che ci separano dal nulla di oggi a quando sarà necessario avviare qualche riforma-stimolo per l’economia e per i consumi. E forse ha ragione Salvatore Settis a sospettare che quella formula inutilmente anglosassone nasconda tagli indiscriminati o il vuoto...
Insomma, grande sarebbe la delusione se ricominciassimo da dove si è partiti, se l’annuncio di tagli mirati al costo del lavoro o agli sprechi pubblici lasciasse ancora una volta il posto ad aumenti di tasse, una tantum o permanenti che siano, o a una terza forma di patrimoniale generalizzata dopo l’Imu e il prelievo (due per mille) su chi possiede azioni. Sarebbe una resa. Dal cambio di passo a un patetico déjà vu. Dalla grande bellezza promessa da Renzi alla grande debolezza di svolte annunciate e non realizzate.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Ora la prova dei fatti che vedremo con Renzi.SE abassa IRPEF O il cuneo fiscale o IRAP.
Ricordiamoci che Governo prodi aveva gia fatto un regalo agli imprenditori abassando di molto il cuneo fiscale.
Ciao
Paolo11
Ricordiamoci che Governo prodi aveva gia fatto un regalo agli imprenditori abassando di molto il cuneo fiscale.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Servizio Pubblico, Rampini: “L’Italia verso il collasso”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/11/ ... so/251844/
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Re: Il nuovo governo Renzi
L'ultimo ad accorgersi che la sinistra "rappresentativa" non esiste più è stato ieri Furio Colombo su IFQ.
Si sta spaccando anche il sindacato di riferimento.
La Camusso va all’attacco “Il governo ci ascolti o siamo pronti allo sciopero”
(Paolo Griseri).
10/03/2014 di triskel182
Il direttivo: subito misure su lavoro e fisco
Il sindacato.
ROMA — La Cgil chiede che il governo metta i lavoratori al centro dell’annunciata riforma delle leggi sul lavoro che il Consiglio dei ministri discuterà mercoledì. E, in caso contrario, prepara «una mobilitazione che non esclude il ricorso allo sciopero». Il direttivo del sindacato di Susanna Camusso si riunisce di domenica in Corso d’Italia perché durante la settimana tutti i dirigenti sono impegnati nei congressi territoriali.
Camusso affronta il tema partendo dalle proposte del piano lavoro che la Cgil ha presentato nei mesi scorsi.Due le richieste chiave al governo: destinare la riduzione del cuneo fiscale ad aumentare le buste paga e estendere a tutti i lavoratori la cassa integrazione. Temi sui quali tra i tecnici del governo si discute in queste ore. La Confindustria spera che una parte della riduzione del cuneo fiscale vada a ridurre l’Irap e le tasse che pagano le imprese. I sindacati, naturalmente, sostengono la tesi opposta: solo concentrando la riduzione del cuneo a favore dei salari più bassi, è possibile far risalire i consumi e, indirettamente, anche i fatturati delle imprese.
Il secondo punto del piano della Cgil è l’estensione della cassa integrazione, oggi a disposizione solo di una parte dei lavoratori dipendenti italiani. Inoltre il sindacato di Camusso vuole evitare che l’abolizione immediata
della cassa in deroga crei tra pochi mesi decine di migliaia di disoccupati. Un rischio che ha segnalato lo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
Saranno ascoltate queste richieste? Si capirà al consiglio dei ministri di mercoledì. Ma ieri Camusso ha voluto far sapere che la Cgil non accetterà uno sbilanciamento della riforma a favore delle imprese e a danno delle buste paga dei dipendenti. «Nel caso in cui le richieste del sindacato non siano accolte e si vada in direzione contraria, siamo pronti alla mobilitazione», ha detto il numero uno di Corso d’Italia. Anche per contrastare l’effetto dell’operazione di lobbying che in queste ore gli imprenditori e Squinzi stanno facendo sul governo anche attraverso il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi.
In serata, agli annunci di Camusso Renzi ribatte nell’intervista concessa a Fabio Fazio. Per dire che il governo «ascolta tutti, da Confindustria ai sindacati. Ascoltiamo tutti ma quel che dobbiamo fare lo sappiamo: lo faremo non pensando alle associazioni di categoria, ma alle famiglie e alle imprese». Poi il premier dedica un passaggio diretto alla leader di Corso d’Italia: «Camusso mi critica perché rischierei di essere vittima del culto della personalità? È una delle cose più carine che mi ha detto negli ultimi anni». Frase acida, ben diversa dal tono utilizzato nella successiva risposta sui rapporti con Maurizio Landini: «Non condivido tutto ciò che dice rivela Renzi – ma ogni volta che parlo con lui imparo qualcosa». In ogni caso, avverte duro il premier, «tutti devono fare i sacrifici, anche i sindacati che devono mettere on line le loro spese. La musica deve cambiare per tutti».
Da La Repubblica del 10/03/2014.
Si sta spaccando anche il sindacato di riferimento.
La Camusso va all’attacco “Il governo ci ascolti o siamo pronti allo sciopero”
(Paolo Griseri).
10/03/2014 di triskel182
Il direttivo: subito misure su lavoro e fisco
Il sindacato.
ROMA — La Cgil chiede che il governo metta i lavoratori al centro dell’annunciata riforma delle leggi sul lavoro che il Consiglio dei ministri discuterà mercoledì. E, in caso contrario, prepara «una mobilitazione che non esclude il ricorso allo sciopero». Il direttivo del sindacato di Susanna Camusso si riunisce di domenica in Corso d’Italia perché durante la settimana tutti i dirigenti sono impegnati nei congressi territoriali.
