Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il nuovo governo Renzi
Tutto chiaro quello che succede all'interno del maggior sindacato italiano?
E' in corso una guerra di potere???
Domani chiederò ad un amico che da due mesi sostiene che l'uomo della sinistra è Landini.
Ma l'accordo Renzi - Landini per far fuori la Camusso e la CGIL come lo vedete?
E' in corso una guerra di potere???
Domani chiederò ad un amico che da due mesi sostiene che l'uomo della sinistra è Landini.
Ma l'accordo Renzi - Landini per far fuori la Camusso e la CGIL come lo vedete?
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Re: Il nuovo governo Renzi
l’Unità 10.3.14
Fassina: prima ci dicano dove prendere i soldi
di Andrea Carugati
Stefano Fassina, ex viceministro dell’Economia con Letta ed esponente di punta della minoranza Pd, guarda con un mix di speranza e preoccupazione al derby di governo su come utilizzare i 10 miliardi per la riduzione di Irpef o Irap. «Il problema è che la provenienza di queste risorse è ancora ignota. Mi pare che si stiano facendo dei conti senza l’oste. Quei 10 miliardi fino a qualche settimana fa non c’erano, e temo continuino a non esserci. Temo anche che per reperirli il governo sia costretto a incidere sulle prestazioni sociali. C’è un’altra cosa che non mi convince...».
Spieghi onorevole Fassina.
«Tagliare di 100 euro la spesa per tagliare di100euro le tasse rischia di avere un effetto recessivo sull’economia».
Dunque le tasse non vanno abbassate?
«Dico che l’abbassamento va finanziato in primo luogo con il recupero dell’abnorme evasione che c’è in Italia».
Ma il governo pensa di utilizzare risorse che derivano dalla spending review.
«Revisione della spesa non significa tirare fuori dei soldi da un cassetto. Ci sono tagli che possono avere un impatto sull’economia, anche se consentono di ridurre le tasse. La spesa pubblica italiana è tra le più basse d’Europa, va riqualificata con una radicale riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali».
Torniamo ai 10miliardi.
«Il governo Letta nella legge di Stabilità ha previsto di utilizzare 10 miliardi in tre anni, finanziati da risparmi di spesa. Inoltre ha previsto di potenziare l’intervento con le risorse provenienti dal rientro dei capitali. Ma prima bisogna aspettare che tali somme rientrino. Per il resto faccio fatica a vedere dove si possano trovare altre risorse senza incidere sulle prestazioni sociali».
Crede davvero che il governo andrà a tagliare la spesa sociale? Sulla scuola sono previsti nuovi investimenti...
«Speriamo. Comunque non tutti ricordano che la legge di Stabilità prevede già per il prossimo triennio un pesante taglio della spesa, circa 30 miliardi, già contabilizzati».
Nel derby tra Irap e Irpef come si schiera?
«Se l’obiettivo per la ripresa è sostenere la domanda, allora è necessario sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori. Si può fare non solo tagliando l’Irpef, ma anche, come suggerisce Vincenzo Visco, fiscalizzare i contributi sociali pagati dai lavoratori. Questo meccanismo consente di raggiungere anche i lavoratori che non guadagnano abbastanza per beneficiare del taglio dell’Irpef». IlmenùdelgovernoRenzièdestinatoasomigliaremoltoaquantogiàmessoincantiere da Letta? Oppure possiamo attendere un colpo d’ala?
«Il colpo d’ala che il governo Renzi deve avere per giustificare la sua stessa nascita deve riguardare i rapporti con l’Ue. Una revisione degli obiettivi di finanza pubblica è il vero possibile valore aggiunto. Bisogna allentare la morsa, la nostra proposta è di allentare di mezzo punto di Pil all’anno per 3 anni il deficit strutturale tendenziale per finanziare investimenti nelle scuole e misure di contrasto alla povertà. L’altro punto chiave è rivedere il piano di privatizzazioni e utilizzare le risorse che entrano non per la riduzione del debito - sarebbero irrilevanti - ma per finanziare nuovi investimenti».
C’è il rischio di una manovra correttiva?
«Non solo non ci vuole una manovra correttiva, ma ne serve una espansiva. Se continuiamo a seguire le indicazioni di Bruxelles soffochiamo la ripresa e il risultato sarà un debito pubblico più elevato. Le politiche di austerità in questi anni hanno peggiorato le condizioni del debito pubblico di 30 punti percentuali».
Il governo Letta ha lasciato i conti in ordine?
Il Commissario Ue Rehn parla di squilibri eccessivi. «Rehn cerca di scaricare sui governi le responsabilità delle ricette fallimentari che la Commissione continua a riproporre, invece di fare una seria analisi autocritica. Il nostro premier avrebbe dovuto rispedire le critiche al mittente, piuttosto che cercare nel governo Letta una scusa per l’impossibilità di realizzare le promesse fatte in modo disinvolto e inconsapevole».
Quali promesse di Renzi sono a sua avviso disinvolte?
«Il taglio del cuneo di 10 miliardi quest’anno, e anche l’idea che una riforma delle regole del mercato del lavoro possa generare occupazione. Io al contrario vedo rischi di ulteriore precarizzazione».
Un contratto unico per i giovani non può invece servire a razionalizzare la giungla del precariato?
«Aspetto di vedere che sia un contratto unico, e che siano eliminate altre tipologie contrattuali. Aumentando il costo del lavoro per le imprese? Nel migliore dei caso si può razionalizzare il poco lavoro che c’è. Ma se una macchina è senza benzina (la domanda) non si fa ripartire aggiungendo l’olio».
Cosa pensa dell’emendamento sulla parità di genere nella legge elettorale?
«È necessario che il Pd lo sostenga, nonostante i diktat di Berlusconi».
Fassina: prima ci dicano dove prendere i soldi
di Andrea Carugati
Stefano Fassina, ex viceministro dell’Economia con Letta ed esponente di punta della minoranza Pd, guarda con un mix di speranza e preoccupazione al derby di governo su come utilizzare i 10 miliardi per la riduzione di Irpef o Irap. «Il problema è che la provenienza di queste risorse è ancora ignota. Mi pare che si stiano facendo dei conti senza l’oste. Quei 10 miliardi fino a qualche settimana fa non c’erano, e temo continuino a non esserci. Temo anche che per reperirli il governo sia costretto a incidere sulle prestazioni sociali. C’è un’altra cosa che non mi convince...».
Spieghi onorevole Fassina.
«Tagliare di 100 euro la spesa per tagliare di100euro le tasse rischia di avere un effetto recessivo sull’economia».
Dunque le tasse non vanno abbassate?
«Dico che l’abbassamento va finanziato in primo luogo con il recupero dell’abnorme evasione che c’è in Italia».
Ma il governo pensa di utilizzare risorse che derivano dalla spending review.
«Revisione della spesa non significa tirare fuori dei soldi da un cassetto. Ci sono tagli che possono avere un impatto sull’economia, anche se consentono di ridurre le tasse. La spesa pubblica italiana è tra le più basse d’Europa, va riqualificata con una radicale riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali».
Torniamo ai 10miliardi.
«Il governo Letta nella legge di Stabilità ha previsto di utilizzare 10 miliardi in tre anni, finanziati da risparmi di spesa. Inoltre ha previsto di potenziare l’intervento con le risorse provenienti dal rientro dei capitali. Ma prima bisogna aspettare che tali somme rientrino. Per il resto faccio fatica a vedere dove si possano trovare altre risorse senza incidere sulle prestazioni sociali».