Camusso affronta il tema partendo dalle proposte del piano lavoro che la Cgil ha presentato nei mesi scorsi.Due le richieste chiave al governo: destinare la riduzione del cuneo fiscale ad aumentare le buste paga e estendere a tutti i lavoratori la cassa integrazione. Temi sui quali tra i tecnici del governo si discute in queste ore. La Confindustria spera che una parte della riduzione del cuneo fiscale vada a ridurre l’Irap e le tasse che pagano le imprese. I sindacati, naturalmente, sostengono la tesi opposta: solo concentrando la riduzione del cuneo a favore dei salari più bassi, è possibile far risalire i consumi e, indirettamente, anche i fatturati delle imprese.
Il secondo punto del piano della Cgil è l’estensione della cassa integrazione, oggi a disposizione solo di una parte dei lavoratori dipendenti italiani. Inoltre il sindacato di Camusso vuole evitare che l’abolizione immediata
della cassa in deroga crei tra pochi mesi decine di migliaia di disoccupati. Un rischio che ha segnalato lo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
Saranno ascoltate queste richieste? Si capirà al consiglio dei ministri di mercoledì. Ma ieri Camusso ha voluto far sapere che la Cgil non accetterà uno sbilanciamento della riforma a favore delle imprese e a danno delle buste paga dei dipendenti. «Nel caso in cui le richieste del sindacato non siano accolte e si vada in direzione contraria, siamo pronti alla mobilitazione», ha detto il numero uno di Corso d’Italia. Anche per contrastare l’effetto dell’operazione di lobbying che in queste ore gli imprenditori e Squinzi stanno facendo sul governo anche attraverso il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi.
In serata, agli annunci di Camusso Renzi ribatte nell’intervista concessa a Fabio Fazio. Per dire che il governo «ascolta tutti, da Confindustria ai sindacati. Ascoltiamo tutti ma quel che dobbiamo fare lo sappiamo: lo faremo non pensando alle associazioni di categoria, ma alle famiglie e alle imprese». Poi il premier dedica un passaggio diretto alla leader di Corso d’Italia: «Camusso mi critica perché rischierei di essere vittima del culto della personalità? È una delle cose più carine che mi ha detto negli ultimi anni». Frase acida, ben diversa dal tono utilizzato nella successiva risposta sui rapporti con Maurizio Landini: «Non condivido tutto ciò che dice rivela Renzi – ma ogni volta che parlo con lui imparo qualcosa». In ogni caso, avverte duro il premier, «tutti devono fare i sacrifici, anche i sindacati che devono mettere on line le loro spese. La musica deve cambiare per tutti».
Da La Repubblica del 10/03/2014.
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Re: Il nuovo governo Renzi
lunedì 10 marzo 2014
«Questa è l’ultima chance, rischio l’osso del collo.
I sindacati contro? Ce ne faremo una ragione»
l’Unità 10.3.14
Renzi: priorità alle famiglie
Duro con sindacati e Confindustria: «Che hanno fatto in questi anni?»
di Maria Zegarelli
Matteo Renzi in tv a Che tempo che fa sembra sciogliere a favore del taglio dell’Irpef l’intervento fiscale da dieci miliardi che sarà adottato mercoledì dal Consiglio dei ministri. «La priorità sono le famiglie», ribadisce il premier, che rifiuta di considerare la questione come un derby tra Confindustria e sindacati. Il direttivo della Cgil intanto avverte il premier: «Deve ascoltarci, altrimenti sarà mobilitazione».
Ha incontrato Paolo Sorrentino dietro le quinte di Che tempo che fa e si è fatto fare un autografo sul libro «Hanno tutti ragione», sulla quarta di copertina appunti fitti in penna rossa. Matteo Renzi ha fatto di persona i complimenti al premio oscar ma dalla «Grande bellezza» ai problemi dell’Italia, lo stacco è stato netto ieri sera da Fabio Fazio. Cuneo fiscale, occupazione, scuola. Un bagno di cruda realtà in vista del prossimo consiglio dei ministri di mercoledì che dovrebbe segnare il primo salto in avanti del governo Renzi.
Ma, come ha scritto ieri l’Unità, è dalla scuola che vuole partire il premier. Dieci miliardi di euro in tre anni, con la collaborazione di Renzo Piano, «a cui ho chiesto una mano» e con il quale parlerà a lungo di questo giovedì, perché per questo governo la priorità più grande è la scuola. «Non c’è stabilità più grande dei luoghi in cui lasciamo i nostri figli», dice annunciando l’«Unità di missione», con a capo il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio con l’obiettivo di aiutare i Comuni a gestire le risorse. Da dove si prendono i soldi? «Intanto si iniziano a spendere quelli che ci sono e sono bloccati dal Patto di stabilità interna», ci sono già due miliardi pronti, spiega.