Crede davvero che il governo andrà a tagliare la spesa sociale? Sulla scuola sono previsti nuovi investimenti...
«Speriamo. Comunque non tutti ricordano che la legge di Stabilità prevede già per il prossimo triennio un pesante taglio della spesa, circa 30 miliardi, già contabilizzati».
Nel derby tra Irap e Irpef come si schiera?
«Se l’obiettivo per la ripresa è sostenere la domanda, allora è necessario sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori. Si può fare non solo tagliando l’Irpef, ma anche, come suggerisce Vincenzo Visco, fiscalizzare i contributi sociali pagati dai lavoratori. Questo meccanismo consente di raggiungere anche i lavoratori che non guadagnano abbastanza per beneficiare del taglio dell’Irpef». IlmenùdelgovernoRenzièdestinatoasomigliaremoltoaquantogiàmessoincantiere da Letta? Oppure possiamo attendere un colpo d’ala?
«Il colpo d’ala che il governo Renzi deve avere per giustificare la sua stessa nascita deve riguardare i rapporti con l’Ue. Una revisione degli obiettivi di finanza pubblica è il vero possibile valore aggiunto. Bisogna allentare la morsa, la nostra proposta è di allentare di mezzo punto di Pil all’anno per 3 anni il deficit strutturale tendenziale per finanziare investimenti nelle scuole e misure di contrasto alla povertà. L’altro punto chiave è rivedere il piano di privatizzazioni e utilizzare le risorse che entrano non per la riduzione del debito - sarebbero irrilevanti - ma per finanziare nuovi investimenti».
C’è il rischio di una manovra correttiva?
«Non solo non ci vuole una manovra correttiva, ma ne serve una espansiva. Se continuiamo a seguire le indicazioni di Bruxelles soffochiamo la ripresa e il risultato sarà un debito pubblico più elevato. Le politiche di austerità in questi anni hanno peggiorato le condizioni del debito pubblico di 30 punti percentuali».
Il governo Letta ha lasciato i conti in ordine?
Il Commissario Ue Rehn parla di squilibri eccessivi. «Rehn cerca di scaricare sui governi le responsabilità delle ricette fallimentari che la Commissione continua a riproporre, invece di fare una seria analisi autocritica. Il nostro premier avrebbe dovuto rispedire le critiche al mittente, piuttosto che cercare nel governo Letta una scusa per l’impossibilità di realizzare le promesse fatte in modo disinvolto e inconsapevole».
Quali promesse di Renzi sono a sua avviso disinvolte?
«Il taglio del cuneo di 10 miliardi quest’anno, e anche l’idea che una riforma delle regole del mercato del lavoro possa generare occupazione. Io al contrario vedo rischi di ulteriore precarizzazione».
Un contratto unico per i giovani non può invece servire a razionalizzare la giungla del precariato?
«Aspetto di vedere che sia un contratto unico, e che siano eliminate altre tipologie contrattuali. Aumentando il costo del lavoro per le imprese? Nel migliore dei caso si può razionalizzare il poco lavoro che c’è. Ma se una macchina è senza benzina (la domanda) non si fa ripartire aggiungendo l’olio».
Cosa pensa dell’emendamento sulla parità di genere nella legge elettorale?
«È necessario che il Pd lo sostenga, nonostante i diktat di Berlusconi».
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- Iscritto il: 21/02/2012, 19:25
Re: Il nuovo governo Renzi
Lettera aperta al Presidente del Consiglio
Signor Presidente,
come testimoniano tutti i dati e come Lei ben sa il nostro Paese conosce un’emergenza occupazionale e una
crisi sociale che trascina centinaia di migliaia di persone nell’insicurezza e nella paura di non poter garantire
un futuro a se stessi e ai propri figli.
E’ a partire da questa situazione che Lei ha più volte sottolineato la necessità di una svolta politica,
indicando nell’urgenza la principale delle motivazioni che l’hanno spinta ad accettare l’incarico di formare
un nuovo Governo, rinunciando persino a fondarlo sulla legittimazione elettorale, come sarebbe più
opportuno fare.
Nel nome della stessa urgenza abbiamo ascoltato da parte sua l’annuncio di un calendario d’interventi che
ha messo il lavoro ai primi posti dell’agenda del nuovo esecutivo.
Noi che nel mondo del lavoro cerchiamo di rappresentare i bisogni e gli interessi di milioni di donne e
uomini vogliamo portare il nostro contributo per affrontare la drammaticità della situazione sociale che
segna oggi grande parte del Paese.
La democrazia è a rischio nel nostro Paese se non si combatte la disoccupazione e la precarietà.
E quando si è poveri anche lavorando, vuol dire che è il momento della giustizia sociale e che bisogna
redistribuire ricchezza verso i redditi più bassi e verso le fasce più deboli della società.
Crediamo che oltre a rivedere e rinegoziare i vincoli europei per uscire dalla logica dell’ austerità , per il
lavoro sia prioritario partire dalla difesa e dalla valorizzazione dell’occupazione che già c’è per arrivare a
crearne di nuova. Per puntare a questi obiettivi sono essenziali politiche attive del lavoro a iniziare da un
piano straordinario di investimenti pubblici e privati, da una politica industriale che individui e intervenga
sui settori strategici del Paese, che non disperda ma anzi valorizzi il nostro patrimonio di conoscenze e
professionalità, sapendo che particolare attenzione debba essere riservata a quei settori e quei territori – la
manifattura e il Mezzogiorno - che hanno pagato il prezzo più alto della crisi, ma che possono essere il
cuore di una ripartenza comune.
E’ con questo spirito che, a partire dalla nostra esperienza e dalle nostre conoscenze, Le proponiamo unaserie di indirizzi per uscire dalla crisi e dal ristagno. Si tratta di scelte e interventi tesi a innovare la
produzione industriale e l’economia del Paese, riprogettare gli stessi prodotti e i loro cicli di vita
indirizzandoci verso un’economia di beni durevoli e ambientalmente sostenibili, con un'opportunità di
sviluppo qualificato dell’occupazione, di sicurezza sul lavoro (sono ancora più di 1000 i morti ogni anno nei
luoghi di lavoro) e di miglioramento della qualità della vita di tutti.
Lanciare un piano per la mobilità sostenibile anche con la costituzione di un polo nazionale dei
trasporti (su strada, ferrovia e mare) per coordinare le imprese del settore e indirizzarne le
strategie, in particolare per incrementare il trasporto pubblico e collettivo di persone e merci.
L’Italia anche per la sua posizione geografica potrebbe essere la piattaforma logistica del
mediterraneo. Per affermare e realizzare un concetto di nuova mobilità con cui affrontare la crisi
del settore automobilistico, cui è essenziale la convocazione di un Tavolo-Fiat utile a conoscere
investimenti e piani industriali del gruppo in Italia, difendere l’occupazione anche nei siti che la Fiat
sta abbandonando – come Termini Imerese e l’Irisbus di Valle Ufita - e favorendo anche l’ingresso
di nuovi produttori nel nostro Paese.
Elaborare un piano per il risparmio e l’efficienza energetica, investendo sull’industria delle energie
alternative, puntando su un nuovo modello energetico basato sulla «generazione distribuita» che
tenda al risparmio, all'efficienza, all'uso appropriato e razionale di tutte le fonti rinnovabili in
alternativa a quelle fossili.
Investire e puntare decisamente sullo sviluppo della banda larga, l’informatizzazione della pubblica
amministrazione e dei servizi alla persona, sviluppando le reti di telecomunicazioni anche per
recuperare il gap che il nostro Paese sconta rispetto al resto dell’Europa.
Riqualificare, rilanciare e riconvertire i settori manifatturieri oggi in crisi - dall’elettrodomestico alla
siderurgia alla microelettronica - che hanno bisogno di un intervento pubblico in ricerca e sviluppo
e investimenti consistenti per riqualificarsi con sistemi produttivi non inquinanti, a basso consumo
energetico e nuovi prodotti ambientalmente compatibili e riciclabili. L’esperienza del caso Ilva e la
siderurgia in generale ci portano a pensare che in alcuni casi c’è bisogno anche di cambiare gli
assetti proprietari delle imprese e pertanto un intervento pubblico , anche in via transitoria ,
diventano necessari per dare un futuro a settori strategici indispensabili per rimanere un Paese
industriale.
Evitare che le logiche della privatizzazione tesa a fare cassa prevalga sull’orizzonte produttivo e
rilanciare i gruppi industriali con presenza pubblica (da Finmeccanica a Fincantieri a Stm) con piani
industriali di sviluppo per scongiurare il declino di settori che rappresentano una fondamentale
risorsa per il paese e un patrimonio per gli stessi bilanci dello Stato.
Varare un piano pubblico straordinario per la manutenzione del territorio, delle scuole, degli
ospedali, valorizzando il patrimonio storico monumentale, in alternativa a grandi opere oggi non
prioritarie e poco utili, in modo che la cura del nostro paese e dei servizi ai suoi cittadini costituisca
un investimento che diventi una risorsa per lo sviluppo delle nostre comunità.
Anche per quanto riguarda le politiche sociali del lavoro crediamo sia necessaria una svolta rispetto alle
scelte degli ultimi anni, riproponendo gli obiettivi della piena occupazione e del diritto a redditi dignitosi. E
anche su questo – in attesa di conoscere meglio le indicazioni contentate nel vostro Jobs Act - ci
permettiamo di sottoporLe sinteticamente il nostro punto di vista, le nostre indicazioni, un nostro “piano
per il lavoro”.
Secondo noi, sono da evitare interventi a pioggia. Bisogna individuare delle priorità. Ad esempio Ogni euro
pubblico a favore delle imprese deve essere vincolato a quanti posti di lavoro si difendono e si creano.
Vanno resi possibili forme di credito e di finanziamento agli investimenti a tassi agevolati per le piccole e
medie imprese , incentivando la costituzione di reti d’impresa.
Non serve a nulla una riduzione
generalizzata e non selettiva del cuneo fiscale. Per una ripresa dei consumi la tassazione va ridotta a partire
da una riduzione dell’irpef sui redditi da lavoro più bassi e ripristinando una vera tassazione progressiva. In
particolare sarebbe necessario :
o Incentivare la riduzione e la redistribuzione degli orari di lavoro, stimolare l’uso dei contratti di
solidarietà rifinanziando un sistema di decontribuzione che riduce il costo del lavoro e non il salario
dei lavoratori, soprattutto nei casi di crisi industriale (per esempio, Electrolux) e accompagnare così
i processi di ristrutturazione e rilancio , vincolando le imprese ad impegni certi sul mantenimento
dell’ occupazione , la non delocalizzazione delle produzioni, nuovi investimenti.
o Ridurre l’età pensionabile e ripristinare le pensioni di anzianità (perché i lavori non sono tutti uguali
e vanno tutelate maggiormente le mansioni più disagiate), assicurare ai giovani la prospettiva di
una pensione adeguata garantendo in ogni caso un livello di copertura pensionistica non inferiore
al 60% e la copertura anche dei periodi di disoccupazione involontaria, eliminare il blocco della
rivalutazione delle pensioni, istituendo un tetto massimo.
o Riformare gli ammortizzatori sociali per estendere – tramite contribuzione - la cassa integrazione
ordinaria e straordinaria a tutti i lavoratori e a tutte le imprese di ogni settore e dimensione.
o Disoccupazione, precarietà, abbandono universitario e scolastico richiedono di introdurre anche in
Italia - con intervento della fiscalità e con un armonizzazione dei sistemi oggi esistenti - forme di un
reddito minimo universale come diritto individuale per combattere la povertà , incentivare la
formazione e la disponibilità al lavoro, far uscire le persone dal ricatto della precarietà e garantire il
diritto allo studio.
o Ridurre il numero oggi decisamente eccessivo delle tipologie contrattuali: ad esempio accanto al
contratto a tempo indeterminato, al part-time, all’apprendistato e al contratto a termine con
causali, introdurre un contratto unico di assunzione a tempo indeterminato con un allungamento
del periodo di prova e prevedendo incentivi al suo utilizzo e alla sua stabilizzazione.
o Cancellare l’articolo 8 della legge 148 del 2011, con cui si è permesso di derogare ai contratti
nazionali, impoverendo il lavoro e facendo venir meno la certezza del diritto contrattuale.Varare
una legge sulla rappresentanza coerente con la recente sentenza della Corte costituzionale, per
certificare il peso reale di ogni organizzazione sindacale, garantendo il diritto alle lavoratrici ed ai
lavoratori di scegliere e votare il sindacato che vogliono e approvare sempre le piattaforme e gli
accordi che li riguardano tramite referendum.. I contratti nazionali così stipulati possono avere
validità erga omnes sancendo che i minimi salariali contrattati tra le parti nei Ccnl diventino il
salario orario minimo garantito per legge. Un modo per ripristinare in Italia il principio
Costituzionale che a parità di mansione corrisponde parità di trattamento normativo e salariale.
o Varare una norma per rendere applicabile, anche nel nostro Paese, la clausola europea per i cambi
di appalti che garantiscano i diritti e l’applicazione dei contratti nazionali di lavoro in essere.
Per finanziare questi piani straordinari e questi interventi legislativi è naturalmente necessario un
consistente recupero di risorse che può essere raggiunto con misure straordinarie, in sintonia con la gravità
della situazione: dal rientro dei capitali all’estero alla lotta all’evasione fiscale, (ad esempio equitalia, a cui
forse cambiare nome non guasterebbe, concentri i propri sforzi su quel 50% dell’evasione che è
riconducibile solo al 10% degli evasori), dalla tassazione delle rendite finanziarie all’istituzione di una
patrimoniale, dal privilegiare la riduzione del peso fiscale per chi investe in Italia e reinveste gli utili anziché
distribuirli agli azionisti, al rendere possibile per i fondi pensione dei lavoratori dipendenti un accordo con
lo stato che garantendo il loro rendimento, permetta di usare parte di quelle risorse a sostegno di una
politica d’ investimenti per la ricerca , l’innovazione e l’ammodernamento del nostro sistema industriale ed
infrastrutturale piuttosto che, come avviene oggi, nella finanza internazionale.
Ci permettiamo di indicare la necessità di un vero coordinamento della Presidenza del Consiglio nell’ azione
del Governo e quindi tra i vari Ministeri , che fino ad ora troppe volte non abbiamo registrato.