Quando arriva al nodo ancora aggrovigliato, la riduzione del cuneo fiscale, cita Walt Disney. «La data è la differenza tra un sogno e un progetto», questa la cifra del suo governo, sottolinea, e quindi come annunciato mercoledì ci saranno le misure anche su questo fronte. Irap o Irpef? Imprese o lavoratori? Da quello che dice a Fazio, Renzi sembra aver deciso, malgrado metà dei suoi ministri, a cominciare dal titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan, la pensi in modo diverso, a dare «uno scossone molto forte alle famiglie». Cento euro in più nella busta paga di chi guadagna meno di 1550 euro al mese, dice, fanno la differenza. Fanno ripartire i consumi, non finiscono nel risparmio. Rifiuta la logica del derby tra Confidustria e sindacati, «cosa hanno fatto negli ultimi venti anni? Noi sappiamo cosa fare». Renzi per le imprese annuncia semplificazione delle norme, del codice del lavoro, trasparenza, e poi, «cercheremo anche di ridurre la pressione fiscale». Forse si interverrà in due step, dando la precedenza all’Irpef, destinando però risorse ingenti anche per l’Irap in una seconda fase, molto probabilmente prendendo le risorse, oltre che dalla spending review, anche dalla lotta all’evasione. «Mercoledì arriverà il taglio delle tasse, anche se non ci crede nessuno», promette, annunciando subito dopo la nomina del magistrato Raffaele Cantone a capo dell’Autorità contro la corruzione, altro cancro del Paese, decisa dal governo Montima mai partita. Sarà l’altro segno distintivo dei primi mesi di lavoro, quello della lotta alla corruzione, così come lo sarà quella all’evasione. Il premier, preso di mira da molti commentatori, finito al centro delle polemiche per le canzoncine che i bambini delle scuole che ha visitato gli hanno dedicato, cerca di ridimensionare i toni. «Vorrei dare un messaggio di serenità, il governo deve tornare a parlare come parlano gli italiani tutti i giorni. E gli italiani parlano di cose concrete come le scuole». Assurde le polemiche anche sulle tasse, «per anni le hanno aumentate, noi le stiamo abbassando». Sa che le aspettative sono alte, «io sto rischiando l’osso del colle e se fallisco cambio lavoro». Gli dà manforte l’alleato di governo, Angelino Alfano, «non sono per un derby tra Irap e Irpef. Dobbiamo trovare le risorse e stabilire dove collocarle in modo che l’impatto sia maggiore», dice ospite di Maria Latella. Di sicuro, conferma, «noi nei prossimi otto giorni daremo un segnale di riduzione fiscale che non ha precedenti »,
Renzi non si lascia intimorire dalla minacce di iniziative forti da parte della Cgil, «ascoltiamo tutti ma quello che c’è da fare lo sappiamo e lo faremo pensando ai cittadini», anzi rilancia: «Quando chiediamo a tutti di fare dei sacrifici, lo diciamo anche i sindacati che devono mettere on line le loro spese, la musica deve cambiare per tutti». Conciliante ancora con Maurizio Landini, segretario Fiom: «Non condivido tutto ciò che dice Landini ma ogni volta che parlo con lui, imparo qualcosa».
Rassicura l’Europa sul rispetto del rapporto del 3% deficit Pil: «È una norma concettualmente antiquata, ma che rispetteremo finché non sarà cambiata. Non cambieremo le regole in modo unilaterale ». Non rassicura sulla parità di genere per la legge elettorale, il Pd la rispetterà, gli altri partiti chi lo sa. Ma la legge elettorale si cambia con l’accordo di tutti. «Sulla partita di genere è giusto che si faccia una scelta politica - dice Renzi - ma la parità vera è quando non ci sarà più una ragazza che firma una lettera in bianco di dimissioni quando rimane incinta, quando ci sarà un salario uguale tra uomini e donne, quando ci saranno più asili nido». «Io sono per la parità di genere - assicura -ma si affronta non soltanto sui banchi del Parlamento ». E sui tempi è fiducioso, domani, al massimo martedì sarà votata alla Camera.
E poi avanti tutta con il superamento del bicameralismo perfetto e l’abolizione delle province. «Il Pd ci sta, Grillo no».
l’Unità 10.3.14
La Cgil: «Ci ascolti o sarà mobilitazione»
di Massimo Franchi
«Se le nostre richieste non saranno accolte e si andrà in direzione contraria, siamo pronti alla mobilitazione». Susanna Camusso non cita mai la parola sciopero, ma nelle conclusioni del Direttivo Cgil di ieri con all’ordine del giorno il giudizio sul nuovo esecutivo - e quindi prendendo una posizione ufficiale a nome di tutta la confederazione - lancia un segnale chiaro al governo Renzi: priorità al lavoro, alle buste paga dei lavoratori e agli ammortizzatori sociali o siamo pronti a tornare in piazza. Attenzione però, la decisione non verrà di certo presa a stretto giro. E quindi non basterà l’eventuale delusione per il Consiglio dei ministri di mercoledì: se il governo deciderà di tagliare l’Irap - accontentando le imprese - e non l’Irpef - che accontenterebbe Cgil, Cisl e Uil - la mobilitazione non sarebbe comunque ancora all’ordine del giorno.
Sulla questione poi Camusso ha ribadito la richiesta di usare la leva delle detrazioni e non delle aliquote Irpef per non premiare gli evasori che si annidano - in quanto tali - nei redditi più bassi. In questo modo poi ne beneficeranno anche i pensionati. L’inusuale Direttivo domenicale - l’unica giornata libera dai tanti congressi territoriali di categoria che si stanno susseguendo e tengono occupati i dirigenti delle varie federazioni - ha visto un lungo dibattito sulla situazione politico-economica del paese e sui provvedimenti che il nuovo governo Renzi si appresta a varare.
Se sul merito del provvedimento sul taglio del cuneo fiscale si attendono le decisioni del governo, è il metodo a lasciare ancora interdetta la Cgil. Già nei giorni scorsi fra Renzi e Camusso c’erano state punzecchiature sul ruolo delle parti sociali e sul fatto che il presidente del Consiglio decida le politiche economiche e sul lavoro senza confrontarsi con i sindacati. Anche ieri Camusso ha ribadito che «la Cgil si aspetta di essere ascoltata e di ottenere risposte».
Tornando al merito dei provvedimenti, oltre alla partita del cuneo fiscale, le priorità della Cgil riguardano in prima battuta la creazione di posti di lavoro. Per Susanna Camusso la strada è quella «degli investimenti pubblici e privati», con la leva statale che va utilizzata soprattutto per la messa in sicurezza del territorio. L’altra urgenza riguarda gli ammortizzatori sociali. Da una parte c’è la vera emergenza della cassa integrazione in deroga, con decine di migliaia di lavoratori che aspettano ancora i pagamenti del 2013 e i tagli già operati sull’anno corrente con un decreto interministeriale del precedente governo che ha ristretto i criteri di erogazione per le imprese. Su questo tema dunque Camusso chiede di aumentare le risorse da stanziare per il 2014, dicendosi poi disponibile a discutere di un futuro superamento di questo strumento. La Cgil poi nei giorni scorsi ha presentato la sua proposta complessiva di riforma degli ammortizzatori con un «carattere inclusivo ed universale», proponendo due strumenti: l’allargamento a tutti della cassa integrazione e una indennità di disoccupazione estesa ai precari e finanziata tramite alla contribuzione di tutte le imprese che oggi “sfruttano” co.co.pro e false partite Iva.
Il Direttivo di ieri non ha affrontato i temi interni alla Cgil anche per l’assenza - già annunciata e giustificata - di Maurizio Landini. Ma di certo a Susanna Camusso non avrà fatto piacere leggere la lettera aperta che il segretario generale della Fiom ha inviato dalle pagine di Repubblica direttamente a Matteo Renzi. Un programma molto di sinistra - dalla patrimoniale alla riduzione dell’età pensionabile e al ripristino delle pensioni di anzianità - che difficilmente il premier potrà appoggiare anche parzialmente.
CONFINDUSTRIA SPERA ANCORA Passando alla posizione delle altre parti sociali, ieri il leader della Cisl Raffaele Bonanni ha affidato a Twitter la sua preferenza e richiesta al premier. «Le imprese ed i lavoratori sono sulla stessa barca. Ma concentrarsi sull’Irpef aiuta i consumi e quindi le imprese. Renzi faccia un patto!». Contraria invece al taglio dell’Irpef e favorevole al taglio dell’Irap è Confindustria. Giorgio Squinzi sta lavorando dietro le quinte e considera ancora aperta la partita: è ottimista sul fatto di poter convincere Renzi e il governo ad agire con una sforbiciata sull’Irap, proponendo in parallelo un taglio della spesa pubblica ancora più forte rispetto a quello annunciato con la spending review.
«Questa è l’ultima chance, rischio l’osso del collo.
I sindacati contro? Ce ne faremo una ragione»
l’Unità 10.3.14
Renzi: priorità alle famiglie
Duro con sindacati e Confindustria: «Che hanno fatto in questi anni?»
di Maria Zegarelli
Matteo Renzi in tv a Che tempo che fa sembra sciogliere a favore del taglio dell’Irpef l’intervento fiscale da dieci miliardi che sarà adottato mercoledì dal Consiglio dei ministri. «La priorità sono le famiglie», ribadisce il premier, che rifiuta di considerare la questione come un derby tra Confindustria e sindacati. Il direttivo della Cgil intanto avverte il premier: «Deve ascoltarci, altrimenti sarà mobilitazione».
Ha incontrato Paolo Sorrentino dietro le quinte di Che tempo che fa e si è fatto fare un autografo sul libro «Hanno tutti ragione», sulla quarta di copertina appunti fitti in penna rossa. Matteo Renzi ha fatto di persona i complimenti al premio oscar ma dalla «Grande bellezza» ai problemi dell’Italia, lo stacco è stato netto ieri sera da Fabio Fazio. Cuneo fiscale, occupazione, scuola. Un bagno di cruda realtà in vista del prossimo consiglio dei ministri di mercoledì che dovrebbe segnare il primo salto in avanti del governo Renzi.
Ma, come ha scritto ieri l’Unità, è dalla scuola che vuole partire il premier. Dieci miliardi di euro in tre anni, con la collaborazione di Renzo Piano, «a cui ho chiesto una mano» e con il quale parlerà a lungo di questo giovedì, perché per questo governo la priorità più grande è la scuola. «Non c’è stabilità più grande dei luoghi in cui lasciamo i nostri figli», dice annunciando l’«Unità di missione», con a capo il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio con l’obiettivo di aiutare i Comuni a gestire le risorse. Da dove si prendono i soldi? «Intanto si iniziano a spendere quelli che ci sono e sono bloccati dal Patto di stabilità interna», ci sono già due miliardi pronti, spiega.