Siamo coscienti, signor Presidente, quanto impegnativo e ambizioso sia l’insieme delle scelte che qui Le
abbiamo sommariamente esposto , consapevoli che ci sono una serie di emergenze in corso a cui dare
risposte (cassa in deroga ed esodati); ma è a partire dalla realtà che ogni giorno tocchiamo con mano che
siamo convinti della loro necessità e di una strategia che renda coerente i singoli provvedimenti e ricrei una
fiducia che oggi non c’è. E, se lo riterrà utile, siamo pronti a chiarirne il senso e la realizzabilità direttamente
con Lei e con i Ministri competenti.
Il 21 marzo organizzeremo a Roma una grande assemblea di delegate e delegati metalmeccanici per
discutere e valutare l’evoluzione della situazione e decidere tutte le iniziative necessarie.
Non possiamo più aspettare, questo Paese va cambiato ed il lavoro é l’unico vero motore di un
cambiamento che estenda la giustizia sociale e la democrazia, intesa come partecipazione e dignità.
Restando in attesa di un suo cortese riscontro, cogliamo l’occasione per inviarLe i nostri più cordiali saluti
http://www.fiom.cgil.it/seg_naz/comunic ... -Renzi.pdf
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Sembrerebbe che Landini avesse preso le redini in mano visto i tempi della camusso.
Signor Presidente,
come testimoniano tutti i dati e come Lei ben sa il nostro Paese conosce un’emergenza occupazionale e una
crisi sociale che trascina centinaia di migliaia di persone nell’insicurezza e nella paura di non poter garantire
un futuro a se stessi e ai propri figli.
E’ a partire da questa situazione che Lei ha più volte sottolineato la necessità di una svolta politica,
indicando nell’urgenza la principale delle motivazioni che l’hanno spinta ad accettare l’incarico di formare
un nuovo Governo, rinunciando persino a fondarlo sulla legittimazione elettorale, come sarebbe più
opportuno fare.
Nel nome della stessa urgenza abbiamo ascoltato da parte sua l’annuncio di un calendario d’interventi che
ha messo il lavoro ai primi posti dell’agenda del nuovo esecutivo.
Noi che nel mondo del lavoro cerchiamo di rappresentare i bisogni e gli interessi di milioni di donne e
uomini vogliamo portare il nostro contributo per affrontare la drammaticità della situazione sociale che
segna oggi grande parte del Paese.
La democrazia è a rischio nel nostro Paese se non si combatte la disoccupazione e la precarietà.
E quando si è poveri anche lavorando, vuol dire che è il momento della giustizia sociale e che bisogna
redistribuire ricchezza verso i redditi più bassi e verso le fasce più deboli della società.
Crediamo che oltre a rivedere e rinegoziare i vincoli europei per uscire dalla logica dell’ austerità , per il
lavoro sia prioritario partire dalla difesa e dalla valorizzazione dell’occupazione che già c’è per arrivare a
crearne di nuova. Per puntare a questi obiettivi sono essenziali politiche attive del lavoro a iniziare da un
piano straordinario di investimenti pubblici e privati, da una politica industriale che individui e intervenga
sui settori strategici del Paese, che non disperda ma anzi valorizzi il nostro patrimonio di conoscenze e
professionalità, sapendo che particolare attenzione debba essere riservata a quei settori e quei territori – la
manifattura e il Mezzogiorno - che hanno pagato il prezzo più alto della crisi, ma che possono essere il
cuore di una ripartenza comune.
E’ con questo spirito che, a partire dalla nostra esperienza e dalle nostre conoscenze, Le proponiamo unaserie di indirizzi per uscire dalla crisi e dal ristagno. Si tratta di scelte e interventi tesi a innovare la
produzione industriale e l’economia del Paese, riprogettare gli stessi prodotti e i loro cicli di vita
indirizzandoci verso un’economia di beni durevoli e ambientalmente sostenibili, con un'opportunità di
sviluppo qualificato dell’occupazione, di sicurezza sul lavoro (sono ancora più di 1000 i morti ogni anno nei
luoghi di lavoro) e di miglioramento della qualità della vita di tutti.
Lanciare un piano per la mobilità sostenibile anche con la costituzione di un polo nazionale dei
trasporti (su strada, ferrovia e mare) per coordinare le imprese del settore e indirizzarne le
strategie, in particolare per incrementare il trasporto pubblico e collettivo di persone e merci.
L’Italia anche per la sua posizione geografica potrebbe essere la piattaforma logistica del
mediterraneo. Per affermare e realizzare un concetto di nuova mobilità con cui affrontare la crisi
del settore automobilistico, cui è essenziale la convocazione di un Tavolo-Fiat utile a conoscere
investimenti e piani industriali del gruppo in Italia, difendere l’occupazione anche nei siti che la Fiat
sta abbandonando – come Termini Imerese e l’Irisbus di Valle Ufita - e favorendo anche l’ingresso
di nuovi produttori nel nostro Paese.
Elaborare un piano per il risparmio e l’efficienza energetica, investendo sull’industria delle energie
alternative, puntando su un nuovo modello energetico basato sulla «generazione distribuita» che
tenda al risparmio, all'efficienza, all'uso appropriato e razionale di tutte le fonti rinnovabili in
alternativa a quelle fossili.
Investire e puntare decisamente sullo sviluppo della banda larga, l’informatizzazione della pubblica
amministrazione e dei servizi alla persona, sviluppando le reti di telecomunicazioni anche per
recuperare il gap che il nostro Paese sconta rispetto al resto dell’Europa.
Riqualificare, rilanciare e riconvertire i settori manifatturieri oggi in crisi - dall’elettrodomestico alla
siderurgia alla microelettronica - che hanno bisogno di un intervento pubblico in ricerca e sviluppo
e investimenti consistenti per riqualificarsi con sistemi produttivi non inquinanti, a basso consumo
energetico e nuovi prodotti ambientalmente compatibili e riciclabili. L’esperienza del caso Ilva e la
siderurgia in generale ci portano a pensare che in alcuni casi c’è bisogno anche di cambiare gli
assetti proprietari delle imprese e pertanto un intervento pubblico , anche in via transitoria ,
diventano necessari per dare un futuro a settori strategici indispensabili per rimanere un Paese
industriale.
Evitare che le logiche della privatizzazione tesa a fare cassa prevalga sull’orizzonte produttivo e
rilanciare i gruppi industriali con presenza pubblica (da Finmeccanica a Fincantieri a Stm) con piani
industriali di sviluppo per scongiurare il declino di settori che rappresentano una fondamentale
risorsa per il paese e un patrimonio per gli stessi bilanci dello Stato.
Varare un piano pubblico straordinario per la manutenzione del territorio, delle scuole, degli
ospedali, valorizzando il patrimonio storico monumentale, in alternativa a grandi opere oggi non
prioritarie e poco utili, in modo che la cura del nostro paese e dei servizi ai suoi cittadini costituisca
un investimento che diventi una risorsa per lo sviluppo delle nostre comunità.
Anche per quanto riguarda le politiche sociali del lavoro crediamo sia necessaria una svolta rispetto alle
scelte degli ultimi anni, riproponendo gli obiettivi della piena occupazione e del diritto a redditi dignitosi. E
anche su questo – in attesa di conoscere meglio le indicazioni contentate nel vostro Jobs Act - ci
permettiamo di sottoporLe sinteticamente il nostro punto di vista, le nostre indicazioni, un nostro “piano
per il lavoro”.