Quando arriva al nodo ancora aggrovigliato, la riduzione del cuneo fiscale, cita Walt Disney. «La data è la differenza tra un sogno e un progetto», questa la cifra del suo governo, sottolinea, e quindi come annunciato mercoledì ci saranno le misure anche su questo fronte. Irap o Irpef? Imprese o lavoratori? Da quello che dice a Fazio, Renzi sembra aver deciso, malgrado metà dei suoi ministri, a cominciare dal titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan, la pensi in modo diverso, a dare «uno scossone molto forte alle famiglie». Cento euro in più nella busta paga di chi guadagna meno di 1550 euro al mese, dice, fanno la differenza. Fanno ripartire i consumi, non finiscono nel risparmio. Rifiuta la logica del derby tra Confidustria e sindacati, «cosa hanno fatto negli ultimi venti anni? Noi sappiamo cosa fare». Renzi per le imprese annuncia semplificazione delle norme, del codice del lavoro, trasparenza, e poi, «cercheremo anche di ridurre la pressione fiscale». Forse si interverrà in due step, dando la precedenza all’Irpef, destinando però risorse ingenti anche per l’Irap in una seconda fase, molto probabilmente prendendo le risorse, oltre che dalla spending review, anche dalla lotta all’evasione. «Mercoledì arriverà il taglio delle tasse, anche se non ci crede nessuno», promette, annunciando subito dopo la nomina del magistrato Raffaele Cantone a capo dell’Autorità contro la corruzione, altro cancro del Paese, decisa dal governo Montima mai partita. Sarà l’altro segno distintivo dei primi mesi di lavoro, quello della lotta alla corruzione, così come lo sarà quella all’evasione. Il premier, preso di mira da molti commentatori, finito al centro delle polemiche per le canzoncine che i bambini delle scuole che ha visitato gli hanno dedicato, cerca di ridimensionare i toni. «Vorrei dare un messaggio di serenità, il governo deve tornare a parlare come parlano gli italiani tutti i giorni. E gli italiani parlano di cose concrete come le scuole». Assurde le polemiche anche sulle tasse, «per anni le hanno aumentate, noi le stiamo abbassando». Sa che le aspettative sono alte, «io sto rischiando l’osso del colle e se fallisco cambio lavoro». Gli dà manforte l’alleato di governo, Angelino Alfano, «non sono per un derby tra Irap e Irpef. Dobbiamo trovare le risorse e stabilire dove collocarle in modo che l’impatto sia maggiore», dice ospite di Maria Latella. Di sicuro, conferma, «noi nei prossimi otto giorni daremo un segnale di riduzione fiscale che non ha precedenti »,
Renzi non si lascia intimorire dalla minacce di iniziative forti da parte della Cgil, «ascoltiamo tutti ma quello che c’è da fare lo sappiamo e lo faremo pensando ai cittadini», anzi rilancia: «Quando chiediamo a tutti di fare dei sacrifici, lo diciamo anche i sindacati che devono mettere on line le loro spese, la musica deve cambiare per tutti». Conciliante ancora con Maurizio Landini, segretario Fiom: «Non condivido tutto ciò che dice Landini ma ogni volta che parlo con lui, imparo qualcosa».
Rassicura l’Europa sul rispetto del rapporto del 3% deficit Pil: «È una norma concettualmente antiquata, ma che rispetteremo finché non sarà cambiata. Non cambieremo le regole in modo unilaterale ». Non rassicura sulla parità di genere per la legge elettorale, il Pd la rispetterà, gli altri partiti chi lo sa. Ma la legge elettorale si cambia con l’accordo di tutti. «Sulla partita di genere è giusto che si faccia una scelta politica - dice Renzi - ma la parità vera è quando non ci sarà più una ragazza che firma una lettera in bianco di dimissioni quando rimane incinta, quando ci sarà un salario uguale tra uomini e donne, quando ci saranno più asili nido». «Io sono per la parità di genere - assicura -ma si affronta non soltanto sui banchi del Parlamento ». E sui tempi è fiducioso, domani, al massimo martedì sarà votata alla Camera.
E poi avanti tutta con il superamento del bicameralismo perfetto e l’abolizione delle province. «Il Pd ci sta, Grillo no».
l’Unità 10.3.14
La Cgil: «Ci ascolti o sarà mobilitazione»
di Massimo Franchi
«Se le nostre richieste non saranno accolte e si andrà in direzione contraria, siamo pronti alla mobilitazione». Susanna Camusso non cita mai la parola sciopero, ma nelle conclusioni del Direttivo Cgil di ieri con all’ordine del giorno il giudizio sul nuovo esecutivo - e quindi prendendo una posizione ufficiale a nome di tutta la confederazione - lancia un segnale chiaro al governo Renzi: priorità al lavoro, alle buste paga dei lavoratori e agli ammortizzatori sociali o siamo pronti a tornare in piazza. Attenzione però, la decisione non verrà di certo presa a stretto giro. E quindi non basterà l’eventuale delusione per il Consiglio dei ministri di mercoledì: se il governo deciderà di tagliare l’Irap - accontentando le imprese - e non l’Irpef - che accontenterebbe Cgil, Cisl e Uil - la mobilitazione non sarebbe comunque ancora all’ordine del giorno.
Sulla questione poi Camusso ha ribadito la richiesta di usare la leva delle detrazioni e non delle aliquote Irpef per non premiare gli evasori che si annidano - in quanto tali - nei redditi più bassi. In questo modo poi ne beneficeranno anche i pensionati. L’inusuale Direttivo domenicale - l’unica giornata libera dai tanti congressi territoriali di categoria che si stanno susseguendo e tengono occupati i dirigenti delle varie federazioni - ha visto un lungo dibattito sulla situazione politico-economica del paese e sui provvedimenti che il nuovo governo Renzi si appresta a varare.
Se sul merito del provvedimento sul taglio del cuneo fiscale si attendono le decisioni del governo, è il metodo a lasciare ancora interdetta la Cgil. Già nei giorni scorsi fra Renzi e Camusso c’erano state punzecchiature sul ruolo delle parti sociali e sul fatto che il presidente del Consiglio decida le politiche economiche e sul lavoro senza confrontarsi con i sindacati. Anche ieri Camusso ha ribadito che «la Cgil si aspetta di essere ascoltata e di ottenere risposte».