Secondo noi, sono da evitare interventi a pioggia. Bisogna individuare delle priorità. Ad esempio Ogni euro
pubblico a favore delle imprese deve essere vincolato a quanti posti di lavoro si difendono e si creano.
Vanno resi possibili forme di credito e di finanziamento agli investimenti a tassi agevolati per le piccole e
medie imprese , incentivando la costituzione di reti d’impresa.
Non serve a nulla una riduzione
generalizzata e non selettiva del cuneo fiscale. Per una ripresa dei consumi la tassazione va ridotta a partire
da una riduzione dell’irpef sui redditi da lavoro più bassi e ripristinando una vera tassazione progressiva. In
particolare sarebbe necessario :
o Incentivare la riduzione e la redistribuzione degli orari di lavoro, stimolare l’uso dei contratti di
solidarietà rifinanziando un sistema di decontribuzione che riduce il costo del lavoro e non il salario
dei lavoratori, soprattutto nei casi di crisi industriale (per esempio, Electrolux) e accompagnare così
i processi di ristrutturazione e rilancio , vincolando le imprese ad impegni certi sul mantenimento
dell’ occupazione , la non delocalizzazione delle produzioni, nuovi investimenti.
o Ridurre l’età pensionabile e ripristinare le pensioni di anzianità (perché i lavori non sono tutti uguali
e vanno tutelate maggiormente le mansioni più disagiate), assicurare ai giovani la prospettiva di
una pensione adeguata garantendo in ogni caso un livello di copertura pensionistica non inferiore
al 60% e la copertura anche dei periodi di disoccupazione involontaria, eliminare il blocco della
rivalutazione delle pensioni, istituendo un tetto massimo.
o Riformare gli ammortizzatori sociali per estendere – tramite contribuzione - la cassa integrazione
ordinaria e straordinaria a tutti i lavoratori e a tutte le imprese di ogni settore e dimensione.
o Disoccupazione, precarietà, abbandono universitario e scolastico richiedono di introdurre anche in
Italia - con intervento della fiscalità e con un armonizzazione dei sistemi oggi esistenti - forme di un
reddito minimo universale come diritto individuale per combattere la povertà , incentivare la
formazione e la disponibilità al lavoro, far uscire le persone dal ricatto della precarietà e garantire il
diritto allo studio.
o Ridurre il numero oggi decisamente eccessivo delle tipologie contrattuali: ad esempio accanto al
contratto a tempo indeterminato, al part-time, all’apprendistato e al contratto a termine con
causali, introdurre un contratto unico di assunzione a tempo indeterminato con un allungamento
del periodo di prova e prevedendo incentivi al suo utilizzo e alla sua stabilizzazione.
o Cancellare l’articolo 8 della legge 148 del 2011, con cui si è permesso di derogare ai contratti
nazionali, impoverendo il lavoro e facendo venir meno la certezza del diritto contrattuale.Varare
una legge sulla rappresentanza coerente con la recente sentenza della Corte costituzionale, per
certificare il peso reale di ogni organizzazione sindacale, garantendo il diritto alle lavoratrici ed ai
lavoratori di scegliere e votare il sindacato che vogliono e approvare sempre le piattaforme e gli
accordi che li riguardano tramite referendum.. I contratti nazionali così stipulati possono avere
validità erga omnes sancendo che i minimi salariali contrattati tra le parti nei Ccnl diventino il
salario orario minimo garantito per legge. Un modo per ripristinare in Italia il principio
Costituzionale che a parità di mansione corrisponde parità di trattamento normativo e salariale.
o Varare una norma per rendere applicabile, anche nel nostro Paese, la clausola europea per i cambi
di appalti che garantiscano i diritti e l’applicazione dei contratti nazionali di lavoro in essere.
Per finanziare questi piani straordinari e questi interventi legislativi è naturalmente necessario un
consistente recupero di risorse che può essere raggiunto con misure straordinarie, in sintonia con la gravità
della situazione: dal rientro dei capitali all’estero alla lotta all’evasione fiscale, (ad esempio equitalia, a cui
forse cambiare nome non guasterebbe, concentri i propri sforzi su quel 50% dell’evasione che è
riconducibile solo al 10% degli evasori), dalla tassazione delle rendite finanziarie all’istituzione di una
patrimoniale, dal privilegiare la riduzione del peso fiscale per chi investe in Italia e reinveste gli utili anziché
distribuirli agli azionisti, al rendere possibile per i fondi pensione dei lavoratori dipendenti un accordo con
lo stato che garantendo il loro rendimento, permetta di usare parte di quelle risorse a sostegno di una
politica d’ investimenti per la ricerca , l’innovazione e l’ammodernamento del nostro sistema industriale ed
infrastrutturale piuttosto che, come avviene oggi, nella finanza internazionale.
Ci permettiamo di indicare la necessità di un vero coordinamento della Presidenza del Consiglio nell’ azione
del Governo e quindi tra i vari Ministeri , che fino ad ora troppe volte non abbiamo registrato.
Siamo coscienti, signor Presidente, quanto impegnativo e ambizioso sia l’insieme delle scelte che qui Le
abbiamo sommariamente esposto , consapevoli che ci sono una serie di emergenze in corso a cui dare
risposte (cassa in deroga ed esodati); ma è a partire dalla realtà che ogni giorno tocchiamo con mano che
siamo convinti della loro necessità e di una strategia che renda coerente i singoli provvedimenti e ricrei una
fiducia che oggi non c’è. E, se lo riterrà utile, siamo pronti a chiarirne il senso e la realizzabilità direttamente
con Lei e con i Ministri competenti.
Il 21 marzo organizzeremo a Roma una grande assemblea di delegate e delegati metalmeccanici per
discutere e valutare l’evoluzione della situazione e decidere tutte le iniziative necessarie.
Non possiamo più aspettare, questo Paese va cambiato ed il lavoro é l’unico vero motore di un
cambiamento che estenda la giustizia sociale e la democrazia, intesa come partecipazione e dignità.
Restando in attesa di un suo cortese riscontro, cogliamo l’occasione per inviarLe i nostri più cordiali saluti
http://www.fiom.cgil.it/seg_naz/comunic ... -Renzi.pdf
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Sembrerebbe che Landini avesse preso le redini in mano visto i tempi della camusso.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Il nuovo governo Renzi
[quote="camillobenso"]Tutto chiaro quello che succede all'interno del maggior sindacato italiano?
E' in corso una guerra di potere???
Domani chiederò ad un amico che da due mesi sostiene che l'uomo della sinistra è Landini.
-----------------------------------------------------
Ma l'accordo Renzi - Landini per far fuori la Camusso e la CGIL come lo vedete?[/quote]
Camillobenso
.-----------
Lo vedo bene.Questa mattina ad Agora ho visto Versace dire cose a favore degli operai.A chi si doivrebbe dare i soldi IRPEF.
Ha ragione sono quelli piu bistrattati.Lavorano in fonderie , dove l'aspettativa di vita è piu corta.Quelli alle canene di montaggio, quelli che lavorano fuori nelle strate ad asfaltarle e molte altre categorie.Questi devono avere i soldi in piu sulla buata paga.Il cuneo fiscale gia Prodi lo aveva ridotto.E questo ha giovano anche anche ad aziende che poi hanno delocalizzato.Se propio bisogna toccare il cuneo fiscale,non deve essere per tutti.Ma per le aziende che lo meritano.
Ciao
Paolo11
E' in corso una guerra di potere???
Domani chiederò ad un amico che da due mesi sostiene che l'uomo della sinistra è Landini.
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Ma l'accordo Renzi - Landini per far fuori la Camusso e la CGIL come lo vedete?[/quote]
Camillobenso
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Lo vedo bene.Questa mattina ad Agora ho visto Versace dire cose a favore degli operai.A chi si doivrebbe dare i soldi IRPEF.
Ha ragione sono quelli piu bistrattati.Lavorano in fonderie , dove l'aspettativa di vita è piu corta.Quelli alle canene di montaggio, quelli che lavorano fuori nelle strate ad asfaltarle e molte altre categorie.Questi devono avere i soldi in piu sulla buata paga.Il cuneo fiscale gia Prodi lo aveva ridotto.E questo ha giovano anche anche ad aziende che poi hanno delocalizzato.Se propio bisogna toccare il cuneo fiscale,non deve essere per tutti.Ma per le aziende che lo meritano.
Ciao
Paolo11
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Re: Il nuovo governo Renzi
Anche se a me questo sistema non piace dobbiamo partire da questo presupposto: la società attuale vive di consumi e questi si incrementano solo se sono le grandi masse a consumare e non le piccole elite dei super ricchi. le imprese vivono e danno lavoro solo se vendono i loror prodotti che in gran parte sono comprati dai loro stessi dipendenti.
Quindi la diminuzione del cuneo fiscale sulle sole imprese è sbagliata. Si può pensare a favorire fiscalmente le imprese che riportano in Italia lavorazioni delocalizzate e che incrementano il nemuro dei loro dipendenti ma non aiutare a pioggia con abolizioni di parte dell'IRAP.
Per far ripartire i consumi si deve più potere d'acquisto alle famiglie e quì ci sono solo due strade:
1) abbassare i prezzi
2) aumentare i salari
La prima strada sembra poco praticabile dato che i prezzi difficilmente si possono contenere per legge ma si formano dall'incontro della domanda con l'offerta.
La seconda strada è l'unica praticabile e si può fare solo riformulando la tassazione IRPEf rendendola veramente progressiva come prevede la Costituzione, abbassando parte delle imposte indirette sui beni di maggior consumo (aumentandone il numero di pezzi venduti l'Erario non perderà entrate anzi forse le aumenterà), aumentando sensibilmente la detassazione per il lavoro dipendente e per i carichi familiari a livello di quelle già presenti in Germania/Francia o paesi Scandinavi favorendo così la formazione di più famiglie e più nemurose.
Detassare solo le aziende porterebbe solo ad aumentare i loro profitti e quindi i profitti di chi è già ricco, si deve detassare chi viene sfruttato da un sistema sempre più capitalistico e far pagare chi tanto ha accumulato nei decenni passati, non ci si può più esimere dal tassare la Rendita sia Finanziaria che Immobiliare.
Se si avrà il coraggio di intraprendere questa strada forse si uscirà dal tunnel altrimenti la destinazione del viaggio del treno Italia sarà solo la povertà e la rivolta sociale.
Quindi la diminuzione del cuneo fiscale sulle sole imprese è sbagliata. Si può pensare a favorire fiscalmente le imprese che riportano in Italia lavorazioni delocalizzate e che incrementano il nemuro dei loro dipendenti ma non aiutare a pioggia con abolizioni di parte dell'IRAP.
Per far ripartire i consumi si deve più potere d'acquisto alle famiglie e quì ci sono solo due strade:
1) abbassare i prezzi
2) aumentare i salari
La prima strada sembra poco praticabile dato che i prezzi difficilmente si possono contenere per legge ma si formano dall'incontro della domanda con l'offerta.
La seconda strada è l'unica praticabile e si può fare solo riformulando la tassazione IRPEf rendendola veramente progressiva come prevede la Costituzione, abbassando parte delle imposte indirette sui beni di maggior consumo (aumentandone il numero di pezzi venduti l'Erario non perderà entrate anzi forse le aumenterà), aumentando sensibilmente la detassazione per il lavoro dipendente e per i carichi familiari a livello di quelle già presenti in Germania/Francia o paesi Scandinavi favorendo così la formazione di più famiglie e più nemurose.
Detassare solo le aziende porterebbe solo ad aumentare i loro profitti e quindi i profitti di chi è già ricco, si deve detassare chi viene sfruttato da un sistema sempre più capitalistico e far pagare chi tanto ha accumulato nei decenni passati, non ci si può più esimere dal tassare la Rendita sia Finanziaria che Immobiliare.
Se si avrà il coraggio di intraprendere questa strada forse si uscirà dal tunnel altrimenti la destinazione del viaggio del treno Italia sarà solo la povertà e la rivolta sociale.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Si vedremo domani Renzi.
Intanto.http://www.tirendiconto.it/trasparenza/
Si clicca la persona es esce quello che prende .Il resto lo si vede dove lo mettono.
M5S
Ciao
Paolo11
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Si clicca la persona es esce quello che prende .Il resto lo si vede dove lo mettono.
M5S
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Paolo11
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Re: Il nuovo governo Renzi
Il punto di vista di Squinzi, presidente di Confindustria
Nella lettera al «Corriere della Sera» che qui pubblichiamo, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi interviene nel dibattito sulla riduzione delle tasse che si è aperto nei giorni scorsi, dopo l’annuncio del premier Matteo Renzi di voler intervenire con un taglio da 10 miliardi. Misure che Renzi sta mettendo a punto in vista del Consiglio dei ministri di domani: domenica sera il premier ha annunciato di voler intervenire a favore delle famiglie con «qualche decina di euro in più in busta paga» a chi ne guadagna fino a 1.500 al mese. Secondo il leader degli industriali, la misura ideale sarebbe invece la riduzione del cuneo fiscale pagato dalle aziende. Per un miglioramento della competitività delle imprese e per aiutare l’occupazione.
***
Caro direttore, molti vorrebbero farci credere che siamo fuori dalla crisi. Personalmente sono abituato a dire le cose che penso e a farlo in modo diretto. È vero, i numeri sembrano migliori di qualche trimestre fa, ma di crescita vera e propria non possiamo ancora parlare. La ripresa, se viaggerà a questi ritmi, sarà purtroppo lentissima. Per crescere sul serio e stabilmente nel tempo dobbiamo fare poche cose ed efficaci.
Cresceremo se il costo delle nostre imprese sarà confrontabile con quello dei nostri diretti concorrenti. Non entro sulle tante voci che paghiamo più degli altri. Mi concentro su una sola questione del dibattito di questi giorni. Da tempo diciamo che occorre intervenire in maniera seria sul cuneo fiscale, perché quello è il fattore che più ci penalizza rispetto alle economie avanzate. Più di 35 punti di svantaggio competitivo rispetto alla Germania sono un abisso che non possiamo pensare di colmare facendo leva sempre sulla nostra creatività e fantasia.