Tornando al merito dei provvedimenti, oltre alla partita del cuneo fiscale, le priorità della Cgil riguardano in prima battuta la creazione di posti di lavoro. Per Susanna Camusso la strada è quella «degli investimenti pubblici e privati», con la leva statale che va utilizzata soprattutto per la messa in sicurezza del territorio. L’altra urgenza riguarda gli ammortizzatori sociali. Da una parte c’è la vera emergenza della cassa integrazione in deroga, con decine di migliaia di lavoratori che aspettano ancora i pagamenti del 2013 e i tagli già operati sull’anno corrente con un decreto interministeriale del precedente governo che ha ristretto i criteri di erogazione per le imprese. Su questo tema dunque Camusso chiede di aumentare le risorse da stanziare per il 2014, dicendosi poi disponibile a discutere di un futuro superamento di questo strumento. La Cgil poi nei giorni scorsi ha presentato la sua proposta complessiva di riforma degli ammortizzatori con un «carattere inclusivo ed universale», proponendo due strumenti: l’allargamento a tutti della cassa integrazione e una indennità di disoccupazione estesa ai precari e finanziata tramite alla contribuzione di tutte le imprese che oggi “sfruttano” co.co.pro e false partite Iva.
Il Direttivo di ieri non ha affrontato i temi interni alla Cgil anche per l’assenza - già annunciata e giustificata - di Maurizio Landini. Ma di certo a Susanna Camusso non avrà fatto piacere leggere la lettera aperta che il segretario generale della Fiom ha inviato dalle pagine di Repubblica direttamente a Matteo Renzi. Un programma molto di sinistra - dalla patrimoniale alla riduzione dell’età pensionabile e al ripristino delle pensioni di anzianità - che difficilmente il premier potrà appoggiare anche parzialmente.
CONFINDUSTRIA SPERA ANCORA Passando alla posizione delle altre parti sociali, ieri il leader della Cisl Raffaele Bonanni ha affidato a Twitter la sua preferenza e richiesta al premier. «Le imprese ed i lavoratori sono sulla stessa barca. Ma concentrarsi sull’Irpef aiuta i consumi e quindi le imprese. Renzi faccia un patto!». Contraria invece al taglio dell’Irpef e favorevole al taglio dell’Irap è Confindustria. Giorgio Squinzi sta lavorando dietro le quinte e considera ancora aperta la partita: è ottimista sul fatto di poter convincere Renzi e il governo ad agire con una sforbiciata sull’Irap, proponendo in parallelo un taglio della spesa pubblica ancora più forte rispetto a quello annunciato con la spending review.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Repubblica 10.3.14
Scatta l’Opa di Landini sulla Cgil il patto con Renzi cambia il sindacato
Fiom, filo diretto con Palazzo Chigi. La segreteria nell’angolo
di Paolo Griseri
LA CGIL minaccia la mobilitazione contro il governo Renzi. E lo fa mentre Susanna Camusso e la Fiom sono ai ferri corti sul giudizio da dare su un accordo, quello sulla rappresentanza in fabbrica. Nessuno di questi due fatti è una novità nella storia centenaria del più grande sindacato italiano. Ci sono decine di esempi di scioperi dei lavoratori della sinistra contro governi più o meno amici e ci sono altre decine di episodi di scontro tra la Confederazione e i metalmeccanici.
E’ invece del tutto nuova la Cgil a due velocità che propongono le cronache di queste ultime settimane. Con la Fiom che tratta direttamente e pubblicamente con il premier i punti principali di quella riforma del lavoro che la Confederazione di Corso d’Italia chiede da tempo e invano di discutere. Perché né il governo Letta né quello attuale (tantomeno quello guidato da Monti) hanno mai voluto aprire un tavolo serio di confronto con il sindacato confederale. Preferendo, al contrario, affidare ai tecnici le riforme («salvo poi dover chiedere scusa, com’è accaduto con gli esodati creati da Elsa Fornero», ricordava con una punta di malizia in questi giorni Susanna Camusso).
La segretaria si trova in una situazione non semplice. Da un lato gli abboccamenti con il nuovo ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, hanno chiarito che, al pari dei sindacati confederali, anche il titolare di quel dicastero scoprirà praticamente mercoledì mattina quali sono le proposte contenute nella riforma di Renzi. Dall’altro lato, rotta la pace interna che durava da due anni, la Fiom dimostra di muoversi in totale (e del tutto irrituale) autonomia trattando direttamente con l’esecutivo. Maurizio Landini si comporta come il capitano di una nave corsara, andando alla sostanza e saltando il bon ton dell’organizzazione costretta invece a muoversi con le manovre lente del galeone spagnolo. Il congresso della Cgil si concluderà a maggio con la conferma a stragrande maggioranza di Camusso e questo esito non è in discussione. Ma Landini, con le iniziative di queste settimane (compresa la lettera aperta a Renzi pubblicata su Repubblica di ieri), lancia una sorta di opa interna alla Cgil, non dissimile da quella che l’attuale premier ha lanciato a suo tempo nel Pd. Pur avendo posizioni di merito radicalmente diverse, il segretario della Fiom e l’ex sindaco di Firenze hanno modi diagire simili, basati sulla velocità delle mosse. A favorire il dialogo diretto tra i due ci sono anche i giudizi dati a suo tempo da Susanna Camusso e dai vertici di Corso d’Italia sull’attuale premier. Nello scontro alle primarie tra Renzi e Bersani la segretaria si schierò con il secondo sostenendo che le proposte di Renzi «sono un problema per il Paese» (era l’epoca in cui si ipotizzava che il consulente di Renzi per il lavoro fosse Pietro Ichino). E nello scontro Renzi-Cuperlo suscitò polemiche un testo su carta intestata dei pensionati Cgil a favore del secondo. La Fiom, sideralmente lontana dallo scontro interno al Pd, è diventata, per paradosso, un interlocutore meno compromesso agli occhi del premier. Fino al punto che il 5 febbraio scorso Landini arrivò in ritardo a un appuntamento sindacale con Susanna Camusso al Nuovo Pignone di Firenze perché era stato impegnato in mattinata a Roma a incontrare Renzi.