Un miglioramento di competitività di costo si tradurrebbe immediatamente in effetti positivi sia sull’occupazione, sia sulla competitività d’impresa. È strutturale, agisce in profondità. Non si tratta di una misura fatta per gli imprenditori: non siamo iscritti al club Irap o Irpef. Siamo da tempo convinti che la questione chiave è la riduzione del cuneo pagato dalle aziende. Ridurlo vorrebbe dire venire incontro a chi produce e genera valore in Italia, allo sforzo di chi crede nel nostro Paese. La riduzione del costo del lavoro agirebbe in favore degli occupati e di chi un lavoro purtroppo oggi non ce l’ha, ma lo avrebbe se il suo costo gravasse meno sul bilancio delle imprese.
Sarebbe interessante chiedere agli italiani se vogliono un lavoro o qualche decina di euro in più in tasca. Sarebbe interessante stimare quante delle crisi industriali che stiamo affrontando sono crisi generate da costi eccessivi.
Cresceremo se le regole del fare impresa saranno poche, rigorose e comprensibili. Lo dico da tempo: attenti ad affidarsi solo agli slogan, alle scorciatoie facili da enunciare, quanto difficili, lunghe e costose da praticare. Sul lavoro non cediamo alla tentazione di introdurre nuove forme contrattuali aggiuntive. Rendiamo più chiare, semplici e flessibili quelle esistenti, all’ingresso come all’uscita dell’occupazione. Togliamo i pesi e le complicazioni inutili della riforma Fornero e avremo più lavoro.
Se avessimo destinato alla riduzione dei costi impropri del lavoro e dei tanti colli di bottiglia che bloccano le assunzioni, l’energia e il tempo che abbiamo perso in una disputa ideologica anacronistica, pregiudiziale e sterile, la crescita la terremmo già stretta tra le mani. Forse molti giovani sarebbero occupati.
Cresceremo se, a fianco della sacrosanta spending review , faremo una regulation review che rimuova le troppe norme che generano costi, tempi, ruoli, poteri inutili. Che alimentano caste e corruzione. L’imprenditore non può passare la maggior parte del suo tempo sul codice civile o con gli avvocati. Il suo mestiere è un altro. Tra le cose fatte da Confindustria c’è una precisa ricognizione di ciò che va eliminato, razionalizzato, ridotto. Un manuale per la semplificazione a disposizione di tutti.
Cresceremo se il basilare principio che regola il rapporto tra qualsiasi cliente e fornitore verrà rispettato, in primo luogo dallo Stato: pagare i propri debiti e pagarli in tempi corretti, come si fa in tutto il resto del mondo.
La parola d’ordine è ridare competitività al Paese e alle sue imprese. Mille cose si possono fare e tante sono le ricette proposte. Tutte hanno una loro legittimità. Ma, mi spiace dirlo, non è tempo per perdersi in esperimenti. Sono lussi che non ci possiamo permettere. Abbiamo perso decine di migliaia di imprese, milioni di posti di lavoro, un quarto della produzione industriale. Numeri da brivido. Occorrono poche scelte chiare, decise e dritte all’obiettivo. Il lavoro deve costare come negli altri Paesi, quindi molto meno. Le regole devono essere semplici come quelle della migliore Europa. Bisogna pagare ciò che si acquista. Non è un regalo o un incentivo. È dovuto. Il Paese si è retto in questi durissimi anni sulle spalle di chi è andato a cercarsi per il mondo nuovi mercati. Abbiamo bisogno di una scossa forte che ci dia fiducia per continuare. Alla politica il difficile compito di scegliere. Un cosa però deve essere chiara: senza impresa non c’è crescita, non c’è lavoro, non c’è Italia.
11 marzo 2014 | 07:08
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Nella lettera al «Corriere della Sera» che qui pubblichiamo, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi interviene nel dibattito sulla riduzione delle tasse che si è aperto nei giorni scorsi, dopo l’annuncio del premier Matteo Renzi di voler intervenire con un taglio da 10 miliardi. Misure che Renzi sta mettendo a punto in vista del Consiglio dei ministri di domani: domenica sera il premier ha annunciato di voler intervenire a favore delle famiglie con «qualche decina di euro in più in busta paga» a chi ne guadagna fino a 1.500 al mese. Secondo il leader degli industriali, la misura ideale sarebbe invece la riduzione del cuneo fiscale pagato dalle aziende. Per un miglioramento della competitività delle imprese e per aiutare l’occupazione.
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Caro direttore, molti vorrebbero farci credere che siamo fuori dalla crisi. Personalmente sono abituato a dire le cose che penso e a farlo in modo diretto. È vero, i numeri sembrano migliori di qualche trimestre fa, ma di crescita vera e propria non possiamo ancora parlare. La ripresa, se viaggerà a questi ritmi, sarà purtroppo lentissima. Per crescere sul serio e stabilmente nel tempo dobbiamo fare poche cose ed efficaci.
Cresceremo se il costo delle nostre imprese sarà confrontabile con quello dei nostri diretti concorrenti. Non entro sulle tante voci che paghiamo più degli altri. Mi concentro su una sola questione del dibattito di questi giorni. Da tempo diciamo che occorre intervenire in maniera seria sul cuneo fiscale, perché quello è il fattore che più ci penalizza rispetto alle economie avanzate. Più di 35 punti di svantaggio competitivo rispetto alla Germania sono un abisso che non possiamo pensare di colmare facendo leva sempre sulla nostra creatività e fantasia.
Un miglioramento di competitività di costo si tradurrebbe immediatamente in effetti positivi sia sull’occupazione, sia sulla competitività d’impresa. È strutturale, agisce in profondità. Non si tratta di una misura fatta per gli imprenditori: non siamo iscritti al club Irap o Irpef. Siamo da tempo convinti che la questione chiave è la riduzione del cuneo pagato dalle aziende. Ridurlo vorrebbe dire venire incontro a chi produce e genera valore in Italia, allo sforzo di chi crede nel nostro Paese. La riduzione del costo del lavoro agirebbe in favore degli occupati e di chi un lavoro purtroppo oggi non ce l’ha, ma lo avrebbe se il suo costo gravasse meno sul bilancio delle imprese.
Sarebbe interessante chiedere agli italiani se vogliono un lavoro o qualche decina di euro in più in tasca. Sarebbe interessante stimare quante delle crisi industriali che stiamo affrontando sono crisi generate da costi eccessivi.
Cresceremo se le regole del fare impresa saranno poche, rigorose e comprensibili. Lo dico da tempo: attenti ad affidarsi solo agli slogan, alle scorciatoie facili da enunciare, quanto difficili, lunghe e costose da praticare. Sul lavoro non cediamo alla tentazione di introdurre nuove forme contrattuali aggiuntive. Rendiamo più chiare, semplici e flessibili quelle esistenti, all’ingresso come all’uscita dell’occupazione. Togliamo i pesi e le complicazioni inutili della riforma Fornero e avremo più lavoro.
Se avessimo destinato alla riduzione dei costi impropri del lavoro e dei tanti colli di bottiglia che bloccano le assunzioni, l’energia e il tempo che abbiamo perso in una disputa ideologica anacronistica, pregiudiziale e sterile, la crescita la terremmo già stretta tra le mani. Forse molti giovani sarebbero occupati.