L’opa di Landini nella Cgil non porterà il segretario dei metalmeccanici a vincere il congresso, dove i giochi sono fatti da tempo. Ma creerà nuove fibrillazioni che forse non dispiacciono troppo all’attuale premier. Qualche segnale si vede già in questi giorni. Al congresso della Camera del lavoro di Bologna (la seconda d’Italia) il candidato vicino alla segreteria nazionale viene costretto al ritiro. Al congresso Cgil di Torino passa un ordine del giorno contro la Tav (da sempre uno dei cavalli di battaglia della Fiom). Per finire con lo Spi-Cgil (tre milioni di iscritti) che ieri ha diffuso un sondaggio secondo cui il 70 per cento dei pensionati ha molta o abbastanza fiducia nel premier. Non esattamente l’annuncio migliore nello stesso giorno in cui il segretario generale di Corso d’Italia promette al direttivo la mobilitazione contro il governo.
Corriere 10.3.14
Cgil nervosa per l’asse tra premier e Landini
di Dario Di Vico
Il congresso della Cgil dura cinque mesi e mette a dura prova la costanza dei media nel seguirne con attenzione gli sviluppi. Eppure è tutt’altro che un evento piatto e di scarso interesse. Il leitmotiv è rappresentato dalla contrapposizione molto accesa tra la (larga) maggioranza che si riconosce nel segretario Susanna Camusso e il leader della Fiom Maurizio Landini. La scintilla si è accesa per un diverso e radicale giudizio sull’accordo per la rappresentanza ma poi il dissenso sembra essersi allargato all’intero campo della proposta sindacale. Al punto che ieri Landini ha pubblicato sul suo sito e su Repubblica una «lenzuolata» che suona come una piattaforma alternativa, quasi che volesse lanciare un’Opa sulla segreteria facendosi forte (anche) della sorprendente interlocuzione che si è aperta tra lui e il premier Matteo Renzi. Da quali contenuti i due possano essere uniti resta ancora un mistero ma sul piano tattico hanno entrambi convenienza a scardinare gli attuali assetti del maggiore sindacato. Si tenga presente, infatti, che oltre a vivere dello scontro Camusso-Landini i congressi fanno registrare qua e là delle sorprese, a dimostrazione dell’esistenza di tensioni che covano sotto pelle e trovano il modo di emergere. E’ stato così nel congresso di Bologna dove il segretario uscente Gruppi è stato di fatto messo in minoranza e costretto alle dimissioni. Oppure al congresso di Torino dove i delegati hanno approvato un ordine del giorno che chiede di interrompere i lavori della Tav. Fin qui niente da dire, i congressi servono proprio a discutere e nel caso a votare. I dubbi vengono dopo, quando, come è accaduto ieri al direttivo nazionale della Cgil, spunta all’improvviso un aut aut al governo del tipo «o prendete i provvedimenti che vogliamo o scioperiamo». Camusso può legittimamente non amare il governo Renzi ma a pochi giorni da un Consiglio dei ministri, che sembra comunque voler tagliare l’Irpef, è singolare confezionare un ultimatum. Cisl e Uil si stanno muovendo con maggiore accortezza senza inutili fughe in avanti. Mentre è forte l’impressione che la Cgil stia scaricando sul contenzioso con il governo anche le proprie tensioni interne al punto che interrompere il dialogo Landini-Renzi è diventata una priorità. E il fine, in tempo di revival fiorentino, giustifica ancora una volta i mezzi.
Scatta l’Opa di Landini sulla Cgil il patto con Renzi cambia il sindacato
Fiom, filo diretto con Palazzo Chigi. La segreteria nell’angolo
di Paolo Griseri
LA CGIL minaccia la mobilitazione contro il governo Renzi. E lo fa mentre Susanna Camusso e la Fiom sono ai ferri corti sul giudizio da dare su un accordo, quello sulla rappresentanza in fabbrica. Nessuno di questi due fatti è una novità nella storia centenaria del più grande sindacato italiano. Ci sono decine di esempi di scioperi dei lavoratori della sinistra contro governi più o meno amici e ci sono altre decine di episodi di scontro tra la Confederazione e i metalmeccanici.
E’ invece del tutto nuova la Cgil a due velocità che propongono le cronache di queste ultime settimane. Con la Fiom che tratta direttamente e pubblicamente con il premier i punti principali di quella riforma del lavoro che la Confederazione di Corso d’Italia chiede da tempo e invano di discutere. Perché né il governo Letta né quello attuale (tantomeno quello guidato da Monti) hanno mai voluto aprire un tavolo serio di confronto con il sindacato confederale. Preferendo, al contrario, affidare ai tecnici le riforme («salvo poi dover chiedere scusa, com’è accaduto con gli esodati creati da Elsa Fornero», ricordava con una punta di malizia in questi giorni Susanna Camusso).
La segretaria si trova in una situazione non semplice. Da un lato gli abboccamenti con il nuovo ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, hanno chiarito che, al pari dei sindacati confederali, anche il titolare di quel dicastero scoprirà praticamente mercoledì mattina quali sono le proposte contenute nella riforma di Renzi. Dall’altro lato, rotta la pace interna che durava da due anni, la Fiom dimostra di muoversi in totale (e del tutto irrituale) autonomia trattando direttamente con l’esecutivo. Maurizio Landini si comporta come il capitano di una nave corsara, andando alla sostanza e saltando il bon ton dell’organizzazione costretta invece a muoversi con le manovre lente del galeone spagnolo. Il congresso della Cgil si concluderà a maggio con la conferma a stragrande maggioranza di Camusso e questo esito non è in discussione. Ma Landini, con le iniziative di queste settimane (compresa la lettera aperta a Renzi pubblicata su Repubblica di ieri), lancia una sorta di opa interna alla Cgil, non dissimile da quella che l’attuale premier ha lanciato a suo tempo nel Pd. Pur avendo posizioni di merito radicalmente diverse, il segretario della Fiom e l’ex sindaco di Firenze hanno modi diagire simili, basati sulla velocità delle mosse. A favorire il dialogo diretto tra i due ci sono anche i giudizi dati a suo tempo da Susanna Camusso e dai vertici di Corso d’Italia sull’attuale premier. Nello scontro alle primarie tra Renzi e Bersani la segretaria si schierò con il secondo sostenendo che le proposte di Renzi «sono un problema per il Paese» (era l’epoca in cui si ipotizzava che il consulente di Renzi per il lavoro fosse Pietro Ichino). E nello scontro Renzi-Cuperlo suscitò polemiche un testo su carta intestata dei pensionati Cgil a favore del secondo. La Fiom, sideralmente lontana dallo scontro interno al Pd, è diventata, per paradosso, un interlocutore meno compromesso agli occhi del premier. Fino al punto che il 5 febbraio scorso Landini arrivò in ritardo a un appuntamento sindacale con Susanna Camusso al Nuovo Pignone di Firenze perché era stato impegnato in mattinata a Roma a incontrare Renzi.
L’opa di Landini nella Cgil non porterà il segretario dei metalmeccanici a vincere il congresso, dove i giochi sono fatti da tempo. Ma creerà nuove fibrillazioni che forse non dispiacciono troppo all’attuale premier. Qualche segnale si vede già in questi giorni. Al congresso della Camera del lavoro di Bologna (la seconda d’Italia) il candidato vicino alla segreteria nazionale viene costretto al ritiro. Al congresso Cgil di Torino passa un ordine del giorno contro la Tav (da sempre uno dei cavalli di battaglia della Fiom). Per finire con lo Spi-Cgil (tre milioni di iscritti) che ieri ha diffuso un sondaggio secondo cui il 70 per cento dei pensionati ha molta o abbastanza fiducia nel premier. Non esattamente l’annuncio migliore nello stesso giorno in cui il segretario generale di Corso d’Italia promette al direttivo la mobilitazione contro il governo.
Corriere 10.3.14
Cgil nervosa per l’asse tra premier e Landini
di Dario Di Vico
Il congresso della Cgil dura cinque mesi e mette a dura prova la costanza dei media nel seguirne con attenzione gli sviluppi. Eppure è tutt’altro che un evento piatto e di scarso interesse. Il leitmotiv è rappresentato dalla contrapposizione molto accesa tra la (larga) maggioranza che si riconosce nel segretario Susanna Camusso e il leader della Fiom Maurizio Landini. La scintilla si è accesa per un diverso e radicale giudizio sull’accordo per la rappresentanza ma poi il dissenso sembra essersi allargato all’intero campo della proposta sindacale. Al punto che ieri Landini ha pubblicato sul suo sito e su Repubblica una «lenzuolata» che suona come una piattaforma alternativa, quasi che volesse lanciare un’Opa sulla segreteria facendosi forte (anche) della sorprendente interlocuzione che si è aperta tra lui e il premier Matteo Renzi. Da quali contenuti i due possano essere uniti resta ancora un mistero ma sul piano tattico hanno entrambi convenienza a scardinare gli attuali assetti del maggiore sindacato. Si tenga presente, infatti, che oltre a vivere dello scontro Camusso-Landini i congressi fanno registrare qua e là delle sorprese, a dimostrazione dell’esistenza di tensioni che covano sotto pelle e trovano il modo di emergere. E’ stato così nel congresso di Bologna dove il segretario uscente Gruppi è stato di fatto messo in minoranza e costretto alle dimissioni. Oppure al congresso di Torino dove i delegati hanno approvato un ordine del giorno che chiede di interrompere i lavori della Tav. Fin qui niente da dire, i congressi servono proprio a discutere e nel caso a votare. I dubbi vengono dopo, quando, come è accaduto ieri al direttivo nazionale della Cgil, spunta all’improvviso un aut aut al governo del tipo «o prendete i provvedimenti che vogliamo o scioperiamo». Camusso può legittimamente non amare il governo Renzi ma a pochi giorni da un Consiglio dei ministri, che sembra comunque voler tagliare l’Irpef, è singolare confezionare un ultimatum. Cisl e Uil si stanno muovendo con maggiore accortezza senza inutili fughe in avanti. Mentre è forte l’impressione che la Cgil stia scaricando sul contenzioso con il governo anche le proprie tensioni interne al punto che interrompere il dialogo Landini-Renzi è diventata una priorità. E il fine, in tempo di revival fiorentino, giustifica ancora una volta i mezzi.
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