Cresceremo se, a fianco della sacrosanta spending review , faremo una regulation review che rimuova le troppe norme che generano costi, tempi, ruoli, poteri inutili. Che alimentano caste e corruzione. L’imprenditore non può passare la maggior parte del suo tempo sul codice civile o con gli avvocati. Il suo mestiere è un altro. Tra le cose fatte da Confindustria c’è una precisa ricognizione di ciò che va eliminato, razionalizzato, ridotto. Un manuale per la semplificazione a disposizione di tutti.
Cresceremo se il basilare principio che regola il rapporto tra qualsiasi cliente e fornitore verrà rispettato, in primo luogo dallo Stato: pagare i propri debiti e pagarli in tempi corretti, come si fa in tutto il resto del mondo.
La parola d’ordine è ridare competitività al Paese e alle sue imprese. Mille cose si possono fare e tante sono le ricette proposte. Tutte hanno una loro legittimità. Ma, mi spiace dirlo, non è tempo per perdersi in esperimenti. Sono lussi che non ci possiamo permettere. Abbiamo perso decine di migliaia di imprese, milioni di posti di lavoro, un quarto della produzione industriale. Numeri da brivido. Occorrono poche scelte chiare, decise e dritte all’obiettivo. Il lavoro deve costare come negli altri Paesi, quindi molto meno. Le regole devono essere semplici come quelle della migliore Europa. Bisogna pagare ciò che si acquista. Non è un regalo o un incentivo. È dovuto. Il Paese si è retto in questi durissimi anni sulle spalle di chi è andato a cercarsi per il mondo nuovi mercati. Abbiamo bisogno di una scossa forte che ci dia fiducia per continuare. Alla politica il difficile compito di scegliere. Un cosa però deve essere chiara: senza impresa non c’è crescita, non c’è lavoro, non c’è Italia.
11 marzo 2014 | 07:08
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Re: Il nuovo governo Renzi
Perché nel Paese di Pulcinella non se ne verrà più fuori in modalità ordinaria - 1
1) Per prima cosa guardate il contatore del debito pubblico. Osservate come gira.
http://www.borsaforextradingfinanza.net ... 07662.html
Cosa dice il vangelo secondo Matteo, in materia?
E la Banda Larga cosa dice? Anche la Banda Bassotti dovrebbe dire qualcosa.
La prima operazione è cercare almeno di fermarlo.
1) Per prima cosa guardate il contatore del debito pubblico. Osservate come gira.
http://www.borsaforextradingfinanza.net ... 07662.html
Cosa dice il vangelo secondo Matteo, in materia?
E la Banda Larga cosa dice? Anche la Banda Bassotti dovrebbe dire qualcosa.
La prima operazione è cercare almeno di fermarlo.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Perché nel Paese di Pulcinella non se ne verrà più fuori in modalità ordinaria - 2
2) Osserva Squinzi nella sua lettera al Corriere:
Caro direttore, molti vorrebbero farci credere che siamo fuori dalla crisi. Personalmente sono abituato a dire le cose che penso e a farlo in modo diretto. È vero, i numeri sembrano migliori di qualche trimestre fa, ma di crescita vera e propria non possiamo ancora parlare. La ripresa, se viaggerà a questi ritmi, sarà purtroppo lentissima. Per crescere sul serio e stabilmente nel tempo dobbiamo fare poche cose ed efficaci.
Ci sono i domatori di leoni e di tigri. Ma ci sono anche i domatori di merli. Questo è uno dei mestieri più antichi, anche perché di merli ce ne sono sempre tanti.
Questa è una crisi complessivamente peggiore di quella del 1929. Quasi cent’anni fa.
Lo stato dell’arte della tecnologia di allora non è assolutamente paragonabile alla tecnologia odierna.
Questo è un dato che pesa sensibilmente sulla crisi odierna.
Inoltre, nel primo dopoguerra 1945 – 1952, si parlava di ricostruzione.
Oggi è stato costruito ed ampliato tutto quanto c’era da ricostruire.
Perché non ne parlano di questo problema?
E’ una grandissima sciocchezza parlare semplicemente di ripresa, quando ci si rivolge ai merla merlorum.
Le aziende cadono come birilli da anni, e ci si viene a parlare di “RIPRESA”?????
Semmai, dal punto di vista tecnico si deve prendere a prestito il linguaggio chirurgico.
Primo: Tamponare l’emorragia della chiusura delle imprese.
Secondo: Stabilizzare la situazione
Terzo: Solo quando la situazione si è stabilizzata si può parlare di avventurarci nella ripresa.
2) Osserva Squinzi nella sua lettera al Corriere:
Caro direttore, molti vorrebbero farci credere che siamo fuori dalla crisi. Personalmente sono abituato a dire le cose che penso e a farlo in modo diretto. È vero, i numeri sembrano migliori di qualche trimestre fa, ma di crescita vera e propria non possiamo ancora parlare. La ripresa, se viaggerà a questi ritmi, sarà purtroppo lentissima. Per crescere sul serio e stabilmente nel tempo dobbiamo fare poche cose ed efficaci.
Ci sono i domatori di leoni e di tigri. Ma ci sono anche i domatori di merli. Questo è uno dei mestieri più antichi, anche perché di merli ce ne sono sempre tanti.
Questa è una crisi complessivamente peggiore di quella del 1929. Quasi cent’anni fa.
Lo stato dell’arte della tecnologia di allora non è assolutamente paragonabile alla tecnologia odierna.
Questo è un dato che pesa sensibilmente sulla crisi odierna.
Inoltre, nel primo dopoguerra 1945 – 1952, si parlava di ricostruzione.
Oggi è stato costruito ed ampliato tutto quanto c’era da ricostruire.
Perché non ne parlano di questo problema?
E’ una grandissima sciocchezza parlare semplicemente di ripresa, quando ci si rivolge ai merla merlorum.
Le aziende cadono come birilli da anni, e ci si viene a parlare di “RIPRESA”?????
Semmai, dal punto di vista tecnico si deve prendere a prestito il linguaggio chirurgico.
Primo: Tamponare l’emorragia della chiusura delle imprese.
Secondo: Stabilizzare la situazione
Terzo: Solo quando la situazione si è stabilizzata si può parlare di avventurarci nella ripresa.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Ormai la domanda dovrebbe essere bassa abbastanza per impedire che continuino a salire. Quando ci sono state le speculazioni con l'arrivo della nuova moneta, che hanno fatto alzare i prezzi e diminuire il potere d'acquisto molto prima del 2008, non credo che gli aumenti derivassero dalla domanda e dall'offerta.Maucat ha scritto:Anche se a me questo sistema non piace dobbiamo partire da questo presupposto: la società attuale vive di consumi e questi si incrementano solo se sono le grandi masse a consumare e non le piccole elite dei super ricchi. le imprese vivono e danno lavoro solo se vendono i loror prodotti che in gran parte sono comprati dai loro stessi dipendenti.
Quindi la diminuzione del cuneo fiscale sulle sole imprese è sbagliata. Si può pensare a favorire fiscalmente le imprese che riportano in Italia lavorazioni delocalizzate e che incrementano il nemuro dei loro dipendenti ma non aiutare a pioggia con abolizioni di parte dell'IRAP.
Per far ripartire i consumi si deve più potere d'acquisto alle famiglie e quì ci sono solo due strade:
1) abbassare i prezzi
2) aumentare i salari
La prima strada sembra poco praticabile dato che i prezzi difficilmente si possono contenere per legge ma si formano dall'incontro della domanda con l'offerta.
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